Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 46 - OTTOBRE 2005




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PERCHÈ LE DOLOMITI MERITANO MOLTO DI PIÙ

Per entrare a pieno titolo nella World Natural Heritage List

Questa nota riporta la sintesi di alcune parti del lavoro sviluppato per proporre la candidatura delle Dolomiti a Patrimonio Naturale dell’Umanità, cioè la loro iscrizione nella World Heritage List. Il giorno 23 settembre dell’anno appena passato è stata depositata a Parigi, presso gli uffici del Centro del Patrimonio Mondiale UNESCO, Segretariato dell’omonimo comitato, la documentazione inerente la candidatura delle Dolomiti a Patrimonio Naturale dell’Umanità. Come richiesto dal formulario di Candidatura, i proponenti, cioè le Province di Belluno, Bolzano, Pordenone, Udine e Trento, in sinergia col Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e col supporto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio, hanno consegnato il Dossier di candidatura, corredato dal Piano di Gestione, dalle cartografie del bene e da una imponente mole di allegati cartografici, fotografici, documentali e bibliografici, la cui completezza e la cui validità, ai fini del successo dell’iniziativa, sarà nei prossimi mesi oggetto di verifica da parte degli Organi consultivi del Comitato UNESCO per il Patrimonio Mondiale, ed in particolare dello IUCN.

Cos’è il Patrimonio Mondiale?

Com’è noto, UNESCO ha il mandato di promuovere e di tutelare il patrimonio di cultura sviluppato dai popoli della Terra* e la parte migliore del capitale di natura che ancora rimane al pianeta. Nell’uno e nell’altro caso si tratta di beni che sono stati giudicati di inestimabile ed insostituibile valore, una ricchezza di cui deve poter disporre per sempre non solo il Paese che l’ha prodotta (la cultura) e che la conserva (cultura e natura), ma l’umanità intera. UNESCO ritiene che la perdita, o il deterioramento, di qualcuno di questi beni costituisca un impoverimento per tutti i popoli del mondo; per questo motivo quelli che sono oggettivamente dotati di eccezionali qualità devono essere riconosciuti portatori di “valore universale” e sottoposti a speciali forme di tutela contro ogni possibile minaccia. Per questo scopo, cioè per assicurare, per quanto possibile, la conservazione e la giusta valorizzazione del patrimonio mondiale, gli oltre centottanta Stati aderenti ad UNESCO hanno adottato, nel 1972, la Convenzione per il Patrimonio Mondiale. Nel caso dei beni naturali possono entrare a far parte del “Patrimonio Mondiale”: i monumenti composti da formazioni fisiche o biologiche, o da insiemi di tali formazioni, purché essi siano dotati di un valore universale eccezionale dal punto di vista scenico e paesaggistico, oltre che scientifico e naturalistico; le formazioni geologiche e geomorfologiche e le regioni geografiche che costituiscono habitat per specie di animali e di piante riconosciute a rischio di estinzione, o comunque in pericolo, purché oggettivamente caratterizzate da un valore universale eccezionale per la scienza o per l’ecologia dei luoghi; i siti in cui si realizzano fenomeni ecologici od ecosistemici di eccezionale interesse scientifico, naturalistico o paesaggistico. Cosa si intende per valore universale eccezionale? La Convenzione attribuisce a questi beni un valore di dimensione così straordinaria da superare i confini, e gli interessi, di un singolo Paese. La loro importanza viene infatti riconosciuta a livello internazionale e tale deve esserne il godimento, sotto un profilo culturale, a beneficio dalle attuali generazioni e, soprattutto, di quelle future. La proposta di candidatura viene avanzata da un singolo Stato, ma il giudizio di congruenza della candidatura coi canoni imposti dalla Convenzione, e dagli atti UNESCO, è affidato a staff di specialisti di rango internazionale. Così solo i beni più straordinari del pianeta hanno possibilità di diventare Patrimonio dell’Umanità; la Lista del Patrimonio Mondiale, infatti, non ne annovera molti, la maggior parte dei quali nella classe dei beni culturali, ma tutti riconosciuti come unici, e dunque insostituibili, a livello planetario. Sulla base dei principi sanciti dalla Convenzione, il Comitato UNESCO ha stabilito che un bene naturale è dotato di valore universale eccezionale quando soddisfa almeno uno dei seguenti criteri:

  1. è sede di fenomeni naturali stupefacenti o è sito provvisto di una bellezza naturale o di un’importanza estetica eccezionale;
  2. porta testimonianze straordinarie dei più importanti periodi della storia della Terra, compresi i processi geologici influenti sullo sviluppo delle caratteristiche fisiche della superficie terrestre, o sui suoi caratteri geomorfologici o fisiografici più significativi;
  3. dà esempi eccezionali di processi ecologici e biologici influenti sull’evoluzione e sullo sviluppo degli ecosistemi (acquatici e terrestri);
  4. contiene habitat naturali fondamentali per la conservazione in-situ della diversità biologica, soprattutto quegli habitat che danno possibilità di sopravvivenza a specie minacciate che hanno per la scienza un valore universale eccezionale.

Pur essendo chiamato a riconoscere e a decretare il valore dei beni candidati, ad UNESCO non è stato attribuito alcun titolo per intervenire direttamente ed attivamente sulla tutela dei beni che vengono inseriti nella lista del patrimonio mondiale (World Heritage List). La Convenzione, tuttavia, stabilisce che nel momento in cui un Paese, liberamente e di propria iniziativa, propone la candidatura di un bene contenuto entro i suoi confini, in quel momento esso si impegna anche a conservarlo con tutti i mezzi legali, regolamentari, scientifici e finanziari che è in grado di attivare. Il Paese che candida si impegna dunque a garantire le condizioni di integrità che il bene possiede all’atto della candidatura e di tale integrità deve essere data piena e attendibile dichiarazione.

L’integrità dei beni

L’integrità cui fa riferimento la Convenzione è una espressione dell’interezza strutturale e della eccellente qualità naturale del bene nella sua totalità e in ciascuna delle sue parti. La Convenzione sottolinea il fatto che dichiarare che un bene possiede requisiti di integrità significa riconoscere che esso:

  1. comprende tutti gli elementi che giovano a conferirgli valore universale eccezionale;
  2. è esteso su di una superficie ampia a sufficienza da assicurare la presenza di tutte le componenti che ne caratterizzano la struttura e i processi che ne qualificano le funzioni come, ad esempio, la vita delle specie vegetali e animali e le dinamiche degli ecosistemi e degli ambienti in cui essi si sono organizzati;
  3. non patisce in maniera significativa di impatti negativi dovuti ad attività umane, o al loro cessare.

Poiché UNESCO riconosce che nessun luogo della Terra può essere totalmente intatto e che tutte le aree naturali si trovano in uno stato di continuo dinamismo, che spesso implica, in qualche modo, relazioni con le popolazioni umane, la Convenzione ammette che molte attività colturali, soprattutto quelle sviluppate dalle società tradizionali e dalle storiche comunità locali, che di fatto da lungo tempo praticano la cultura dello sviluppo sostenibile, possono conferire ai beni in candidatura gran parte del loro valore universale eccezionale. È particolarmente rilevante anche il riferimento che viene fatto alle dimensioni areali del bene, perché ad esse è collegata la possibilità di dare spazio ai processi che reggono la conservazione a lungo termine degli ecosistemi e della biodiversità che essi conservano al loro interno. Grandi estensioni areali significano, infatti, alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche, il mantenimento della varietà degli ambienti, soprattutto a meso- e a macroscala, e di quella delle facies sistemiche, la possibilità, per le forme viventi, di spostamenti sicuri da un luogo all’altro di ampie regioni, una maggiore probabilità di scambio genetico tra popolazioni diverse della medesima specie, e l’esistenza di molte altre condizioni favorevoli al mantenimento della biodiversità. A giudicare dalla numerosità delle richieste che annualmente vengono avanzate, non vi è dubbio che l’iscrizione a World Heritage List possa dare luogo ad importanti ricadute, sia sul piano politico e della visibilità internazionale degli Stati, sia sul piano economico, per l‘implicita promozione che si fa dei beni in candidatura, promozione che è spendibile nel comparto turistico e delle attività ad esso collaterali. Per questo motivo UNESCO ha progressivamente posto vincoli via via più stringenti alle candidature. Da qualche tempo, ad esempio, vengono accolte non più di 40 candidature per anno, bilanciate tra beni culturali (un tempo assolutamente prevalenti) e beni naturali. Sempre più rigorosa si fa l’analisi dei documenti di candidatura, ed in particolare quella del dossier, che deve possedere una assoluta validità scientifica e tecnica, verificabile sulla base di procedure e di indicatori che non lasciano spazio a incertezze e a sotterfugi. Da ultimo, per evitare che nella Lista del Patrimonio Mondiale si generi sovrabbondanza di beni la cui tutela non “costi nulla” al proponente per la marginalità economica dei sistemi candidati, mentre altri beni eccezionalmente rari e preziosi vengono indiscriminatamente lasciati al libero sfruttamento, il Comitato UNESCO ha stabilito che debbano essere rappresentati in maniera arealmente equilibrata tutti i diversi paesaggi naturali del Pianeta. Rispetto a quella di un bene la cui tipologia è già ben rappresentata nella Lista prevale dunque la candidatura di un bene che sia ancora poco “conosciuto”.

Per l’inserimento in World Heritage List, a parità di tutti gli altri meriti, diviene discriminante la data di consegna della candidatura nella forma definitiva. Un rigido calendario degli adempimenti scandisce i tempi delle consegne, delle valutazioni e del vaglio finale delle documentazioni. Sono aspetti di apparente poco conto. Val la pena solo di ricordare che i Paesi che intendano avanzare candidature sono tenuti a darne indicazione ad UNESCO con almeno un anno di anticipo predisponendo la cosiddetta Lista Provvisoria. Solo successivamente essi possono provvedere alla stesura di eventuali Progetti di Candidatura, sui quali UNESCO è tenuto ad esprimere un parere preventivo entro la metà di novembre di ogni anno e quindi, entro il gennaio successivo, possono depositare la candidatura nella veste completa e definitiva. Dal primo febbraio, e per 18 mesi, si sviluppa la fase delle valutazioni, affidata a più esperti nelle materie trattate nel dossier, ai quali è demandata l’espressione di un giudizio di merito sotto il profilo scientifico e tecnico, come avviene coi referee delle riviste scientifiche di rango internazionale. Sulla base di questi giudizi, gli Organi Consultivi di UNESCO stabiliranno se i beni candidati possiedono o meno un valore universale eccezionale, se soddisfano i criteri di integrità e i requisiti di tutela attiva previsti dalla Convenzione.

