Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 48 - GIUGNO 2006




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RECENSIONI

The Urban Imperative

Ted Trzyna
Urban Outreach Strategies for Protected Area Agencies
Sacramento (USA), 2005
168 pp., s.i.p.


Devo alla cortesia del direttore di RomaNatura Paolo Giuntarelli e del commissario straordinario Vito Consoli che mi hanno invitato ad un incontro internazionale della ICLEI dedicato al Countdown 2010 l’incontro con Ted Trzyna, che opera in California per conto dell’IUCN e che ha curato la pubblicazione di questo testo. Nel convegno romano, svoltosi nel verde di villa Mozzanti, erano rappresentate le metropoli di Città del Capo, Durban, San Paolo del Brasile, Los Angeles (rappresentata, appunto, da Ted Trzyna), la città olandese di Tilburg e Zagabria. Tilburg era l’equivalente di Ancona e di Portofino nelle nostre riunioni di parchi periurbani e metropolitani, ma ha dimostrato ancora una volta che la qualifica di area metropolitana non si acquisisce contando gli abitanti ma sulla base delle problematiche di un’area urbana.
Il volume “The Urban Imperative” si articola in cinque parti. Nella prima (“Le città dipendono dalle aree protette”) si susseguono tre studi: il ruolo delle aree protette forestali nel fornire acqua potabile; alcuni benefici delle aree protette per le comunità urbane: il caso di Sydney, Australia; economia delle risorse come strumento di pianificazione degli spazi aperti.
La seconda parte (“Le aree protette dipendono dalle città”) contiene quattro saggi: come aumentare il ruolo delle aree urbane nel sistema delle aree protette del Brasile e oltre; una città difende il proprio patrimonio naturale: lo stato di Hong Kong e i parchi marini; le città della California e la protezione e la manutenzione del parco nazionale dello Yosemite; amministrazione motivata dalla comunità di un’area protetta del governo australiano.
La terza parte (“Strategie per collegare le città con le aree protette”) contiene nove saggi: mettersi in comunicazione con la natura in una città capitale: la strategia per la biodiversità a Londra; Paris-Nature: un programma innovativo di ecologia urbana; la strategia per la biodiversità di Città del Capo; la conservazione della biodiversità come ponte sociale nel contesto urbano: il senso di “The Urban Imperative” a Città del Capo per proteggere la propria biodiversità ed ampliare il potere dei propri cittadini; Mosaico: costruire legami tra le comunità etniche e i parchi nazionali nel Regno Unito; una agenzia per la conservazione crea parchi naturali nel centro città di Los Angeles; “parchi sani, gente sana” e altre iniziative per il capitale sociale del parco Vittoria, Australia; ragazzi per le tigri: il programma per il santuario della tigre asiatica: un programma di scambi scolastici ripetibile su scala globale per ottenere sostegno per la fauna e per le aree protette; progetti oltre il mandato: creare aree protette agricole nella città di Albuquerque, Nuovo Messico (USA).
La quarta parte (“Far funzionare le collaborazioni”) si articola in cinque contributi: Le fondamenta: una innovativa organizzazione britannica per la collaborazione ambientale; la wilderness a Chicago: un modello collaborativo per la conservazione urbana; costruire gruppi di consenso urbano per la conservazione della natura: l’esperienza del parco del Golden Gate; associazioni non governative per la conservazione come leader nella protezione della natura urbana: il progetto della riserva della natura urbana di Aves in Argentina; l’educazione ambientale nel parco nazionale Yangmingshan, a Taiwan: l’importanza del ruolo dei volontari. La quinta ed ultima parte si occupa delle valutazioni. L’unico saggio si intitola: come raggiungere le comunità urbane: lezione appresa dalla valutazione del museo. Scorrendo i vari lavori, frutto di molti autori che non ho citato per non appesantire la recensione, si riporta una impressione che spesso ci accompagna nel nostro lavoro: esiste una cultura delle aree protette che affronta i medesimi temi con una identica serie di preoccupazioni, di vincoli e di bisogni. Inoltre negli spazi metropolitani e periurbani quei temi si fanno maggiormente comparabili e sovrapponibili. E improbabile che tutto questo non significhi che esistono tendenze radicate nelle pluralità delle culture del mondo che fronteggiano interessi e sordità. E cominciano a porre le premesse per un vero sviluppo sostenibile.
Almeno così sembra a un lettore prevenuto e partigiano come me…
Mariano Guzzini

