Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 46 - OTTOBRE 2005




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IL SEMINARIO DI CAMERINO

Un incontro per capire a che punto siamo

Da diversi osservatori pervengono segnali contraddittori riguardo la salute del sistema aree protette italiano e sembra prefigurarsi una situazione generale sfavorevole (per non dire preoccupante). Al di là della quantità di territorio italiano interessato da parchi e riserve, che ormai supera ampiamente quella famosa sfida del 10% lanciata negli anni Ottanta da un gruppo di studiosi e ambientalisti coagulatosi attorno al Dipartimento di Botanica ed Ecologia dell’Università di Camerino, è auspicio comune che le aree protette non solo continuino ad esistere sulla carta ma sempre più divengano un modello di sviluppo intelligente (e quindi sostenibile), atto a garantire la tutela e la valorizzazione delle risorse naturali e culturali, riproducibile in gran parte del territorio nazionale. La stessa Convenzione Europea del Paesaggio, predisposta dal Consiglio d’Europa nel 2000, consacrando, politicamente, concezioni già ampiamente elaborate a livello scientifico e culturale, anche in contrasto con le pratiche paesistiche più largamente diffuse, lancia alcune sfide che hanno molto a che vedere con le sfide di qualità territoriale cui le politiche dei parchi dovrebbero concorrere. Con queste premesse (esaustivamente articolate nel documento introduttivo di Roberto Gambino), nel dicembre 2005, presso l’Università di Camerino si sono incontrate tutte quelle forze (afferenti al mondo della professione, dell’amministrazione, della ricerca scientifica e della formazione) che hanno sinora contribuito (e possono ancora farlo) a orientare, supportare e argomentare politiche, strategie e misure per le aree protette. Forze provenienti da organismi e associazioni che operano a livello locale ed internazionale: Federparchi, Associazione Comuni dei Parchi, Compagnia dei Parchi, AIDAP (Associazione Italiana Direttori Aree Protette); PROCEP (Progetto per l’attuazione della Convenzione Europea del Paesaggio); OPE (Osservatorio Parchi Europei), EUROPARK, Cittamica, Legambiente Nazionale, WWF Italia, CED Ppn (Centro Elaborazione Dati sulla Pianificazione dei parchi naturali); Master universitario di II livello in “Pianificazione e gestione delle aree protette” - Università di Camerino; Hispa (Scuola di alta formazione per la pubblica amministrazione delle aree protette); IVP (International Visitor Program Usa, 1999). Come ha ricordato Renzo Moschini, nei documenti preparatori al Seminario, Camerino evoca, specialmente per chi da anni si occupa di queste problematiche, una “lunga fase di impegno politico-culturale che ha profondamente segnato l’intera stagione di costruzione di un sistema di parchi e di aree protette nel nostro paese. Sono stati gli anni della rivendicazione, della proposta ed anche del sostegno ad un modello di parco che ha lasciato il posto ad una visione molto più aperta e disponibile alle novità non soltanto normative che avrebbero contrassegnato la nuova fase avviata prima dalle regioni e poi dalla legge quadro del 1991”. Oggi, anche quella fase si avvia ad essere in qualche modo superata per la nuova dimensione europea e internazionale in cui anche le nostre aree protette sono chiamata ad agire: il richiamo alla Convenzione Europea del Paesaggio ne è la conferma. Da questo incontro (e quindi ancora una volta da Camerino) ci si attende una riflessione che vada oltre “la sfida del 10%” ma che abbia la sua stessa roboanza ed autorevolezza; un segnale capace di toccare tutti i saperi pratici e quotidiani della creatività sociale, in un momento in cui “non si avvertono entità carismatiche impegnate a tracciare rotte” (Mariano Guzzini).

Riflessioni sul questionario

I lavori hanno dunque preso le mosse da un questionario che, preventivamente, era stato inviato a tutti i relatori e che toccava i seguenti punti:

