Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 53



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Signor Sindaco

La loro poltrona è da sempre la più “pesante”, nell’Italia politica e amministrativa. Sono la voce del territorio, quella cui è affidata in prima istanza la volontà popolare. A indossare la fascia tricolore nel Bel Paese sono circa in ottomilacento e un terzo di essi ha a che fare con un’area protetta. E’ a loro che la legge quadro 394/91 sui parchi dedica uno dei suoi articoli più importanti, il n.10, dov’è descritto uno dei principali organi degli enti parco nazionali: la Comunità del parco. Come funzionano? Assolvono al loro compito e con quali risultati? Siamo andati a vedere dando la parola ai protagonisti.

«Opponiamo a chi non crede nella responsabilizzazione costruttiva dei cittadini – e di cui noi invece custodiamo preziose testimonianze ed esperienze positive – un fermo ottimismo, fondato sulla fiducia nella gente, quando venga chiamata, personalmente e collettivamente, a ruoli protagonisti nella gestione dei propri beni territoriali».
Valerio Giacomini, Valerio Romani, Uomini e parchi

Forse non l’hanno notato in molti, ma il 18 dicembre scorso l’Italia dei parchi ha fatto un altro piccolo passo avanti. Nell’aula consiliare di un piccolo paese montano della provincia di Parma, Monchio delle Corti – milleduecento anime per ventidue, dicasi ventidue frazioni: la media è di cinquantacinque residenti a frazione – si approva una delibera localmente rivoluzionaria. Vogliono il parco. Sette anni prima, alla nascita dell’area protetta, quel voto era stato di segno opposto e il parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano si presentava letteralmente diviso in due, per lo sgomento di cartografi e turisti. Cos’è cambiato da allora? “Prima c’era un commissario, di cui francamente non ci fidavamo”, spiega il sindaco Roberto Cavalli. “Ora c’è un presidente, un direttore, un consiglio direttivo dove siedono rappresentanti del territorio”. Quando siete stati sicuri che il parco non era solo una cosa di Roma, allora siete entrati? “Ecco, proprio così”. L’adesione di Monchio cancella una discontinuità assurda, lungo il crinale tra Corniglio e Licciana Nardi. Cosa cercate soprattutto dal parco, sindaco? “Visibilità. Abbiamo bisogno di visibilità per le nostre risorse naturali e territoriali. Ha visto dove siamo sulla carta geografica? Siamo marginali in seno alla Regione e pure alla Provincia (di Parma, ndr). Dobbiamo bloccare l’abbandono dei territori e l’invecchiamento della popolazione e il parco ci è parso uno degli strumenti in grado di farlo. Speriamo di non illuderci, gli effetti della nostra scelta li vedranno probabilmente quelli che verranno dopo di noi”.
Per un filo che si riannoda, un tessuto che si deteriora. Qualche centinaio di chilometri più a sud, sempre lungo l’Appennino, alla Maiella il rapporto tra parco e comunità locali da qualche tempo volge al rosso. “Così non si può andare avanti”, spiega sconsolato il sindaco di Caramanico Terme e presidente della Comunità Mario Mazzocca, “c’è una continua elusione dei rapporti col territorio. Nel 2007 ci sono state appena tre riunioni del direttivo e soltanto per approvare il bilancio. Il presidente (Gianfranco Giuliante, coordinatore provinciale di An a L’Aquila, nominato dall’allora ministro Matteoli nel 2005, ndr) è avulso dalla realtà locale e il direttore (Nicola Cimini, ndr), pur con indubbi meriti per il grande lavoro svolto, sempre più confonde il ruolo di tecnico con quello di politico. Il risultato è l’assunzione troppo verticistica delle decisioni, ignorando le richieste dei Comuni”. Qualche esempio, sindaco? “Gliene faccio due del mio territorio. Continua ad essere ignorata la nostra richiesta di istituire a Caramanico una sede scientifica del parco, nonostante gli accordi presi inizialmente e relativa delibera. Ma restano inascoltate richieste anche più modeste, però importanti per i nostri piccoli centri di montagna, come l’autorizzazione a installare un punto luce stradale in una frazione di 6-7 case, dove sono avvenuti incidenti alle persone causate dai cinghiali e anche furti: autorizzazione negata per evitare l’inquinamento luminoso. Sono stato costretto ad emettere un’ordinanza di pubblica sicurezza”. Quindi quella luce l’ha fatta accendere? “Per forza, altrimenti saremmo andati su Striscia la notizia davvero”. Già nel maggio scorso i sindaci del parco hanno lanciato un ultimatum all’ente chiedendo le dimissioni in blocco della dirigenza qualora continui quella che gli amministratori definiscono “ostinata politica ostruzionistica verso i Comuni”. Hanno scritto lettere al ministro. “L’ultima proprio stamani, sulla questione dei cinghiali: ma non ci ha mai risposto”.

