Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 46 - OTTOBRE 2005




Ordina questo numero della rivista

REGIONALI E/O NAZIONALI


La competizione tra parchi regionali e nazionali non ha fruttato risultati apprezzabili. Invece di favorire la crescita di un unico sistema sommando le esperienze si è preferito agire diversamente. I risultati sono quelli che sono...

Le esperienze regionali specie dopo Castano Primo meritano sicuramente riflessioni e analisi meno frettolose specialmente su aspetti finora rimasti forse troppo in ombra. Mi riferisco in particolare alle implicazioni che ha avuto per i parchi - certo- ma anche per le istituzioni nel loro complesso il passaggio in gestione delle aree protette ad un ente o comunque ad organismi espressione del sistema istituzionale. Probabilmente - ma è questione tutta da verificare- vi è stata una fase - quella avviata dalle regioni- che, è bene non dimenticarlo, ha riguardato sicuramente una parte significativa ma pur sempre solo una parte del paese- in cui la novità di questo passaggio ad una responsabilità e titolarità diretta delle istituzioni non fu certo priva di resistenze, perplessità, dubbi e tante preoccupazioni. D’altronde, sarebbe stato strano il contrario vuoi perché si trattava pur sempre di un onere gravoso, nuovo per istituzioni come quelle regionali che muovevano i primi passi ed anche per gli enti locali alle prese con serie difficoltà normative e finanziarie, vuoi anche e non di meno perché si andavano a toccare e non marginalmente gangli delicati degli assetti spesso precari di competenze vecchie e nuove specialmente - ma non solo- in materia urbanistica. Non dimentichiamo che i parchi regionali- ben più di quelli nazionali parecchi anni dopo- hanno esordito nella maggior parte dei casi concretamente con il piano. Se vi fossero dubbi al riguardo si confronti il dibattito di allora, i convegni, gli articoli, gli studi, le pagine di Parchi, le vivaci polemiche e quello attuale che si trascina stancamente su ben altri aspetti tanto che la pianificazione oltre ad essere argomento praticamente sparito anche dal vocabolario e lo è soprattutto per quelle pianificazioni ‘speciali’ che hanno fortemente e positivamente inciso anche su quelle ‘ordinarie’. Se si vuole una conferma di questa involuzione si vedano i documenti sfornati in maniera stravagante dalla commissione dei cosiddetti 24 saggi sulla legge delega che sulle aree protette non hanno detto niente. Ma segnali significativi e forse finora sottovalutati si possono rinvenire nel Codice del beni culturali ed anche in recenti leggi regionali in materia di governo del territorio che non hanno certo esaltato il ruolo pianificatorio dei parchi e delle aree protette. La contraddizione è tanto evidente che mentre per un buon numero di parchi regionali che viaggiano tra i 20 e 30 anni si è passati ormai ai piani di seconda generazione e talvolta -vedi Ticino lombardo- alla terza, per i piani dei parchi nazionali - ad eccezione credo della Val Grande e delle Dolomiti Bellunesi e delle Foreste Casentinesi- è quasi sempre notte fonda.

