Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 48 - GIUGNO 2006




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ALTA MURGIA IL GIARDINO DI PIETRA

Tra spietramenti e biodiversità, la travagliata storia di un territorio ricco di testimonianze, con un futuro in bilico tra sfruttamento dissennato e conservazione attiva. La recente istituzione a parco non può che favorire la seconda.

«L’Italia dovrebbe andare orgogliosa dei suoi parchi nazionali e regionali… In pochi paesi al mondo, infatti, c’è una compresenza di emergenze naturalistiche insieme a siti storici, archeologici, culturali, così ricca e variegata. Un caleidoscopio di biosfera e antroposfera, dove tradizioni secolari s’intrecciano con paesaggi affascinanti, frutto del lavoro e dei “saperi” di tante generazioni. Dove beni ambientali e beni culturali si tengono per mano e ci restituiscono la poesia del paesaggio, l’armonia delle linee verticali e orizzontali, frutto di una profonda conoscenza della natura, di un interscambio consapevole dei cicli vitali e dei limiti dell’umano. Un patrimonio inestimabile, né quantificabile né vendibile (...”cartolarizzabile”), che dovrebbe non solo essere difeso e protetto, ma divenire punto di riferimento per tutto il territorio». (Tonino Perna)
Prologo
Una delle ragioni che rese necessaria una legge nazionale per tutelare le aree protette del nostro paese fu l’idea di “fermare il tempo” su luoghi, opportunamente circoscritti, di particolare bellezza e ricchezza ambientale e di farne, in qualche modo, degli scrigni, contenitori di habitat naturali e biodiversità ormai perduti nel resto del territorio.
Luoghi che avrebbero potuto “rinascere”, nello spirito del legislatore, come laboratori di una nuova idea di sviluppo compatibile con il paesaggio e l’ambiente naturale. Quindi all’interno di un modo nuovo di concepire il rapporto tra cittadini e natura, fino ad allora improntato sull’utilizzo selvaggio e sconsiderato del territorio da parte dei suoi abitanti.
Lo spirito del legislatore, però, ha, come è ovvio, dovuto fare i conti con chi si è avvicendato nel governo centrale e periferico, dalla promulgazione della legge in poi. E quindi, se il centrosinistra, durante la legislatura 1996-2001, ha potuto assicurare un potenziamento delle possibilità e opportunità di tutte le aree protette e garantire la nascita di nuovi Parchi nazionali, vedi l’Alta Murgia, negli ultimi cinque anni il Governo di centrodestra ha rimesso in discussione tutti gli elementi portanti della stessa Legge, ne ha dato interpretazioni al limite dell’illegittimità, ha cercato in ogni modo e attraverso strade indegne, di modificarne il senso generale.
Nello stesso tempo e con gli stessi dubbi di legittimità, ha occupato, con personaggi di dubbia consistenza ed esperienza, ogni posto disponibile. E sull’altare di questa occupazione è stata sacrificata qualsiasi necessità o emergenza venuta dai territori protetti. Il Parco dell’Alta Murgia non è stato immune dall’occupazione dell’ente di gestione. Conclusosi il braccio di ferro durato anni tra tutti gli interessi in campo, con difficoltà il Parco tenta un percorso per l’avvio del proprio sviluppo.
Tutti questi anni passati a giocare a rimpiattino, purtroppo non hanno “fermato il tempo” nel territorio dell’Alta Murgia, e dunque, ciò che era allora, oggi non è più.
Lo spietramento ha trasformato il territorio, le discariche abusive di sostanze tossiche, un vero e proprio affare per la delinquenza organizzata, hanno reso i terreni nocivi. Modificandone la biodiversità, l’abusivismo edilizio ha fatto nascere costruzioni laddove non ne potevano essere previste. Quel che è più grave è che il passar del tempo e le modifiche stanno cancellando anche la memoria di questa natura. Memoria che era fatta di immagini, ma anche di odori forti di pascoli selvaggi, di grano tagliato, di paglia profumata. Odori della campagna unici, che hanno rappresentato il vero legame con essa. Chi di noi al ritorno da lunghi viaggi, attraversando la Murgia, non ha “riconosciuto”, sentendone l’odore, l’aria della propria casa? E’ questa memoria che vogliamo conservare ed è per questo che auspichiamo, da parte di tutti gli attori istituzionali, decisioni rapide e possibilmente sagge e appropriate.