Articolo 10
L’articolo della 394 dedicato ai sindaci è il numero 10, quello sulla Comunità del parco. Che in verità al suo primo comma recita: “la Comunità del parco è costituita dai presidenti delle regioni e delle province, dai sindaci dei comuni e dai presidenti delle comunità montane nei cui territori sono ricomprese le aree del parco”. La Comunità è un organo consultivo e propositivo dell’ente parco, continua poi la legge, e il suo parere è richiesto su regolamento, piano, bilancio e – dopo la 426/98 - anche statuto. Soprattutto delibera, con il parere vincolante del consiglio direttivo, il piano socio-economico dove sono previste tutte le iniziative per la promozione economica e sociale “delle collettività eventualmente residenti” – recita candidamente la 394 – all’interno del parco e nei territori adiacenti.
Le collettività “eventualmente” residenti al Parco del Cilento sono 93.691 anime. Organizzate sul territorio in 80 Comuni, 8 Comunità montane, Provincia di Salerno, Regione Campania: in tutto 90 rappresentanti a comporre la Comunità del parco, una volta e mezza il Parlamento del Lussemburgo. “E’ bastata la prima riunione a capire che solo far parlare ciascuno era un problema”, dice Gino Marotta, che la presiede dal lontano 1996. “Allora ci siamo organizzati. Abbiamo costituito dei gruppi politici, con relativo capogruppo, e quindi cinque commissioni permanenti composte ciascuna da 11 persone sulle tematiche più importanti, dalla pianificazione al turismo. In assemblea a quel punto si va con gli argomenti già discussi e filtrati dalle commissioni”. Vallo della Lucania come Roma, insomma, e i risultati non sono mancati se è vero che al Cilento sono stati tra i primi ad approvare il piano socio-economico e pure le aree contigue dove adesso il Pit finanzia numerosi interventi.
Ma quanti parchi nazionali non hanno ancora il piano economico-sociale approvato? Tanti, ancora quasi la metà. Non ce l’hanno ad esempio il Gargano e il Gran Paradiso, il Pollino e la Sila, l’Abruzzo, naturalmente non ce l’hanno i più giovani Appennino tosco-emiliano e Alta Murgia. “A chi riusciva ad approvarlo il ministero promise anni addietro 500 milioni di lire in più”, ricorda ancora Gino Marotta dal Cilento, “come premialità da inserire nei criteri di riparto dei fondi: ma quei soldi non li abbiamo mai visti”.

L’Italia dei campanili
La scelta delle commissioni tematiche non è un’esclusiva del parco della primula di Palinuro. Si è adottata anche in altre aree protette di vaste dimensioni, come il Pollino, dove un gruppo di lavoro si dedica e s’intitola alla “Riperimetrazione del Parco”. La 394 prevede poi l’adozione da parte di ciascuna Comunità di un proprio regolamento, in assenza del quale possono presentarsi problemi come quello accaduto al Gargano dove nei mesi scorsi numerosi sindaci hanno chiesto al ministro Pecoraro Scanio la convocazione della Comunità, contestata invece dal suo presidente e dal presidente del parco Giandomenico Gatta.
