Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 47 - FEBBRAIO 2006




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Alpi

L’Impronta Ecologica delle Regioni Alpine.

Uno studio dell’Istituto per le Ricerche Economiche e Sociali del Piemonte tra Italia Francia e Svizzera.

L’importanza di valutare quanto le nostre azioni siano invadenti e distruttive e si ripercuotano a livello locale e globale sull’ambiente e sulla qualità della vita presente e futura è data non tanto dal puerile esercizio di delineare catastrofici scenari per oggi e domani, quanto dalla reale necessità di capire quali aspetti del nostro agire vadano rapidamente modificati e corretti. Per questo motivo hanno particolare interesse gli indicatori sintetici (Impronta ecologica, Emergia e Material Flow Accounting) che forniscono una misura leggibile dell’erosione del capitale naturale e dei servizi da esso erogati in relazione ai diversi campi di azione, diversamente da quanto fanno i più classici indicatori analitici DPSIR (Determinanti, Pressione, Stato, Impatti, Risposte) che misurano invece alcuni specifici impatti ambientali. La differenza è sostanziale perché nel primo caso, pur a fronte di un processo di calcolo non semplice, si ottiene un’indicazione socio-economica facilmente leggibile, nel secondo invece si ottiene una lettura non immediata quasi esclusivamente degli impatti scientificamente misurabili (ovvero legati a parametri fisici o chimici).
E’ da sottolineare inoltre come il concetto di “impatto ambientale” trattato dagli indicatori DPSIR sia parziale e spesso avulso dal contesto territoriale. Da un lato si limita, infatti, a ciò che è misurabile (mentre molti impatti non lo sono), e, dall’altro, non tiene conto delle capacità di carico socio-demografico ed economico del territorio in questione.
Questo non significa che gli indicatori DPSIR, il cui utilizzo è ormai largamente diffuso (basti pensare ai molti numeri prodotti dalle ARPA), non siano utili per esempio alla risoluzione di specifici impatti o problemi ambientali, permettendo in molti casi di individuarli e fornendo indicazioni preziose per una adeguata risposta tecnica, politica ed amministrativa a livello locale. Tuttavia gli indicatori della “classe” dell’Impronta Ecologica, forniscono una indicazione generale che tiene conto del territorio in questione, della sua capacità di carico, della sua realtà socio-economica, e risultano quindi uno strumento molto più adatto per orientare le politiche e le strategie future di sviluppo, intervenendo su settori e attività che determinano un eccessivo utilizzo di risorse.
Proprio per questo motivo, l’interesse della classe politica verso questi indicatori dovrebbe essere molto più alto di quanto non sia attualmente. Sarebbe infatti meglio dimenticare la troppo abusata e biascicata “sostenibilità”, il cui significato non sempre pare chiaro, per tornare alle più semplici parole che Platone scrive nei Dialoghi in merito al dimensionamento delle Polis: “ […] il territorio ha una estensione sufficiente quando è in grado di alimentare un certo numero di cittadini entro i limiti di un medio tenore di vita […] ” : ciò che appunto l’impronta ecologica permette almeno in parte di quantificare.