Introduzione
Il parco dell’Alta Murgia è l’ultimo ad arrivare nel panorama delle aree protette nazionali. Un lungo percorso di partecipazione locale, un’azione dal basso, durata vent’anni, ne ha determinato l’istituzione spesso contrastata da chi, anche oggi, concepisce il territorio murgiano come una vasta area inutile dove depositare, in sfregio a tutte le norme ambientali, qualunque tipo di rifiuto. Un’area dove le emergenze ambientali a forte impatto (la murgia avvelenata degli ultimi anni e la compromissione del regime idrico sotterraneo, la pratica dello spietramento tout court, la distruzione dei muretti a secco, le rocce affioranti e gli ulivi espiantati ed esportati nei giardini del nord, capannoni abusivi come nuove masserie rurali, ecc…) rischiano di cancellare le orme dei dinosauri e la percezione culturale della presenza su queste terre dell’antico imperatore ed abile costruttore della casa dell’incanto.
Un’area sottoposta a servitù militare con cinque poligoni che gli negano il presente e ne condizionano fortemente il futuro. Come in altre aree italiane quali la Sicilia e il Veneto, la militarizzazione del territorio ha paradossalmente protetto la Murgia dalle insane politiche di sviluppo degli anni sessanta e settanta e ne ha protetto in parte la biodiversità. Anche se l’utilizzo di queste aree, autentiche “riserve militari”, è venuto meno, se ne mantiene inutilmente la servitù e contestualmente, causa soprattutto la cronica assenza di controlli, da oltre un decennio, la politica di polverizzazione del suolo praticata da potenti mezzi frantumatori ha scarificato il territorio, desertificandolo fino a comprometterne l’uso produttivo. L’assenza di legalità ha fatto crescere piccoli e grandi abusi edilizi, proliferare centinaia di microdiscariche, moltiplicare le cave abusive per l’attività estrattiva. Questo agire sul territorio ha modificato le forme e la struttura del paesaggio.
L’Alta Murgia diventa parco nazionale dopo un tortuoso iter istituzionale cominciato nel 1993 che si è concluso recentemente. L’idea proposta trae, invece, origine dalla prima mobilitazione, nel 1985, contro i poligoni militari e i bunker per i depositi di scorie radioattive presso la polveriera di Poggiorsini, e per conservare la Murgia come un luogo di pace. La “costruzione collettiva” del Parco Rurale dell’Alta Murgia si articolava in quegli anni prendendo forma e contenuto attraverso la spinta e l’iniziativa del “Centro Studi e di Documentazione delle aree interne Torre di Nebbia”.
È il Centro intorno al quale ancora oggi ruota l’iniziativa e l’organizzazione dei Comitati per l’Alta Murgia che si battono contro ogni forma di degrado per uno sviluppo autenticamente sostenibile, integrato e partecipato.
Un lavoro, svolto con passione da chi in quest’area continuamente sottoposta ad assalti e depredazioni, ricca di diversità biologica, di reperti archeologici, di bellezze architettoniche, di storia e di cultura, ha difeso questo straordinario paesaggio sopperendo all’assenza delle istituzioni spesso incapaci di dare risposte alla complessa e necessaria pianificazione territoriale.