In altri casi, a causare polemiche è la valenza paritaria in seno alla Comunità di tutti i Comuni interessati, aldilà del peso territoriale. “Le cito solo due dati”, dice il presidente della Comunità alla Maiella Mazzocca: “il Comune di Caramanico Terme dà al parco il suo intero territorio di 8.484 ettari, con 2.200 residenti; il Comune di Rapino partecipa al parco con 700 ettari dove non risiede nessuno. Entrambi però valgono un voto, le pare giusto? A me no, e così non accade infatti in altri enti comprensoriali come quelli che gestiscono gli acquedotti, dove il voto di ciascuno è proporzionato al peso territoriale e demografico”. Un'esigenza in realtà già recepita da alcune leggi regionali, per esempio quella del Lazio.
Anche la collocazione della sede stessa della Comunità è talvolta utilizzata per appianare le frizioni tra Comuni, per distribuire visibilità. Al parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano la sede legale e amministrativa sorgerà a Sassalbo, in Comune di Fivizzano: mentre Comunità del parco e Cta avranno sede a Ligonchio. Sempre da quelle parti, alle Foreste Casentinesi da sempre la Comunità sta a Santa Sofia mentre per direzione e uffici occorre sconfinare in Toscana e precisamente a Pratovecchio, nell’aretino. Al Gran Sasso il polo amministrativo è ad Assergi, vicino L’Aquila, mentre la Comunità sta di casa a Torricella Sicura (e qui il decentramento degli uffici prevede anche un polo scientifico a Farindola, un polo patrimonio culturale ad Isola Gran Sasso, un polo agroalimentare ad Amatrice e un centro documentazione a Montorio a Vomano). E così via.
Cinque dei componenti della Comunità entrano a far parte del Consiglio direttivo degli enti parco nazionali. Ma con quale criterio? Su designazione della Comunità stessa, recita la 394, e non stiamo a ribadire le contraddizioni e i problemi sin qui generati da un’interpretazione di comodo della legge, come già riportato su queste pagine nel n.51 di Parchi. Comportamenti ed escamotage che hanno portato ambientalisti di lungo corso come Umberto Mazzantini a proporre addirittura l’abrogazione delle stesse Comunità dei parchi così come attualmente disegnate – “così com’è o è un doppione del direttivo oppure della Comunità montana. Vedrei bene invece una riforma che ridisegnasse un direttivo più snello, anzi magari sostituito del tutto da una giunta, che risponde dei propri misurabili risultati di gestione, e come organo di controllo una Comunità più forte con dentro anche gli ambientalisti”, diceva a Parchi Mazzantini.
Tra i casi recenti più discussi vi è stata nel novembre scorso la nomina, attesa da tempo, dei cinque membri per il direttivo al Circeo: il presidente della Provincia di Latina, quello della Comunità montana dell’Arcipelago pontino e i sindaci o loro delegati dei Comuni di Latina, Sabaudia e San Felice Circeo. Tutti esponenti di partiti di centro-destra, mentre l’unico ente della Comunità espressione del centro-sinistra e cioè la Regione Lazio è stato lasciato fuori. Facile prevedere problemi futuri. “Rammarica che nella Comunità non si sia trovato il modo di garantire una rappresentanza della Regione”, ha detto il presidente del parco Gaetano Benedetto, “che è direttamente coinvolta, oltre che come interlocutore finale, per tutti gli strumenti di pianificazione e di progetto che l’ente dovrà discutere ed approvare”.

Quale centralismo?
