Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 45 - GIUGNO 2005




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IL PARCO NORD MILANO HA TRENT'ANNI

La costruzione del parco, la riqualificazione della periferia, l'idea, il processo, i risultati

Un convegno nazionale ha illustrato le vicende dei trent'anni di vita del Parco Nord. Per introdurre i lavori della prima sessione, che hanno riguardato gli aspetti territoriali e paesaggistici dell'esperienza del parco, mi è sembrato necessario ripercorrere, sia pure per sommi capi e per tappe significative, la storia del Parco. L'inizio del racconto, la prima apparizione dell'idea del Parco Nord, si colloca negli anni '60.

Gli anni '60. L'idea

Sono gli anni del boom economico, della prima grande espansione a macchia d'olio di Milano e del suo hinterland, in cui si comincia ad avvertire il rischio della mancanza di strumenti idonei a controllare la grande crescita, ad avvertire la necessità di darsi un quadro urbanistico di indirizzi. Si da vita al Centro Studi PIM , che comincia appunto a studiare, a lavorare sull'assetto urbanistico della "grande Milano": il primo, elementare strumento ricognitivo delle tendenze in atto, il mosaico dei piani urbanistici comunali, subito predisposto, evidenzia quanto sia purtroppo fondato il rischio della compromissione generalizzata del territorio, per l'edificabilità residenziale e industriale follemente sovradimensionata ed avulsa da qualsiasi logica di organizzazione territoriale e per l'insufficiente previsione di aree per servizi, e segnatamente per servizi di grande scala. Con le prime idee e proposte di piano comprensoriale del PIM si vola alto (penso in particolare alla "turbina" di Giancarlo De Carlo); presto le logiche del cosiddetto pragmatismo ambrosiano e della necessità di mediazione hanno il sopravvento e portano ad un primo documento certamente più modesto per contenuto politico culturale e tuttavia importante come espressione di un indirizzo condiviso di possibile superamento dell'anarchia urbanistica imperante, quel "progetto generale di piano", approvato dall'Assemblea dei Sindaci nel 1967, che contiene tra le altre molteplici indicazioni, molte delle quali rimaste lettera morta, l'idea, la proposta e per la prima volta il nome del Parco Nord, indicato anzi come prioritario per il settore "verde e parchi". Agli Amministratori di allora, cito tra tutti Filippo Hazon, allora presidente del PIM, che hanno saputo compiere la scelta strategica e lungimirante di progettare la creazione di un grande polmone verde all'interno della direttrice di massima espansione e a maggior rischio di saturazione dell'area metropolitana, credo sia dovuto il giusto riconoscimento: tanto più doveroso, in quanto alla prima indicazione del '67 hanno saputo dare immediatamente seguito operativo, sempre sotto il coordinamento del PIM, con gli atti deliberativi di approvazione dello statuto consortile, da parte dei consigli comunali interessati e del consiglio provinciale, il cui sbocco e coronamento è stato il decreto prefettizio di istituzione del Parco del gennaio 1970.

