50 Rivista della Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali - NUMERO 50 - FEBBRAIO 2007
Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 50 - FEBBRAIO 2007



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I parchi e la cultura immateriale

I beni immateriali, di cui l'Unesco si occupa dal 1989, sono fragili, difficili da vedere e minacciati di estinzione, esattamente come la biodiversità.
I parchi possono dunque cogliere la cultura immateriale come occasione di stimolo per politiche coordinate di tutela ambientale
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Premessa
Quando si argomenta di patrimonio culturale i riferimenti sono tradizionalmente rivolti alle emergenze storico-architettoniche-artistiche. Al più ci si aggiunge l'elemento paesaggistico guardando, in particolare, a quel "paesaggio come teatro" evocato da Eugenio Turri o ai suoi "iconemi", perle incastonate nel territorio. Il patrimonio immateriale è espressione piuttosto recente, almeno per quanto riguarda il pubblico più vasto e, in questo ha in comune con la biodiversità una serie di caratteristiche:
Generalmente sono ancora pochi i soggetti che se ne occupano, specialisti di un settore spesso ancora poco esplorato e troppo trascurato sia in sede accademica che legislativa, nazionale e regionale. Il parco può essere dunque un soggetto capace di cogliere la cultura immateriale come occasione di stimolo per politiche coordinate di tutela ambientale nell'accezione allargata del termine e che ne legge dunque sia l'abito naturalistico che quello socio culturale, per costruire progettualità comuni di futuro sostenibile.
Il patrimonio immateriale
Per poter meglio comprendere il concetto di cultura immateriale occorre far riferimento alla definizione della cultura in senso antropologico, dunque come complesso dei prodotti materiali e immateriali ove, con quest'ultima espressione si intendono credenze, religiosità, saperi, feste… di ogni gruppo umano tramandate da ogni generazione a quella successiva, spesso attraverso la relazione bocca-orecchio.
I beni immateriali furono definiti, per la prima volta, da Alberto Cirese che li chiamò "volatili": «Canti e fiabe, feste e spettacoli, cerimonie e riti che non sono né mobili né immobili in quanto, per essere fruiti più volte, devono essere ri-eseguiti e rifatti».
La prime caratteristiche dunque sono la necessità di ri-facimento, l'irripetibilità, l'unicità, lo spessore diacronico.
«I beni volatili sono insieme identici e mutevoli e vanno perduti per sempre se non vengono fissati su memorie durevoli».
Sono beni che non hanno presenza stabile sul territorio ma assumono vita soprattutto come atti performativi che si verificano in occasioni determinate o improvvisate al di fuori delle quali diventa impossibile, o fortemente difficile, osservarli.
Dalle prime proposte di sistematizzazione del Toschi, nei primi anni sessanta del secolo scorso, il concetto di patrimonio immateriale si è andato via trasformando ed estendendosi, comprendendo una pluralità di beni: giochi, danze, spettacoli, saperi, tecniche, lessici orali, comunicazioni non verbali, consuetudini giuridiche… e poi gli eventi spettacolari, rituali cerimoniali, festivi connessi a scadenze cicliche annuali o pluriennali. Per comprendere queste manifestazioni diversificate della cultura immateriale è indispensabile un'osservazione partecipata che non può che avvenire nel contesto territoriale senza il quale si perde il privilegio di coglierne la vera autenticità.
La contestualizzazione rappresenta l'elemento senza il quale la percezione del bene immateriale non può che manifestarsi in maniera parziale se non, talvolta, distorta.
Hugues de Varine ha scritto che: «questo tipo di patrimonio culturale più ancora che quello immobiliare o mobile (…) rappresenta il nucleo della vita culturale e dello sviluppo comunitario. Essendo poco visibile, tuttavia, è importante trovare i mezzi per farne emergere, dopo il censimento, gli elementi più significativi e più utili per lo sviluppo innanzittutto agli occhi degli stessi detentori, che a volte non hanno consapevolezza del valore del proprio sapere, e poi agli occhi di visitatori o di investitori esterni. Questo patrimonio culturale è, in effetti, un elemento di fiducia in se stessi, di fierezza individuale e collettiva e quindi un capitale da mettere a frutto». E'evidente che si pone, in questa maniera, in primo piano, l'aspetto strategico del patrimonio immateriale come snodo importante per quella ricerca del "brand territoriale", del "made in" che rappresenta sempre di più una risorsa per lo sviluppo durevole.
E' altresì intuitivo che nel percorso tra ricerca, archiviazione, studio, restituzione e innovazione, emerge con forza il ruolo che può essere giocato dalle aree protette.