Il senso di quella svolta

Ora, a distanza di anni possiamo meglio cogliere il senso di quegli eventi e gli effetti che quella svolta produsse certo non in maniera priva di errori, ritardi e contraddizioni e neppure omogenea persino nell’ambito di una stessa regione e tuttavia tale da incidere profondamente sul modo di lavorare e sulla sensibilità del nostro sistema istituzionale. Incise non solo come è ovvio sulle sensibilità politiche, sui partiti, le associazioni e non soltanto quelle ambientaliste costrette -diciamo così- a misurarsi con una novità persino imbarazzante per chi per la prima volta - ed era la prima volta quasi per tutti- doveva fare i conti con temi assolutamente inediti e totalmente estranei alle pubbliche amministrazioni. E questa era un’altra novità che avrebbe messo in discussione assetti amministrativi consolidati e imperniati almeno a livello comunale e regionale (le province allora non avevano competenze apprezzabili in materia) su uffici urbanistici per i quali quando andava bene l’ambiente si riduceva alle percentuali di verde da fissare nei piani regolatori. Certo, allora l’imperativo categorico che la legge nazionale avrebbe sanzionato sotto il profilo costituzionale ma solo diversi anni dopo- era quella della leale collaborazione istituzionale. Si trattò perciò di un percorso - specie nella prima fase- non sorretto da normative e competenze chiare e adeguate che costrinsero, ad es, le regioni ad avvalersi di uno strumento alquanto vecchiotto (solo anni dopo rinnovato) quale il consorzio tra enti locali previsto dallo stagionatissimo e superato Testo Unico. Con l’entrata in vigore della legge 394 si aprì naturalmente una nuova fase ‘nazionale’ che aiutò non poco il processo di ‘leale collaborazione’ avviato dalle regioni a legittimarsi, ad uscire da una sorta di ‘fai da te’ che aveva per fortuna funzionato senza trovare però quell’indispensabile riconoscimento costituzionale che avrebbe finalmente reso ‘nazionali’ scelte e decisioni fino a quel momento sostenute ‘solo’ da norme regionali vigenti adattate alla bisogna e neppure in tutto il territorio nazionale. Se oggi registriamo una situazione in movimento è il riaprirsi di scenari notevolmente differenziati tra regione e regione ciò è dovuto sicuramente anche alla crisi apertasi in molti parchi nazionali vuoi perché in gravi difficoltà dovute ad una gestione ministeriale che li tiene a stecchetto sul piano finanziario ma anche con le mani legate da una burocrazia ministeriale paralizzante e da una politica di commissariamenti che mortifica e penalizza non soltanto i parchi ma il complesso delle istituzioni. Un quadro insomma che evidenzia anche forti limiti sul piano della corresponsabilità istituzionale in cui pochi o nessuno sembra volersi far carico pienamente scaricando sugli altri in maniera spesso disinvolta e arrogante ogni responsabilità. La lunga incubazione dei parchi regionali aveva ‘costretto’ -diciamo così- regioni, province e comuni ad una cooperazione sovente tribolata che tuttavia - alla lunga- aveva indotto tutte le amministrazioni non soltanto ad ‘accettare’ il nuovo soggetto parco e a riconoscerlo anche come una nuova potenziale opportunità, ma anche -in conseguenza di questa svolta- a immettere non solo nelle scelte politiche ma anche negli assetti amministrativi, nella organizzazione dei lavori delle giunte e dei consigli delle innovazioni. Si pensi al rapporto degli uffici comunali ma anche provinciali e regionali preposti in particolare alla urbanistica ma anche ad altri non meno importanti comparti; fauna, flora, agricoltura, turismo materie per le quali ora si poneva un delicata esigenza di raccordo e integrazione con le nuove necessità e problemi posti dalla pianificazione ‘speciale’ affidata ai parchi con ben due piani. La istituzione dei nuovi parchi nazionali non ha prodotto gli stessi effetti sia perché l’operazione è risultata per forza di cose diciamo pure più calata dall’alto e compiuta in tempi molto più brevi che spesso non hanno permesso ai diversi soggetti e protagonisti di maturare a fondo le decisioni da assumere come invece era avvenuto nelle regioni.

Una “storia” diversa

Oggi questa diversa ‘storia’ tra i parchi regionali alcuni dei quali hanno felicemente tagliato il traguardo dei 30 anni o ci si stanno approssimando e quelli nazionali la si può leggere chiaramente nel diverso radicamento nel territorio ma anche nel sistema istituzionale dei primi rispetto ai secondi. Negli ultimi anni l’attenzione e l’impegno politico (quando non sono venuti meno) hanno riguardato di preferenza i parchi nazionali. Lo si può facilmente riscontrare anche da aspetti particolari e se vogliamo marginali; se si parla del turismo o di altre attività che trovano nei parchi esiti positivi e interessanti quasi sempre i dati concernono unicamente quelli nazionali. Certo, sono meno ed è più facile monitorarli ma è innegabile che questi dati oltre ad essere parziali riguardano una realtà per molti versi meno significativa di quella di aree protette più consolidate che operano peraltro in territori dove la presenza dei parchi nazionali incide in misura assolutamente minore. Come è possibile citare il parco dell’Arcipelago toscano agli arresti ormai da anni e la Maremma che ha appena ricordato felicemente il suo trentennale con un brillante bilancio proprio in questo settore. Insomma si ebbe presto e chiara l’impressione suffragata da molti atti e comportamenti che non solo a Roma si considerasse in un certo senso conclusa la missione dei parchi regionali che ora passava di diritto a quelli nazionali che più d’uno allora (ma ancora oggi) considerava i ‘veri’ parchi. Per qualcuno infatti è ancora di moda di fronte a difficoltà di questo o quel parco regionale proporre con tanto di legge il suo passaggio allo stato che soprattutto di questi tempi appare addirittura grottesco visto la loro condizione e non mi riferisco solo a quelli nuovi, basta pensare al Circeo per convincersi che è bene stare alla larga da certe ‘cure’. Eppure i parchi regionali avevano fatto cose pregevoli, tenuto aperto un dibattito, incalzato il legislatore nazionale ma ora finalmente erano entrati in partita i veri protagonisti ai quali bisognava lasciare evidentemente il posto. Tanto ciò è vero che si registrarono diverse spinte volte a piantare la nuova bandiera ‘‘nazionale’’ anche su parchi regionali che pure avevano fatto benissimo la loro parte. Il tutto poteva essere letto come una sorta di invito ai parchi regionali a farsi in un certo senso da parte per lasciare ora il campo ai parchi dello stato che avrebbero finalmente permesso al nostro paese di mettersi al passo con l’europa. Fu un doppio e clamoroso abbaglio, un imperdonabile errore perché intanto i parchi nazionali si concentravano al sud dove le regioni ( salvo l’eccezione siciliana) non avevano combinato nulla e anche perché i parchi regionali avevano macinato tanti chilometri, fatto importanti esperienze, sapevano cosa voleva dire fare un piano e tanto altro ancora. ( Si veda al riguardo il libro sui 25 anni del Parco di Migliarino, San Rossore, Massaciucoli Edizioni ETS).Venne meno insomma proprio nel momento in cui bisognava allacciare le cinture di un sistema nazionale di aree protette la consapevolezza di un disegno nazionale che non poteva essere affidato unicamente ai nuovi arrivati per quanto grandi e grandissimi ma quasi sempre privi di quel retroterra politico, istituzionale e culturale sul quale invece potevano assai più saldamente contare gran parte dei parchi regionali che quel patrimonio se l’erano guadagnato sul campo. E gli errori si pagano come avremmo visto presto appena si placarono gli entusiasmi di una fase garibaldina in cui non si seppe e volle dare ascolto ai richiami, alle critiche, alle messe in guardia che non mancarono anche da parte della associazione dei parchi ma che furono ignorate o peggio liquidate specie in riferimento alle aree protette marine dove si è registrato il fallimento più clamoroso.