Gli anni '70. L'istituzione, gli studi, i piani

Mi preme sottolineare la grande novità culturale contenuta nel progetto Parco Nord: per la prima volta a quella scala, si poneva il problema non già di tutelare un'area verde esistente, ma di progettare e costruire un grande parco territoriale ex novo, un parco dunque nato da un progetto urbanistico, con la destinazione d'uso al verde sovraccomunale di una grande area dove non c'era un albero e che si presentava in prima approssimazione come un grande spazio inedificato, al confine nord del Comune di Milano con i comuni contermini di prima fascia, occupato da un aeroporto (allora militare), un cimitero, alcuni servizi di scala sovraccomunale, alcune aree edificate a tessuto misto e, per la maggior parte, da aree agricole di scarso pregio, inframmezzate ad aree marginali, sottoutilizzate, spesso degradate di periferia metropolitana. E va sottolineato che il problema del progetto e della costruzione di un nuovo parco territoriale, in quegli anni, nel nostro paese, ci trovava tutti assolutamente impreparati: si brancolava nel buio, ci si aggrappava ad esperienze straniere, si cercava faticosamente una strada; e questo non solo per gli anni '70 ma anche per almeno parte degli anni '80. Dopo il decreto istitutivo del '70, dunque, passano tre anni prima che si possano insediare gli organi istituzionali (primo presidente Roberto Confalonieri) e si possano cominciare ad affrontare i problemi concreti preliminari alla progettazione del parco: come acquisire le aree, come dislocare altrove le attività e le attrezzature insediate. Le difficoltà appaiono subito enormi. Nel frattempo è nata la Regione, con qualche primo risultato, qualche punto fermo essenziale: nel '75 vengono approvate prima la legge urbanistica regionale e, dopo qualche mese, la legge istitutiva del Parco Nord Milano, con la quale la Regione "fa proprio" il parco, riconoscendolo d'interesse regionale, ne consolida i vincoli urbanistici ed ambientali, da indicazioni più puntuali in merito alle procedure ed ai contenuti della pianificazione dell'area. Da questo momento parte il processo di pianificazione e progettazione, le cui tappe in sintesi sono le seguenti: piano territoriale di coordinamento del Parco (adottato nel 76 e approvato dalla Regione nel 78); progetto di massima del 79; primo stralcio di progetto esecutivo dell'80-81. Tutti questi studi e progetti sono curati, per incarico dell'amministrazione consortile, dallo stesso gruppo di professionisti, gli architetti Brunati, Costantino, Selleri e Vercelloni, con la collaborazione dell'arch. Aprà. Negli stessi anni 80 e 81, in due tempi, l'Amministrazione Confalonieri (che rimarrà in carica fino alla fine dell' 82, quindi per quasi un decennio complessivamente) fa una scelta molto concreta e coraggiosa, rivelatasi essenziale per l'avvio dell'operazione parco: acquista le aree di proprietà della Breda finanziaria nel Parco, quasi 120 ettari, un quinto della superficie del Parco, per un importo di 8,1 mld. di lire. Scelta coraggiosa e importante, della quale non si possono tuttavia tacere due risvolti negativi: la rinuncia all'acquisto delle aree e dei capannoni dell'ex Breda Aeronautica, anch'essi dunque di proprietà Breda, della superficie complessiva di 12 ettari, per un costo stimato di 4,5 mld. di lire (tale complesso di edifici, allora mediamente fatiscenti, acquistato e ristrutturato dagli affittuari, è ora cresciuto enormemente di valore ed è destinato a rimanere a tempo indeterminato come presenza ingombrante e difficilmente integrabile nel Parco); secondo fatto negativo, dovuto alla insufficiente tempestività degli enti consorziati nella corresponsione delle somme dovute, il mancato saldo del debito Breda entro i diciotto mesi previsti dal contratto di acquisto delle aree, che ha innescato un processo di crescita vertiginosa del debito stesso (considerato che il tasso d'interesse si aggirava in quegli anni attorno al 23 - 24 % all'anno) con pesanti ripercussioni sui bilanci consortili per gli anni successivi.

Gli anni '83 - '90.
La grave crisi e la scommessa vinta

All'inizio dell'83 c'è un cambio della guardia al vertice del Parco e s'insedia la nuova amministrazione presieduta da Ercole Ferrario, che subito stipula con il Centro Studi PIM una convenzione di collaborazione e di supporto tecnico; io allora ero appunto ricercatore PIM e mi occupavo per l'appunto di verde e parchi; così comincia la mia collaborazione con Parco Nord, del quale, dall'anno successivo, Ferrario mi chiama ad assumere la direzione. Vivo dunque in prima persona il passaggio difficile, il momento di crisi del Parco Nord in quegli anni; che ha avuto un duplice ordine di cause, interne ed esterne. Quanto al primo gruppo di cause, basterebbe scorrere qualche rassegna stampa dell'epoca per avere testimonianza evidente della crisi di credibilità in cui da qualche tempo l'operazione parco si dibatteva. Del Parco si parlava da troppo tempo senza alcun risultato concreto e tangibile, senza che un albero fosse stato messo a dimora (un tentativo, per la verità era stato fatto, con festa popolare, taglio di nastro e banda al seguito, ma era miseramente naufragato per incuria o forse ignoranza di elementari regole agronomiche), senza che un solo metro di pista ciclabile fosse stato realizzato, un solo episodio di degrado affrontato e bonificato; il clima di diffidenza, di rassegnazione, di sfiducia era ovunque palpabile. Il debito Breda era in vertiginosa crescita ed i Comuni, a loro volta alle prese (anche allora) con una seria "stretta" sulla finanza locale, non sapevano come farvi fronte. Per contro, avevamo sul tavolo un progetto esecutivo di tipo classico (un progetto-disegno e non il progetto del processo, diremmo oggi), destinato all'appalto (ma forse insufficientemente definito per un appalto), il cui costo di attuazione era stimato in quasi 18 mld. in lire '81 (e quindi già abbondantemente lievitati), per di più riguardante un'area d'intervento solo parzialmente coincidente con le aree Breda acquistate. Un progetto dunque che si sarebbe dovuto rivedere, ridisegnare nei nuovi confini, approfondire e dettagliare: ma a qual fine, se era finalizzato ad un appalto che mai si sarebbe potuto finanziare, dal momento che non si trovavano neanche i soldi per finire di pagare le aree acquistate? Ancora, si avvertiva il diffondersi, entro i confini dell'area vincolata, di usi impropri di tipo precario (depositi, sfasciacarrozze, baracche, una miriade di orti spontanei ecc.) ed il progressivo consolidarsi di strutture già fatiscenti e povere e poi ristrutturate nella segreta speranza di uno strisciante, lento, morbido abbandono dell'ipotesi parco: si cominciava a temere una progressiva erosione, se non un vero cedimento, del vincolo urbanistico; si era pensato di poter congelare per anni una realtà (all'interno, si badi, della più importante direttrice di sviluppo dell'area milanese) in attesa del progetto definitivo e delle risorse per attuarlo, e invece quella realtà non si era lasciata congelare e aveva preso a muoversi, nella direzione tipica delle aree periferiche "sotto vincolo di piano", quella del provvisorio, del marginale, dell'abusivo. A questi fattori di crisi "interni", già di per se rilevanti, se ne aggiungono un paio d'altri "esterni", che arrivano dalle istituzioni: il primo dalla Sovrintendenza, che manda al Consorzio neoproprietario ingiunzione di provvedere al restauro della Villa Torretta, lo storico edificio secentesco, acquistato dalla Breda nel pacchetto dell'intera proprietà, già in stato di grave degrado e semicrollato; il secondo dalla Regione, e questo merita un richiamo più approfondito.

