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Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 53



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Camoscio appenninico nei Monti Sibillini: prospettive per la conservazione

Il Parco Nazionale dei Monti Sibillini è l'attore principale nel progetto Life Natura “Conservazione di Rupicapra pyrenaica ornata nell’Appennino centrale”, un atto d’elogio alla fragile integrità delle montagne oltre ad un auspicabile volano economico per tutto il territorio marchigiano.

La distribuzione attuale del Camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata) riguarda esclusivamente il nostro paese e più precisamente la parte centrale degli Appennini (Parco Nazionale d’Abruzzo, Parco Nazionale del Gran Sasso – Monti della Laga e Parco Nazionale della Majella); questo è il dato di partenza per spiegare la biologia e lo status di questo Artiodattilo ruminante protetto da leggi nazionali, direttive e convenzioni internazionali quali:
• Convenzione di Berna -Allegato II (specie strettamente protette);
• Direttiva Habitat - Allegato II (specie d’interesse comunitario che necessitano della creazione di zone speciali di conservazione) e IV (specie di interesse comunitario che necessitano di stretta protezione);
• CITES - Appendice 1 (specie minacciate d’estinzione il cui commercio deve essere sottoposto a stretta regolamentazione);
• IUCN Red List - taxa «vulnerabile»;
• Legge naz. n.° 157/92 - «specie particolarmente protetta».
I primi fossili di Rupicapra (probabilmente ascrivibili a pyrenaica) comparvero improvvisamente nel Pleistocene medio in Francia, ma i Rupicaprini esistevano nel continente asiatico già nel Miocene. Il Camoscio alpino (Rupicapra rupicapra) fece invece la sua comparsa in Italia in un periodo successivo, verso la fine della glaciazione di Riss o all’inizio dell’ultima glaciazione di Würm, estendendo il suo areale dalle Alpi orientali sino all’Appennino settentrionale (Alpi Apuane). In base agli attuali ritrovamenti fossili, si può sostenere che, durante l’Olocene, l’areale del Camoscio appenninico copriva le aree montane e rupestri comprese tra i Monti Sibillini e il Massiccio del Pollino in Calabria; con tutta probabilità le popolazioni in esame rimasero isolate tra loro e furono pesantemente sfruttate in periodo storico (pastorizia e caccia furono le attività antropiche che maggiormente influirono sulla sorte della sottospecie). La consistenza della popolazione relitta, localizzata nell’attuale territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo, è con ogni probabilità rimasta costantemente bassa negli ultimi secoli ed ha subito drastiche riduzioni numeriche in occasione delle due guerre mondiali, che hanno portato la sottospecie sull’orlo dell’estinzione. Al momento dell’istituzione del Parco (1922) la popolazione del camoscio appenninico era costituita da non più di 30 esemplari circoscritti alle balze della Camosciara.
Attorno ai primi anni '70 all’interno dell’area protetta veniva stimata la presenza di circa 250-300 camosci. Da tale data la popolazione, pur con fluttuazioni pluriennali, è rimasta costante fino ai primi anni ’90. Tra il 1994 e il 1998 si è verificata una nuova fase di relativa crescita, stimabile in 0,25% annuo, che ha condotto la popolazione alle consistenze attuali, valutabile in circa 1000 esemplari nel 2006.