Il bilancio di LIFE Natura in Italia
Indicazioni e prospettive per il futuro

Comunità Ambiente
S. Picchi, R. Scalera, D. Zaghi
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio, Roma, 2006
224 pp., s.i.p.


Si sa che a Bruxelles amano molto gli acronimi. Nel nostro caso “LIFE” è uno dei tanti acronimi, coniato nel 1992, e il suo significato si annida nella dizione “qualità della vita e gestione delle risorse biologiche”. Sia come sia, per quasi un ventennio “LIFE” è stato lo strumento finanziario dell’Unione Europea in direzione delle politiche ambientali. Con il 2006 termina le terza e ultima fase di LIFE, uno strumento finanziario che in Italia ha contribuito all’attuazione di 151 progetti per la conservazione di habitat e specie minacciate per un totale di 133 milioni di euro.
Alla vigilia del passaggio da LIFE a LIFE+ non è certo una occupazione frivola tracciare il bilancio di come in Italia quei fondi europei siano stati utilizzati, anche perché l’Unione Europea sta già predisponendo un nuovo strumento finanziario per l’ambiente, che si chiamerà appunto LIFE+.
L’hanno fatto tre animatori della “Comunità Ambiente” che, su incarico del ministero, si sono costruita una particolare competenza in materia.
Nella parte iniziale del volume, dopo un rapido ma efficace “ripasso” dei fondamenti di Natura 2000, delle direttive Habitat e Uccelli e delle tipologie dei progetti, è possibile avere il quadro europeo dei progetti presentati, e poi i “numeri” dell’intera esperienza di LIFE Natura in Italia.
A seguire, il volume si occupa del rapporto che si è instaurato tra LIFE Natura e i siti della rete Natura 2000, elencando le azioni finanziate.
Nei capitoli successivi, lo studio entra nel merito delle iniziative finanziate per la tutela della fauna minacciata, della flora, e per proteggere e gestire gli habitat.
Un capitolo che interesserà in modo del tutto particolare il lettore di questa rivista è il capitolo decimo, dedicato ai progetti LIFE natura presentati e attuati dalle aree protette. Da questo studio di Daniela Zaghi si apprende che il 75% dei progetti LIFE Natura ha interessato almeno un’area protetta, con una netta prevalenza delle aree protette regionali (55% contro il 17% di quelle nazionali). Apposite tabelle, molto istruttive, elencano i parchi e le riserve che si sono impegnate nel lavoro di progettazione e di cofinanziamento.
Gli ultimi capitoli danno conto dell’integrazione tra la conservazione della natura e le altre attività sul territorio, della continuazione delle attività dopo la fine del finanziamento LIFE Natura, e delle lezioni apprese dalla gestione dei progetti, con relative indicazioni per il futuro.
Il libro di Stefano Picchi, Riccardo Scalera e Daniela Zaghi è di grande interesse, e può essere il punto di partenza per ulteriori riflessioni da parte delle aree protette per misurarsi con i nuovi finanziamenti del LIFE+ nel periodo 2007-13.
Un interessantissimo convegno, svoltosi al Ministero dell’Ambiente per presentare il volume, ha dimostrato quanti argomenti di forte attualità possono essere desunti da chi si riunisca con l’intenzione di salutare LIFE Natura e di dare il benvenuto a LIFE+.