  1. il definitivo superamento delle concezioni “insulari” delle aree protette, basato sul riconoscimento che esse fanno parte integrante di più vasti sistemi ecologici, economici, sociali e culturali impone nuove politiche e l’adozione di misure specifiche, più fini e articolate. Qual è il livello della sperimentazione e della concreta attuazione in questa nuova direzione?
  2. quali cambiamenti induce nelle politiche per le aree protette la svolta impressa dalla Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, ottobre 2000) ed in particolare il ripensamento del significato del patrimonio paesistico e dei suoi rapporti con il territorio?
  3. diverse dinamiche trasformative caratterizzano i territori della maggior parte delle aree protette e inducono politiche di valorizzazione che vanno dalla riqualificazione delle forme di abitabilità del territorio all’assecondamento dei processi di rinaturalizzazione. Quali modalità valutative ed interpretative si rendono necessarie per intervenire in questi scenari di mutamento e transizione ?
  4. si riscontra, da un’attenta analisi delle prime esperienze di pianificazione dei parchi, un’elevata difficoltà di attuazione di opzioni gestionali in grado di contemperare conservazione delle risorse e sviluppo socio-eonomico in assenza di una convinta partecipazione degli attori pubblici locali. Come pervenire ad una reale gestione partecipativa ?
  5. l’obiettivo centrale dell’integrazione delle politiche e delle azioni strategiche nei processi di governo del territorio risulta spesso offuscato da rapporti di subordinazione gerarchica o di sostitutività della pianificazione delle aree protette rispetto a quella ordinaria. Come superare ogni forma di sterile separatezza ?
  6. in quale modo la pianificazione ordinaria e specialistica può contribuire alla formazione di un sistema dei parchi per l’intero territorio nazionale e europeo?

Sviluppi della discussione

In sintesi, possono essere raccolti in 7 punti gli sviluppi della discussione che ne è seguita favorendo l’evidenziazione degli intrecci e delle complesse interrelazioni tra le diverse questioni, prendendo atto che questo primo incontro è servito soprattutto a delineare percorsi di approfondimento e di ricerca e non certamente a dare risposte definitive ai quesiti posti:

1) Pensare e agire per reti riconoscendo ai parchi il ruolo di “nodi eccezionali”
E’ necessario contrastare, più efficacemente, i processi di frammentazione ecosistemica e di degrado paesistico e ambientale, promuovendo – soprattutto con l’azione regionale - la messa in rete delle risorse, l’integrazione delle aree protette nel contesto territoriale, e la realizzazione delle reti di connessione biologiche e culturali, con particolare riguardo per le fasce fluviali, le fasce costiere e i grandi demani forestali. L’attenzione verso le reti (di tipo biotico o abiotico) non deve far passare in secondo piano il ruolo centrale delle aree protette (Bernardino Romano) e la mission dei parchi (Antonio Nicoletti) intesi anche come motori di sviluppo sostenibile, laboratori di sperimentazione e di ricerca, luoghi istituzionali di aggregazione sovracomunale (Giuseppe Tarallo). Il valore nodale dei parchi dovrà anche essere opportunamente socializzato (Antonio Canu);

2) Facilitare visioni interdisciplinari e attivare politiche di sistema
Interpretazioni olistiche ed interdisciplinari, in grado di superare steccati e chiusure asfittiche tra il mondo delle scienze naturali e quello delle scienze sociali sono il supporto di ogni processo decisionale nel governo di aree caratterizzate dalla compresenza di risorse naturali e culturali. La lettura degli aspetti più soggettivi e percettivi legati all’agire umano, i diversi immaginari e l’immateriale sono al centro delle politiche per i parchi (Carlo Alberto Graziani) e possono facilitare, sulla base di un forte coinvolgimento inter-istituzionale, l’attivazione di politiche di sistema e gli accordi di programma già previsti dalla L.426/98;

3) Migliorare la qualità complessiva dei territori anche attraverso i parchi
“Le sfide della qualità” non riguardano tanto o soltanto le condizioni ambientali interne ai parchi, ma quel che i parchi possono fare per migliorare la qualità complessiva dei territori in cui sono ospitati (Mariano Guzzini). E’ questa qualità complessiva – che deriva da un insieme di fattori interagenti “naturali” e “culturali”, economici e sociali – che determina non solo le condizioni di vivibilità delle popolazioni ivi insediate, ma anche le possibilità di attivare processi di autentica “valorizzazione” territoriale e quindi di sviluppo durevole e sostenibile. Si profila quindi un’interazione che assume evidenza particolarmente alla scala locale, ove i parchi possono concorrere in misura notevole all’arricchimento del patrimonio naturale-culturale su cui si basa la qualità del territorio e, inversamente, la qualità complessiva del territorio può influenzare positivamente le condizioni ambientali ed il futuro dei parchi (Roberto Gambino). Lo sviluppo del turismo offre ottimi esempi, sia in positivo che in negativo (attraverso “circoli virtuosi o perversi”), di questa interazione: i parchi possono diventare, per suo tramite, veri e propri “motori di sviluppo”, ma anche subire a loro volta le conseguenze negative di un aumento dei livelli di pressione, congestione, disturbi e interferenze che il contesto territoriale esercita su di essi. Probabilmente, le politiche per i parchi vanno agganciate non solo alle misure per la tutela delle biodiversità e delle risorse essenziali della natura e della cultura ma anche ai tavoli tecnici per le grandi scelte, per l’uso strategico dei finanziamenti. Il parco in quanto istituzione portatrice di cultura e d’innovazione nelle modalità di governo del territorio non potrà declinare ad altri il compito di costruire un nuovo benessere basato su un’idea diversa della qualità della vita, che “metta ciascuno in condizione di affrontare senza angosce quest’epoca di mutazione” (Mariano Guzzini);