I caratteri e l’identità del territorio murgiano
L’identità del territorio dell’Alta Murgia “è” la rappresentazione di un processo d’interazione tra uomo e natura che si è sviluppato e articolato nel tempo e che ha dato origine ad un paesaggio particolarissimo, la cui preziosità in chiave ecologica ne determina un importante nodo della rete ecologica europea.
La peculiarità ambientale di questo territorio non è data -come nella stragrande maggioranza dei Parchi Nazionali italiani- dalla presenza di una naturalità vistosa e rigogliosa. Infatti, non ci troviamo di fronte ad un territorio dove é prevalente la presenza incontaminata di boschi e foreste, ma piuttosto di fronte ad una sorta di vero e proprio “giardino di pietra”, ad un immenso prato di pietra prodotto dalla millenaria azione dell’uomo, che nei secoli ha reinterpretato creativamente le condizioni naturali dei siti, producendo un ambiente, unico nel contesto nazionale. In questo paesaggio il riconoscimento dell’eccezionalità e della preziosità degli habitat, racchiusa in equilibri delicati e nascosti, non s’impone alla vista, ma richiede uno sguardo attento, mirato e raffinato capace di andare oltre l’apparente vuotezza delle superfici. Ci troviamo di fronte ad un nudo scheletro roccioso, con poca copertura arborea, che definisce le linee di un paesaggio aspro, quieto, quasi lunare, in cui la pietra domina indiscussa nelle architetture della natura e degli uomini. Un grande blocco di calcare che le vicissitudini geologiche hanno portato alla luce gradualmente da milioni di anni eroso e scavato dall’acqua, che nel corso dei millenni, con un’azione lenta e costante, ha modellato i paesaggi superficiali e sotterranei, prima di essere assorbita da quest’immensa spugna di pietra. E’ questa azione prodotta dall’acqua sulla pietra che ha prodotto le numerose strutture di erosione superficiale creando campi, valli cieche, inghiottitoi, lame, doline, cui si associa un’incredibile varietà di microerosioni: alveolari, lenticolari, merlettate, scanalate che producono un fantastico paesaggio di sculture naturali. Queste vie di accesso al sottosuolo introducono a un incredibile e vario mondo sotterraneo, in cui si dipana un estesissimo sistema di cavità sotterranee che costituisce le vene e le arterie di un complesso apparato circolatorio capace di assorbire quasi in tempo reale tutta l’acqua piovana che cade sull’altopiano e che va ad alimentare la falda sotterranea.
In questo ambiente tutto sembra essere duro e mostra i segni di una lotta portata avanti nel tempo: anche le piante sembrano essere sopravvissute ad un lungo processo di adattamento. L’intenso disboscamento ha, infatti, generato un ambiente quasi privo di copertura arborea, nel quale sopravvivono ancora, quasi come corpi estranei fiori e piante tipici del bosco.
Con la “rocciosità” di questo ambiente, la cui unica risorsa era il calcare, l’uomo ha dovuto fare i conti, producendo una propria forma di territorialità estremamente originale. Alle distese ondulate e sassose, un tempo popolate da fasce più o meno estese di querceti, ha sovrapposto nel tempo -interferendo in maniera forte sul paesaggio attraverso intense azioni di disboscamento che hanno profondamente modificato l’originario habitat naturale- una ricca e preziosa tessitura di segni, manufatti e micropaesaggi che hanno prodotto una vera e propria “seconda natura” ordinata e misurata dall’intervento umano.
Veri e propri fulcri di questo disegno del paesaggio sono stati per centinaia di anni le masserie. Architetture in pietra, legate alla produzione agricolo-pastorale, centri della organizzazione degli estesi latifondi in cui il territorio era suddiviso, le masserie, costituivano, in associazione con gli iazzi, dei veri e propri laboratori di microproduzione ambientale. Attorno a questi nuclei che riunivano in una struttura complessa tutte le attrezzature ed i manufatti necessari all’attività agricolo-pastorale si estendevano i piccoli spazi delimitati dai muri e dalle chiusure che contenevano le colture ortive e gli alberi da frutta. Al di là di questi spazi le ampie distese destinate al pascolo per le greggi ovine erano interrotte da macchie di piccoli appezzamenti destinati alle colture granarie che si limitavano ad occupare i fondi delle lame, i canali e le depressioni carsiche, uniche porzioni di territorio coperte da sufficiente strato di terra fertilissima a fronte di un paesaggio caratterizzato dalla pietra affiorante, quasi autentici scogli. Alle masserie si sono nel tempo affiancati i parchi: porzioni di territorio saldo ad uso di pascolo per gli animali divenuti pian piano entità produttive autonome che oltre a contenere una serie di attrezzature specialistiche per l’allevamento, possedevano la lamia padronale, una neviera, un giardino per le colture specializzate e alcune strisce seminatoriali delimitate da muri a secco che proteggevano le agricolture dal bestiame. Al di là di queste microstrutture produttive, il mare di pascoli si estendeva a perdita d’occhio sulle ondulate distese sassose, interrotto solo qua e là dalle lame coltivate e dalle macchie di querceti - divenute sempre più esigue nel corso del tempo per l’azione di intenso disboscamento- e ritmato dalle tessiture dei muri e delle chiusure, che nei secoli sono andate a parcellizzare campi aperti dell’originario paesaggio pastorale.
Se le masserie, con le proprie terre di agricoltura e pascolo, rappresentavano i nuclei di produzione stabile di questo territorio ed erano legate molto intensamente alla vita dei grandi centri situati a corona dell’altopiano, l’intero territorio era interessato da altri flussi produttivi che lo attraversavano sedimentando altre tracce nell’identità di questo peculiare contesto. Una fitta rete di tratturi e tratturelli associati alle strutture per il ricovero degli animali, che ancora oggi permane sul territorio, ricorda i grandi flussi della transumanza che per secoli ha interessato con il continuo passaggio di uomini e greggi l’intero altopiano murgiano. In queste tracce lasciate dall’uomo, la particolarità delle forme naturali si ripropone nelle rigorose geometrie delle architetture, e nei ritmi dei giardini di paesaggio. Dalla pura stereometria delle pietre dei muri a secco alla sobrietà dei dettagli delle masserie, l’essenzialità astratta e severa della natura viene costantemente reinterpretata, riproposta ed elevata in alcune opere d’eccezione a fatto d’arte: nella sua solitaria e silenziosa presenza l’architettura di Castel del Monte, che domina incontrastata l’altopiano, sembra riassumere ed esprimere simbolicamente il senso profondo della natura e del luogo.