Casi studio:
Piemonte, Rhône-Alpes e Svizzera
L’IRES (Istituto Ricerche Economico Sociali) Piemonte ha pubblicato di recente, nell’ambito del Progetto Interreg III B Spazio alpino “MARS”, uno studio molto interessante che fornisce un accurato calcolo dell’impronta ecologica per tre importanti aree delle Alpi: la Regione Piemonte, la Regione francese Rhône-Alpes e la Svizzera.
L’istituto piemontese ha messo a punto un modello matematico che tiene conto dell’intero “metabolismo” dell’area considerata, ovvero che permette di quantificare l’intero insieme dei flussi di terreno ecologicamente produttivo che caratterizzano una economia: la superficie ecologica (nome proposto dallo studio stesso). Di tale valore totale, la parte imputabile alla produzione di beni e servizi destinata alla domanda finale locale coincide con l’impronta ecologica definita da Wackernagel e Rees (centrata sui consumi della popolazione residente), la porzione necessaria a sostenere l’insieme delle attività produttive presenti in loco si identifica in una misura che è stata proposta in parallelo da diversi autori (Bagliani, in lavori del 2002 e 2003 la chiama ecological burden, mentre Wackernagel et al. in un lavoro del 2004 propongono il nome di ecological footprint of production) e le altre parti possono essere identificate come flussi connessi, in modi diversi, alle importazioni, alle esportazioni e agli scambi interni di superficie ecologica tra i vari settori.
Tramite questo calcolo, il consumo ecologico di terra pro capite per le tre grandi aree prese in considerazione è risultato rispettivamente: 5,28 gha (global hectars) per il Piemonte, 5,96 gha per la Svizzera, e ben 7,3 gha (calcolati invece con metodo tradizionale dell’impronta ecologica) per Rhône-Alpes.
Il fatto di essere con il Piemonte i “primi” di questa classe non è certo rassicurante se il dato numerico viene confrontato con la media nazionale italiana di 4,0 gha che compare nel “National Ecological Footprint – 2005 edition” dell’ European Environment Agency, basata su dati del 2002; e diventa decisamente allarmante se si considera che la biocapacità del pianeta (misura della capacità di erogazione di servizi ecologici), in continua diminuzione, è attualmente scesa sotto i 2,0 gha pro capite. Neppure può consolare più di tanto che il valore proposto dallo studio piemontese per la Svizzera sia 1,26 gha più alto di quello che compare nel rapporto dell’Agenzia Europea: il divario è dovuto essenzialmente alla completezza e sistematicità del modello di calcolo messo a punto dall’Ires. Se tuttavia l’ordine di grandezza del divario fosse la stessa per il Piemonte, si potrebbe quantomeno supporre che l’impronta piemontese non si discosti troppo dalla media nazionale, evidentemente sottostimata dall’Agenzia Europea.
Tenendo infatti presente che l’impronta ecologica vorrebbe quantificare tutte le variazioni di origine antropica dei cicli ecologici, e che la procedura di calcolo riesce a valutarne solo una parte, è chiaro che i valori calcolati esprimono sempre una stima per difetto del valore reale.
Alla luce di questa osservazione risulta decisamente più preoccupante il valore della regione francese (oltre i 7 gha) che si discosta decisamente dalla media nazionale pur essendo calcolato con il metodo tradizionale. Lo studio dell’Ires propone anche un’analisi dell’impronta per tipologia di terreno, secondo le sei categorie utilizzate dalla World Conservation Union: terreno per l’energia (superficie necessaria per produrre in modo sostenibile l’energia utilizzata), l’agricoltura (superficie arabile per la produzione di tutti i prodotti di origine agricola), i pascoli (allevamento), le foreste (legname), l’edificato (abitazioni, infrastrutture, etc…) ed il mare (risorse ittiche).
In tutte le tre regioni alpine considerate gran parte dell’impronta è da imputarsi a consumi diretti e indiretti di energia: il 51,3% del totale per la Svizzera, il 69,8% per il Piemonte e ben il 75,5% per Rhône-Alpes. Tali dati sono significativi per comprendere quanto sia energivoro il nostro sistema di vita e su come il problema energetico vada al di là della disponibilità di risorse e dei metodi di produzione.
Curiosa coincidenza è che proprio le aree alpine in questione siano le uniche a non aver ratificato, tra gli altri, il protocollo Energia della Convenzione delle Alpi. Sarebbe interessante avere qualche dato sulle aree austriaca, tedesca e slovena, che paiono più attente alla politica energetica, per poter fare un raffronto diretto.
La suddivisione in funzione dei settori economici produttivi del “grande piede” con cui calpestiamo il mondo (proposta solo per Piemonte e Svizzera) evidenzia altre sorprese interessanti. La più eclatante è il contributo del settore alimentare che spicca sugli altri, costituendo ben il 14,6% dell’impronta per il Piemonte ed addirittura il 19,5% per la Svizzera.
Andando ad analizzare tale componente, in entrambi i casi, solo una precentuale intorno al 25% è di provenienza locale. Questo a testimonianza che l’educazione all’alimentazione è cosa tutt’altro che assodata. I numeri sembrano infatti indicare che, da un lato, mangiamo troppo, e dall’altro, mangiamo ancora troppi prodotti non locali. Tutto ciò, nonostante la crescente attenzione e cultura del settore alimentare e la positiva “moda” dei prodotti tipici locali, che evidentemente non sono ancora in grado di incidere sui grandi numeri.
Dall’analisi import-export risulta poi evidente come sia la Svizzera che il Piemonte siano dei voraci importatori di capitale ecologico. Una realtà confermata dal calcolo del deficit di superficie ecologica (pari alla differenza tra l’impronta ecologica e la biocapacità della regione): una misura della parte di impronta ricadente fuori dal territorio regionale, ovvero un indice del contributo all’impoverimento del capitale naturale del pianeta da parte della regione in questione. Tale deficit risulta essere 4,18 gha pro capite per il Piemonte e 5,09 gha pro capite per la Svizzera.
In sintesi il quadro generale che risulta dallo studio è negativo e preoccupante sotto il profilo della “sostenibilità ecologica”. Una conclusione che porta inevitabilmente a riflettere, da un lato, sull’importanza di portare avanti l’ambizioso progetto intrapreso con la Convenzione delle Alpi (primo trattato internazionale per lo sviluppo sostenibile di un massiccio montano), dall’altro, di rendere tale processo operativo ed efficace affinché acquisti maggior forza e credibilità. Per far questo è necessario un serio ed effettivo impegno politico per le Alpi da parte di tutti i paesi interessati dalla Convenzione, nonché lo sviluppo di strategie concrete che prevedano con precisione tempi ed obiettivi da raggiungere (ad esempio proprio in termini di abbattimento dell’impronta ecologica).