'83 - '85.
La legge regionale sulle aree protette

Nell'83 la Regione promulga l'attesa legge quadro sulle aree protette regionali,la n. 86, che prevede una sola categoria di parchi, quella dei parchi naturali; e che, di conseguenza, disconosce il Parco Nord come parco di rilevanza regionale, declassandolo a PLIS (parco locale d'interesse sovraccomunale) ed abroga la legge istitutiva del Parco del '75 (fa salvo, è vero, il perimetro del parco ed il suo piano territoriale, ma non precisa chi e come e con quali procedure lo possa variare, creando dunque, tra l'altro, un vuoto normativo preoccupante). La mazzata è forte; alle difficoltà oggettive, già di per se notevoli, si aggiunge un quadro culturale e istituzionale che diventa ostile. Si va in Regione a porre un problema che si considera rilevante in termini culturali generali, soprattutto per il destino delle aree metropolitane, e che non riguarda dunque solo il Parco Nord, argomentando all'incirca come segue: si può capire che la preoccupazione principale del legislatore regionale sia stata quella di tutelare i "santuari della natura" (Adamello, Ticino ecc.); non si capisce affatto, e si ritiene anzi una grave lacuna, la mancata tutela delle aree verdi strategiche per l'equilibrio ecologico delle aree metropolitane, aree preziose quindi per la loro collocazione anche in assenza di valori naturalistici, aree che in tutta Europa con la politica delle green belts ci si premura di tutelare, di valorizzare, di riqualificare, di promuovere; e, si aggiunge, attenzione, il problema non riguarda solo Parco Nord (il cui declassamento, a pochi anni dalla legge istitutiva, non è certo stato particolarmente elegante ed ha anzi evidenziato in modo marcato una scarsa sensibilità al problema) ma anche, quanto meno, il Parco Sud Milano, alla cui idea e prospettiva in sede PIM si stava lavorando da tempo e che anche in sede regionale cominciava a destare interesse ed attenzione sempre maggiore. Il discorso in Regione viene recepito, l'Assessore Rivolta ed il Presidente della commissione consiliare competente Morpurgo se ne fanno carico, con Di Fidio e con l'Avv. Locati si lavora per mettere a punto i contenuti del nuovo provvedimento e si arriva così alla L.R. 41 dell'85, integrativa e modificativa della 86/83, che istituisce la nuova categoria dei parchi di cintura metropolitana, recependo per la prima volta la politica delle green belts nel nostro orizzonte culturale e istituzionale, e che inserisce nell'elenco di questi nuovi parchi sia il Parco Nord, recuperato al livello regionale, che il nuovo Parco Agricolo Sud Milano, che viene così per la prima volta formalmente riconosciuto.