4) Territorializzare la questione ambientale
Dinamiche trasformative molto attive hanno interessato, negli ultimi decenni, l’intero territorio incrinando, spesso irreversibilmente, i preesistenti equilibri, cancellando le dense trame delle antiche articolazioni produttive e i segni diffusi del lavoro della terra. Le spinte omologatrici che hanno investito la campagna hanno intaccato e spesso “banalizzato” i paesaggi agrari ereditati da secoli di storia, smantellandone i reticoli ecologici (fossi, canali, siepi ed alberate, ecc.), presidio prezioso della diversità biologica e della stabilità ecosistemica (Roberto Gambino). Lungo le coste (basti pensare alla vicina fascia adriatica), oppure in coincidenza con le principali basse valli fluviali (nel loro andamento ortogonale alla costa), una crescita turistico residenziale che si giustappone a impianti industriali e commerciale intervallati dalle ultime tracce di antichi residui rurali ha ormai intaccato quasi ovunque il rapporto complesso, ecologico e paesistico, tra la terra e il mare (o tra la terra e il fiume) con effetti pervasivi assai pesanti. In molte aree rurali abbandonate, ora sede della città diffusa, s’incastonano spesso habitat di qualità in flebile contatto con aree interne a più elevata naturalità (Maria Luisa Calimani). Per intervenire efficacemente in queste realtà, così diffusamente intrecciate, si rende necessario fecondare più incisivamente, a tutti i livelli, le politiche urbanistiche e le scelte relative ai processi di insediamento e di sviluppo infrastrutturale, con le istanze di tutela e valorizzazione del patrimonio naturale, paesistico e culturale. Per certi versi ciò significa affrontare la questione ambientale “ripartendo dalle città” (Piergiorgio Bellagamba) o meglio dall’intero territorio come esorta la Convenzione Europea del Paesaggio nella parte in cui sancisce l’obbligo di estendere l’attenzione a tutto il territorio, considerando “sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia i paesaggi della quotidianità, sia i paesaggi degradati”, affermando così una concezione assai diversa da quella fondata sull’attenzione per le sole eccellenze. Ciò significa anche incidere sul progetto territoriale non solo in forma difensiva (con forme di tutela passiva) ma con proposte di assetto complessivo (Piergiorgio Bellagamba), fermo restando che usare la parola vincolo non deve apparire uno “scandalo” (Luisa Calimani);

5) Sancire definitivamente la stretta relazione tra le politiche per le aree protette e quelle per il paesaggio
E’ difficile rintracciare nelle esperienze di ricerca e pianificazione guidate dal paradigma ecologico la considerazione esplicita di quei sistemi complessi di relazioni socioeconomiche e culturali che hanno strutturato nel corso della storia o che tuttora strutturano il territorio. D’altra parte, né l’interpretazione estetica della tradizione italiana né quella semiologica sembrano in grado di cogliere l’essenza della territorialità del paesaggio (Roberto Gambino). Sembra evidente che le interpretazioni paesistiche e quelle strettamente ecologiche debbono affiancarsi in un percorso di mutua dipendenza. Si rende necessario promuovere politiche incisive di conservazione, gestione e innovazione paesistica al fine di assicurare la tutela e la valorizzazione diffusa dell’intero territorio. La Convenzione Europea del Paesaggio, in quanto disegno politico ancor prima che strumento giuridico, può avviare il percorso di attuazione proprio da questi eccezionali nodi paesistico-territoriali rappresentati dai parchi (Riccardo Priore), dando concretezza a quel ponte di collegamento tra parchi e paesaggio; un ponte la cui solidità è già stata variamente saggiata nei dibattiti e nelle elaborazioni che hanno accompagnato e seguito la firma della Convenzione; un ponte che può essere utilmente attraversato in ambo i sensi al fine di porre le politiche dei parchi al servizio di strategie complessive per la qualità ambientale dell’intero territorio (Roberto Gambino). Da un lato infatti “i parchi –in particolare i parchi italiani, in gran parte classificati a livello internazionale come “paesaggi protetti” – sono chiamati a svolgere un ruolo estremamente importante, non solo in quanto custodi di un patrimonio paesaggistico di eccezionale rilevanza, ma anche e soprattutto in quanto espressione di nuove soggettività territoriali e di apparati istituzionali di governo particolarmente idonei a perseguire gli obiettivi di qualità attraverso la partecipazione attiva delle popolazioni interessate (Paolo Castelnovi). In questo senso i parchi possono essere pensati come laboratori di estremo interesse per la ricerca di qualità. Nel contempo le politiche del paesaggio estese, come raccomanda la Convenzione, all’intero territorio, possono contribuire in misura considerevole a migliorare l’efficacia delle misure di protezione dei parchi, riducendo i rischi del loro isolamento e potenziandone la capacità d’irraggiamento sul contesto territoriale” (Roberto Gambino);