La candidatura delle Dolomiti

Le Dolomiti sono montagne particolari. Esse si presentano al visitatore con una apparente similitudine di aspetti dovuta alle forme, ai colori delle rocce e alla impressionante verticalità delle nude pareti. Ma a ben guardare, esse sono un sistema assolutamente variegato, in cui una incredibile varietà di ecosistemi è stata generata dalla eterogeneità di ambienti legata all’orientamento delle valli, all’altitudine dei versanti, ai microclimi e alla natura dei terreni, ma anche alla storia delle popolazioni e ai rapporti da esse organizzati con la natura viva, fatta di pascoli e di foreste. Le valli dolomitiche accolgono popolazioni di quattro ceppi linguistici, italiano, ladino, friulano e tedesco, che ancora oggi, nell’era della globalizzazione, si dimostrano profondamente gelose della propria identità storica e culturale, sempre più esaltata come elemento di pregio nell’offerta turistica. Altrettanto complessa è l’organizzazione istituzionale dell’area dolomitica, tagliata dai confini di ben tre Regioni e di cinque Province: Belluno, Bolzano, Pordenone, Trento ed Udine, provviste di differenti ordinamenti statutari. Essa è anche terra di confine, e per molti secoli è stata luogo e motivo di conflitto, fino alle tragiche vicende che sul principio del secolo passato hanno segnato la catastrofe della Grande Guerra, i cui segni sono ancora visibili sulle rocce; gallerie, trincee, camminamenti, fortificazioni e ancora targhe e croci a segnare i siti della memoria. È un aspetto che non può essere trascurato, o dimenticato. Per secoli, tuttavia, le popolazioni dolomitiche hanno dato dimostrazione di capacità di coesistenza. Per molti versi, infatti, le Dolomiti sono state soprattutto luogo di incontro tra popoli, nei fondovalle come sugli spalti più elevati. Per questo in esse non si può scindere la natura dall’umanità, soprattutto quella che ha cercato la vita nell’equilibrio con l’ambiente ostile della montagna. Anche queste tracce vanno conservate per il loro intrinseco messaggio, che è di pace e di fratellanza tra i popoli.

Le Dolomiti vengono candidate come bene naturale. Le montagne sono già ben rappresentate in World Heritage List, e le Alpi, tra le montagne del pianeta, sono tra le più antropizzate e densamente abitate. È un forte limite alla candidatura, che pure viene avanzata sia perché l’area proposta è molto ampia, come richiesto da UNESCO (oltre 300.000 ettari), sia per gli imponenti dislivelli che qualificano il territorio (oltre 2000 metri tra le cime e i fondovalle), che sono garanzia di una importante varietà d’ambienti. Sulle pareti di queste montagne, e nei versanti che di quelle cingono la base, si legge con dovizia di particolari e con spettacolare evidenza un’importante sezione della storia del nostro Pianeta. Soprattutto per questo, oltre che per lo spettacolo dei paesaggi rocciosi, le Dolomiti sono note ed apprezzate al mondo della scienza. La candidatura non poteva, in questa ottica, non essere avanzata. Essa viene fondamentalmente appoggiata, dunque, sui criteri geologico e paesaggistico. Ma quella stessa singolarità di paesaggi, che genera un’incredibile varietà di ambienti, è motivo di un’assoluta singolarità ecosistemica ed ecologica, che si manifesta sia attraverso un’importante ricchezza di specie, vegetali ed animali (molte endemiche di questi ambienti singolari e sempre più minacciate dai cambiamenti che caratterizzano i nostri tempi), sia attraverso un continuo dinamismo di assetti, agganciato a quello, incessante, della struttura fisica del territorio. Le Dolomiti sono un unicum paesaggistico che non ha pari nel resto del pianeta per una nutrita serie di particolarità di forme e di colori, di cui più avanti in dettaglio si dirà. Basterà ora sottolineare il fatto che sin dalle origini del turismo alpino, nel XVIII secolo, molti resoconti di viaggio, documentati da splendidi disegni e da acquerelli, hanno saldato l’esplorazione e la scoperta delle Dolomiti all’arte e alla dotta narrazione. Ciò giustifica ancor più il risalto dato ai valori paesaggistici, scenici ed estetici di questa terra. A dispetto dell’antropizzazione dei fondovalle e nonostante il turismo, sul quale si fondano le attese economiche delle popolazioni locali, che per secoli hanno conosciuto povertà e emigrazione, le Dolomiti sono montagne ricche di Natura. Accanto al criterio geologico e a quello estetico-paesaggistico, dunque, si ritiene corretto dare la dovuta enfasi anche ai criteri ecosistemici ed ecologici, che sono soprattutto forte testimonianza del rispetto con cui le genti dolomitiche hanno sempre vissuto e tutelato le loro montagne.

Va inoltre sottolineato il fatto che l’area dolomitica, che appartiene alla regione paleartica e alla provincia biogeografica denominata “Central european highlands (2.32.12)” (Biogeographical Provinces of Natural and Mixed World Heritage Sites, basata sulla classificazione di Udvardy, 1975), viene candidata per colmare una singolare carenza di siti UNESCO dedicati ad ambienti di questa natura. Come segnalato da “Review of natural sites included in the world heritage list and tentative lists preliminary results”, del maggio 2002, solo 0,47% della superficie di questa provincia è interessata da siti UNESCO. Le particolarità naturalistiche e paesaggistiche delle Dolomiti sono dunque valido motivo per candidare questo frammento di pianeta a testimone delle particolarità di natura comprese in questa regione climatica del pianeta. La regione alpina non gode, come altri luoghi della Terra, della presenza di numerose specie di eccezionale valore. Tuttavia le Alpi sono luogo di cospicua differenziazione di specie vegetali ed animali ed includono entità endemiche esclusive. Le Dolomiti, anche all’interno della catena alpina, non sono eccezionalmente ricche di entità di questo tipo, ma ugualmente evidenziano valori molto elevati di biodiversità, in quanto ospitano specie situate al margine del loro areale, oppure con forti disgiunzioni, e sono caratterizzate da una straordinaria varietà di ambienti con nicchie ecologiche peculiari. Prendendo ad esempio il solo Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi (categoria IUCN II), in soli 32000 ha sono censite circa 1350 specie vascolari che corrispondono a circa 25% del patrimonio floristico dell’intero territorio nazionale italiano, comprese le isole mediterranee. Inoltre, il settore sud-orientale dell’area in candidatura, è sito di eccezionale valore biogegrafico in quanto elemento di transizione tra il settore geografico e climatico propriamente alpico e quello illirico-balcanico Su questi semplici argomenti, ripresi nella sostanza nel resto del dossier, si basa la decisione politica di candidare questa parte delle montagne alpine a Patrimonio Mondiale. I criteri su cui si fonda la candidatura sono tutti e quattro quelli che possono qualificare i beni naturali. La ricchezza ambientale delle Dolomiti consente di rispondere pienamente anche ai criteri di candidatura relativi alla biodiversità e quello, squisitamente ecosistemico, che fa riferimento ai processi che qualificano la vita e i suoi dinamismi alla superficie del pianeta, specie se si realizzano nelle condizioni proprie della frontiera tra biotico ed abiotico. Secondo questi criteri una parte, peraltro consistente, delle Dolomiti assume una connotazione di assoluta eccezionalità, laboratorio vero e spettacolare di come la vita si organizza e si evolva sotto gli stimoli di un ambiente che di continuo cambia e si rimodella. Va infine osservato che un’ulteriore fonte di unicità di questi monti è data dall’integrazione delle eccezionalità delle parti che ne compongono l’insieme. Senza questa chiave di interpretazione, siamo convinti, si perderebbe una parte forte e vera dello spirito e del fascino delle Dolomiti.

Perché le Dolomiti hanno eccezionale valore universale?

MOTIVI LEGATI ALLA SFERA ESTETICA E PAESAGGISTICA
La storia geologica di questo straordinario monumento della natura, dove la linea del profilo verticale prevale su quella orizzontale, rende le Dolomiti uniche e affascinanti rispetto a ogni altro sistema montuoso. La stratigrafia delle rocce, formatasi secondo la meccanica costruttiva delle scogliere, i processi di dolomitizzazione delle rocce calcaree originarie, la morfologia dettata dalla successione di guglie, pinnacoli, torrioni, campanili, che si alternano a cenge e a pianori sommitali, concorrono a segnare l’eccezionalità delle Dolomiti sotto il profilo geomorfologico e paesaggistico. Se rispetto a questo profilo alcuni elementi, come lo sviluppo verticale delle pareti rocciose, la densità di cime, guglie e pinnacoli, l’elevata presenza di cime che si elevano sopra i 3000 metri di altitudine, contraddistinguono l’eccezionalità delle Dolomiti, secondo parametri oggettivi, comunque misurabili, altri elementi che fanno riferimento alla sfera estetica vanno letti in un quadro corale dove il paesaggio dolomitico mostra la sua eccezionalità nella sintesi delle diverse componenti. La vastissima iconografia e bibliografia, non solo scientifica, ma anche letteraria e divulgativa, sulle Dolomiti testimonia come, sotto tale aspetto, questo straordinario fenomeno della natura rappresenti per artisti, esteti e viaggiatori un’icona dell’idea del Sublime, vale a dire luogo dell’elevazione spirituale attraverso la meraviglia e lo stupore alimentato dalla natura. Con riferimento a quanto specificato nel documento IUCN – The World Conservation Union. 2005. Special Expert Meeting of the World Heritage Convention: The concept of Outstanding Universal Value. Kazan, Republic of Tatarstan, Russian Federation 6-10 April 2005, il criterio vii va quindi suddiviso in due aspetti, i fenomeni naturali superlativi e l’importanza estetica eccezionale.

FENOMENI NATURALI SUPERLATIVI
Fra gli indicatori della eccezionalità scenica delle Dolomiti si segnala che esse mostrano:

  • pareti rocciose di sviluppo verticale assolutamente eccezionale. Il monte Agnér, nelle Dolomiti Agordine (Pale di San Martino e di San Lucano), offre oltre 1500 metri di strapiombo. Più di 1000 metri misura verticalmente la parete del Crozzon di Brenta (Dolomiti di Brenta); come di 1000 metri è lo strapiombo del monte Burel, nella Schiara (Dolomiti Bellunesi); per 900 metri si eleva la parete sud della cima Catinaccio nel gruppo Catinaccio-Rosengarten; di 800 metri è la parete verticale della Furchetta, nel gruppo delle Odle, a picco sul rio Valdussa);
  • una spettacolare e unica densità di cime, guglie, pinnacoli, campanili (solo alcuni esempi sono i Cadini di Misurina nell’area Cadini, le Tre Cime di Lavaredo nelle Dolomiti di Sesto, gli Sfulmini del Brenta nelle Dolomiti di Brenta, le innumerevoli punte del Cristallo oltre alle famose “torri” del Civetta e delle “Cinque Torri”.
  • un eccezionale sviluppo delle pareti rocciose rispetto al complesso montuoso (ad esempio oltre mille dei 2812 metri di altezza del Sass Maòr, nel gruppo delle Pale di San Martino, sono di pura costruzione rocciosa sopra la val Pradidali);
  • una eccezionale elevazione retta in relazione al dislivello tra fondovalle e cime (un esempio spettacolare è la Croda del Re Laurino, nel gruppo del Catinaccio-Rosengarten, che con i suoi 500 metri di verticalità sui complessivi 2819 metri di altezza si fa ammirare fin dalla città di Bolzano);
  • la ricchezza e varietà di aspetti delle formazioni rocciose conseguenti il continuo alternarsi di strati a giacitura orizzontale ad altri sottoposti a forti deformazioni tettoniche, a forme erosive o ad estesi paesaggi carsici;
  • elevatissima densità di burroni, forre e scanalature, strettissime in rapporto alla profondità (sono un esempio i numerosissimi burroni, denominati Vaiolèt e Vaiolon, nel gruppo del Catinaccio-Rosengarten, oppure gli oltre 1500 metri di strapiombo della gola del Vescovà nelle Dolomiti Bellunesi) talvolta queste gole sono ostacolo quasi insormontabile per la visitazione dei luoghi, che sono pertanto accessibili solo ad alpinisti ed escursionisti molto esperti. È il caso, ad esempio, dei Monti del Sole, nel Parco delle Dolomiti Bellunesi, che guadagnano in questo modo caratteri di naturalità quasi unici in tutto l’arco alpino.
  • elevatissima densità di vette al di sopra dei 3000 metri sul livello del mare per unità di superficie.