'83 - '90. La scommessa vinta

Tutto bene dunque. Sia chiaro però che in Regione abbiamo potuto far valere le nostre idee e le nostre ragioni, anche e soprattutto perché la credibilità dell'operazione Parco Nord ce l'eravamo riconquistata sul campo; con la politica dei piccoli passi, in base alle modeste risorse di bilancio che ogni anno potevamo riservare agli interventi attuativi, sottraendole alla destinazione prevalente che era ovviamente quella del rimborso del debito Breda, s'era cominciato a fare. Si era dato avvio agli interventi di forestazione: dall'83 in avanti, un intervento all'anno, con cadenza regolare e costante, senza mai trascurare le necessarie cure culturali e irrigazioni di soccorso ai rimboschimenti dell'anno e precedenti. Si era dato avvio alle prime bonifiche ambientali di aree degradate, quella vasta e importante della montagnetta di Sesto, quella dell'area dell'umash di Cormano, aree minori vicine al vecchio ponte sull'autostrada in Cinisello. Si era posto mano al recupero della Villa Torretta, con i primi interventi urgentissimi di puntellazione e di distacco degli affreschi, e con l'avvio della procedura di concessione e parziale cessione a privati in diritto di superficie per il recupero dell'immobile, che andrà in porto negli anni '90. Era stata compiuta una indagine conoscitiva accurata della situazione di fatto delle aree comprese nel perimetro dell'area protetta, per riprendere in mano quella situazione che aveva cominciato a sfuggire; e, sulla base dell'indagine compiuta, si era dato avvio ad una revisione del PTC, in una prospettiva di attuazione del parco più realistica e graduale, proiettata quindi nel tempo medio. Con uno sforzo parallelo, infine, anno dopo anno, si era progressivamente sanato il debito Breda (che tuttavia non si riuscì ad azzerare; io penso e pensavo anche allora che lo si sarebbe potuto e dovuto fare, evitando così il successivo pesante esborso a saldo del '94, dopo la sentenza del tribunale). Quegli anni dunque, dall'83 all'88 circa, sono stati gli anni critici, gli anni veramente difficili del Parco Nord, gli anni in cui si è passati dal parco che non c'era, anche se tutti ne parlavano da quasi vent'anni, ai primi segni leggibili sul territorio, ai primi rimboschimenti, ai primi tracciati, ai primi prati curati e fruibili, alla montagnetta recuperata. Quando si è cominciato a capire che quei bastoncini infilzati nel terreno fitti fitti, in una sterpaglia ove un contadino entrava ogni tanto con un trattore, trainando a volte una botte e a volte una fresa, diventavano pianticelle, e poi piante vere, e quindi un bosco e che quindi il paesaggio cominciava a cambiare e che la realizzazione del futuro parco era già cominciata, si è capito che la scommessa era vinta, che quello che si era fatto si poteva ormai considerare irreversibile (anche perché, per fortuna, c'era la partecipazione corale dei cittadini a difenderlo); da parte mia, ho capito che da quel momento potevo dedicare la mia attenzione prevalente al problema della qualità, architettonica e paesaggistica, del futuro Parco. Con riconoscenza e affetto ricordo qui il Presidente Ferrario, la persona con cui più strettamente ho collaborato e condiviso le scelte più importanti di quel periodo, fino all'inizio del '90, data della sua scomparsa (e mi sembra doveroso ricordare che sotto la sua presidenza il parco già si era arricchito dei primi percorsi, della prima passerella a scavalco della via Clerici, nell'89, delle prime attrezzature, dei primi orti urbani; si presentava già quindi, sia pure limitatamente alle aree di primo intervento, sufficientemente compiuto e fruibile); come pure devo ricordare altri compagni di strada di quegli anni, l'allora giovanissimo arch. Kipar, incontrato alla Buga di Berlino nell'85 e che ha recato al Parco, con la freschezza dell'età, anche l'apporto della cultura paesaggistica tedesca, molto più avanzata della nostra, soprattutto allora (e Andreas è poi rimasto legato al Parco Nord , per successivi incarichi ed anche al di là dei rapporti formali, come consulente prezioso per le scelte paesaggistiche più importanti, fino al 2000), il dott. Lassini, allora dirigente dell'Azienda Regionale delle Foreste, che ha curato i primi rimboschimenti, Pellizzoni e il Boscoincittà, interlocutori importanti in quanto portatori dell'unica esperienza significativa e similare del nostro paese.