La situazione descritta unitamente alle indagini genetiche sinora compiute, hanno rilevato la pressoché totale mancanza di variabilità genetica nel nucleo presente all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, probabilmente dovuta a forti e prolungate riduzioni numeriche subite dalle popolazioni a cavallo delle due guerre mondiali. Questo fattore insieme alla competizione spaziale e trofica con il bestiame domestico, in particolare con ovini e caprini, all’impatto del randagismo canino e al bracconaggio hanno evidenziato la necessità della creazione di nuove popolazioni. Da un punto di vista conservazionistico, infatti, la concentrazione della sottospecie in poche e piccole popolazioni aumenta il rischio di estinzione, nel caso di variazioni ambientali, epidemie e altri eventi negativi. Le neocolonie dei Parchi Nazionali di Majella e Gran Sasso – Monti della Laga hanno storie relativamente recenti iniziate nei primi anni ‘90. Attualmente è stimata la presenza di circa 370-400 esemplari nella neopopolazione della Majella e di circa 300 in quella del Gran Sasso, con un tasso di accrescimento annuo di 0,25 camosci/anno. Complessivamente, quindi, la popolazione di Camoscio appenninico ammonterebbe a circa 1700 individui, a cui vanno aggiunti i soggetti presenti nelle aree faunistiche.Il progetto Life Natura “Conservazione di Rupicapra pyrenaica ornata nell’Appennino centrale” iniziato nel 2002 con il coinvolgimento dell’Unione Europea, il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, i tre parchi nazionali abruzzesi e Legambiente nasce proprio dall’esigenza di salvaguardare la sottospecie sul lungo periodo; per questo motivo è in corso d’attuazione una serie d’azioni volte a favorire l’incremento numerico dei nuclei presenti sulla Majella e sul Gran Sasso e la reintroduzione sui Sibillini, con la creazione, avviata già dal 2006, di un’area faunistica e le successive operazioni d’immissione in libertà di due nuclei in due anni, 2008-2009, sul massiccio del Monte Bove.

Biologia e morfologia
Il Camoscio appenninico è un Ungulato appartenente alla famiglia dei Bovidi, tra i quali troviamo anche lo stambecco, il muflone, il bisonte, il bufalo, la gazzella e specie domestiche come la pecora, la capra, etc... E’ un animale di struttura compatta il cui corpo raggiunge 110-130 cm di lunghezza, a cui si aggiunge la coda, circa 7-8 cm; un altezza al garrese di 70-80 cm e corna che raggiungono, in media, 25 cm di lunghezza e 19,4 cm di altezza. Le femmine sono mediamente di dimensioni inferiori: circa 27 kg, mentre i maschi raggiungono i 30 kg. Il mantello estivo è nocciola-rossiccio, quello invernale è marrone scuro con cinque grandi pezzature isabelline o giallastre; la durata della vita varia tra i 12 ed i 15 anni. Il dimorfismo sessuale è riscontrabile oltre che nel peso degli animali, anche nella presenza di un ciuffo di peli che diparte dall’area del pene: “pennello”. I maschi hanno il collo più voluminoso delle femmine specialmente nel periodo degli amori, anche a causa della dilatazione della faringe. Differenze si rilevano anche nella postura assunta nel momento di urinare: le femmine si accovacciano maggiormente rispetto ai maschi. Oltre a quanto descritto sopra, la forma e la struttura delle corna rappresentano sicuramente un valido sistema di determinazione del sesso e dell’età; nei maschi queste strutture ossee risultano, infatti, di diametro maggiore, diritte con una ridotta “svasatura”, maggiormente uncinate e con gli apici rivolti verso il basso invece che obliqui posteriormente come accade nelle femmine.
Da rilevare che nel camoscio come in tutti gli altri Bovidi le “corna” sono formazioni conico-cilindriche permanenti, presenti in entrambi i sessi, le quali si sviluppano oblique all’indietro, per proliferazione delle ossa frontali del cranio: queste strutture ossee risultano, al confronto, evidentemente più grandi nella sottospecie ornata rispetto alla sottospecie rupicapra diffusa nelle Alpi. Essendo delle vere e proprie ossa, le corna, presentano quindi collegamenti sanguigni con il cranio e si accrescono col tempo, soprattutto in età giovanile. Nei Cervidi come il capriolo e il cervo stesso sono presenti delle strutture cheratinose, a caduta annua, esclusivamente nei maschi, chiamate “palchi”.