I pericoli e gli allarmi
Questo territorio che sino all’ottocento pulsava di una vitalità insospettabile (quella vitalità che ha dato origine ai paesaggi e ai segni sedimentati nel territorio) ha subito nel secolo scorso profonde trasformazioni che allo stato attuale rischiano di comprometterne definitivamente la sua peculiare identità e intaccare quella preziosità ecologica che a livello europeo ne ha fatto uno dei capisaldi della rete ecologica.
L’importanza e la rarità delle vegetazioni e dell’avifauna presenti nel territorio murgiano sono tali da essere state individuate a livello europeo come “habitat prioritario” di conservazione dalle direttive 92/43 e 79/409 dell’Unione Europea che costituiscono i pilastri legislativi della rete Natura 2000. I cambiamenti negli indirizzi di sviluppo, le emigrazioni avvenute durante gli anni 50-60, la meccanizzazione dell’agricoltura hanno portato ad un progressivo sfaldamento del sistema socio-economico-insediativo strutturatosi nel tempo, favorendo un generale processo di spopolamento nell’intera area. Lo spopolamento ha determinato l’abbandono diffuso dei nuclei e dei manufatti strettamente legati alle attività agricole e pastorali e della rete minuta della viabilità, non soggetta più ad operazioni di manutenzione diffusa.
All’abbandono delle masserie e dei manufatti legati all’attività agropastorale si accompagna la perdita di identità dei paesaggi coltivati. I mandorli, noci, fichi, ciliegi, peri, perazzi e melograni che arricchivano attorno alle masserie i paesaggi pastorali mediterranei, sono ormai ridotti a pochi esemplari superstiti.
La nascita della cerealicoltura ed il rinnovamento delle tecniche colturali, nonché il diverso modo di rapportarsi dell’uomo al territorio hanno prodotto effetti spesso laceranti sulle antiche strutture del paesaggio. Il generale abbandono delle forme di agricoltura tradizionale, che alternava alla coltivazione del grano duro, quella dei cereali minori, del lino e delle leguminose, ha determinato una omogeneizzazione del paesaggio che costituisce un pericolo per la perdita della biodiversità di questo territorio. Al rinnovo delle tecniche colturali si è aggiunta la pratica dello spietramento: un processo -favorito da una miope politica di incentivazione pubblica- che tende a trasformare i pascoli della Murgia in seminativi mediante la lavorazione più o meno profonda e la frantumazione meccanica dei materiali di risulta, che nulla lascia dietro di sé se non polvere di calcare e terreni scarsamente produttivi. Questa trasformazione del paesaggio sta modificando gli stessi equilibri degli assetti ecologici, idrogeologici e ambientali. La perifericità del territorio murgiano rispetto ai poli dello sviluppo regionale ha inoltre favorito un uso improprio del territorio: la Murgia ha cominciato ad essere utilizzata come spazio di risulta, come contenitore vuoto in cui collocare attività poco gradevoli o marginali. La localizzazione di cave, discariche abusive di rifiuti solidi urbani, di inerti e rifiuti pericolosi, rischia di minare in modo irreversibile l’integrità dei suoi delicati ecosistemi e di trasformare l’altopiano carsico in una sorta di grande “pattumiera” della provincia barese.