Patrimonio immateriale e beni materiali
A questo punto va sottolineato che ogni oggetto materiale, in quanto segno di cultura e di sapere comporta una sua immaterialità. Il patrimonio immateriale può dunque essere rappresentato attraverso beni materiali (accessori per i riti, le tecniche, le feste, le cerimonie, strumenti musicali a volte effimeri…).
Esso ha inoltre bisogno, come ci ha ricordato Cirese, di performance per evidenziarsi e per esprimersi.
Dunque compare come elemento strategico la comunicazione, cui è affidato il compito di creare occasioni, alla cultura immateriale, di manifestarsi.
Il ruolo delle aree protette può dunque svilupparsi non solo attraverso lo stimolo al non abbandono, l'azione conservativa, ma anche con la riproposizione e il rilancio, a patto che non cadano nella tentazione della riproposta solo a fini di attrazione turistica, mettendo "in vendita" un patrimonio che giocato in chiave commerciale finirebbe con il perdere presto le sue caratteristiche più vere, derogando a quella autenticità senza la quale, prima o poi, è destinato a essere rivelato per la sua mancanza di valori e dunque per la sua sostanziale falsità.
La progressiva assenza di valori si traduce così, ben presto, in mancanza di valore destinata, a sua volta, a trasformarsi in negazione e, quindi, rifiuto.

Il patrimonio Unesco e la situazione internazionale
L'attenzione nei confronti del patrimonio immateriale fa la sua comparsa ufficiale in sede istituzionale internazionale nel 1989, nell'ambito della XXV.ma assemblea dell'Unesco.
Nel 1997 una sessione specifica "Eredità Culturale Intangibile" è dedicata ai patrimoni orali e immateriali.
Il patrimonio immateriale dell'umanità fu riconosciuto nelle espressioni popolari e tradizionali (lingue, letterature orali, musica, danza, giochi, mitologia, riti, costumi, saperi e pratiche artigianali), spazi culturali (antropologicamente intesi come luoghi in cui si concentrano attività popolari), tempi (in cui si svolgono determinati eventi).
A Parigi, nell'ottobre 2003 la XXXII.ma sessione della Conferenza Generale dell'Unesco, dedicata a "Tutela del patrimonio immateriale dell'umanità", ha adottato la "Convenzione Internazionale per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale", così definito all'art. 2: «Si intendono per "patrimonio culturale immateriale" le pratiche, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze e i saperi - così come gli strumenti, gli oggetti, gli artefatti e gli spazi culturali che sono loro associati - che le comunità, i gruppi e, eventualmente, gli individui riconoscono come facenti parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è ricreato continuamente dalle comunità e gruppi in funzione del loro ambiente, della interazione con la natura e con la storia, procura loro un sentimento di identità e di continuità e contribuisce a promuovere il rispetto della diversità culturale e della creatività umana».
Oltre a ciò è stata prevista la compilazione di elenchi nazionali dei beni da tutelare, della lista dei Beni Immateriali rappresentativi del patrimonio dell'umanità, di liste dei beni immateriali a rischio e l'istituzione di Commissioni intergovernative per la tutela dei beni immateriali. Tra i paesi più sensibili in quanto a legislazione di tutela dei beni immateriali si segnalano il Giappone che dispone di una legge sin dal 1950, le Filippine (1973), la Corea (1974), la Mongolia, il Vietnam, la Nuova Zelanda, l'Australia, il Canada, la Cina, gli USA, il Brasile. Grande attenzione, in tempi recenti, è stata manifestata dal continente africano, con in testa Marocco, Zambia, Zimbawe, Botswana, Kenya, Sud Africa. Per quel che concerne l'Europa, emerge l'area scandinava (Finlandia, Svezia, Norvegia), non a caso protagonista del movimento dei musei del territorio che ha preso il nome dall'esperienza pioniera del museo Skansen, capostipite di una rete destinata a diffondersi.
Nella Lista del Patrimonio dell'Umanità relativa al patrimonio immateriale, l'Italia è presente con l'Opera dei pupi (Sicilia) e con il Canto a tenore dei pastori della Barbagia (Sardegna). Anche l'organismo internazionale che sovrintende ai musei, l'Icom (International Council of Museum), ha affrontato il tema nella Conferenza di Porto Alegre (2002) dedicata al tema "Documentare il patrimonio immateriale", seguita nel 2004 dalla Giornata internazionale su " Musei e patrimonio immateriale". Dopo la XX.ma Conferenza di Seul del 2004, ancora sullo stesso argomento, nella definizione di museo venne fatto espresso ed esplicito riferimento alle «testimonianze materiali e immateriali dell'umanità».
Il Consiglio d'Europa, con la Risoluzione n.2 del 2002, parla di «valori materiali, immateriali e spirituali».