I prezzi pagati

Tra i prezzi pagati da questa politica che si illuse di poter in nome e per conto dello ‘stato’ fare alla svelta quello che nei parchi regionali era stato fatto ricorrendo sempre ad un paziente dialogo e proficuo confronto istituzionale e sociale, vi è stato quello pesantissimo di non essere riuscito a compenetrare -diciamo così- gli adempimenti istituzionali ma anche amministrativi tra i vari e diversi livelli istituzionali. In gran parte dei casi l’avvento del parco nazionale ha prodotto ovviamente effetti politici importanti ma ben pochi effetti sulle strutture e modi di operare delle varie istituzioni. Ecco il diverso radicamento di cui parlavamo che rende diverso il DNA dei parchi regionali da quelli nazionali. Un differenza non da poco e che avrebbe dovuto e potuto contribuire in misura ragguardevole alla costruzione di quel sistema nazionale di aree protette che è sparito da qualsiasi riferimento in sede nazionale e purtroppo sovente anche in sede regionale. Le differenze hanno giocato e non poco anche in un tutta una serie di comportamenti o di rinunce che hanno contrassegnato la gestione dei parchi nazionali e di quelli regionali che oggi forse possono essere colte più nettamente in tutta la loro portata. La gestione dei parchi nazionali è apparsa fin dall’inizio rigida priva di qualsiasi flessibilità che avrebbe potuto consentire di far tesoro strada facendo degli inghippi vari che via via andavano emergendo. Al contrario i parchi regionali nel loro complesso hanno saputo rivedere e correggere modalità, assetti di gestione come confermano anche operazioni recenti o ancora in corso. Per i parchi nazionali non si è voluto prendere atto, ad esempio, che la gestione e i controlli burocratici ministeriali legavano la mani agli enti e producevano residui passivi, fenomeno praticamente sconosciuto dai parchi regionali. I parchi nazionali sono gestiti da enti uguali sia che si tratti di parchi con varie decine di comuni e varie province e regioni e parchi di un solo comune. I parchi regionali anche nell’ambito della stessa regione –vedi Toscana ma anche altre- hanno enti diversi a seconda della dimensione e caratteristiche dell’area. La vigilanza in quelli regionali funziona perché dipende dal parco, in quelli nazionali no - o a scartamento ridotto- perché dipende dal CFS che di fatto decide per e senza il parco. Idem per il direttore. Non parliamo poi delle aree protette marine gestite di fatto come ai tempi della legge sul mare e malgrado la 426 che è stata pretestuosamente snobbata come ha di recente confermato la Corte dei conti. La regione Emilia ha da poco approvato una legge che prevede il coinvolgimento delle associazioni degli agricoltori nella gestione dei parchi. In Piemonte si sta studiando un nuovo accorpamento regionale sulla base di un nuovo Testo Unico. Nelle Marche si sta discutendo di una nuova gestione di un parco storico come quello del Conero. In Sardegna in un contesto sicuramente ancora confuso sotto molti profili si è però finalmente tornati a discutere di parchi, di tutti i parchi e non solo del Gennargentu. In Toscana si sta mettendo a punto una nuova rete regionale a maglie più strette cioè fino ai livelli comunali con le ANPIL. In Liguria in discussione per fortuna non c’è soltanto Portofino con i suoi tormentoni ma anche altre situazioni che in questi anni sono state meglio registrate su scala regionale mentre si stanno istituendo nuovi parchi. E mentre la nuova giunta regionale presidente Burlando in testa ha preso solenne impegno a dedicare due appuntamenti annuali a questo problema. Alcune regioni- Lazio, Umbria stanno concordando la istituzione di aree protette interregionali. Un quadro – quello qui sommariamente accennato e sicuramente incompleto- incomparabilmente diverso insomma da quello nazionale in cui abbiamo a più riprese assistito a tentativi velleitari di riaprire il fronte di lotta o anche solo di disturbo su aspetti fuorvianti ( la caccia ad esempio) ma dove non si è partorito niente ( neppure nella commissione dei 24) salvo spingere e costringere i parchi ad occupare spazi del tutto marginali ( marchi e qualche sortita pubblicitaria etc) abbandonando la strada maestra della pianificazione, dei progetti di grande area – APE, Alpi, Cip, finiti tutti in cantera di fondo. D’altronde un parco commissariato o su cui si fa pesare la minaccia del commissariamento non ha davvero molte chance.