Poiché la crescita delle corna avviene in modo omogeneo nei diversi individui, è stato sviluppato un metodo per la stima dell’età basato sul rapporto tra l’altezza del corno e la lunghezza dell’orecchio dell’individuo in oggetto d’esame; in questo modo si possono suddividere gli individui in classi di età: dai più giovani (Kid) fino alla quinta classe di età, quella degli individui più vecchi. Il Camoscio appenninico è un animale sociale che vive in gruppo: le femmine di tutte le età e maschi fino ai 2-3 anni frequentano le praterie d’altitudine da luglio a dicembre, mentre nel resto dell’anno scendono in aree boscate meno esposte alle intemperie e più ripide, suddividendosi in gruppi meno numerosi. I giovani maschi tra i 3 e 7-9 anni si allontanano dalle femmine disperdendosi e conducendo vita nomade; i maschi adulti di età superiore a 8 anni vivono solitari e frequentano le aree boscate tutto l’anno, eccetto che durante il periodo riproduttivo quando raggiungono le femmine nelle praterie d’altitudine e competendo con altri maschi per la dominanza su un harem di femmine. Il periodo riproduttivo ricade nei mesi di novembre e dicembre; l’unico piccolo di ogni parto nasce dopo 25-27 settimane di gestazione, tra la prima decade di maggio e l’ultima di giugno, con un picco di natalità verso il 15-20 maggio. Il parto avviene in aree con acclività molto elevate e dove le femmine gravide si isolano per partorire indisturbate.
Come tutti i Bovidi, anche il Camoscio appenninico possiede un’alimentazione composta esclusivamente dalla frazione vegetale: erba, piante erbacee, cortecce, radici e foglie. Inoltre la composizione della dieta mostra cambiamenti qualitativi in funzione delle stagioni, con un aumento del consumo di leguminose al diminuire del contenuto proteico negli altri gruppi vegetali. Tra i predatori naturali, il lupo sembra agire con successo soprattutto d’inverno, ma la sua predazione effettiva risulta essere molto modesta. La predazione da parte dell’orso bruno è sporadica e riguardare individui all’interno del bosco; gli attacchi dell’aquila reale sui piccoli possono essere sventati grazie all’azione di difesa delle femmine adulte. I cani randagi o inselvatichiti non sembrano in grado di effettuare una caccia organizzata ed efficace, anche se arrecano un forte disturbo e reazioni di fuga da parte del bovide.
Per scongiurare adeguatamente ogni tipo di pericolo suddetto, il Camoscio appenninico, ha sviluppato un adattamento alla vita in ambiente rupicolo ben evidenziabile nella struttura degli arti, nella resistenza dei tendini e delle articolazioni e nella particolare conformazione degli zoccoli. Questi ultimi, formati dal 3° e 4° dito modificati, con i rudimenti del 2° e del 5° sviluppati posteriormente e più in alto a formare gli speroni, presentano una forma appuntita e bordi rigidi per far presa anche sulle minime asperità delle rocce. La parte basale formata da cheratina più morbida, dalla consistenza callosa, ne aumenta l’aderenza. Inoltre le due dita dello zoccolo sono in grado di divaricarsi di quasi 90°, cosa che facilita lo spostamento in discesa e su pietraie; infine la presenza tra le due dita di una plica cutanea interdigitale fa sì che la superficie portante dell’animale aumenti, limitando quindi l’affondamento nella neve.

Obiettivi del progetto Life Natura per il parco nazionale dei Monti Sibillini
Scopo generale del progetto Life è la creazione di una nuova popolazione in considerazione dell’obiettivo generale presente nel “Piano d’azione nazionale per il Camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata)” sviluppato dall’I.N.F.S (Istituto Nazionale Fauna Selvatica) per richiesta del Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio.
La scelta del sito dei Monti Sibillini ricade nello studio di fattibilità per la creazione di nuove popolazioni di Camoscio appenninico: “Linee guida per le introduzioni, reintroduzioni e ripopolamenti di Uccelli e Mammiferi” redatto dall’I.N.F.S.; in conformità a ciò il Parco dei Monti Sibillini rappresenta forse l’area maggiormente vocata per la specie, fra quelle non ancora utilizzate (Parco Nazionale del Pollino e Parco Naturale Regionale del Sirente – Velino).