BELLEZZA NATURALE E IMPORTANZA ESTETICA ECCEZIONALE
Con riferimento a parametri legati all’importanza estetica straordinaria, si ricordano, fra gli altri, alcuni fattori che, benché più difficilmente oggettivabili, rendono le Dolomiti di eccezionale valore universale sotto il profilo scenico e paesaggistico:

  • l’aspetto figurativo delle Dolomiti, dove guglie, pinnacoli, torrioni, campanili di roccia si succedono, sviluppandosi verticalmente per centinaia di metri, quasi come in un’immensa cattedrale gotica, costituisce un paesaggio di eccezionale valenza estetica;
  • il colore delle rocce è forse l’attributo più noto ed è legato a spettacolari fenomeni quali l’Enrosadira oppure al contrasto cromatico tra le rocce e i sistemi vegetali di contorno. In particolare l’Enrosadira, che nella lingua ladina indica il colore che al tramonto assumono le guglie e le cime rocciose del Catinaccio e del Latemar, ma anche quelle del Brenta ad ovest o del Cristallo o del Popera, ad est, cambiando tonalità dal rosso al viola infine al grigio, costituisce uno spettacolo naturale di eccezionale bellezza e forza estetica, la cui unicità è legata alla composizione chimica e mineralogica delle rocce dolomitiche;
  • la varietà dei substrati rocciosi (vedi criterio II) genera scorci di suggestione unica, specialmente quando alle potenti e chiarissime pareti di dolomia (da qui i “monti pallidi” delle leggende ladine) si alternano cenge e dolci pendii erbosi impostati sulle scure rocce vulcaniche o su quelle variopinte marnoso-terrigene. (si pensi al quadro paesaggistico della val Duron dove si elevano sullo sfondo le Cime di Terrarossa nel gruppo del Catinaccio-Rosengarten);
  • ulteriore fattore di eccezionale importanza estetica è il forte contrasto tra l’aridità delle pietraie e delle rocce nude e gli spettacolari giochi d’acqua prodotti dalla serie di sorgenti, ruscelli, cascate, pozze vorticanti, cadini e piccoli laghi presenti in quota. In questo senso vanno ricordati alcuni notissimi laghetti incastonati fra le rocce come quelli di Antermoia a 2476 metri di quota e di Larséch a 2512 metri, nel Catinaccio-Rosengarten, o quelli di Foses nelle Dolomiti d’Ampezzo, o il lago di Federa alla base di Croda da Lago, nel Sistema Pelmo-Cinque Torri. Altri splendidi laghi impreziosiscono le fasce boschive basali, e in essi si specchiano le vette circostanti; è il caso del Lago di Misurina, tra il Cristallo e le Cime di Lavaredo, o del lago di Carezza, posto ai piedi del sistema di Latemar, od ancora del lago di Braies, nell’omonimo sistema;
  • la presenza di nevai perenni o di residui dei cento piccoli ghiacciai che ancora ornano le vallecole più strette o i versanti settentrionali delle cime maggiori, contribuiscono all’eccezionalità del paesaggio dolomitico. Al di là delle numerose vedrette e nevai che coprono le cime più alte delle Dolomiti di Brenta, e dei piccoli ghiacciai presenti nel gruppo delle Pale (fra questi il ghiacciaio del Travignolo, selvaggiamente incassato fra la cima Vezzana e il Cimon della Pala, e quello della Fradusta, che si chiude sull’altipiano delle Pale), sono da ricordare anche quelli del Pelmo e dell’Antelao, e, soprattutto, il ghiacciaio della Marmolada, il più esteso delle Dolomiti;
  • la variazione cromatica che, nel corso delle stagioni, segna la vegetazione delle praterie basali o delle cenge boscate determina, in un quadro complessivo con le cime rocciose svettanti, scenari davvero eccezionali. Allo stesso modo la presenza della neve, in inverno, crea contrasti fortissimi con le rocce, dando loro nuovi cangianti riflessi. Si pensi alle foglie del larice, che in autunno mutano colore dal verde, all’arancione, al giallo acceso, al marrone; oppure si pensi, nella primavera avanzata, ai colori eccezionalmente intensi della fioritura (crochi, soldanelle, genziane, primule, viole, ranuncoli, pulsatille, drabe, sassifraghe, ecc.) che, soprattutto alle quote più alte, presentano corolle dai colori smaglianti;
  • la presenza di branchi di camosci, di cervi riuniti in bramito, degli stambecchi in equilibrio su pareti rocciose a strapiombo, delle arene di canto dei fagiani di monte o dei galli cedroni, del volo dell’aquila reale, o quello del pellegrino in caccia, sono certamente elementi che, oltre a un interesse di tipo biologico, vanno anche iscritti nei fattori di eccezionale interesse estetico.

MOTIVI LEGATI ALLA STRUTTURA GEOLOGICA E GEOMORFOLOGICA
In sintesi, le motivazioni che giustificano l’eccezionalità delle Dolomiti sono:

  • Le Dolomiti documentano in modo continuo e spettacolare larga parte del Mesozoico, in particolare a livello mondiale sono una delle aree di riferimento del Triassico, di cui si ha una documentazione straordinaria, per gli alti tassi di sedimentazione, per l’enorme varietà di facies ed ambienti deposizionali e per l’abbondante documentazione fossilifera, che fanno di queste aree uno dei riferimenti mondiali per la biostratigrafia della Tetide Triassica.
  • Le Dolomiti rappresentano uno dei massimi esempi di preservazione di geometrie deposizionali per i sistemi piattaforma carbonatica – bacino del mesozoico e documentano in modo mirabile la ripresa e l’evoluzione dei biocostruttori dopo la crisi permo-triassica. L’origine biogenica di parte delle Dolomiti e le relazioni geometriche tra queste scogliere fossili e i bacini erano stati riconosciuti già dalla metà del XIX secolo, facendo da allora, di queste montagne, un’area di rifermento mondiale per lo studio e la comprensione delle piattaforme carbonatiche. L’intera successione dolomitica mostra infatti, a partire dal Permiano superiore al Cretaceo, la superposizione di diverse generazioni di piattaforme carbonatiche (e dei loro bacini) di diverso tipo, dalle rampe carbonatiche alle piattaforme orlate, dagli atolli di piccolo diametro alle grandi piane tidali, separate tra loro da momenti di emersione e/o annegamento ed eventi vulcanici.
  • Dal punto di vista dei processi geologici, oltre all’eccellenza data dalle biocostruzioni, una peculiarità di queste aree riguarda la documentazione dell’interazione tra vulcanismo e sedimentazione terrigeno-carbonatica. L’area dolomitica offre affioramenti spettacolari degli effetti e dei prodotti del vulcanismo del triassico medio. Inoltre, storicamente è una delle aree dove per la prima volta si definirono le corrette relazioni tra rocce intrusive e sedimentarie e dove la teoria nettunista di Werner venne messa in crisi.
  • Le Dolomiti permettono, a causa della scarsa deformazione di questa parte della catena, la ricostruzione accurata, in affioramento, dell’evoluzione di un margine continentale passivo e delle successsive fasi collisionali e raccontano e mostrano sia con i rapporti geometrici preservati nelle rocce, sia con la grande ricchezza di fossili, una storia lunga più di 250 Ma. dalla Pangea alla strutturazione attuale della catena.
  • L’accostamento sia orizzontale (eteropie di facies) che verticale (limiti litologici e/o tettonici) di terreni a diversa erodibilità e caratteristiche geomeccaniche, la complessa storia climatica e tettonica, fanno delle Dolomiti un laboratorio naturale per la geomorfologia; di particolare fascino l’impronta legata al glacialismo e le forme carsiche di alta montagna e la complessa evoluzione dei versanti che definiscono scenari paesaggistici straordinari.
  • Per la storia delle Scienze della Terra, l’area dolomitica ha rappresentato un laboratorio a cielo aperto per innumerevoli studiosi che qui hanno osservato e lavorato, da Giovanni Arduino (1714-1795) a Déodat-Guy-Silvain-Tancréde de Dolomieu (1750- 1801), da Alexander von Humboldt (1769-1859) a Leopold von Buch (1774-1855), da Edmund von Mojsisovics (1839-1907) a Ferdinand von Richthofen (1833-1905) per ricordarne solo alcuni tra i maggiori. Gli studi pionieristici di questi autori sono stati fondamentali per lo sviluppo di discipline come la stratigrafia, la mineralogia, la sedimentologia e la paleontologia. Tuttora le Dolomiti sono una palestra dove numerosi ricercatori provenienti da tutto il mondo approfondiscono e si confrontano su tematiche geologiche di grande interesse. Queste zone sono un laboratorio didattico indiscusso che permette ai numerosissimi studenti e giovani ricercatori che ogni anno visitano queste montagne, di vedere, toccare con mano e comprendere quei fenomeni geologici che sono qui documentati con straordinaria chiarezza.

MOTIVI CONNESSI AGLI ASSETTI ECOSISTEMICI, FLORISTICI E VEGETAZIONALI
Tra i motivi che portano a giustificare l’eccezionale valore del bene Dolomiti, nella sua interezza, sulla base dei criteri prima specificati, dal punto di vista floristico e vegetazionale vanno segnalati:

  • Biodiversità. Soprattutto nei massicci meridionali non solo è molto più elevato il numero di specie per unità di superficie (ricchezza floristica), ma spesso esistono comunità vegetali endemiche ed esclusive di questi massicci, in parte risparmiati dalle glaciazioni e che hanno conservato importanti reperti di origine terziaria. Della maggiore ricchezza biologica delle catene esterne si ha soprattutto conferma riguardo a molti gruppi di invertebrati. Il patrimonio floristico vascolare dell’area dolomitica include circa 2400 specie. Escludendo le aree di fondovalle e quelle comunque non candidate, esterne ai siti proposti, il numero si riduce a circa 1700, equivalente a quello di tutte le isole britanniche. Nel solo territorio del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, si è visto, sono censite circa 1350 specie. Le Alpi sono un’importante regione biogeografica (ecoregione riconosciuta anche dal WWF e sede di un centro di diversità delle piante (Centres of Plant Diversity – cfr. Smith G., J. Jakubowska. 2000. A global overview of protected areas on the world heritage list of particular importance for biodiversity. UNEP, WCMC, WH, IUCN. Cambridge, UK ), con elevata biodiversità specifica e cenotica.
  • Endemismi. In particolare, sono i massicci del settore sudorientale ad essere i più ricchi, anche qualitativamente, di presenze endemiche di altissimo interesse, in quanto essi ospitano relitti preglaciali. Qui è rilevante sia l’influenza delle specie rifugiali artico-alpine, arrivate nel corso delle glaciazioni quaternarie, sia quella delle specie a gravitazione orientale (dinarica, illirica, pontica, steppica) sopraggiunte nei periodi più caldi e/o secchi del postglaciale.
  • Associazioni e habitat. Le Dolomiti Bellunesi, ad esempio, contano da sole ben 55 unità tipologiche forestali, più del 50% di quelle dell’intera Regione Veneto, pianura inclusa. In tutti i siti proposti sono presenti habitat di interesse comunitario e in alcuni di essi sono numerosi quelli considerati prioritari dall’Allegato I della Direttiva Habitat 92/43.
  • Dinamiche ecosistemiche in atto. Tra le dinamiche ecosistemiche più interessanti va segnalato il fatto che nelle praterie di quota, in seguito all’abbandono o al minore utilizzo, si osserva una progressiva acidificazione (maturazione) degli orizzonti pedologici superiori.