L’incontro romano ha sofferto della sovrabbondanza di contributi, articolati in ben cinque sessioni, tutti interessanti, che però hanno reso impossibile il dibattito. Da non poche relazioni sono emerse indicazioni preziose, meritevoli di essere ulteriormente approfondite su iniziativa dei molti soggetti interessati allo sviluppo sostenibile del nostro Paese.
Da Alessandro La Posta a Giuseppe Graziano, da Vesna Kolar Planinsic a Marisa Amadei, Marco Panella, Dario Zocco, Fulvio Carfolli, Ermanno De Biaggi, Antonello Zulberti, Antonello Ecca, Felice Capelluti, Camillo Zaccarini Bonelli ed altri ancora, è emerso un panorama ricco di future positive implicazioni e di ulteriori sviluppi alla luce dell’avvenuta approvazione da parte del Parlamento europeo del pacchetto relativo ai fondi strutturali per il periodo 2007 – 20013 e dell’approvazione da parte del Governo italiano del Dpef all’interno del quale un intero capitolo è dedicato all’ambiente come chiave fondamentale della competitività del Paese.
A proposito di quest’ultimo concetto, chi avesse seguito sulla rivista “Parchi” i nostri approfondimenti in materia (nel numero 46 ricordo l’intervista ad Anna Natali e Fabrizio Barca, e il contributo di Laura Pettiti che toccava anche questi argomenti, anticipando almeno una delle osservazioni poste poi nella relazione al convegno) saprebbe che non ci sfugge l’importanza di un mondo che tenta di praticare politiche di sviluppo sostenibile -anche come chiave fondamentale della competitività- troppo spesso nella confusione, nell’impreparazione e nella contraddittorietà delle azioni dei soggetti interessati.
Perciò, nella quinta sessione dedicata alla natura ed alle risorse per i futuri interventi di conservazione, abbiamo particolarmente apprezzato la lucida e pacata analisi svolta per conto della task force fondi strutturali proprio da Laura Pettiti, che ha riferito esaurientemente sull’utilizzo dei fondi strutturali per Natura 2000, ma che ha anche evidenziato le criticità affrontate nel lavoro, ponendo interrogativi molto pertinenti che meriteranno ulteriori dibattiti e ulteriori approfondimenti. Quei quesiti, infatti, sono la chiave per attuare serie politiche di sviluppo sostenibile pur se le condizioni generali non fossero le migliori, piuttosto che per spendere comunque fondi, non sempre con interlocutori attenti e vincolati da un progetto complessivo esplicitamente e strutturalmente ambientale.
Non a caso Joaquim Capitao, vice capo dell’ unità LIFE della DG Ambiente della Commissione Europea, nell’esporre nei dettagli il nuovo LIFE+, ha ripreso alcune delle questioni poste da Laura Pettiti, che non dovrebbero restare a riposare negli atti del convegno del 4 luglio ma invece potrebbero essere capitoli di una riflessione in grado di rendere il LIFE+ sempre meno generico, e sempre meno esterno al processo complessivo di sviluppo sostenibile del nostro Paese, o, per essere onesti intellettualmente, ai primi vagiti ed ai primi incerti passi di quel processo, pure assolutamente indispensabile.
Mariano Guzzini