I soli segnali di presenza

In conclusione quello che mi pare si possa dire è che in questo momento mentre assistiamo ad una allarmante caduta di attenzione e di interesse sul ruolo dei parchi sovente banalizzati e marginalizzati a cui non può certo rimediare la polemica sui giornali tra forze politiche litigiose che finiscono per accreditare che in fondo tutto il mondo è paese e che anche i parchi sono finiti nel tritacarne della politica, i soli segnali di vita e di una presenza positiva vengono fondamentalmente dalle realtà regionali come si è visto a Castano Primo. Il ministero appare sempre più una realtà e una dimensione che ha accantonato qualsiasi serio impegno a fornire gli input giusti ad un sistema al quale si riservano soltanto commissari che non mortificano soltanto le istituzioni ma snaturano e deprofessionalizzano un personale che a ben altri compiti è preposto. Il silenzio dei 24 ‘saggi’ sulle aree protette è sotto questo profilo la confessione plateale della mancanza di qualsiasi seria ipotesi di ‘riforma’ o anche solo di aggiustamento di una normativa che a quasi 15 anni dalla sua entrata in vigore avrebbe permesso e richiedeva una messa a registro positiva senza sconvolgimenti. Ma evidentemente risulta più comodo e agevole una ‘tranquilla’ e arrogante gestione ministeriale che non si misura né con i parchi né con il sistema istituzionale e a tempo debito neppure con il Parlamento avendo ignorato del tutto persino la delega. A fronte di questa situazione che credo dovrebbe preoccupare e seriamente tutti coloro che ai parchi e alle aree protette –tutte- tengono davvero, che la risposta prima debba e possa venire da quelle realtà regionali dove per fortuna i parchi e le aree protette ci sono e c’è pure l’impegno delle istituzioni, regionali, provinciali e comunali a farle funzionare. Certo questo impegno e presenza non può da solo colmare il vuoto che si è creato sul piano nazionale che ha riaperto anche le porte a posizioni che da tempo non registravamo più almeno con questa virulenza. Leggiamo, e sembrano cose provenienti da un lontano passato, dichiarazioni di sindaci di comuni da anni dislocati in noti parchi nazionali che i parchi sarebbero ormai falliti. Voci isolate? Non direi anche se per fortuna ce ne sono anche di segno opposto. Ma erano anni che non registravamo dichiarazioni di guerra che in Sardegna non erano mai del tutto scomparse e che la vicenda del Gennargentu ha ringalluzzito. D’altronde non si può impunemente dire e ripetere da parte di un ministro che prima di lui i parchi erano ‘ingessati’ e i loro vincoli penalizzanti per il territorio e che solo grazie a lui le cose stanno cambiando. In questo modo non si è solo messo in ridicolo una storia e una esperienza tra le più significative in campo ambientale, ma si è – ed è anche peggio- legittimato tutte le ostilità con le quali si è colpevolmente sabotato chi ha tirato la carretta. Questo è il bilancio allarmante di quello che si è fatto e non si doveva fare ed anche e non di meno di quello che non si è fatto e si doveva fare. Ecco da dove scaturisce l’esigenza oggi di rilanciare da parte delle regioni e delle aree protette regionali e locali una iniziativa in grado di assumere un peso e una connotazione nazionale. Volta cioè sia a sbloccare la situazione dei parchi nazionali ma anche a riaprire sedi, momenti di confronto sulle politiche nazionali ad esempio nell’ambito della Conferenza stato-regioni. Sappiamo bene che il ministero nonostante i ripetuti impegni assunti anche dopo la Conferenza di Torino continua a fare orecchie da mercante. Ma proprio per questo va incalzato, ‘costretto’ ad assumersi precise e chiare responsabilità dinanzi al paese.

di Renzo Moschini