'83 - '90. Le scelte essenziali

Quel periodo difficile è stato anche, per altro verso, l'avvio di una straordinaria esperienza, di lavoro collettivo, d'impegno, di ricerca; tutte le scelte più importanti per il futuro del Parco sono maturate in quegli anni, in primo luogo quella metodologica di fondo, la scelta della gradualità. "Si decise, scrivevo in una prima riflessione dell'88, di mutare filosofia, nella convinzione che il parco non si sarebbe costruito se non gradualmente, in tempi lunghi, recuperando al degrado e riqualificando area dopo area". Scelta che, se a distanza si può considerare innovativa e coraggiosa, per la novità di un ente pubblico che si adegua ad operare sul territorio con duttilità e rapidità, portando la progettazione e l'attuazione là dove si vengono riscontrando via via le condizioni più favorevoli per fare un passo avanti, per aggiungere un nuovo tassello al mosaico del parco in formazione, per altro verso appariva obbligata, per il complessivo quadro d'incertezza che caratterizzava la situazione di partenza: incertezza del quadro urbanistico e infrastrutturale (problema aeroporto, a tutt'oggi irrisolto, grande viabilità, trasporto pubblico), incertezza dei tempi di possibile evoluzione del quadro stesso, incertezza, impossibilità di programmazione dei finanziamenti. Coerentemente a tale impostazione, come spesso ho avuto modo di affermare (ed oggi purtroppo non ho il tempo di approfondire) anche al livello della progettazione, la scelta è stata quella del "work in progress", della rinuncia al progetto rigido e predefinito, nella consapevolezza che un parco di queste dimensioni e di questa complessità territoriale non potesse essere che un'opera corale, cui molte persone, nell'arco di alcuni decenni, sarebbero state chiamate a portare il loro contributo: un progetto generale "aperto", definito nella grande maglia, nel disegno di grande scala e che poi, all'interno delle singole "stanze verdi", avrebbe consentito di operare per successive addizioni, proposte o reinterpretazioni; progetto destinato quindi a continuamente integrarsi e ridefinirsi, per successivi contributi e approfondimenti, anche tornando talvolta a modificare e integrare il già realizzato. Mi sembra opportuno sottolineare anche una evidente anomalia procedurale del processo di progettazione del Parco, che più volte ho cercato di portare a suo tempo all'attenzione degli amministratori affinché assumessero le conseguenti determinazioni, senza risultato. Forse come reazione al decennio precedente, durante il quale una imponente attività di progettazione non era mai stata portata alla fase attuativa, e forse temendo l'innesco di discussioni infinite che avrebbero potuto portare all'arresto del processo realizzativo faticosamente avviato, dopo l'83 l'amministrazione rovescia radicalmente impostazione, provvedendo ad una progettazione generale del Parco solo al livello del coordinamento urbanistico e limitando la progettazione esecutiva ai singoli interventi, senza alcuna esigenza, almeno apparente ed esplicita, di valutare il quadro morfologico e funzionale complessivo che, tassello dopo tassello, si veniva di fatto componendo. Il che significa che la responsabilità della qualità e della coerenza interna di tale risultato complessivo è stata totalmente demandata al progettista dei singoli interventi esecutivi, al sottoscritto dunque, il quale aveva ovviamente un suo progetto di massima di riferimento nel cassetto (flessibile ed in continuo adeguamento, ma all'interno di una idea di parco sufficientemente definita) rimasto tuttavia per anni "fatto personale", personale esigenza etico professionale, sul quale mai, per anni, è stata richiesta e aperta alcuna occasione di verifica e di pubblico confronto. Tanto che solo verso la fine degli anni '90, a parco ormai in buona parte realizzato, sulla scia di una seconda variante del PTC e lavorando nei ritagli di tempo (perché altre erano considerate le priorità del mio impegno), con la sola collaborazione dell'arch. Kipar faticosamente estorta ad un Consiglio che in fondo non era affatto convinto della utilità e necessità dell'impegno, ho potuto dare finalmente dignità di vero "progetto di massima" al mio elaborato nel cassetto. Un progetto di massima non dico a posteriori ma certamente a metà dell'opera è ovviamente da considerarsi esso pure un'anomalia metodologica; ed infatti il suo obiettivo non poteva essere che quello di ricucire in un disegno unitario tutto quanto era già stato realizzato o comunque già progettato a livello esecutivo, e di costituire invece documento di indirizzo alla futura progettazione per le rimanenti zone del parco. Il progetto di massima è stato approvato dall'Assemblea consortile nel maggio 2000, quando già avevo lasciato la direzione del Parco, è stato trasmesso alla Regione per l'approvazione e da allora non se n'è più saputo nulla. Tutto ciò precisato e sottolineato riguardo alla metodologia progettuale e alle sue specificità ed anomalie, va tuttavia osservato che nondimeno il progetto del parco è oggi chiaro e leggibile per tutti, nell'articolazione degli spazi verdi, dei boschi e dei prati, dei filari, dei percorsi, delle attrezzature; dunque, pur con tutta la prudenza e le cautele di chi "impara facendo", sono stati tracciati i segni essenziali e forti, permanenti e irreversibili del futuro parco, quel disegno insomma che ne caratterizza ormai l'impianto complessivo: le scelte della grande maglia, della scansione primaria di questa grande area verde, divenuta un tassello ormai essenziale e riconoscibile del nord milanese.