Il gusto dell'ecologia
Una scienza e i suoi protagonisti

Fulvio Cerfolli
Sironi Editore, Milano 2006
160 pp., 14 euro


La scienza dell’ambiente è l’ecologia. Chiunque sia interessato ad essa e voglia fare una carrellata di idee e persone che hanno animato il dibattito creando e sviluppando il corpus teorico e sperimentale di questa “giovane” disciplina, troverà in questo agile volume di Cerfolli, così come promette il gelato in copertina, un fresco e piacevole assaggio “multigusto” della scienza del mondo vivente. In poco più di cento pagine troverete infatti un fitto intreccio delle osservazioni, delle idee e del lavoro di geografi, geologi, naturalisti, zoologi e botanici, ma anche di fisici, matematici, climatologi, informatici, cibernetici e ingegneri che in un “melting pot” universale hanno dato vita mescolando, fertilizzando ed amalgamando all’ecologia di oggi.
Ciò che stupisce, leggendo il libro di Cerfolli, ma più in generale parlando di ecologia, è la tensione di questa disciplina verso il tentativo, talvolta felice, talvolta meno, di “mettere insieme”, di riunire in qualche modo le conoscenze scientifiche attorno ad unico nodo centrale: il nostro pianeta, i suoi sistemi naturali ed i meccanismi per il suo funzionamento.
Una tensione apprezzabile, affascinante e decisamente contro tendenza rispetto ad una scienza sempre più specialistica che ha profondamente influenzato il mondo in cui viviamo e la cui tensione è quella di sezionare gli aspetti della realtà per poterli analizzare, studiare, modellizzare. Un processo utile, quello della separazione, se e solo se accompagnato dal suo opposto: un lavoro per riunire l’aspetto specifico alla realtà da cui è stato prelevato, in uno sforzo di riconciliazione che possa davvero far capire qualcosa della realtà e non solo di una sua specifica astrazione. L’ecologia sembra essere il più grande tentativo della nostra epoca di raccogliere questa sfida, che è anche quella più cruciale per la conoscenza scientifica di non rimanere solo un gioco nelle mani e nelle teste di pochi giocatori adolescenti.
Fin dal Summit di Rio de Janeiro del 1992, sappiamo quanto questa sfida sia imposta da un’esigenza concreta (forse non ancora abbastanza per smuovere le nostre anime addormentate) di costruire una visione globale dei problemi ambientali che affliggono il nostro pianeta per porvi freni e rimedi. Un’esigenza a cui la politica mondiale economica e sociale sembra dare ancora un ruolo marginale, ma che negli anni a venire si farà sentire con sempre maggiore forza.
“Il gusto dell’ecologia” è uno strumento utile per capire i punti cruciali di tale esigenza, iniziando ad assaggiare e masticare concetti e problemi posti dall’ecologia, a partire da un approccio che ne racconta efficacemente la storia.
Una storia ricca di episodi, spunti, suggestioni e testimonianze, un intreccio di sforzi personali e sforzi collettivi che hanno dato vita ad un cultura moderna ed elaborata dell’ambientalismo.
L’autore, membro della Società Italiana di Ecologia, sembra trovarsi davvero nel suo elemento nel corso di tutto il libro. Dopo aver fatto ricerca in Italia e in Scozia, ha infatti lavorato per la Direzione Ambiente della Commissione Europea, monitorando l’applicazione delle direttive in materia di conservazione della natura. È inoltre consulente di WWF Italia e di altri enti pubblici e privati. Dal 2004 è docente di Ecologia delle acque interne e di Ecotossicologia presso l’Università degli studi della Tuscia di Viterbo. In appendice al libro è ottima cosa trovare copia dei documenti conclusivi delle Conferenze di Rio e di Durban.

