Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 53



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Aidap

Classificare e pianificare.

Le basi su cui si fonda il lavoro delle aree protette.

Che l’esperienza nazionale delle aree protette sia nel 2008 non più quella del 1970 è certamente vero, come è vero che tante amministrazioni chiedono di entrare nei confini dei parchi italiani, come lo è il fatto che sul lavoro delle aree protette si siano sviluppate economie locali e nuovi processi di governance ambientale. Ma la cronaca di oggi, nel 2008, ci parla anche di altro, dando segnali non positivi e che fanno pensare che troppo spesso nel nostro paese ci si ferma ai principi, alle dichiarazioni, per poi smentirsi quando si passa al fare.
I fatti a cui mi riferisco riguardano da un lato le difficoltà che i due parchi, quello del Gran Paradiso e quello delle Alpi Apuane, hanno dovuto affrontare in materia di pianificazione e di scelte sul territorio e sui modelli di gestione. Dall’altro invece sono i temi di carattere generale e di classificazione che interessano il dibattito internazionale verso il prossimo Congresso Mondiale di IUCN di Barcellona.
Nel primo caso i comuni, e diversi altri soggetti istituzionali, hanno dichiarato infatti l’opposizione a che l’area protetta sia lo strumento che sovrintende ai piani dei comuni, che regola su un piano diverso e di coordinamento fra le scelte locali. Nel momento in cui l’area protetta passa dalle semplici indicazioni generali di vincolo a modulare queste sul territorio ecco che si incontrano difficoltà, o addirittura passi indietro come accaduto nelle Alpi Apuane dove la Regione Toscana a fatto indietro tutta sul comparto dei marmi, stralciandoli dalla pianificazione e facendo nascere i “piani emmenthal”, che un po’ ci sono e un po’ no.
Sull’importanza del pianificare si sono scritte biblioteche intere e fatti centinaia di convegni, ma quello che forse non si è fatto abbastanza è stata una terza cosa: formare. Le mentalità dei parchi e gli stessi modelli gestionali spesso trattano il tema con troppa sufficienza, o come un tema al quale si deve dare conto per un obbligo di legge e non per una reale necessità gestionale. Certo che se i piani si limitato a zonare o a fare elenchi di specie da tutelate è chiaro che la loro efficacia diviene parziale. I piani devono essere strumenti forti di indirizzo anche progettuale, oltre ad avere un apparato normativo serio ed applicabile. Una dimostrazione di tale situazione sta in una domanda: quanti sono i piani territoriali delle aree protette oggi disponibili on-line e scaricabili facilmente dai siti dei parchi? Provate ad andare a vedere. La stessa regione Piemonte, così all’avanguardia nei parchi nella sua relazione annuale di report delle attività dei 56 parchi e dei 29 Enti, non prevede la rendicontazione dei pareri dati in materia territoriale e urbanistico-paesaggistica. Tutto detto.
E qui si scontra anche il tema della non sufficiente chiarezza fra le culture urbanistica ed ambientale che, anzi, si sono viste nel nostro paese con una certa diffidenza, essendo quella urbanistica avvezza ai temi del costruito e non del naturale. Senza parlare del tema del paesaggio, che nella cultura ambientale viene ancora visto di storto e senza quella necessaria integrazione che la Convenzione Europea del Paesaggio ha sancito. Ma le cose sono cambiate e oggi sono diversi i casi di nuovi approcci e di piani di nuova generazione. Ma troppo poco forse si fa in termini di scambio di tali esperienze e troppa poca formazione integrata fra temi ambientali ed urbanistici si realizza.
Non parliamo poi di chi sa benissimo che la pianificazione di un territorio significa limitare il libero arbitrio del mercato e poter quindi giostrare a piacimento, ed a seconda delle “offerte”, sulle destinazioni d’uso dei suoli. Le logiche del locale divengono quindi una tendenza contraria a quella che vede l’approccio integrato territoriale l’unico modo di gestire le risorse ambientali: non nascondo che forse questa è anche una conseguenza della estrema diffusione della cultura federalista, intesa in senso della polverizzazione e riduzione al piccolo delle competenze, con un accento che spingendosi troppo alla dimensione localistica ha perso la visione generale e il concetto del suo rispetto, con tutto ciò che comporta e consegue.
In sintesi: caos fra paesaggio e urbanistica, processi lunghi e defatiganti. Livelli istituzionali che non applicano la sussidiarietà e la leale collaborazione. Funzionari e amministratori non così convinti che il piano serva.