Uno sguardo sull'Italia
Passando a un esame della situazione italiana il primo riferimento che occorre fare è al Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, altrimenti noto come "Codice Urbani" dal nome del ministro reggente il Dicastero dei beni culturali e ambientali.
Si può dire che, almeno per quanto riguarda la cultura immateriale, si è trattato di un'occasione persa. Il Codice continua a essere, infatti, improntato sulla natura materiale dei beni. Anche là dove si tratta la materia dei beni etnoantropologici, vengono fissati criteri inadatti, stabilendo parametri cronologici o d'Autore. In questa maniera si escludono tutti gli autori viventi ed esecuzioni non anteriori ai cinquant'anni. Dunque per la definizione dei beni immateriali vista prima risulta palese come tali criteri siano del tutto inapplicabili e inopportuni.
I beni immateriali, infatti, fanno riferimento, per la gran parte, alla natura contemporanea e sono dunque spesso raffrontabili alle espressioni dell'arte contemporanea.
Si pone quindi il problema di come tutelare i beni volatili dalla natura connessa alle contingenze performative. La strada da percorrere è quella di una allargata e condivisa valorizzazione basata prima di tutto sulla conoscenza e dunque sulla ricerca.
L'unico spazio di intervento che il Codice lascia aperto è quello dell'art. 131 che recita: «La tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili».
Se volgiamo lo sguardo alle Regioni e alle Province autonome ritroviamo spesso un richiamo al patrimonio linguistico storico piuttosto che alle tradizioni popolari o ai costumi, nella gran parte degli Statuti.
A livello legislativo incontriamo normative diversificate, che in qualche maniera promuovono la cultura materiale e immateriale attraverso l'istituzione di appositi servizi o enti a ciò predisposti. Ne citiamo qualche esempio.
La Lombardia dispone di un Servizio cultura del mondo popolare; il Lazio di un Centro Regionale sui beni culturali e ambientali; la Sardegna di un Istituto superiore regionale etnografico; la Provincia autonoma di Trento del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina e degli Istituti culturali ladino, cimbro, mòcheno; Marche, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Abruzzo, hanno promosso Centri di documentazione; la Valle d'Aosta gli Archivi sonori della tradizione e l'Ufficio di etnografia linguistica.