Inoltre nell’ambito dei territori candidati sono segnalate le seguenti specie vascolari inserite nella “Global red list dell’IUCN”: Eryngium alpinum (V), Arenaria huteri, Rhizobotrya alpina, Sempervivum dolomiticum, Saxifraga facchinii, Cytisus emeriflorus, Campanula morettiana, Physoplexis comosa, Artemisia nitida (R), Gladiolus palustris, Knautia persicina (I). Inoltre, nella Convenzione di Berna sono inserite: Campanula morettiana, Physoplexis comosa, Cypripedium calceolus, Primula spectabilis, Eryngium alpinum.
Va, inoltre, tenuto presente che per alcune specie endemiche di recentissima scoperta, ad esempio Primula recubariensis (Piccole Dolomiti) e Pinguicula poldinii (Dolomiti Friulane, Vette Feltrine), non è ancora stata formalizzata una classificazione in base al livello di vulnerabilità.

MOTIVI DI ECCEZIONALITÀ FAUNISTICA
I motivi per dichiarare l’eccezionale valore universale delle Dolomiti dal punto di vista faunistico vanno ricercati in una nutrita serie di elementi dai quali comunque emerge l’importanza della enorme varietà di habitat di questa regione, tra gli estremi termofili e montano-alpini, rispettivamente distribuiti nel settore meridionale e centrosettentrionale del comprensorio. Risulta quindi particolarmente difficile e complesso descrivere le locali emergenze faunistiche, che nella zona non sono ancora state studiate in modo particolarmente approfondito. Nell’area, comunque, si assiste ad una singolare commistione tra faune di diversa valenza ecologica, transizione che diviene particolarmente chiara a cavallo dei confini meridionali e sud-orientali. Gli anfibi sono rappresentati da un notevole numero di specie, distribuite in zone e in ambienti diversi in modo da coprire le più differenti nicchie ecologiche (Salamandra atra, Salamandra salamandra, Triturus alpestris, Triturus carnifex, Triturus vulgaris meridionalis, Bombina variegata, Bufo bufo, Bufo viridis, Hyla intermedia, Rana (P.) synklepton esculenta L-E System, Rana (R.) dalmatina, Rana (R.) latastei, Rana (R.) temporaria). Tra i rettili spiccano per il loro valore naturalistico Vipera ammodytes e Iberolacerta horvathi, ma il novero di specie è così numeroso da non consentire facili raggruppamenti e descrizioni (Anguis fragilis, Lacerta bilineata, Podarcis muralis, Zootoca vivipara carniolica, Hierophis (Coluber) viridiflavus, Coronella austriaca, Zamenis (Elaphe) longissimus, Natrix natrix, Natrix tessellata, Vipera aspis francisciredi, Vipera berus).
L’area ha notevole pregio ornitologico, sia per la qualità delle comunità ornitiche, sia per le specie presenti. La fascia settentrionale è molto interessante per la presenza delle tipiche specie proprie del bioma alpino, come ad esempio Tichodroma muraria, Pyrrhocorax graculus, Montifringilla nivalis, Prunella collaris, ma si possono ricordare anche molti altri taxa quali ad esempio: Pernis apivorus, Milvus migrans, Aquila chrysaetos, Falco peregrinus, Bonasa bonasia, Lagopus mutus helveticus, Tetrao tetrix tetrix, Glaucidium passerinum, Aegolius funereus, Picus canus, Dryocopus martius, Picoides tridactylus, Lanius collurio. La vastità della zona consente di garantire la sopravvivenza di intere popolazioni ornitiche. Oltre alle specie di interesse comunitario andrebbe sottolineata la presenza anche di molte altre entità significative a livello regionale o provinciale, come ad esempio: Accipiter gentilis, Accipiter nisus, Falco tinnunculus, Strix aluco, ecc.. Molte delle vaste aree prativo-rocciose della zona sono ancora frequentate da Alectoris graeca saxatilis, talora con discreta o buona densità di popolamento. Su queste montagne fa sporadiche comparse anche l’avvoltoio grifone Gyps fulvus. Tra gli elementi faunistici di maggior pregio della classe dei mammiferi devono essere ricordati Eliomys quercinus e Dryomis nitedula, che sono in genere rari e localizzati, ma nella zona sono, al contrario, abbastanza comuni e diffusi. Nel settore sud-orientale dell’area (Parco delle Dolomiti Friulane) è presente Felis s. silvestris, che su queste montagne evita sia le maggiori quote, sia le zone più interne. In queste zone Mustela (Putorius) putorius è ancora presente in diversi fondovalle (Lago di Tramonti), Martes f. foina coabita molto spesso con Martes m. martes, e Lynx lynx carpathicus fa rare comparse. Anche l’orso bruno Ursus arctos in questi ambienti fa sporadiche comparse, con erratismi irregolari che non fanno capo a vere e proprie popolazioni. Per altro, nell’area delle Dolomiti di Brenta la storica popolazione del plantigrado ha resistito fino ai nostri giorni, ora sostenuta da un progetto del Parco e dell’Unione Europea di cui più avanti si dirà. Le popolazioni di Marmota marmota di queste montagne hanno invece origine antropocora e sono ormai abbastanza ben affermate e diffuse. Gli insettivori sono rappresentati da varie specie di pregio quanto mai variabile (Erinaceus europaeus italicus, Sorex alpinus, Sorex araneus, Sorex minutus, Neomys anomalus, Neomys fodiens, Crocidura leucodon, Crocidura suaveolens, Talpa europaea), i chirotteri sono per ora noti di poche specie (Plecotus auritus, Miniopterus schreibersii, ecc.), mentre i lagomorfi sono rappresentati da Lepus europaeus e dallo splendido relitto glaciale rissiano Lepus timidus varronis. Le aree forestate sono frequentate da numerosi roditori arboricoli (Sciurus vulgaris, Glis glis, Eliomys quercinus, Muscardinus avellanarius), mentre Clethrionomys glareolus ed Apodemus (Sylvaemus) flavicollis si dividono il sottobosco. Nella zona è stato recentemente catturato anche Microtus (Terricola) subterraneus, un microtino frigofilo tipico dell’Arco Alpino interno. Microtus (M.) arvalis, Microtus (T.) liechtensteini, Chionomys nivalis, Apodemus (Apodemus) agrarius, Apodemus (S.) sylvaticus, Rattus norvegicus, Rattus rattus, Vulpes vulpes, Meles meles, Mustela (Mustela) erminea, Mustela (M.) n. nivalis, Mustela (M.) nivalis vulgaris, completano il quadro faunistico relativo alla micro e meso teriofauna. In alcune aree è relativamente frequente Sus scrofa, che vive una recente fase di espansione, mentre Cervus elaphus è da anni comune e diffuso. Capreolus capreolus domina la fauna ad ungulati delle zone forestate di mezza quota. Capra ibex è stato reintrodotto su diversi massicci. Notevoli sono le popolazioni di Rupicapra rupicapra, che in molte zone ha ormai raggiunto densità davvero notevoli. Localmente sono piuttosto diffusi anche i mufloni (Ovis orientalis), qui introdotti per ragioni squisitamente venatorie. Le conoscenze sull’entomofauna permettono di rilevare che la posizione decentrata di queste aree rispetto alle zone maggiormente glacializzate delle Alpi centrali porta ad ipotizzare un quadro faunistico e biogeografico di notevole importanza, soprattutto per l’ambito delle Dolomiti Friulane e delle Dolomiti Bellunesi – Vette Feltrine. L’influenza delle glaciazioni pleistoceniche si rende evidente in particolare se si considera la cospicua presenza, ad esempio, di stenoendemiti dei Massifs de Refuge e dei Nunattaker, in massima parte costituiti da elementi endogei o clasibionti. Tra gli stenoendemiti “esocarnici” sensu Poldini, 1974, cioè limitati alle Prealpi Carniche occidentali, figurano ad esempio i coleotteri carabidi Abax springeri Müller, 1925, Cymindis carnica Müller, 1924 e Amara uhligi Holdhaus, 1904. Nel Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi va segnalata la presenza di molluschi preglaciali e, nell’ambito della vastissima classe degli insetti, dei coleotteri carabidi che vivono nelle grotte e in ambienti ipogei. Sono presenti endemismi esclusivi quali Orotrechus pavionis, O. theresiae, Neobathyscia dalpiazi, Leptusa pascuorum pavionis e altre entità ancora in corso di studio. Le informazioni di cui si dispone sono più che sufficienti a confermare l’eccezionale valenza biogeografica del territorio.

Si può dunque affermare l’eccezionale valore universale di questo territorio sotto il profilo faunistico.