Riguardo ai parchi regionali le questioni non cambiano laddove a gestire sono enti parco, seppure con termini talvolta diversi. Nella nuova legge in discussione ormai da tempo in Piemonte (presentata dalla giunta due anni fa), ad esempio, i designati dalla Comunità sono ben 5 su 7 tra cui vanno in ogni caso individuati un rappresentante delle associazioni ambientaliste e uno di quelle agricole. Nel Lazio sono 4 su 7, in Calabria 4 su 9, in Abruzzo 6 su 11: nella generalità dei casi, insomma, agli enti locali viene assegnata circa la metà dei posti nella cabina di regia. Tutt’altro regime vige naturalmente nelle regioni dove a gestire i parchi sono i consorzi, come la Lombardia e l’Emilia Romagna. Quasi intermedia la situazione siciliana, dove le leggi vigenti assegnano la gestione dei quattro parchi esistenti ad enti di diritto pubblico il cui direttivo è composto dal presidente del parco, dai sindaci di tutti Comuni e dai presidenti delle province interessate.
Proprio tale singolarità nella composizione dei direttivi dei parchi regionali isolani, unica nel panorama nazionale, covava sotto le accese polemiche d’inizio anno riguardo alle previsioni dell’ultima legge finanziaria. L’istituzione dei primi, nuovi parchi nazionali siciliani – dei monti Iblei, delle Egadi, delle Eolie e di Pantelleria (e c’è chi ha subito chiesto anche il parco nazionale alle Madonie, come il sindaco di Castelbuono Mario Cicero, motivandola coi maggiori finanziamenti che ne deriverebbero) – ha infatti scatenato reazioni a 360 gradi tra cui si sono distinte quelle di alcuni dei diretti protagonisti. “Lo Stato non può istituire proprio nulla sul territorio siciliano”, ha dichiarato senza mezzi termini a ‘La Repubblica’ l’assessore regionale Rossana Interlandi. “Questo dicono la legge sui parchi nazionali del ’91 e il nostro Statuto (…) la materia urbanistica in Sicilia è soggetta alla potestà legislativa esclusiva dell’Ars”. Non a caso, alcuni giorni dopo, la giunta Cuffaro ha inoltrato ricorso alla Corte costituzionale. Ed ha aggiunto: “le norme nazionali sono meno democratiche di quelle siciliane. Nei consigli dei parchi, per esempio, non sono rappresentati tutti i sindaci dei Comuni interessati e questi organismi hanno solo un potere consultivo”. “Mi chiedo dove è stata la Regione in questi anni”, ha risposto il sindaco di Pantelleria Salvatore Gabriele, “quando ha istituito le riserve senza interloquire con le amministrazioni comunali e con i cittadini, quando ha deciso le perimetrazioni o ha istituito i regolamenti attuativi e le aree SIC”. Insomma il centralismo non sta solo a Roma, basta chiederlo a qualunque parco regionale. Ed è proprio il valore aggiunto del parco, cioè il suo progetto partecipato, ad attrarre i sindaci più avveduti. “Si è intravista, nella istituzione del parco”, risponde ancora all’assessore regionale il sindaco di Pantelleria, “la concreta possibilità di uniformare il livello e il significato della tutela fino ad oggi «subìta» in una concreta possibilità di sviluppo”.