6) Attivare processi in grado di coinvolgere le comunità locali
La gestione efficace dei parchi e delle aree protette, al fine di diffonderne i benefici sull’intero territorio e valorizzarne il ruolo competitivo, richiede la cooperazione di tutti i soggetti istituzionali coinvolti e la massima responsabilizzazione delle comunità locali (Carlo Alberto Graziani). La rappresentazione delle popolazioni residenti non potrà essere esclusivamente di tipo “sindacale” (Giuseppe Rossi). Gli enti parco potrebbero avere un ruolo speciale nell’azione di coinvolgimento delle popolazioni ed essere efficaci in quegli ambiti in cui spesso i comuni non hanno avuto successo (Paolo Castelnovi). Peraltro, la stessa Convenzione Europea del Paesaggio, con particolare determinazione riconosce il significato complesso del paesaggio in quanto “parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”, e “componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità”. Il sistematico riferimento agli attori coinvolti nella definizione e nella realizzazione delle politiche paesaggistiche invita a tener conto, anche per quanto concerne la valutazione delle risorse paesaggistiche, “dei valori specifici che sono loro attribuiti dai soggetti e dalle popolazioni interessate” e le conseguenti procedure di consultazione e partecipazione”. Questo approccio è stato già tradotto, nel mondo delle aree protette, nel nuovo paradigma lanciato nel 2001 da A. Phillips (presidente dell’IUCNWCPA), divulgato e sviluppato nella Conferenza mondiale di Durban nel settembre 2003. Tra le nuove parole d’ordine compare infatti: “lavorare con, per e mediante le comunità locali”. Tutto ciò dovrebbe impegnare i soggetti interessati ad ampliare gli spazi di partecipazione attiva delle comunità locali (invito esteso dalla Convenzione alle “popolazioni Interessate”) nella conservazione del patrimonio naturale e culturale e in particolare nella gestione e nella pianificazione delle aree protette, secondo gli orientamenti internazionali, sperimentando modalità di coinvolgimento degli attori locali, anche utilizzando esperienze già consolidate, come ad es., i percorsi di Audit e Forum di “Agenda 21” (Domenico Nicoletti);

7) Condurre a buon fine impegni assunti in ambito nazionale ed internazionale
Se la conservazione della natura ed in particolare della biodiversità costituisce parte integrante della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e del patrimonio culturale, se le aree protette e, più in generale, il paesaggio sono strumenti indispensabili per la conservazione della natura e della biodiversità, del patrimonio culturale e dei valori identitari e per la promozione della qualità ambientale e dello sviluppo sostenibile a tutti i livelli (da quello locale e regionale a quello nazionale e internazionale), è auspicabile che lo Stato Italiano profonda maggiore impegno nelle politiche nazionali ed internazionali rivolte in questa direzione, con particolare riguardo per gli accordi già in vigore. Ciò significa porre in atto una organica politica per la conservazione della natura, coordinata con quelle per il paesaggio e per il patrimonio culturale e fondata sulla utilizzazione coerente di una pluralità di strumenti, quali la Carta della Natura, il Piano nazionale per la biodiversità, la Rete ecologica nazionale, le diverse forme di attuazione della Convenzione Europea per il Paesaggio e il sistema nazionale complessivo delle aree protette.