  • Ricchezza e singolarità del popolamento animale. È possibile ritenere che il popolamento faunistico sia vicino al 10% dell’intera fauna non marina d’Europa, il cui recente censimento (www.faunaeur.org) comprende poco più di 130000 specie. I soli lepidotteri (farfalle diurne e notturne) sono presenti sulle Dolomiti con un contingente di almeno 1600 specie.
  • Presenza di elementi endemici delle Alpi. Nelle Dolomiti sono presenti specie animali endemiche o subendemiche, caratterizzate cioè da un areale di distribuzione ristretto che in alcuni casi rimane interamente compreso all’interno delle Dolomiti: coleotteri carabidi del genere Carabus, come C. (Orinocarabus) adamellicola, C. (O.) alpestris dolomitanus e C. (Orinocarabus) bertolinii; coleotteri dei generi Nebria, Trechus, Simplocaria, Dichotrachelus, Otiorhynchus e Oreina.
  • Presenza di relitti glaciali dei massifs de réfuge. Soprattutto nella fascia prealpina, ma anche al margine meridionale dell’area dolomitica sono presenti relitti glaciali.
  • Presenza di specie paleomontane e paleoxeromontane. Nelle Dolomiti, in quanto parte delle Alpi, sono presenti specie distribuite solo negli alti sistemi montuosi paleartici. Fra gli uccelli si ricordano Merlo acquaiolo (Cinclus cinclus), Sordone (Prunella collaris), Picchio muraiolo (Tichodroma muraria), Gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus), Fringuello alpino (Montifringilla nivalis). Sono poi presenti specie adattate a vivere nelle zone più aride e secche di tali distretti montani (sempre fra gli uccelli: Rondine montana (Ptyonoprogne rupestris), Codirosso spazzacamino (Phoenicurus ochruros), Codirossone (Monticola saxatilis).
  • Presenza di elementi boreoalpini e articoalpini. L’interesse zoogeografico delle Dolomiti è da mettere in relazione a una serie di aspetti, fra cui, sicuramente, la presenza di specie ad areale disgiunto è un importante elemento. Fra le diverse specie si citano: lepre alpina (Lepus timidus varronis); pernice bianca (Lagopus mutus), picchio tridattilo (Picoides tridactylus), organetto (Carduelis flammea), merlo dal collare (Turdus torquatus); farfalle boreoalpine: diurne: Parnassius apollo, Pontia callidice, Boloria pales, B. thore, Erebia epiphron, Plebeius (Albulina) orbitulus, Pyrgus andromedae; ‘notturne’: Agrotis fatidica, Elophos vittaria, Pygmaena fusca, Grammia quenseli, Setema cereola, Sterrhopterix standfussi, Gazoryctria ganna; Coleottero stafilinide Mannerheimia arctica, la cui presenza sulle Alpi italiane è limitata a due stazioni, di cui una nell’area dolomitica; coleottero stafilinide Eucnecosum tenue; elateride Selatosomus confluens; minuscolo dittero sferoceride Crumomyia setitibialis; emittero ligeide Geocoris lapponicus.
  • Presenza di elementi steppici. Sempre dal punto di vista zoogeografico è importante sottolineare la presenza di elementi steppici fra cui la comune Marmotta (Marmota marmota), ancorché introdotta, è un importante elemento.
  • Presenza di elementi alpini o ad affinità alpine. Si tratta di elementi settentrionali, alpini o ad affinità alpine, spesso a vasta distribuzione di tipo asiatico-europeo, sibirico- europeo, europeo, oppure hanno un areale più limitato di tipo centro-europeo o alpino. Queste specie, che costituiscono una rilevante frazione del popolamento animale alle quote alte, prediligono le condizioni fresche e umide dei piani vegetazionali superiori (montano, alpino e nivale).
  • Presenza di elementi termofili meridionali. Si può citare al proposito l’endemismo italico Hyla meridionalis, fra gli Anfibi, che interessa le aree meridionali delle Dolomiti
  • Presenza di faune centroeuropee. È verosimile che alcune specie centroeuropee (es. Hyla arborea) possano essere presenti al margine settentrionale delle Dolomiti anche se la carenza di studi non permette di documentare tali presenze.
  • Presenza di specie al margine di areale. Numerose sono le specie che nelle Dolomiti trovano il margine del proprio areale. Particolare importanza sembra essere rappresentata dagli influssi balcanici testimoniati dalla presenza, soprattutto nei settori più meridionali e orientali, di Vipera dal corno (Vipera ammodytes), Lucertola di Horvat (Archaeolacerta (Iberolacerta) horvathi), Driomio (Dryomys nitedula).
  • Presenza di numerose specie tutelate in base alle direttive e convezioni internazionali e/o inserite in liste rosse. Particolarmente rilevante è il numero di specie protette in base a direttive e convenzioni internazionali e/o inserite in liste rosse di cui di seguito si propone una rassegna.

MOTIVI DI ECCEZIONALITÀ IN BASE AL CRITERIO ECOLOGICO-DINAMICO
La stupefacente varietà delle biocenosi dolomitiche, più accentuata nei massicci esterni, trova un’ulteriore conferma nella rapidità dei processi ecologico-dinamici in atto. Le più recenti variazioni climatiche, peraltro non generalizzabili in tutti i sistemi, associate alle modificazioni nell’utilizzo del suolo (essenzialmente abbandono di superfici erbacee), sono ben apprezzabili e già oggetto di monitoraggio. L’innalzamento del limite del bosco e di quello delle nevi perenni sono ben documentati e creano trend dinamici che acuiscono i fenomeni di competizione, originando fasce ecotonali in continua evoluzione. Le comunità vegetali delle vallette nivali (Salicetea herbaceae) vengono presto sostituite da comunità meno chionofile, di prateria, ma esse possono trovare nuovi spazi nelle aree lasciate libere dall’arretramento dei glacionevai. Non meno significativo, e certamente del tutto eccezionale, è il dinamismo gravitativo legato alle imponenti conoidi detritiche che rappresentano uno degli elementi di maggiore singolarità dell’area dolomitica. La distribuzione spaziale delle fitocenosi è fortemente condizionata da questi processi e, di fatto, si ha la possibilità di osservare in uno spazio ristretto le successioni temporali. Le sensibili variazioni nell’andamento meteorologico stagionale che caratterizzano il territorio dolomitico influenzano anch’esse la competizione e ne accentuano il naturale dinamismo. Anche la posizione di pozze e sorgenti subisce le modificazioni determinate da scoscendimenti e accumuli detritici, interferendo così anche nell’evoluzione di alcuni biotopi umidi.

Analisi comparativa con altri beni UNESCO e con altri analoghi sistemi del pianeta

La candidatura ha speranze di successo se già non si trovano in World Herritage List altri beni provvisti di analoghe caratteristiche e se al mondo questi nostri sistemi possono essere considerati estremamente rari, se non unici. Di qui l’importanza di una completa analisi comparativa che come si evince da molti documenti IUCN, è diventata uno strumento fondamentale per l’accettazione di una candidatura. Tale analisi si fonda su indicatori che UNESCO intende impiegare per compiere con rigore e con imparzialità la compilazione della graduatoria dei beni più meritevoli d’essere accolti nella lista del Patrimonio Mondiale.

COMPARAZIONE SUGLI ASPETTI PAESAGGISTICI, COME FENOMENI NATURALI SUPERLATIVI O LUOGHI DI ECCEZIONALE BELLEZZA ESTETICA
Si è già veduto che il criterio paesaggistico sottende due aspetti distinti, l’uno relativo alla presenza di fenomeni naturali superlativi, l’altro connesso alla bellezza o all’importanza estetica eccezionale del bene. Mentre il primo aspetto può essere ricondotto a criteri in qualche modo oggettivi, o meglio “oggettivabili”, cioè in qualche modo misurabili e dunque comparabili, l’aspetto estetico, o la bellezza, è concetto assolutamente soggettivo e quindi difficilmente confrontabile in rapporto con analoghe espressioni relative ad altri beni. Vi sono oggettive difficoltà di comparazione sulla base della bellezza, poiché le Dolomiti, come già più volte sottolineato, sembrano sfuggire ad un criterio universale di interpretazione estetica. Comunque sia si è tentato il raffronto con altri sistemi montagnosi iscritti alla World Heritage List. Nella Lista dei beni naturali UNESCO sono iscritte 55 aree montane (fonte: Thorsell J., Advisor S., World Heritage, IUCN and Hamilton L., Vice Chair Mountains, World Commission on Protected Areas. 2002. A global overview of mountain protected areas on the world heritage list. ); di queste, solo due siti appartengono alla catena alpina (Jungfrau Aletsch – Bietschhorn – Switzerland, Monte San Giorgio - Switzerland). Il secondo di questi è iscritto solo sulla base del criterio geologico. Sono invece presenti molti siti iscritti in base ai criteri afferenti alla sfera culturale; di questi solo Hallstatt-Dachstein/Salzkammergut sembra unire ai criteri storico-architettonici- colturali il concetto di Cultural Landscape, rendendolo un possibile oggetto di raffronto con il sito candidato delle Dolomiti. Il sito svizzero dello Jungfrau Aletsch – Bietschhorn mostra infine caratteristiche paesaggistiche, struttura delle montagne, colori e associazioni di vedute certamente molto diverse da quelle Dolomitiche; si tratta di due forme di bellezza paesaggistica che non possono essere poste in graduatoria l’una con l’altra. I massicci cristallini dello Jungfrau, del Mönch e dell’Eiger, con gli splendidi ghiacciai raccontano un mondo di rocce, neve e ghiaccio, paesaggi maestosi, ma rudi, mentre nelle Dolomiti si percepisce la leggerezza dell’incontro tra rocce e boschi, si legge l’esilità delle mille guglie, pur se col senso della verticalità e dell’imponenza delle pareti, e, soprattutto, una grande variabilità cromatica. Il sito culturale Hallstatt-Dachstein/Salzkammergut in Austria, è caratterizzato da montagne simili a quelle dolomitiche sia per età, sia per composizione. Ma qui il paesaggio è frastagliato con le grandi cime che si innalzano in un paesaggio più dolce, ricco di laghi e di colline. In sostanza, dunque, si ritiene di poter affermare, dopo l’analisi di altri siti montani, l’unicità degli aspetti scenici e paesaggistici delle Dolomiti. L’analisi comparativa, infatti, consente di sostenere che sono unici:

  • la densità di guglie, campanili, pinnacoli che le Dolomiti presentano in ogni loro gruppo o massiccio;
  • la colorazione che le rocce assumono al tramonto, e la varietà cromatica che si presenta col variare dell’altezza del sole nella giornata;
  • il paesaggio di verticalità delle pareti in rapporto al contorno di pascoli e di foreste che coronano la base;
  • l’improvvisa variazione di pendenza tra i versanti a bosco e a prateria, i ghiaioni e tra questi e le pareti verticali;
  • la varietà di scorci e di suggestive prospettive rocciose percepibili nel volgere di poche centinaia di metri in ogni itinerario escursionistico, ma anche in un tragitto compiuto lungo le strade di fondovalle;
  • lo sviluppo verticale di tantissime pareti, che danno al tempo la suggestione dell’impossibile e quella della leggerezza e dell’ariosità di questi monti;
  • la varietà e la ricchezza di forme ed elementi paesaggistici riconducibile a fattori geologici e geomorfologici.