Dal '90 ad oggi: il completamento

Nel lungo periodo dal '90 ad oggi, cadenzato dalle presidenze Lesma, Rossetti, Sormani e Di Pasquale, si ha il consolidamento e l'inizio del completamento del parco (completamento che si comincia a intravedere come possibile a tempi brevi, e questo già sembra un sogno per chi ha vissuto le vicende che ho raccontato). I boschi, i prati, le barriere arbustive, i filari si consolidano e si estendono, diventano il paesaggio dominante e caratterizzante di questo vasto territorio. Il sistema dei percorsi, ciclabili e pedonali, e delle passerelle che li connettono, innerva sempre più capillarmente l'area del parco, proiettandosi anche all'esterno di esso e penetrando nei tessuti edificati dei comuni ed anzi stimolando al loro interno il nascere di nuove reti di percorsi, col risultato complessivo di dar vita ad un grande sistema ciclopedonale sovraccomunale, vero sistema di viabilità alternativa . Dal '92, data d'inaugurazione del primo laghetto, anche l'acqua viene ad arricchire non poche zone del parco, sotto forma di vasche, fontane, stagni, fossati. Soprattutto,in questi anni si estende ed arricchisce il sistema delle attrezzature del parco, da quelle "uniche" (la grande cascina centro parco, il teatrino, il velodromo) a quelle ripetibili, che caratterizzano e strutturano tutti gli ingressi parco, sia pure con diverse combinazioni e articolazioni (i giochi bambini, gli orti, i giochi bocce, le aree pic-nic, i punti di sosta attrezzati, i parcheggi); e poi ancora le aree cani, i servizi igienici, le panchine, le fontanelle. Un cenno particolare merita, all'interno di questo lungo periodo, il momento della accelerazione nel processo di costruzione del parco nel settore ovest, resa possibile da una nuova assunzione di responsabilità del Comune di Milano, nella seconda metà degli anni '90. La costruzione del Parco era cominciata dalle aree ex Breda, muovendo dal settore nord orientale; con la passerella sulla via Clerici dell'89 si erano saldati tra loro i due quadranti orientali, nord e sud, e si era cominciato, con nuovi espropri e nuove acquisizioni di aree, a puntare verso sud ovest, verso le aree comprese nel quadrante a sud di Bresso (che si raggiungono con la passerella sulla via Berbera del '97, si riqualificano radicalmente con l'interramento del canale Breda e si stanno completando con un appalto in corso) e da lì ancora verso sud, con l'intervento importante relativo a quella lingua di parco che penetra nei tessuti edificati a nord di Niguarda, verso la via Adriatico.

I settori milanesi del parco

Non è che non si fosse messo mano, in quegli anni, anche al settore occidentale del Parco, anzi; dai primi importanti interventi di bonifica ambientale e rimboschimento nelle aree di Cormano, ancora negli anni '80, a quelli a nord del cimitero di Bruzzano e in prossimità del Seveso, alla riqualificazione delle aree dell'ex vivaio del Comune, tra la via Pasta e la via Fermi, e poi con molti altri interventi diffusi, si era colta ogni occasione possibile per portare il segno, la presenza del Parco; tuttavia, si trattava pur sempre di interventi a macchia di leopardo, insufficienti, sia in termini funzionali che paesaggistici, a dare compiutamente il segno del Parco nell'ala occidentale della "farfalla", quella più milanese, quella sulla quale si concentravano le attese degli abitanti di Niguarda, di Bruzzano, di Affori. Al Comune di Milano è stato dunque presentato un progetto, articolato in più annualità, che prevedeva acquisizioni di aree, rimboschimenti, realizzazioni di percorsi ed attrezzature, per il completamento del Parco nel settore milanese, in circa un quinquennio; il Comune ha approvato quel progetto ed ha cominciato a finanziarlo, purtroppo con un certo slittamento rispetto ai tempi previsti ed anche una sospensione dei finanziamenti in capitale negli ultimi anni. Il progetto tuttavia si sta attuando (naturalmente nei limiti dei finanziamenti disponibili), alcune aree nel settore milanese del Parco sono completate, si sta lavorando alla grande area a sud del Parco di Bruzzano che, integrandosi ad esso, è destinata a diventare il cuore del settore occidentale del Parco, come pure si sta lavorando, più lentamente, alla grande area a nord di Bruzzano, tra la via Pasta e la ferrovia nord. Anche la passerella ciclopedonale sulla via Fermi, posta in opera lo scorso 15 agosto e che sarà inaugurata tra qualche settimana, destinata a consentire l'accesso al parco in condizioni di sicurezza agli abitanti di Affori, fa ovviamente parte di quel progetto. Ma in questi ultimi quindici anni di storia del Parco, ciò forse che più va sottolineato è la crescita esponenziale dei frequentatori, è la gente, la quantità di gente che quotidianamente ne fruisce, con punte non facili da gestire nei giorni festivi della bella stagione; per fortuna il parco ha buone risorse organizzative, il servizio di vigilanza ecologica volontaria in primo luogo, animato e organizzato da sempre da Mino Cappelloni, e il servizio "vita del parco", che si occupa della organizzazione della fruizione, della promozione, della animazione, delle feste, degli eventi, delle visite guidate delle scolaresche, dell'attività di educazione ambientale, e diretto da Tomaso Colombo.