Le esperienze di Liguria e Sicilia
Sullo specifico tema della cultura immateriale, vale la pena soffermarsi sulle iniziative di Liguria e Sicilia. La prima ha promulgato una specifica legge per i beni immateriali che si pone, tra gli obiettivi, la salvaguardia e la tutela dei dialetti e delle tradizioni popolari, linguistiche, etnomusicali, mentre la Regione autonoma siciliana, che è dotata di autonome Soprintendenze per i beni culturali e ambientali, ha previsto tra esse quelle etnoantropologiche.
Con appositi Decreti, rispettivamente del luglio e del novembre 2005 ha inoltre provveduto alla costituzione del Registro e della Commissione eredità immateriali.
Il Registro delle eredità immateriali merita uno sguardo più approfondito, poiché la sua architettura logica e funzionale è interessante e originale.
Il Registro si articola in cinque "Libri":
Il Libro dei Saperi si occupa delle tecniche di produzione, materie prime, processi produttivi che identificano un particolare prodotto legato alla storia e alle tradizioni storiche di un gruppo sociale o una località. L'attenzione è quindi rivolta ai saperi immateriali che si manifestano nei prodotti.
Il Libro delle Celebrazioni classifica i riti, le feste e le manifestazioni popolari religiose e pagane, legate ai cicli lavorativi, all'intrattenimento e ad altri momenti significativi della vita sociale di una comunità.
Il Libro delle Espressioni riguarda tutte le espressioni artistiche letterarie, musicali, teatrali, le espressioni linguistiche minoritarie (le parlate alloglottone siculo-albanesi e gallo-italiche, ad esempio) e altre forme di comunicazione che rappresentano un modo di sentire e di essere di un determinato gruppo sociale o comunità.
Il Libro dei Luoghi individua gli spazi culturali ove si praticano attività quotidiane o eccezionali che costituiscono un riferimento per la popolazione di quel luogo, compresi i luoghi della storia, del mito, della letteratura, della leggenda.
Il Libro dei Tesori Umani Viventi, infine, rappresenta l'elemento di maggior innovazione e fa riferimento diretto alle persone in carne ed ossa, riconosciuti beni culturali immateriali, in quanto portatori dei saperi tradizionali vitali (dal rais al ceramista, dal liutaio alla ricamatrice, dallo scalpellino, al cantore, all'enologo, al casaro...).

Conclusioni
Il quadro che abbiamo cercato di abbozzare à necessariamente sintetico e incompleto. L'unico scopo che ci siamo prefissi è quello di innescare suggestioni affinché ogni area protetta sia stimolata a pensare ad una propria Lista dei beni culturali immateriali. L'elenco può essere lungo, dal Gran Paradiso e Stelvio delle minoranze linguistiche storiche al Gargano delle tarantelle dei Cantori di Carpino, dall'Aspromonte dei riti religiosi al Santuario di Polsi all'Etna del Teatro dei pupi, dal Pollino delle comunità arbereshe al Gran Sasso-Monti della Laga dei pastori poeti in ottava rima...
Un elenco che non è soltanto un indice del possibile, ma che spesso è già stato tradotto nella realtà delle iniziative dai parchi.
Molti, e non da ora, hanno già intrapreso questa strada e stanno lavorando per la progettazione o la realizzazione, ad esempio, di una rete ecomuseale avendo colto l'elemento innovativo legato a questo nuovo strumento di valorizzazione del territorio in tutte le sue componenti, che ben si sposa con la missione delle aree protette.
Non è certo un caso che l'ecomuseo sia nato proprio dall'esperienza dei parchi regionali francesi. Insieme all'innovazione concettuale nel linguaggio museologico e museografico esso riconosce quell'elasticità e quell'adattabilità, necessarie a mantenere la diversità culturale come elemento fondante dell'idea ecomuseale, che parte dalla particolarità del territorio e delle comunità in esse insediate per valorizzarne la storia e la memoria e nel contempo fare sì che esse divengano radici di futuro.
È così possibile creare un laboratorio socio-culturale che affianca e completa quello scientifico-ecologico, per un orizzonte integrato verso lo sviluppo durevole e sostenibile. I parchi hanno la responsabilità di sperimentare modelli esportabili su tutto il territorio e lo stanno facendo egregiamente. Se vinceranno la loro battaglia diventando idea capace di contaminare l'intera collettività, allora avremo la speranza di far tornare il nostro paese quel Belpaese che non poteva mancare tra le mete di quel Gran Tour della bellezza che affascinò viaggiatori illustri tra Sette e Ottocento.
Se ciò accadrà, potremo tornare a quell'equilibrio tra il territorio e il "costruito" da cui è sorto il paesaggio italiano, invidiato per la sua unicità nata dalla capacità di essere sintesi armonica, perfezione di proporzioni negli edifici e nell'arte, eleganze che si trasmutano in natura spirituale.
Un'armonia troppe volte spezzata negli ultimi decenni da insipienza, affarismo, mancanza di cultura e di senso estetico.
Per tornare alle antiche virtù del popolo che seppe darci il Belpaese, dobbiamo recuperare una cultura che sta nelle cose che abbiamo ereditato ma anche in saperi immateriali che non sono ancora del tutto persi. Soprattutto, dovremmo, ogni volta, ricordarci un po' di più del futuro.

Walter Giuliano