Si deve, invece, affermare la necessità di dibattere e confrontare le esperienze. Di costruire una sede di coordinamento, strutture di agenzia di sostegno e facilitazione che possono farci fare della strada in piú. Oggi, ad esempio, né le regioni né il Ministero hanno adottato Linee guida per la pianificazione. Perché? Quando invece i paesi europei hanno strutture ed agenzie che fanno solo questo. Certo un serio e costante impegno in tal senso costa fatica, perché tutti devono decidere di fare il loro passo: dall'alto in basso, per giungere ai tavoli locali sapendo ascoltare, dal basso in alto per, allo stesso tavolo, saper vedere l'interesse generale senza ridurre tutto alle logiche di quartiere o di borgo.
Ma anche sul tema della definizione di area protetta le cose non vanno meglio. Ed è il momento di parlarne visto che a ottobre 2008 si terrà il congresso mondiale di IUCN a Barcellona sul tema. Federparchi ed AIDAP con il Politecnico di Torino hanno avviato un interessante percorso di confronto su questa problematica ed anche qui per scoprire che tanti aspetti non sono così acquisiti. Nel tentativo di divedere le 7 categorie che IUCN ha individuato nelle sue linee guida del 2004, il dibattito intorno al ruolo che i sistemi di protezione, che non ricadano interamente nelle categorie di specifica protezione ambientale, comunque posseggono per la salvaguardia della biodiversità è un tema di confronto di non secondaria importanza.
Dai documenti di IUCN Italia questi temi sono ben rappresentati. Il panorama europeo e quello italiano si differenziano dalla situazione mondiale, in particolare per due ragioni: da un lato la predominanza assoluta del regime di proprietà privata nelle aree protette e dall’altro la compresenza di estesi valori culturali intrecciati direttamente con gli ambienti naturali. La conservazione della natura è in Europa e nel Mediterraneo strettamente legata alla conservazione di un eccezionale patrimonio culturale. Per quanto concerne le aree protette, ciò implica:
- di dare il giusto risalto, nella definizione degli obiettivi di gestione delle diverse categorie di aree protette, alla tutela e alla valorizzazione dei paesaggi, in particolare dei “paesaggi culturali”, largamente presenti nei parchi e in altri tipi di aree protette europee;
- di applicare estensivamente (anche nei paesi che, come l’Italia, ancora non l’hanno riconosciuta) la categoria V dei “paesaggi protetti”, anche al fine di una miglior conservazione della “naturalità diffusa”;
- e, soprattutto, di perseguire una efficace alleanza tra le politiche di conservazione interne alle aree protette e le politiche del paesaggio estese (come raccomanda la Convenzione Europea del Paesaggio del 2000, richiamata nella Risoluzione CGR3 RES050 del Congresso IUCN di Bangkok, 2004) all’intero territorio, onde realizzare un’effettiva integrazione delle aree protette nei loro rispettivi contesti territoriali, rafforzandone il ruolo e la tutela.
Nel contesto italiano e, in larga misura, europeo e mediterraneo, per varie ragioni fra cui la proprietà prevalentemente privata dei suoli all’interno delle aree protette, è necessario dare spazio alla gestione cooperativa delle risorse, alla partecipazione e alla concertazione inter-istituzionale, dando maggiore responsabilità alle comunità locali:
- sia applicando, ove ne ricorrano le condizioni, la categoria VI (Managed resource protected areas), - sia attivando politiche di co-pianificazione che consentano di controllare gli usi del suolo e le pressioni antropiche evitandone effetti negativi sulla biodiversità e rafforzando le ricadute positive all’esterno delle aree protette (“benefits beyond boundaries”, Durban, 2003);
- sia, più in generale, ripensando gli obiettivi, le strategie e le modalità di gestione dei parchi e delle altre categorie di aree protette alla luce dei “nuovi paradigmi” fissati dall’IUCN a Durban.
Quindi, anche l’antica diatriba sul quanto e come la presenza umana nei territori possa influire significativamente sulle politiche di conservazione è tutt’altro che chiusa, con diversità di opinioni e di situazioni di particolare significato.
Il sistema parchi non appare così solido e definito e quindi è necessario tornare a discutere dei principi. Sull'abc delle aree protette vi sono temi non ancora acquisiti del tutto nella pratica, anche se lo sono nelle leggi. Il nostro paese è pieno di sagge regole non applicate adeguatamente per diverse ragioni fra le quali non sono secondarie quelle legate al fatto che le strutture di applicazione, gli uffici, non sono adeguati spesso perché non supportati da adeguata formazione oltre alle responsabilità gestionali ed amministrative che stanno alla base di chi governa le aree protette. Il lavoro quindi non manca e siamo tutti chiamati a dare il nostro apporto e a far crescere la cultura tecnica per la gestione delle aree protette.

A cura di Ippolito Ostellino