La struttura tecnica del parco

Stiamo toccando un altro importante tassello del "modello Parco Nord": questa esperienza ha avuto al suo centro un motore, che è un gruppo di persone che hanno lavorato e lavorano, e che si è costruito negli anni, partendo da un piccolissimo gruppo iniziale, quasi dal nulla, ed adeguandosi poco a poco, progressivamente, con una crescita attentamente calibrata sulla crescita delle aree da gestire e dei compiti da affrontare. Quando sono diventato direttore del Parco, nell'84, ero praticamente il direttore di me stesso; con il presidente Ferrario, una segretaria a mezzo tempo ed il segretario del PIM "a scavalco", eravamo ospiti in poche stanze in affitto in un'ala di Palazzo Dugnani, presso il PIM . Poco a poco, al graduale crescere del parco si è fatta corrispondere, in parallelo, la crescita della struttura preposta alla sua progettazione, realizzazione e gestione; dal '92 sia la sede del parco che il "centro operativo" si sono trasferiti nella cascina ristrutturata; dai "quattro gatti" dell'inizio, ho lasciato nel 2000 una struttura di circa 40 persone (oggi sono una diecina di più) cui si dovevano e si devono aggiungere consulenti, obiettori di coscienza -oggi giovani in servizio civile-, operai stagionali e, soprattutto, la folta e preziosa schiera delle GEV; poco tempo prima di lasciare il parco, scrivevo di "un bel gruppo, ad un buon livello di competenza, di motivazione, di coinvolgimento in questa avventura realizzativa". Per cogliere appieno il ruolo e il peso giocato dalla struttura nella crescita del parco, la si deve collocare all'interno della scelta metodologica del work in progress: il rischio di tale approccio poteva essere quello di una certa eterogeneità, di una certa giustapposizione e successione di linguaggi e "filosofie" progettuali; di frantumare il Parco in episodi slegati e disomogenei, laddove l'obiettivo doveva essere invece di comporre per successivi interventi un "sistema verde" unitario e coerente; pericolo che mi pare sia stato scongiurato anche grazie a questo strumento operativo della struttura consortile, che con duttilità e intelligenza e, soprattutto, continuità ha potuto governare l'intero processo, e ancor oggi lo sta governando. Un nome, tra tutti i componenti di questa struttura, devo assolutamente citare, quello di Roberto Zanata, prezioso collaboratore della prima ora, è stato un po' il motore del motore; da sempre responsabile della gestione, lo considero e l'ho sempre considerato anche importante interlocutore nel momento progettuale (perché questo è stato ed è uno dei pregi di questo modello, quello della continua interlocuzione e collaborazione tra progettazione e gestione, cosicché i problemi e le esigenze di gestione si evidenziano già al momento del progetto e diventano input progettuale imprescindibile). Sono tantissimi i problemi che ho trascurato o di cui ho parlato in modo troppo sommario e insufficiente; in particolare non ho volutamente toccato tutti gli aspetti forestali, agronomici e naturalistici, che potranno essere meglio affrontati ed approfonditi nella relativa sessione del pomeriggio; come pure non ho fatto cenno a tutta la problematica della partecipazione, della comunicazione, della gestione e della governance, cui è dedicata la sessione di domani. Mi avvio a concludere questa carrellata sintetica sulla storia del Parco con una riflessione conclusiva che già introduce alla sessione sul territorio: una riflessione su costi e benefici.