Sulla base delle analisi dei fattori limitanti e delle minacce di conservazione sono state sviluppate delle azioni di conservazione dirette ed indirette tese a garantire il progressivo miglioramento dello stato di conservazione della specie in esame:
• Creazione di una popolazione;
• Creazione e gestione delle aree faunistiche;
• Organizzazione e standardizzazione del monitoraggio;
• Sviluppo e ricerca scientifica;
• Educazione, divulgazione e comunicazione;
• Regolamentazione del turismo;
• Controllo del bestiame.
All’interno di questi indirizzi sono stati individuati obiettivi specifici corredati da azioni che ne consentono il conseguimento.
Creazione della popolazione
Tenendo conto dello studio di fattibilità si procederà ad una preventiva verifica dell’idoneità ambientale e sanitaria dell’area interessata e ad una individuazione dei siti di rilascio. Si prevede l’immissione di 40 camosci provenienti prevalentemente dal P.N. d’Abruzzo e secondariamente di 10 individui da aree faunistiche; il rilascio dei camosci provenienti dal P.N. d’Abruzzo avverrà in quattro distinte operazioni di immissione da realizzare con modalità analoghe, ognuna con 10 camosci rilasciati nel giro di pochi giorni. Il periodo ottimale per le operazioni di rilascio risulta essere quello estivo sino ad inizio autunno. Il rapporto maschi/femmine deve essere indicativamente di 1: 1,5 con una predominanza per le classi d’età medio adulte; gli animali da rilasciare devono essere prelevati, nei limiti del possibile, da località diverse per massimizzare la variabilità genetica. Il trasporto è auspicabile che avvenga con l’utilizzo di elicotteri e tutte le operazioni seguiranno il protocollo di cattura e manipolazione previsto nel Piano d’Azione nazionale; infine gli animali saranno muniti di radiocollare e monitorati regolarmente.
Creazione e gestione di aree faunistiche
Le funzioni e le finalità dell’area faunistica sono molteplici, ma tutte in qualche modo concorrono, direttamente o indirettamente, a garantire il successo della reintroduzione del Camoscio appenninico nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini:
• Mantenimento di nuclei di camosci in semi-libertà con la possibilità di disporre di una riserva genetica, nonché di soggetti destinati all’immissione, limitando i prelievi sulla popolazione in natura;
• Fruizione didattico-turistica: la presenza di camosci in recinti facilmente accessibili per i turisti consente di sensibilizzare l’opinione pubblica e allo stesso tempo alleggerisce il carico turistico in zone dove è presente la popolazione reintrodotta;
• Ricerca scientifica (studi sull’eco-etologia della specie): è possibile effettuare degli studi riguardanti gli aspetti etologici e sanitari che potrebbero fornire ulteriori indicazioni utili alla salvaguardia della specie.
Va infine sottolineato come la creazione e la gestione di un’area faunistica possa potenzialmente rappresentare un indotto economico per le popolazioni locali tramite la fruizione didattico-turistica della struttura stessa.
Organizzazione e standardizzazione del monitoraggio
L’esigenza di seguire l’evoluzione demografica e l’espansione dell’areale della specie, al fine di verificare l’avvenuto adattamento delle colonie introdotte, comporta la messa a punto di tecniche di monitoraggio standardizzate da applicarsi in tutto l’areale di distribuzione della specie. La raccolta di tali informazioni, unitamente a quelle provenienti dai rilievi biometrici e sanitari, dai censimenti e dalle necroscopie, se effettuate con l’utilizzo di tecniche standard rende possibile l’acquisizione di un quadro complessivo sullo status della specie.
Sviluppo e ricerca scientifica
Funzionale all’intera operazione è l’ampliamento delle attuali conoscenze genetiche sul Camoscio appenninico, per questo sarà impostato un progetto d’analisi del DNA, che possa produrre risultati utilizzabili per la conservazione della sottospecie ornata.