Facendo finta di niente
Quel che il sindaco di Pantelleria auspica e chiede, c’è qualcuno che lo sperimenta da tempo. Ma porgere il microfono ad Angelo Comiti, sindaco di La Maddalena – dove il territorio del Comune coincide perfettamente con quello del parco nazionale, tra i più belli del Mediterraneo - vuol dire aprire la diga a un fiume in piena. “Il rapporto tra ente e Comune? Oggi come oggi è pessimo, le dico solo che il consiglio comunale a partire dal maggio 2007 ha adottato all’unanimità due delibere dove si dice che l’esperienza di un parco congegnato così è da considerarsi finita. Abbiamo chiesto, assieme alla Regione e alla Provincia, una revisione della legge istitutiva n.10/94”. Quali modifiche chiedete? “Un organo di gestione più snello, in pratica un direttivo coincidente con la Comunità del parco cui affiancare un presidente e un direttore. Senza intromissioni dell’Accademia dei Lincei, delle associazioni ambientaliste, etc. sennò si fanno delle pletore calate dall’alto che non combinano niente, come dimostra la perdurante assenza del piano del parco”. Ecco, gli strumenti di gestione: a che punto sono? “A quattordici anni dalla sua istituzione il parco è senza piano, non esiste un piano socio-economico, un regolamento”. Ma il piano socio-economico lo fa la Comunità. E voi vi riunite in pochi intimi, solo in tre: il presidente della Provincia di Olbia-Tempio, il presidente della giunta regionale Soru e lei. Perché quel piano non l’avete ancora fatto? “Perché costa, e dal ministero non ci hanno dato le risorse”.
Gli americani della base Nato all’arcipelago non ci sono più, l’ultimo manipolo è appena andato via. Niente più sommergibili, che da tempo hanno preso il largo: come i rapporti con gli organi dirigenti dell’ente parco? “Anche questa situazione è molto discutibile”, continua Comiti. “Questo presidente del parco (NdR. Giuseppe Bonanno), è stato nominato otto mesi fa dal ministero in perfetta solitudine senza coinvolgerci affatto, e lo stesso è stato fatto per i componenti del direttivo di nomina ministeriale. Si vada a vedere chi è stato nominato, due sono maddalenini e li conosco bene: uno è il falegname più bravo del mondo, una persona seria oltre che un amico, ma non vedo perché debba essere nominato dal ministero dell’Ambiente nel direttivo di un parco. Un altro è invece stato indicato dal ministero delle Politiche agricole e alimentari, anch’esso senza competenze adeguate al ruolo. Ma si può andare avanti così, quando poi alla Comunità chiedono di allegare i ‘curricula’ dei suoi candidati per giudicarne l’idoneità? Noi non ci stiamo più a questa logica spartitoria, non indicheremo nessuno”. Comiti della Comunità del parco sarebbe il presidente, ma ha dato le dimissioni un anno fa per protesta. “Ho avuto il mandato dal consiglio comunale di impugnare tutti gli atti promulgati dal parco: nei prossimi mesi abbiamo quattro ricorsi al Tar”. Guerra totale, insomma: come finirà? “Non abbiamo scelta, abbiamo cercato il dialogo in ogni modo, speravamo in una sensibilità maggiore da parte del ministero, uno spiraglio, un’apertura. In fondo siamo noi che abbiamo scelto di non cementificare Spargi, Budelli, Razzoli, come s’è invece fatto altrove. L’ha scelto la nostra comunità, che ora non vuole essere totalmente espropriata della funzione di controllare il proprio territorio. Crediamo ancora al parco, ma a gestirlo deve essere la comunità locale. Altrimenti vedo un rischio”. Quale, sindaco? “Gli anti-parco stanno alzando la voce e credo che prima o poi si arriverà per la prima volta a un referendum cittadino. Che, facile prevederlo, sarebbe contro il parco. Non potrebbe essere abrogativo di niente, certo, ma a quel punto sarebbe davvero difficile tirar dritto facendo finta di niente”.