Nuovi asceti
Consumatori, imprese e istituzioni di fronte alla crisi ambientale

Giulio Caresio
Giorgio Osti
Il Mulino, Bologna 2006
288 pp., 24 euro


La società sta rispondendo alla crisi ambientale. Solo che la risposta è complessa, così come tutte le manifestazioni del nostro tempo, e perciò difficile da decifrare.
E’ ciò che tenta di fare, con una linea di pensiero efficace e stimolante Giorgio Osti in questo suo saggio, che ci guida legando e connettendo tra loro, atteggiamenti, comportamenti ed azioni di consumatori, imprese e istituzioni di fronte al problema ambientale generato dal nostro elevato livello di consumo di energia e risorse.
Semplificazione, rinuncia, “bioimitazione”, hanno dato vita in molti casi a soluzioni meno complicate, costose e bisognose di manutenzione ed attenzione.
Proprio questa matrice comune di scelta, analizzata da Osti con occhio neutro e libero da facili ottimismi, viene chiamata “neo-ascetica”, per sottolinearne la tensione verso l’essenzialità. Sicuramente una corrente minoritaria, ma degna di nota, come testimonia il pensiero economico che ha teorizzato la decrescita o la crescita zero, oppure l’articolato ed eterogeneo movimento di opinione che stimola le persone ad avere comportamenti e stili di vita più sorbi ed attenti alle esigenze dell’ambiente.
Nonostante ciò, l’istituzionalizzazione dei percorsi tecnologici e dei processi di produzione, gestione e soluzione delle differenti situazioni critiche, porta le nostre società occidentali ad intraprendere principalmente le vie più costose (in termini economici e ambientali) che garantiscono al sistema economico migliori prestazioni in termini di transazioni, capitali, posti di lavoro e consulenze. E l’Europa con il suo massiccio apparato burocratico sembra aver dato ancora maggiore impulso in tal senso. Come sopperire allora al meccanismo tale ingranaggio impazzito?
Tre paiono le strade possibili secondo Osti: la ricerca di regole sempre più raffinate, una drastica riduzione dei consumi e dei beni, e la semplificazione di esigenze e procedure.
La prima strada è quella maggiormente perseguita, perché coerente con la nostra organizzazione economico-sociale. Si basa, infatti, su sviluppo razionale di norme sempre più specifiche di coordinamento e gestione che permettano di non intaccare i nostri livelli di consumo e porta ad una complessificazione delle procedure (come noi tutti possiamo rilevare nel nostro quotidiano).
Cosa allora può portare a perseguire le altre due strade? Quale stimolo? Quale consapevolezza culturale?
La riscoperta del valore del tempo. La constatazione della frammentazione patologica del nostro quotidiano, ragione principale della perdita della percezione di sé e della propria storia, della dispersione delle energie personali, dell’incapacità di concepire tempi lunghi e della rimozione del discorso sulla fine del tempo e sulla morte.
Per questo motivo il capitolo che chiude il volume propone un’articolata riflessione ed analisi del concetto di tempo, delle sue radici e concezioni storiche e della sua visione odierna.
Osti vede e suggerisce infine come il “neo-ascetismo” offra un nuovo importante spunto per il movimento ambientalista, da tempo in crisi, arroccato su posizioni immobiliste e chiuso su fosche previsioni per il futuro del pianeta.
(G.C.)

So quel che fai
Il cervello che agisce e i neuroni specchio

G. Rizzolatti C. Sinigaglia
Cortina, Torino 2006
216 pp., 21 euro


Basta ricordarsi dell’intelligenza con cui al buio e nel sonno la nostra mano trova infallibilmente l’interruttore della luce per osservare che il nostro sistema motorio è dotato di una sua non trascurabile intelligenza. Oppure osservare l’intelligenza eccezionale dei movimenti di alcuni animali, cui sono precluse invece altre facoltà mentali. Tuttavia la scienza, fino a ieri, continuava ad attribuire una valenza puramente esecutiva al sistema motorio ed alle rispettive aree cerebrali, privandole di ogni capacità percettiva e cognitiva.
A ribaltare questo approccio scientifico consolidato arriva il lavoro bello e interessante che unisce in un unico sforzo il “neuroscienziato” Rizzolatti ed il filosofo Sinigaglia, nella pubblicazione di questo volume nella Collana “Scienza e idee” dell’editore Cortina diretta da Giulio Giorello.
Rizzolatti e Sinigalglia mostrano come “il cervello che agisce è soprattutto un cervello che comprende” e di come tale comprensione pragmatica, preconcettuale e prelinguistica, sia base fondante di molte delle nostre tanto celebrate capacità cognitive.
I neuroni specchio sono fondamentali per bere una tazzina di caffè, come per osservare ed apprezzare una pièce di teatro o di danza, essi infatti hanno la capacità di attivarsi sia quando si compie un’azione in prima persona, sia quando la si osserva compiere da altri. L’universalità e l’interesse interdisciplinare dell’argomento è testimoniata dalle parole di Peter Brook, grande drammaturgo e regista britannico: “con i neuroni specchio le neuroscienze cominciano a capire quello che il teatro sapeva da sempre”. Sulla portata della scoperta garantiscono invece le parole di Vilayanur S. Ramachandran, professore di psicologia e neuroscienze alla University of California a SanDiego e direttore del “Center for Brain and Cognition” che ha dichiarato di recente: “I neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il DNA è stato per la biologia”.
(G.C.)