Costi e benefici

Il Parco del quale ho cercato di descrivere il processo e che oggi ci troviamo davanti, si presenta alla fine come un grande parco urbano, si potrebbe dire di tipo classico, che per tipologia si rifà ai grandi parchi urbani europei (il Bois di Parigi, il Bos di Amsterdam, il Pater di Vienna) parchi divenuti patrimonio irrinunciabile e caratterizzante della loro area metropolitana; il Parco Nord Milano è stato forse l'unico parco in Italia, nel corso del novecento, a riproporre questo modello, coniugato tuttavia con una propria specificità , di disegno e di identità. Va sottolineato, in particolare, che essendo questo parco completamente circondato dall'edificato e comprensivo di tutte le aree rimaste libere all'interno di questo edificato, la sua realizzazione ha finito con l'assumere il significato di un grande processo di riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica dell'intero settore metropolitano in cui il parco si colloca; questa nuova centralità verde ha assunto il ruolo di innesco di un processo di riqualificazione di grande scala. Quant'è costato questo parco? O meglio, non essendo ancora stato completato, quant'è costato ad oggi? E quanto costa ogni anno mantenerlo? Non posso in questa sede, e non è mio compito, fare un'analisi dettagliata, che d'altronde ciascuno può fare in base al "bilancio sociale" pubblicato; a me interessa fare un ragionamento su dati complessivi e, per stare al periodo che conosco meglio, provo a ragionare su dati al 31 dicembre 2000 (così, tra l'altro, possiamo ancora ragionarci in lire). A quella data erano stati spesi per fare il parco, per investimenti, 51,7 miliardi di lire (non rivalutate, cioè prese pari pari dai bilanci consuntivi dei vari anni; quindi cifre spurie e imprecise per un economista, utili tuttavia e sufficientemente indicative per il nostro ragionamento). Di questi 51,7 mld., 37,1 sono stati spesi per l'acquisto delle aree (e, in piccola parte, per la ristrutturazione della sede e di altri immobili consortili) e 14,6 per le opere, per realizzare il parco, che a quella data, alla fine del 2000, aveva una estensione di circa 2.800.000 metri quadri (comprensivi naturalmente di aree a diverso grado di attuazione, comprensivi cioè di aree relativamente finite e consolidate, sia nelle opere a verde che nei percorsi e nelle attrezzature, e di altre aree invece appena prerinverdite, alcune anche con rimboschimenti di un anno e pianticelle esili alte un metro appena, aree quindi queste ultime ancora poco strutturate e fruibili). Credo si debbano considerare separatamente le due componenti della spesa in capitale: quella per acquisto aree e recupero di immobili consortili va collocata in un discorso di politica demaniale della pubblica amministrazione, un investimento per i beni fondamentali, per il patrimonio, per i "gioielli di famiglia"; mi preme invece ragionare sui costi di trasformazione, che sono stati di 14,6 miliardi di vecchie lire (diciamo il costo di un pezzetto di autostrada) per la sistemazione a verde di un'area di 280 ettari, e sono stati spesi poco a poco, in vent'anni, assecondando le possibilità di finanziamento più comode per gli enti locali. Con una cifra relativamente modesta, corrispondente ad una spesa di circa 5.000 lire per metro quadro (in lire non rivalutate che, fatti i calcoli, diventano 7.000 attualizzate) è stato realizzato non solo un parco ma, come si è sottolineato, un intervento di riqualificazione territoriale di grande scala. Gli addetti ai lavori non avranno mancato di osservare quanto siano diverse (perfino incredibilmente diverse, anche di cento volte inferiori) queste cifre rispetto a quelle dei costi per mq. dei parchi sia italiani che europei; mi capita spesso di polemizzare di fronte agli altissimi costi per mq. delle aree verdi di nuovo impianto, ad esempio del Comune di Milano: di polemizzare con i colleghi architetti, anzitutto, la cui unica preoccupazione sembra essere quella di disegnare parchi per le riveste specializzate, indulgendo all'iperdisegno di piccola scala (l'unico che ben si adatta allo scopo) e privilegiando piccoli interventi costosi anziché i segni forti di scala territoriale; ma di polemizzare soprattutto con i pubblici amministratori , anch'essi conquistati alla logica dei "tanti piccoli fazzoletti di verde pregiato" e distratti o sfuggenti rispetto al problema delle riqualificazioni di grande scala, che per Milano è poi il problema della grande cintura verde metropolitana (comprese le "teste di ponte urbane" del Parco Sud), il vero obiettivo di un sistema del verde degno della grande Milano europea. Ed è del tutto evidente che, se si decidesse di affrontare davvero questo problema della cintura verde e della riqualificazione delle periferie, bisognerebbe cambiare i criteri di progettazione, e si dovrebbe forse tornare a considerare più attentamente il modello Parco Nord. Non voglio sfuggire ad almeno un rapido cenno alle spese correnti, cioè alle spese di gestione, che sono poi quelle più preoccupanti, perché erano rimaste al di sotto del miliardo di lire fino al '90, erano arrivate a quasi 4 mld. di lire nel '99 ed hanno quasi raggiunto i 4 milioni di euro nel 2004, con una lievitazione tanto appariscente quanto spiegabile, in quanto strettamente correlata con l'espansione delle aree del parco da gestire, con costi complessivi per mq. contenuti. Questi dunque i costi. A fronte di questi costi, quali sono stati i benefici? Scontato il beneficio sociale, un nuovo parco per migliaia di cittadini, ragazzi, anziani, il nuovo luogo di aggregazione, ecc. Sarebbe invece tutto da approfondire il discorso sui benefici economicamente misurabili, monetizzabili, in termini d'incrementi di valore, delle aree e degli immobili, direttamente o indirettamente rapportabili con la formazione del nuovo parco e più in generale, con quel grande processo di riqualificazione urbana che il nuovo parco ha innescato in queste aree marginali di periferia. Credo che sarebbe interessante tentare di calcolare, a livello di analisi macro economica, a fronte dei costi che abbiamo visto, quanta ricchezza ha prodotto il nuovo parco; ci consentirebbe di scoprire, ne sono convinto, che i benefici prodotti sono largamente remunerativi rispetto ai costi, e sono rapportati in ultima analisi ad un concreto miglioramento complessivo della qualità ambientale, della vivibilità del settore metropolitano in cui il parco si è inserito.

La riqualificazione della periferia metropolitana

E siccome anch'io credo, come dice Renzo Piano, che cito a memoria, che "le periferie sono il problema centrale dei nostri prossimi cinquant'anni; e che o risolviamo il problema di questi "buchi neri"che sono le periferie metropolitane e ne facciamo teatri di vita degna o le periferie si ingoieranno le nostre città con i valori della civiltà europea che nelle stesse è rappresentato", è del tutto evidente il significato, il valore civile che io attribuisco a questo " beneficio" derivante dall'inserimento di un nuovo parco in un contesto di periferia metropolitana e dal processo di riqualificazione di vasta scala da esso innescato: credo che sia questo il significato ed il contributo metodologico più importante, tra gli altri che ho cercato di illustrare, dell'esperienza Parco Nord Milano.

di Francesco Borella
progettista ed ex direttore del parco