Una voce per i sindaci “verdi”
Senza arrivare alle richieste che giungono dall’arcipelago sardo, tra le rivendicazioni più ricorrenti delle Comunità sono il peso degli enti locali negli enti di gestione dei parchi nazionali e quei loro pareri obbligatori ma solo consultivi. “Che dovrebbero proprio diventare vincolanti per lanciare un protagonismo nuovo delle Comunità all’interno dei parchi”. A parlare è Michele Galimi, presidente dell’Associazione nazionale Comuni dei parchi, sorta a Norcia nel 2003 (un suo rappresentante, attualmente Gino Marotta che dell’associazione è invece il direttore, siede nel direttivo nazionale di Federparchi). L’Associazione terrà la sua prossima assemblea nazionale a febbraio (NdR. scriviamo queste note a gennaio) dove l’impegno è di rilanciarne l’azione, anche con la costituzione di un forum dei presidenti e di un comitato tecnico-scientifico. Con circa 250 Comuni associati a spiccata provenienza meridionale – vengono perlopiù da Calabria, Campania e Sicilia: ma non mancano presenze dal nord come la Provincia di Genova – l’associazione ha sede nazionale a Roma presso l’Anci, la grande casa dei Comuni italiani. Per iscriversi un piccolo Comune paga 250 euro all’anno, una Provincia invece 1500 euro. A comporre attualmente il direttivo sono i rappresentanti dei Comuni di Vernazza (Cinque Terre), Norcia e Preci (Sibillini), Giffoni (Picentini), Bagaladi e Canolo (Aspromonte), Floresta (Nebrodi). “Facciamo riunioni di direttivo ogni mese a Roma”, dice Galimi, che fa parte della Comunità del parco dell’Aspromonte come presidente della Comunità montana del versante tirrenico settentrionale, con sede a Cinquefrondi (RC). Prima presiedeva anche la Comunità del parco ma poi si è dimesso per protesta al mancato reincarico di Tonino Perna alla guida dell’area protetta – “era un grande elaboratore di idee”, dice con rimpianto, “ed ora non accade più come allora che i sindaci alla domenica vadano in piazza nei piccoli paesi della nostra montagna con la fascia tricolore a parlare del parco, ricevendo dalla gente chi l’esposizione di una difficoltà, chi un piccolo regalo come una bottiglia di liquore”.
Galimi è critico sulla proposta di legge sui piccoli Comuni presentata alla Camera da Ermete Realacci e altri – “è un’utopia, incide poco perché li livella tutti, mentre invece servono premialità per i Comuni montani e una politica fiscale differenziata – e ricorda di aver più volte chiesto un incontro al ministro, ma a vuoto. Eppure il Parlamento, o almeno la commissione Ambiente di Pietro Armani (An), in passato seppe ascoltare. In occasione dell’indagine conoscitiva sul sistema di gestione degli enti parco nazionali, nel 2003, l’Associazione dei Comuni dei parchi venne audita assieme agli altri soggetti coinvolti, dai ministeri coinvolti al Cfs, alle associazioni ambientaliste, naturalmente alla Federparchi. In quell’occasione le richieste avanzate furono soprattutto due: l’adeguamento dello status dei membri dei consigli direttivi di nomina delle Comunità nonché appunto la trasformazione dei pareri delle Comunità dei parchi da consultivi a vincolanti. “L’attuale normativa”, spiegò proprio Galimi ai deputati della commissione, “non consente la partecipazione piena ai lavori dell’ente parco (…) e non riconosce loro la possibilità di avere, quanto meno, una giustificazione sul posto del lavoro”. In cinque anni non è cambiato nulla, e neppure sul ruolo della Comunità riguardo agli atti del direttivo. “Al Cilento tempo fa bocciammo all’unanimità il bilancio, ma al ministero non mossero un sopracciglio e lo approvarono definitivamente”, dice costernato Gino Marotta. “Ma è mai possibile una cosa del genere? E noi come Comunità non chiedevamo certo gesti plateali come, che so, di mandare a casa il presidente e il direttivo, ma solo di tenere conto delle nostre ragioni e osservazioni: di modificare qualcosa, un segnale insomma. E invece niente”.