COMPARAZIONE SUGLI ASPETTI GEOLOGICI E DI STORIA DELLA TERRA
Uno dei valori eccezionali su cui si basa la candidatura è che le Dolomiti documentano un intervallo significativo della storia della Terra, a partire dal Permiano superiore a tutto il Mesozoico. L’intervallo di maggior interesse della successione è in particolare quello permo-triassico. Essendo tale intervallo di tempo ben rappresentato in altri siti, un confronto è necessario sia con altre località già inserite all’interno della WHL, sia con altre aree apparentemente simili. Il primo confronto con beni inseriti nella lista è da farsi con il sito del Monte San Giorgio in Svizzera, perché esso fa parte dello stesso dominio strutturale e paleogeografico. Il sito è presente nella WHL per le sue eccezionali faune a vertebrati marini del Ladinico (Triassico Medio), rinvenute all’interno di lagune intra-piattaforma che stavano ai margini dell’oceano della Tetide. La quantità e la qualità dei fossili presenti a M.te S.Giorgio è ben più rilevante degli sporadici rinvenimenti di resti di vertebrati marini delle Dolomiti, ma queste ultime con la loro spettacolare paleogeografia preservata permettono di visualizzare e comprendere, quindi contestualizzare, l’ambiente di vita di questi grandi rettili. La successione stratigrafica affiorante nel sito è molto più ridotta, ma è in parte confrontabile con quella dolomitica: il sito svizzero si integra perfettamente nello scenario triassico delle Dolomiti del quale però, rappresenta solo un tassello. Il Triassico in facies continentale è invece rappresentato nel Ischigualasto Provincial Park- Talampaya National Park (Argentina) dove è documentata in modo eccezionale una successione di faune di vertebrati e di flore fossili. Qui il confronto è più complesso, perché il sito è inserito nella lista solo dal punto di vista della documentazione fossilifera. Anche in Dolomiti sono presenti diversi intervalli ove è possibile analizzare le faune e le flore continentali. Infatti, in più livelli sono stati rinvenuti resti di vertebrati terrestri e importanti sono per lo studio dell’evoluzione dei rettili e dei dinosauri il ritrovamento di ricche associazioni di impronte fossili. L’intervallo meglio rappresentato è quello del Triassico inferiore e dell’Anisico (che non hanno pari altrove), ma anche il Triassico Superiore (Carnico) e la base del Norico è ben documentata. La peculiarità delle Dolomiti è che questi livelli fossiliferi, che documentano gli ambienti terrestri, possono essere correlati fisicamente e/o dal punto di vista biostratigrafico con le successioni marine e quindi possono essere più facilmente inquadrabili da un punto di vista bio-cronostratigrafico. Inoltre non bisogna dimenticare come nell’area dolomitica sia presente uno dei più importanti siti con impronte di tetrapodi del Permiano continentale (Sezione del Bletterbach/Butterloch Rio delle Foglie) che permette una lettura più completa dell’evoluzione dei tetrapodi se visto all’interno di una successione verticale più ampia che include, per l’area Sudalpina, anche un Giurassico Inferiore ad impronte di grande rilevanza (cf. Lavini di Marco). Pertanto la successione argentina è solamente continentale, rappresenta ambienti completamente differenti dal punto di vista paleogeografico, ma in ogni caso si integra bene con l’area dolomitica perché rappresenta un ulteriore aspetto dello scenario di quel periodo. Un intervallo di tempo più esteso, e quindi con più elementi in comune, è documentato nel sito del Dorset and East Devon Coast, che attraverso una serie di sezioni separate lungo la costa meridionale della Gran Bretagna permette la ricostruzione di una successione più meno continua di tutto il Mesozoico. Il Triassico è rappresentato da circa 1100 metri di arenarie e calcari in facies prevalentemente continentale (le facies marine sono documentate solo nella parte sommitale) e documenta un Triassico in cosiddetta facies germanica. Le differenze con la successione dolomitica sono molto grandi in quanto nelle Dolomiti il Triassico è prevalentemente marino, di ambiente tropicale, con spessori molto maggiori (oltre 3000 metri nelle Dolomiti settentrionali) e documenta la sedimentazione e la fisiografia del golfo della Tetide. Per quanto riguarda il Giurassico, il D/E.Devon è caratterizzato da una delle successioni bacinali più complete al mondo con documentate almeno 74 biozone ad ammoniti. Nell’area dolomitica il Giurassico è contraddistinto invece dalla presenza di piattaforme carbonatiche e dagli adiacenti bacini, che solo localmente forniscono faune ad ammonoidi comparabili con quelle del sito inglese. La differenza e la eccezionalità del Giurassico dolomitico è però la possibilità di documentare l’evoluzione di queste piattaforme, e la loro risposta al forcing climatico e tettonico. In particolare durante il Giurassico è documentato l’annegamento delle aree a sedimentazione carbonatica di acqua bassa con encriniti e con facies a Rossi Ammonitici. Anche per il Cretaceo la successione stratigrafica del D/E.Devon è molto differente da quella dolomitica, che è prevalentemente emipelagica e profonda. Perciò il confronto con le due aree è non semplice in quanto tutte due raccontano la risposta dei sistemi deposizionali alla definizione di un margine continentale passivo, ma da posizioni paleogeografiche completamente differenti. Altre località non inserite nella WHL ove affiora o è documentata una successione triassica con caratteristiche paragonabili per continuità o contenuto fossilifero con quella dolomitica, sono:

  • Lago Balaton e Transdanubian Range (Ungheria), contraddistinto da una successione molto simile a quella dolomitica soprattutto per quanto riguarda il contenuto fossilifero, ma non ci possono essere paragoni per la scarsità e per la discontinuità, in quel sito, degli affioramenti per la scenografia completamente differente.
  • Alpi Calcaree Settentrionali (Svizzera, Austria e Slovenia) – il permo/triassico delle NCA è in parte confrontabile con quello dolomitico come intervallo temporale rappresentato e come successione di eventi documentati in quanto a qualità e a tipo di fossili. La differenza sostanziale è che i tassi di sedimentazione sono stati significativamente differenti e che non è presente il vulcanico a separare le diverse generazioni di piattaforme, che spesso appaiono tutte saldate tra loro senza possibilità di discriminazione. La deformazione tettonica legata alla messa in posto della catena è stata più intensa, e quindi spesso non sono riconoscibili o preservati i rapporti geometrici originari.
  • Il sudovest degli U.S.A. (Arizona, New Messico e Texas) è caratterizzato da una successione continentale di grande spessore che copre, anche se con significative lacune al suo interno, gran parte del Permo-Mesozoico. Importanti a livello di comparazione sono la Petrified Forest Fm. (membro del Chinle Group), che ha età Triassico Superiore. In questa unità sono stati rinvenuti importanti fossili di vertebrati, resti di piante in posizione di vita e anche ambra. Chiaramente il confronto con l’area dolomitica è complesso, in quanto gli ambienti deposizionali sono molto differenti e in ogni caso il record geologico nelle Dolomiti è assolutamente più completo e vario.
  • Un discorso a parte va fatto per il Mesozoico e in particolare per il Triassico/Giurassico della British Columbia (Canada), che è particolarmente potente e ben attestato. Esso documenta in particolare il Triassico medio-superiore e parte del Giurassico delle medio alte latitudini. Qui sono state anche riconosciute piattaforme carbonatiche di età ladinica (Liard Formation). La successione canadese, anche se molto importante dal punto di vista dei bioeventi registrati, non sembra mostrare la complessità e la varietà di ambienti e di situazioni presenti nelle Dolomiti. Inoltre, la successione canadese, anche se bacinale e completa, è abbastanza monotona dal punto di vista litologico, perché prevalentemente silicoclastica, e gli affioramenti non hanno assolutamente lo stesso impatto scenico che danno le Dolomiti
  • Il Permo-Mesozoico, e in particolare il Triassico Himalayano, e nello specifico quello presente nella regione di Spiti (India, Himalaya) è eccezionalmente ben affiorante e continuo. Gli spessori possono raggiungere i 3 chilometri e sono paragonabili a quelli delle Dolomiti. La successione himalayana documenta l’evoluzione del margine continentale passivo del subcontinente indiano. Le differenze sostanziali tra le due aree sono legate alla diversa organizzazione degli ambienti, molto meno variegati rispetto a quelli dolomitici. Inoltre gran parte dell’intervallo del Trias (inferiore e medio) è in facies condensate o caratterizzate da bassi tassi di sedimentazione. Quindi grande abbondanza di faune, ma a scarsa biodiversità. Anche le biocostruzioni sono poco rappresentate e anche in questo caso l’aspetto scenografico delle scogliere e dei sedimenti bacinali che si ritrova nelle Dolomiti non è raggiunto.

Un altro criterio di eccellenza è quello legato alle piattaforme carbonatiche, alla testimonianza dell’evoluzione dei biocostruttori dopo la crisi al limite P/T, alla eccezionale documentazione legata alla preservazione delle geometrie deposizionali e dei rapporti primari tra i corpi biocostruiti e i bacini circostanti. Non sono presenti nella lista siti che presentino queste caratteristiche e quindi l’analisi comparativa va fatta con altre zone. Le Dolomiti rappresentano da diversi decenni l’area di riferimento per gli studi sulle geometrie deposizionali dei corpi di piattaforma, spesso affioranti alla scala delle sezioni sismiche, e per l’analisi delle differenti risposte dei sistemi carbonatici ai fattori di controllo esterni (evoluzione dei biota, clima e tettonica).
Nel mondo, in affioramento, sono identificabili altri esempi di corpi carbonatici di acqua bassa con età diversa e differente tipologie deposizionali. In particolare sono menzionabili le seguenti località:

  • Canning Basin (Australia) – Il Canning Basin è ubicato nell’Australia centro settentrionale ed è uno degli esempi meglio affioranti e documentati di margine di piattaforma carbonatica paleozoica. In particolare, la peculiarità di questo sito, scavato all’interno di una stretta e incassata gola (Windjana Gorge), consiste nell’esporre un margine di tipo erosivo delimitato da un paleorilievo quasi verticale ricoperto in onlap dai depositi di scarpata e base scarpata. Inoltre, in quest’area è possibile osservare uno dei pochi esempi affioranti al mondo di retrogradazione del sistema carbonatico.
  • Vercors (Francia) Giurassico – La Montagnette è uno degli altri esempi famosi di piattaforma carbonatica cretacica in cui è possibile osservare direttamente le geometrie deposizionali alla scala sismica. Questa caratteristica è stata utilizzata per diversi tipi di studio quali la ricostruzione di modelli sismici sintetici di affioramento (Stafleau, gruppo Schlager) e per testare alcuni dei modelli e concetti della stratigrafia sequenziale applicata ai depositi carbonatici (Jaquin, 1991). Come per la maggior parte degli studi geologici su piattaforme carbonatiche, i modelli ottenuti dallo studio del Vercors sono stati comparati con gli analoghi modelli sviluppati in precedenza su diverse piattaforme dell’area dolomitica (Picco di Vallandro, Sella, Catinaccio, etc.).
  • Asturias e Mallorca (Spagna) – Le due aree spagnole offrono degli esempi spettacolari di piattaforme carbonatiche e delle geometrie deposizionali associate. Nell’area delle Asturias è documentata una piattaforma carbonatica del Paleozoico (Pico de Europas), che è stata oggetto recentemente di molti studi specifici sulle geometrie deposizionali, sulla distribuzione e sulla paleoecologia dei biocostruttori e sull’influenza delle variazioni relative del livello del mare sulla struttura della piattaforma. In confronto, le piattaforme documentate nelle Dolomiti mostrano una varietà di tipi e di geometrie molto più ampia e articolata. I rapporti con le successioni bacinali sono inoltre meno rappresentati e in ogni caso la biocenosi dei costruttori è significativamente differente. Quella delle Isole Baleari (Miocene) è invece uno spettacolare esempio di piattaforma orlata controllata da variazioni ad alta frequenza del livello del mare.
  • Guadalupe Mountains (Texas, U.S.A.) – In questo spettacolare affioramento del Permiano (Capitan reef) l’architettura deposizionale è molto simile alla successione miocenica di Palma di Maiorca. In un transetto naturale lungo diversi chilometri è possibile osservare i vari rapporti geometrici e di facies dalla zona di piattaforma interna fino al bacino con relativa correlazione fisica dei diversi ambienti deposizionali. Ma questo eccezionale affioramento rappresenta un periodo di tempo molto limitato, comparabile, ad esempio, con la sola piattaforma del Catinaccio. Al contrario, nelle Dolomiti è possibile documentare un’evoluzione dei sistemi carbonatici nel tempo e nello spazio.
  • Steinplatte e Dachstein (Austria) – Anche queste piattaforme del Triassico Superiore (Norico e Retico) delle Alpi Calcaree Settentrionali sono degli esempi classici di corpi biocostruiti fossili. Esse sono una testimonianza della organizzazione delle piattaforme triassiche per un intervallo di tempo che non è ben rappresentato nell’area dolomitica. Le geometrie deposizionali e la disposizione dei biocostruttori sono comparabili con quelle riscontrate sui corpi più antichi delle Dolomiti, in ogni caso, ancora una volta esse rappresentano dei casi isolati, di un contesto strutturale e paleogeografico non immediatamente percepibile.