Educazione, divulgazione e comunicazione
Uno dei problemi principali spesso consiste nella difficoltà di comprendere le finalità dell’operazione da parte degli amministratori locali e dell’opinione pubblica. Tramite l’organizzazione d’incontri, convegni, workshop, conferenze stampa per la presentazione delle nuove immissioni, la realizzazione di contributi filmati e di materiale informativo di vario genere saranno presentate le finalità dell’operazione, i dati relativi allo status della specie, le relazioni con le altre specie selvatiche e domestiche. Saranno inoltre approfonditi i temi relativi alle principali minacce per la sopravvivenza della specie, l’impatto sulla vegetazione e sulle produzioni agricole, e l’indotto economico (in termini d’incremento di turismo) nell’area di rilascio. Un ruolo importante dal punto di vista divulgativo sarà svolto dal Centro Visita situato all’interno della Casa del Parco di Fiastra (Mc), il quale permetterà oltre alle evidenti finalità educative, la conoscenza della specie per quei visitatori che non intendono usufruire degli itinerari escursionistici, tramite un ricco allestimento museale.
Regolamentazione del turismo
La razionalizzazione dei flussi turistici insieme all’uso attento del territorio da parte del bestiame domestico rientra pienamente nel campo delle azioni di conservazione indiretta. Preventivamente ad una strategia d’intervento per la limitazione del disturbo provocato dal turismo sarà fatto un monitoraggio, nelle aree interessate dalle neocolonie, delle attività turistico-escursionistiche; i dati raccolti riguarderanno la tipologia e l’entità della fruizione turistico e sportiva, nonché le reazioni degli animali in risposta alla presenza antropica.
Controllo del bestiame
Numerose malattie infettive e parassitarie degli ovi-caprini e bovini sono trasmissibili al Camoscio appenninico e la presenza negli stessi pascoli d’animali domestici e selvatici rappresenta il principale rischio d’infezione per la specie in esame. Essendo necessario conciliare la conservazione del camoscio con le attività produttive, risulta fondamentale realizzare continuativamente un accurato monitoraggio sanitario sul bestiame pascolante. Il monitoraggio sanitario, da realizzare in stretta collaborazione con i servizi veterinari delle A.S.L., deve riguardare le malattie sottoposte ai piani di eradicazione nazionale oltre ad alcune patologie particolarmente rilevanti per il Camoscio appenninico.
Conclusioni
In conclusione appare evidente come il progetto triennale Life Natura “Conservazione di Rupicapra pyrenaica ornata nell’Appennino centrale” che vede come “attore protagonista” il Parco Nazionale dei Monti Sibillini risulti essere un atto d’elogio alla fragile integrità delle nostre montagne oltre ad un auspicabile volano economico per tutto il territorio marchigiano; quest’importante traguardo deve quindi essere da stimolo per un uso sostenibile delle risorse naturali, territoriali e culturali che coinvolge anche gli ambiti non direttamente interessati dalla presenza dell’area protetta. Preme infine ricordare di nuovo, come il Camoscio appenninico con il compimento del suddetto progetto, risulti essere presente nel mondo esclusivamente nelle Marche ed in Abruzzo, regione quest’ultima da cui fino a pochi anni fa la specie prendeva il suo nome italiano. Questo risultato nella sua globalità va visto come un onere ed allo stesso tempo un onore nel saper conservare un ambiente ed una specie ritenuta patrimonio di tutti e delle future generazioni.

Bibliografia
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Duprè E., A . Monaco e L . Pedrotti (a cura di), 2001 – Piano d’azione nazionale per il Camoscio appenninico
(Rupicapra pyrenaica ornata) . Quad. Cons. Natura, 10, Min. Ambiente – Ist. Naz. Fauna Selvatica
I.N.F.S. , 2002 – Gli Ungulati in italia – Status, distribuzione, consistenza, gestione e prelievo venatorio

Fabrizio Franconi e Mauro Furlani