Indicazioni programmatiche
AREE PROTETTE, BIODIVERSITA’ E DIRITTI DEGLI ANIMALI
(secondo gli auspici del Seminario di Camerino, 12/12/05)

PRINCIPI ISPIRATORI

  1. la conservazione della natura ed in particolare della biodiversità costituisce parte integrante della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e del patrimonio culturale, ai sensi degli arttt. 9 e 117 della Costituzione, insostituibile risorsa competitiva e base imprescindibile dello sviluppo economico e sociale del paese;
  2. i parchi e le aree protette sono strumenti indispensabili per la conservazione della natura e della biodiversità e per la promozione della qualità ambientale e dello sviluppo sostenibile a tutti i livelli, da quello locale e regionale a quello nazionale e internazionale;
  3. la gestione efficace dei parchi e delle aree protette, al fine di diffonderne i benefici sull’intero territorio e valorizzarne il ruolo competitivo, richiede la cooperazione di tutti i soggetti istituzionali coinvolti e la massima responsabilizzazione delle comunità locali.

PROPOSTE PROGRAMMATICHE

  1. impegno internazionale: è necessario potenziare l’impegno del paese nelle politiche europee ed internazionali per la conservazione della natura, la difesa della biodiversità e la sicurezza del territorio, con particolare riguardo per le direttive e gli accordi già in vigore;
  2. politica nazionale: è necessario porre in atto una organica politica nazionale per la conservazione della natura, coordinata con quelle per il paesaggio e per il patrimonio culturale e fondata sulla utilizzazione coerente di una pluralità di strumenti, quali la Carta della Natura, il Piano nazionale per la biodiversità, la Rete ecologica nazionale, il sistema nazionale complessivo delle aree protette;
  3. politiche di sistema: è necessario attivare, sulla base di un forte coinvolgimento inter-istituzionale, le politiche di sistema e gli accordi di programma già previsti dalla L.426/98, quali il Progetto per l’Appennino (APE), i progetti per l’attuazione della Convenzione delle Alpi, il Piano per la gestione integrata delle coste;
  4. messa in rete: è necessario contrastare più efficacemente i processi di frammentazione ecosistemica e di degrado paesistico e ambientale, promuovendo – soprattutto con l’azione regionale- la messa in rete delle risorse, l’integrazione delle aree protette nel contesto territoriale, e la realizzazione delle reti di connessione biologiche e culturali, con particolare riguardo per le fasce fluviali, le fasce costiere e i grandi demani forestali;
  5. politiche urbanistiche: è necessario, anche ai fini di cui sopra, fecondare più incisivamente, a tutti i livelli, le politiche urbanistiche e le scelte relative ai processi di insediamento e di sviluppo infrastrutturale, con le istanze di tutela e valorizzazione del patrimonio naturale, paesistico e culturale, evitando il sistematico ricorso alle deroghe e l’inaccettabile trasferimento delle responsabilità decisionali dalle istituzioni pubbliche agli operatori privati;
  6. politiche di prevenzione: è necessario fronteggiare più efficacemente le criticità ed i rischi ambientali (sismici, vulcanici, idrogeologici, inquinologici ecc.) spostando drasticamente l’asse degli investimenti pubblici dalle azioni di riparazione, risarcimento o di nuovi interventi alle politiche di prevenzione sistematica e di utilizzazione saggia e prudente del capitale territoriale;
  7. parchi e aree protette: è necessario potenziare – anche mediante le priorità nei finanziamenti pubblici - il ruolo delle aree protette come motori di sviluppo sostenibile, laboratori di sperimentazione e di ricerca, luoghi istituzionali di aggregazione sovracomunale;
  8. aree marine e coste: è necessario integrare coerentemente la disciplina delle aree marine protette con quella delle fasce costiere, evitando separazioni e incoerenze nelle politiche di gestione;
  9. parchi e paesaggio: è necessario promuovere, con particolare riferimento ai territori interessati dai parchi, politiche incisive di conservazione, gestione e creazione paesistica coerenti con gli indirizzi della Convenzione Europea del Paesaggio, al fine di assicurare la tutela e la valorizzazione diffusa dell’intero territorio;
  10. partecipazione e cooperazione: è necessario ampliare gli spazi di partecipazione attiva delle comunità locali nella conservazione del patrimonio naturale e culturale e in particolare nella gestione e nella pianificazione delle aree protette, secondo gli orientamenti internazionali.

di Massimo Sargolini
Dipartimento di Progettazione e Costruzione dell'Ambiente Università di Camerino