COMPARAZIONE SUI PROCESSI ECOLOGICI E SULLA DINAMICA SISTEMICA
Si è già sottolineato il fatto che in queste montagne i processi ecologico-ambientali, quelli biologici e quelli ecosistemici sono articolati e mutevoli sia in relazione a dinamiche naturali riconducibili alle particolari condizioni strutturali del territorio, sia in relazione allo stretto legame tra uomo e natura e alle modalità con cui questo legame sta oggi mutando. Il territorio dolomitico è, sotto questo profilo, unico al mondo. In base alla documentazione disponibile non esistono, infatti, sistemi montani che possano documentare lo storico utilizzo umano delle proprie risorse, in ogni valle, anche in quelle più remote e isolate. I “laudi”, cioè le regole nell’uso del suolo stabiliti dalle Comunità e dalle Comunioni familiari, risalenti a prima dell’anno 1000 (Ampezzo), oppure le regole selvicolturali, e i catasti della gestione forestale stabiliti e pubblicati dalla Serenissima sul principio del 1500, sono documenti che non hanno riscontro in nessuna altra parte del Pianeta. È proprio per questo motivo di documentazione storica che l’abbandono delle attività primarie, verificatosi in maniera massiccia a partire dalla seconda metà del secolo passato, sta portando a cambiamenti importanti nella struttura degli ecosistemi di prateria e di foresta che sono in buona misura riconducibili e confrontabili con stati pregressi documentabili attraverso reperti storici. Ciò vale, ovviamente, sia per i cambiamenti che generano situazioni negative, sia per quelli che stanno divenendo testimonianza di una ricolonizzazione naturale su ampia scala che riveste uno straordinario valore scientifico. Lo dimostrano, tra l’altro, le ricerche di respiro nazionale e internazionale che si stanno conducendo su:

  • la progressione verso le alte quote, su ex terreni di pascolo, di nuove formazioni forestali,
  • la struttura sistemica dei boschi di neoformazione,
  • le nuove forme di humus che si stanno generando in sistemi arborei di neoformazione,
  • la taratura di indicatori di naturalità agganciati ad ecosistemi la cui struttura compositiva era assolutamente poco nota.

Non va inoltre sottovalutato il fatto che mentre in Europa le foreste vengono sempre più sfruttate, a ovest, in virtù della produttività dei boschi di pianura (es. Polonia, Scandinavia) come a est (Ungheria, Repubblica Ceca, ecc) in ragione dei nuovi e interessanti mercati che si sono aperti in quei Paesi a basso costo di manodopera, i boschi alpini, e soprattutto quelli delle Dolomiti ora sottoposte a candidatura, non sono pressoché più utilizzati e così si stanno rendendo protagonisti di un eccezionale processo ecologico di accumulo di biomassa legnosa epigea e di necromassa ipogea che, oltre agli altri benefici dal punto di vista naturalistico, è universalmente ritenuto fondamentale per lo stoccaggio dell’anidride carbonica. Un aspetto altrettanto importante, che non trova confronti in altri siti del Patrimonio Mondiale, è il recupero di assetti biocenotici equilibrati in un’area, la prima documentata, investita da processi di degrado ecosistemico riconducibili al complesso noto come “piogge acide”. Nell’area del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, intorno al sito protoindustriale della Valle Imperina (estrazione, fusione e lavorazione della pirite e del ferro), vasti lembi di foresta sono stati distrutti per questo motivo già nel corso del XVII e XVIII secolo ed oggi, a quasi cinquanta anni dalla definitiva dismissione delle attività, è testimonianza della lenta evoluzione progressiva dell’ecosistema. Il recupero della natura sugli spazi abbandonati dall’uomo e dalle sue attività ha favorito un altro importante e spettacolare processo, più volte citato nel dossier, cioè il ritorno dei grandi predatori: lince, orso e probabilmente anche lupo. Queste specie stanno infatti progressivamente tornando ad abitare queste montagne ed il fatto può apparire incredibile se si pensa come le Dolomiti, già esse stesse abbondantemente urbanizzate e attraversate da importanti infrastrutture, siano attanagliate in un sistema di territori fortemente antropizzati, di cui la pianura padana, con densità di popolazione tra le maggiori al mondo, costituisce l’elemento più rilevante.

A questo proposito sembra di poter affermare che forse, fra i quattro criteri in base ai quali il bene viene candidato, questo, legato alle dinamiche ecologiche ed ecosistemiche, appare il più delicato sotto il profilo politico e sociale, perché sottende l’opportunità di assicurare un futuro allo svolgimento di processi tanto sensibili e vulnerabili, forse giunti alla fase cruciale. Si pensi, ad esempio, all’orso bruno alpino del Parco delle Dolomiti di Brenta, il cui intervento di restocking sostenuto da iniziative e da finanziamenti internazionali (UE) sulla base di specifici progetti LIFE, sta aprendo interessanti prospettive di consolidamento e di espansione dell’areale della specie, coinvolgendo più province e saldandosi con dinamiche di popolazione osservabili e quantificabili a scala internazionale (Austria, Slovenia). È un processo ecologico che, al pari di quello spontaneo che riguarda la lince, non può essere confrontato con quelli che si realizzano in altre parti del pianeta, sia per la singolarità della specie, tipica e unica di questa regione del globo, sia per le particolarità ecosistemiche, ambientali e sociali dell’ambito dolomitico. Ciò potrebbe valere anche per il gipeto, il quale peraltro è stato reintrodotto in zone attigue (Alti Tauri), ma che è stato più volte osservato nelle Dolomiti, dove il carico di ungulati è tale da qualificare l’habitat rispetto alle sue esigenze. Un po’ tutta la comunità animale è in trasformazione, con incremento, per esempio, di tutte le specie di uccelli rapaci. Anche un buon numero di specie vegetali di lista rossa appare in apprezzabile recupero, prospettiva che richiede, tuttavia, conferme e il rispetto degli habitat più vulnerabili, soprattutto quelli umidi. Si tratta di fenomeni di rinaturalizzazione in contro tendenza rispetto a molte aree del globo nelle quali, purtroppo, le dinamiche sono inverse.

COMPARAZIONE SUGLI ASPETTI BIOCENOTICI ED ECOLOGICI
Per quanto concerne i livelli di biodiversità, l’analisi comparativa prende necessariamente spunto dalle considerazioni già presentate in diverse parti del dossier, nelle quali è stato evidenziato come il patrimonio di specie (anche rare, vulnerabili e iscritte in liste rosse nazionali e internazionali) e di habitat delle Alpi, di cui le Dolomiti costituiscono parte del settore orientale, renda queste montagne una singolarità di rango mondiale per la peculiarità e la specificità della flora e della fauna. Riguardo alla situazione complessiva dei beni UNESCO, si ricorda che esistono 55 aree montane iscritte nella Lista per il Patrimonio Mondiale (fonte: Thorsell J., Advisor S., World Heritage, IUCN and Hamilton L., Vice Chair Mountains, World Commission on Protected Areas. 2002. A global overview of mountain protected areas on the world heritage list. ). In base agli studi globali dell’IUCN, i siti montani sono tra i tre più comuni biomi presenti nella Lista per il Patrimonio Mondiale, assieme alle terre umide ed ai siti marini e costieri.
Le Alpi sono interessate da un’articolata ed estesa rete di aree protette, che certamente nel settore orientale e dolomitico trovano una delle massime concentrazioni ed estensioni. È da segnalare, in questo contesto, la presenza di un parco Nazionale (quello che prende nome dalle Dolomiti Bellunesi), collocato nella categoria IUCN II e inserito come parte qualificata e qualificante tra i beni ora in candidatura.
Le Dolomiti, in particolare, si distinguono sotto il profilo della biodiversità specifica e cenotica da altri siti naturali delle Alpi e dell’Europa continentale per alcuni fondamentali motivi, tra cui:

  • l’area candidata è sede di svariate specie endemiche, che contribuiscono a caratterizzare in modo univoco questo territorio rispetto a qualunque altro distretto.
  • rispetto ad altri territori dell’arco alpino (es. Parco Nazionale Gran Paradiso – Italia; Parc National des Ecrins e Parc National du Mercantour – Francia), ma più in generale della provincia biogeografica di appartenenza e dell’Europa in generale, e con riferimento alla fauna vertebrata, un elemento di grande importanza è costituito dalla coesistenza, in gran parte del territorio candidato, dei quattro tetraonidi, Francolino di monte (Bonasa bonaria) (LINNÉ, 1758), Pernice bianca (Lagopus mutus) (MONTIN, 1776) – presente solo sulle Alpi, sui Pirenei e in Nord Europa, Fagiano di monte (Tetrao tetrix) LINNÉ, 1758, Gallo cedrone (Tetrao urogallus) LINNÉ, 1758 – non presente nelle Alpi occidentali, fatto questo che non si verifica nel settore occidentale delle Alpi e nell’Europa centrale. Si tratta di specie piuttosto rare, in progressiva contrazione demografica in molte parti dell’areale, iscritte in liste rosse e protette sulla base di normative nazionali e internazionali;
  • assolutamente unica è inoltre la presenza dell’orso bruno (Ursus arctos), che in una parte dell’area dolomitica, contrariamente a quanto avvenuto nel resto del territorio alpino, ha sempre conservato una specifica popolazione;
  • importante e distintiva rispetto alle altre montagne del paleartico è poi la presenza dello stambecco (Capra ibex), confinato, come noto, nelle Alpi;
  • l’ambito dolomitico sembra inoltre essere molto importante per i chirotteri montano alpini e anche il quercino Eliomys quercinus non manifesta densità comparabili in altri luoghi del suo areale di distribuzione;
  • una citazione particolare merita infine il re di quaglie (Crex crex), che, ancorché diffuso solo in una piccola parte del territorio candidato, può di certo in questi monti trovare ancora condizioni idonee per la sopravvivenza. Si tratta di una specie molto vulnerabile, assente nell’arco alpino occidentale e nell’Europa centrale;
  • molto rilevante e unico rispetto a numerosi territori europei è infine il fenomeno del ritorno dei grandi predatori (orso Ursus arctos, lince Lynx lynx, sciacallo dorato Canis aureus) che sta interessando l’arco alpino orientale, e le Dolomiti in modo particolare. La dinamica in atto appare straordinaria in relazione ai livelli di antropizzazione del territorio che, con ogni evidenza, accoglie ampi spazi naturali, protetti e ben gestiti, che rappresentano habitat ospitali per queste importanti, rare e vulnerabili specie;
  • sicuramente elevatissima, e con pochi confronti, è la diversità cenotica, derivante dal fatto che sono stati candidati diversi siti, con quote che nei parchi esterni (Dolomiti Bellunesi, Dolomiti Friulane, Monte Corno) sono relativamente basse, tanto da ospitare specie e associazioni vegetali di impronta termofila (submediterranea e prealpino-illirica) che si sommano a quelle di carattere alpico e boreale, più diffuse nei siti interni a clima subcontinentale.