Aree Protette e Impronta
Ecologica
Come si può utilizzare l’impronta ecologica in un parco? Ha senso calcolarla per un’area protetta? La situazione sarà uguale al resto del territorio?
Le risposte restano relativamente aperte, dal momento che non sembra essere stata fatta alcuna esperienza concreta di calcolo dell’impronta ecologica di chi risiede nelle aree protette; si può tuttavia congetturarne interesse e significatività in alcune aree significative per densità di abitanti ed attività umane, ove siano disponibili dati sufficienti. Si potrebbe così verificare se e quali differenze rispetto ad aree limitrofe sono riscontrabili e vedere quali di esse cono collegabili con l’efficacia educativa e operativa del parco in diversi settori.
Un buon esempio di realtà test in Piemonte potrebbe essere il Parco del Po Alessandrino Vercellese, che ha operato per un miglioramento della qualità ambientale prodotta dalle differenti attività sul suo territorio, attraverso processo di certificazione ISO 14000 per vedere se e come questo possa riflettersi sull’impronta ecologica dell’area. Sarebbe interessante valutare per esempio la differenza di contributo all’impronta ecologica del consumo di un prodotto locale, e di quello di un prodotto commerciale proveniente da lontano. Uno studio condotto anni fa dal Parco Nazionale dello Stelvio aveva mostrato come la preparazione di un piatto a base di ingredienti locali avesse un costo energetico pari a circa un quinto della preparazione di un piatto a base di prodotti acquistati nel classico circuito commerciale.
L’impronta ecologica resta in ogni caso per le aree protette, soprattutto un efficace strumento per educare e far pensare, grazie alla filosofia che ne è alla base: non contate le teste degli altri, ma misurare i vostri piedi. Una vera rivoluzione dell’approccio classico al problema demografico.
Proprio per questo motivo, già il documento “Ripensare i parchi nazionali per il 21° secolo” con cui il National Park Service nel 2001 rivedeva strategie, ruoli, compiti e obiettivi dei parchi nazionali americani per il nuovo secolo, portando in prima posizione il ruolo educativo e culturale dei parchi, faceva esplicito riferimento all’impronta ecologica quale concetto essenziale per la promozione e la diffusione di attenzione alla sostenibilità ambientale.

di Giulio Caresio