Commissariamenti, una pagina da chiudere in fretta
Che il ruolo delle Comunità sia vitale per non condannare i parchi all’autismo è un dato di fatto, prima ancora che una tesi. ‘Best practices’ e reti d’accoglienza e fruizione efficaci sono diffusi laddove l’area protetta – dalla riserva di monte Soratte (Lazio) a quella dell’Isola della Cona (Friuli Venezia Giulia), per nominare due piccole aree quasi mai citate - è vissuta come patrimonio condiviso dalla comunità locale. E va pure sottolineato come le Comunità spesso incalzino lo stesso ministero dell’Ambiente ad una più tempestiva e coerente politica di sostegno alle aree protette. Basti citare nei mesi scorsi la mozione di sostegno alla nomina di Giuseppe Rossi a presidente del parco d’Abruzzo votata dalla Comunità presieduta da Alberto D’Orazio. O, più recentemente, la polemica tra il sottosegretario Gianni Piatti e il sindaco Flavio Foietta, presidente della Comunità alle Foreste Casentinesi, per la mancata nomina da parte ministeriale del consiglio direttivo del parco nazionale. In altri casi, invece – ma più di rado, purtroppo – sono gli stessi sindaci a ricevere le sollecitazioni dalla comunità locale. Com’è avvenuto nei mesi scorsi alle Dolomiti bellunesi, dove all’ente presieduto da Guido De Zordo hanno avuto la soddisfazione di ricevere la proposta degli operatori turistico-commerciali (Ascom) di Agordo di ampliare i confini del parco: sarà difficile per il sindaco, Renzo Gavaz, non tenerne conto.
Poi, chiaro, la dialettica resta intensa e i contrasti tra amministratori ed enti sono all’ordine del giorno. Se n’è accorto subito dopo la nomina all’Arcipelago toscano il presidente Mario Tozzi, esperto di comunicazione, che quanto a gestione del proprio territorio i sindaci non accettano di buon grado lezioni neppure dalle celebrità televisive. C’è voluta in quel caso la pazienza del presidente della Regione Claudio Martini a raffreddare gli animi e a far ripartire il cammino del parco, troppo a lungo interrotto. Ma ancora quel dialogo tra ente e Comunità isolane tarda a disfarsi della diffidenza reciproca, viste le nuove scintille occorse in occasione del lavoro istruttorio verso l’istituzione dell’area marina protetta all’Elba nell’estate scorsa. Occorrerà tutta l’operosità delle istituzioni coinvolte, e del nuovo direttore Franca Zanichelli. Ma la nuova riserva arriverà.
Perché va bene i problemi, ma il tempo lavora per l’Italia dei parchi ed a volte in maniera sorprendente se il pensiero va alla penuria di finanziamenti, al personale scarso. Ai commissariamenti a raffica. “E’ vero, ma io le garantisco che i miei concittadini al parco ci tengono, eccome”, dice Massimo Cialente, sindaco de L’Aquila. “Noi abbiamo più di ventimila ettari dentro al Parco del Gran Sasso, figurarsi se ce ne accorgiamo che esiste. E la nostra adesione resta forte. Però devo aggiungere che oggi colgo un clima che un po’ mi preoccupa, che prima non c’era. Aldilà della persona, davvero squisita (NdR. Stefano Allavena), questo commissariamento così prolungato sta allontanando la gente dal parco quando invece prima c’erano state petizioni per entrare nell’area protetta da parte di chi era rimasto fuori”. Il parco nazionale è commissariato dal 1 marzo 2007, dopo la mancata conferma del presidente uscente Walter Mazzitti. E proprio il sindaco aquilano a novembre aveva ospitato l’incontro autoconvocato degli amministratori locali, presidenti delle Province compresi – e nemmeno al Gran Sasso si scherza, con 44 Comuni, 5 Province e 3 Regioni. “L’ho già detto al Ministro: noi ci stiamo adoperando per ricostituire la Comunità del parco che non esiste più in pratica dal 2004, e che dovrà anche rivedere il piano socio-economico precedentemente solo abbozzato per approvarlo definitivamente”, continua Cialente, “ma il nuovo presidente deve arrivare subito e soprattutto deve essere espressione del territorio abruzzese”.
Fate presto.

Giulio Ielardi