Per quanto concerne la comparazione con altri siti specifici si può rilevare che:

  • Rispetto allo Jungfrau Aletsch – Bietschhorn – Switzerland, i livelli di biodiversità specifica e cenotica sono assolutamente maggiori in relazione alla posizione del distretto dolomitico, terra di confine e cardine fra la Penisola Italiana, i Balcani e l’Europa centrale, e ambito di confluenza tra i rispettivi connotati d’ambiente;
  • sempre rispetto allo Jungfrau Aletsch – Bietschhorn – Switzerland l’interesse zoogeografico è di gran lunga maggiore anche in relazione alle vicissitudini che hanno interessato il territorio dolomitico ai tempi delle glaciazioni e al modo con cui le flore e le faune sono riuscite a superare quegli eventi biologicamente e naturalisticamente sconvolgenti;
  • rispetto al Park National de Plitvicka, in Croazia, nelle Dolomiti sono presenti oltre 100 specie di uccelli nidificanti, contro le 70 segnalate per quella zona. Anche questo fatto è testimonianza della assoluta varietà di ambienti che rende le Dolomiti un patrimonio di varietà biologica ed ecosistemica.

La comparazione con altri siti mondiali è invece molto ardua. Infatti, se in assoluto è possibile che esistano altre località montane provviste della medesima complessità ambientale, di certo esse non potrebbero essere confrontate con gli ecosistemi dolomitici per la ovvia diversità di specie che ne compongono la struttura biocenotica. Varrebbero, in sostanza, le considerazioni riportate all’inizio del paragrafo rispetto alla specificità delle Alpi.

L’integrità delle Dolomiti

Anche in questo caso va anzitutto ribadita la importante eterogeneità di aspetti, e di assetti, che qualifica l’insieme delle Dolomiti. La valutazione dell’integrità dell’insieme va infatti interpretata congiuntamente con quella delle sue singole parti, evitando, se possibile, d’intendere il concetto di integrità con quello di conservazione. Questi due concetti, infatti, pur essendo assai vicini nel caso di beni naturali di questa fatta, sono stati intesi il primo come espressione di completezza degli aspetti che ne giustificano la candidatura per l’uno o per l’altro dei criteri scelti e, al limite, per tutti insieme, mentre il secondo è stato riferito alla assenza di segni evidenti e importanti di un degrado legato al cattivo uso antropico delle risorse naturali. Il richiamo alla presenza dell’uomo, antichissima, diffusa e incisiva in questa parte delle Alpi, è doverosa in quanto ancora va segnalato come naturalità e umanità siano tra loro qui intimamente connesse e integrate, al punto da non poter essere separate nell’esprimere un giudizio né sulla eccezionalità del bene, né, appunto, sulla sua integrità. Va ancora ripetuto che la candidatura delle Dolomiti poteva essere chiesta su di una parte del territorio provvisto delle caratteristiche “dolomitiche” più ampia; la scelta di limitare l’ampiezza del bene candidato alla dimensione che ora si presenta è stata coscientemente presa proprio per evitare possibili interpretazioni negative sulla integrità dei sistemi. Sono state dunque escluse aree con presenza di strutture dedicate al turismo, allo sport, alla ricreazione di entità e di importanza tale da poter essere giudicate “invasive” nei confronti di una parte del bene, ovvero in qualche modo e misura inficianti la sua qualità e la sua completezza. La parte candidata è dunque pur sempre oggetto di presenza (saltuaria) o di gestione umana, ma questa gestione in alcuna maniera ha tolto e toglie significati al bene, né ne riduce la completezza, per alcuno dei criteri per i quali vale la candidatura. È il caso degli aspetti paesaggistici. L’immensità di alcuni scenari, che sono stati dettagliatamente segnalati sistema per sistema, mai viene intaccata da opere, manufatti, strutture artificiali. La gestione tecnica dei sistemi biotici, come le foreste o le praterie, non ha tolto né toglie significato al valore scenico, anzi sempre lo aumenta, rendendo più evidente e lineare il contrasto tra le componenti biotiche ed abiotiche dei sistemi. Là dove il bosco s’insinua tra i ghiaioni, e cede il passo alle rade formazioni di mugo, la selvicoltura mai, o quasi mai, ha interferito coi naturali processi evolutivi, e dunque con le forme e i colori dei macereti basali delle crode, la cui espressione è giusto quella percepibile da ogni punto di visuale. Le rocce, le pareti, gli strapiombi, le altre espressioni più note e ricercate delle Dolomiti, non hanno motivo d’essere intaccate nella loro integrità; nemmeno l’alpinismo d’arrampicata può nuocere alla loro struttura, alle forme, ai messaggi di potenza che esse trasmettono. La ricerca A parte possono, e debbono, essere considerate le vestigia della Grande Guerra. Come s’è visto, tutte le Dolomiti sono state più o meno interessate dai combattimenti, dal passaggio del fronte o dalle retrovie. Numerosi sistemi sono stati teatro di quasi tre anni di battaglie estive e di inverni altrettanto dolorosi. I segni di quegli accadimenti sono ovunque visibili, a volte con espressioni che oggi sembrano spettacolari. Fortificazioni, trincee, gallerie, piazzole, quasi intere città nascoste nella roccia, o nel ghiaccio, come quella che a mano a mano sta emergendo dalle vedrette della Marmolada. Il Monte Piana è esempio tragico di come possa essere trasformata un’intera montagna in fortilizio; il Col di Lana è esempio, invece, di come la morfologia delle cime possa cambiare per l’azione dell’uomo. Da allora nulla è cambiato; sono luoghi della memoria, che portano suggestioni assolutamente dissonanti rispetto a quelle donate dal resto delle Dolomiti, ma altrettanto forti e importanti. Per gli aspetti ecologico - ecosistemici, che sono stati trattati insieme, i ragionamenti sono solo di poco differenti. Le aree cuore contengono habitat di specie animali di buon interesse naturalistico, ma relativamente frequenti ed abbondanti. Il camoscio, tra tutti, è, da sempre, specie ubiquitaria in tutti i sistemi dolomitici, e dell’arco alpino; la recente epidemia di rogna sarcoptica ne sta decimando le popolazioni, con violenza proporzionale alla densità delle popolazioni. Si tratta di un fenomeno ricorrente, che in questi anni assume dimensioni eccezionali a causa della riduzione dei prelievi venatori, o al loro annullamento all’interno dei parchi naturali. La popolazione di stambecco sta aumentando dopo le reintroduzioni avvenute negli anni ‘80, con esemplari provenienti dai quadranti occidentali delle Alpi (Parco del Gran Paradiso). Il Muflone è specie introdotta, e ben acclimatata in alcuni sistemi; non vi è ancora identità di vedute sull’opportunità di interventi di eradicamento. Nulla si può attendibilmente proporre al riguardo della trota iridea, anch’essa aliena alle acque dei torrenti dolomitici. Di esse si tratta nel Piano di Gestione, benché gli attuali equilibri tra specie esotiche e specie locali non paiono costituire minaccia per la continuità delle popolazioni di queste ultime. Assolutamente ampi e disponibili sono infatti i sistemi d’alimentazione, e l’unico pericolo, per altro alquanto lontano, potrebbe essere costituito dai cambiamenti degli assetti compositivi legati al global change. Stabili, e equilibrate con la capacità portante dei luoghi, sono attendibilmente le popolazioni di Aquila reale e quelle degli altri rappresentanti dell’avifauna delle quote più elevate. Per gli altri elementi del sistema animale dolomitico il giudizio di equilibrio, e dunque di integrità, si coniuga indissolubilmente con quello che va formulato nei riguardi delle componenti vegetali, ed in particolare dei boschi e delle praterie. Mentre per i boschi delle fasce tampone si può quasi universalmente sostenere che hanno oggi assetti sostanzialmente aderenti alle condizioni di semi-naturalità, grazie ad una selvicoltura mirata soltanto al controllo sanitario (attenzione alle fitopatie e agli incendi), o all’assoluta mancanza di interventi selvicolturali (riserve integrali dei Parchi, ma anche in altri settori in cui non si hanno possibilità tecniche di intervento), per i pascoli e per i sistemi colturali di prateria vanno segnalate alcune particolarità. Essi sono infatti il secolare risultato del pascolamento o dello sfalcio. Col cessare della convenienza economica di queste pratiche, che erano comunque di mera sussistenza, si sta assistendo ad un lento e progressivo cambiamento degli assetti compositivi, spesso provvisti di pregio di gran lunga inferiore rispetto a quello originario. Molte specie floristiche rare, e importanti ai fini della biodiversità locale, sono minacciate di ulteriore rarefazione a seguito dell’innesco di uno spontaneo recupero dei sistemi verso assetti più naturali. Di qui la necessità di scegliere tra conservazione del valore naturalistico dei luoghi, e delle loro biodiversità, e conservazione delle naturali dinamiche, mirate verso composizioni di scarso pregio, naturalistico e scenico - paesaggistico. Di ciò tratta anche il Piano di Gestione. Circa l’integrità degli assetti geologico, geomorfologico, lito - mineralogico e paleontologico delle Dolomiti il giudizio non può essere che di assoluta invulnerabilità, ovvero di integrità totale. Negli anni passati, tuttavia, si sono registrati episodi di raccolta importante di reperti fossili e mineralogici, anche al di là delle lecite attività di collezione scientifica, presto arginate attraverso l’attivazione di dispositivi legali e regolamentali al proposito e un attento controllo sul territorio. Molte importanti collezioni pubbliche, o accessibili al pubblico, oltre che agli studiosi, sono oggi conosciute a livello mondiale, e frequentate per motivi di studio e di ricerca, grazie anche a queste attività di raccolta. Va altresì segnalato che tutti i sistemi dolomitici, in quanto espressione piena di integrità naturale, vanno considerati autentici nella loro intima struttura ecologica, così come nelle relazioni di carattere ecosistemico, cioè fisico-biologico, che legano ciascuna loro componente. Per tale motivo un sistema naturale si regge e si dimostra stabile nel tempo grazie ai suoi meccanismi endogeni di omeostasi, e non certo per l’intervento colturale dell’uomo. Anche in tal senso si può con assoluta certezza dichiarare l’autenticità dei sistemi dolomitici, ovvero del bene Dolomiti nella sua interezza.

di Franco Viola, Piero Gianolla, Michele Cassol e Cesare Lasen

* Tratto dalla “Convenzione per il Patrimonio Mondiale”