Finalità e obiettivi del Parco
Alla luce di quanto esposto appare evidente che la salvaguardia delle risorse naturali di questo territorio non può limitarsi ad una semplice logica di conservazione passiva, ma deve semmai passare attraverso un processo complessivo di rivitalizzazione dei suoi complessivi assetti territoriali. Le qualità di questo nuovo parco nazionale richiedono pertanto un intervento non settoriale che vada al di là della semplice istituzione dell’area protetta, ma piuttosto una strategia complessa, capace di avviare insieme ad una politica di attenta salvaguardia delle risorse ambientali, un adeguato processo di riequilibrio territoriale. Considerato dunque l’importante valore ecologico, storico e culturale del paesaggio murgiano e considerato che la stessa difesa del patrimonio di diversità biologica non può prescindere, anzi in questo caso dipende, da una attenta salvaguardia dei paesaggi agricolo-pastorali prodotti dalla millenaria azione dell’uomo, le politiche di intervento devono attraverso il parco creare le condizioni affinché questo territorio possa diventare il laboratorio di una convivenza tra uomo e natura; un laboratorio in cui sperimentare un progetto concreto di valorizzazione e di promozione della straordinaria ricchezza umana, culturale e naturale presente in questo contesto, in grado di realizzare l’obiettivo del riequilibrio territoriale, attraverso la gestione sostenibile delle risorse naturali e territoriali. Politiche che facciano salvaguardia attiva, della promozione dello sviluppo rurale, in chiave ecologicamente sostenibile, nonché della reinterpretazione del patrimonio ereditato dal passato, l’obiettivo prioritario da raggiungere.
Non solo conservare -in quanto essenziale per il mantenimento della biodiversità a livello continentale - questo particolare “giardino di pietra”, esito straordinario della millenaria interazione fra uomo e natura, ma anche lavorare per far sì che la cultura del paesaggio che ha prodotto l’immagine e l’identità, ma anche la naturalità stessa di questo territorio possa diventare il motore stesso di un nuovo progetto di sviluppo sostenibile per questo territorio, una nuova e soft economia. Una nuova fase, quindi, delle politiche ambientali per lo sviluppo sostenibile, attraverso gli obiettivi del Sesto Programma d’azione europeo, il Quadro Strategico Nazionale e il Piano strategico nazionale sullo Sviluppo Rurale 2007-2013, l’avvio di un approccio integrato che, escludendo la visione settoriale dei problemi esistenti, operi prevalentemente per: salvaguardare i caratteri geomorfologici, geologici e ideologici tendenti a proteggere il suolo, le componenti biotiche del territorio; valorizzare le aree rurali attraverso la loro qualificazione globale, ovvero sociale, ambientale, economica; realizzare un equilibrio sostenibile tra l’attività agricola, le altre forme di sviluppo rurale e le risorse naturali dell’ambiente; salvaguardare in un’ottica attiva le strutture storiche e gli assetti di paesaggio.

Ciro Pignatelli

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