Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 55



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Tra crisi e rilancio: un Congresso per domani

Il confronto delle nude cifre, snocciolato al recente convegno di Legambiente sulle aree protette, mette in evidenza la crisi strutturale verso la quale si sta portando l'intero sistema dei parchi del nostro Paese, snodo indispensabile e ricco della biodiversità europea.

Se per i 20 parchi nazionali del 2001 si stanziavano, infatti, 62,5 milioni di euro, pari a 53 euro per ettaro protetto, per gli attuali 23 parchi la cifra è scesa a 53 milioni (37 euro a ettaro). Se poi guardiamo alla previsioni della finanziaria per il 2009 e al piano triennale il declino è ancor più evidente: allo specifico capitolo sarebbero, infatti, destinati circa 30 milioni di euro (22 euro/ettaro) per il prossimo anno, destinati a scendere a 19 milioni di euro (14 euro/ettaro) per il 2010 e il 2011.
Dunque un sistema trascurato dalle politiche nazionali, che sta scivolando verso la marginalità mentre, in periodo di grave crisi, potrebbe rappresentare la chiave di volta verso cui guardare per trasformare il nostro modello di sviluppo verso l'inderogabile sostenibilità. Per programmare forme di sviluppo durevole si può partire proprio dall'architrave della natura protetta in un Paese come il nostro che tutela l'11% del proprio territorio, percentuale che sale a quasi il 20% se si tiene conto delle aree protette della Rete Natura 2000. Vi si custodiscono circa 57.000 specie animali, pari ad 1/3 di quelle europee, e 5.600 specie floristiche, il 50% di quelle europee, delle quali il 13,5% sono specie endemiche; il tutto all'interno di territori caratterizzati da una notevole diversità di ambienti e paesaggi. Non a caso vi sono ricompresi quattro siti Unesco e sette aree del Programma MAB (Man and Biosphere). Ma al di là dei problemi finanziari, ciò che preoccupa il mondo dei parchi è anche una sorta di crisi politica del sistema, lasciato nell'incertezza e soggetto vuoi a dichiarazioni superficiali che ne possono minacciare la credibilità e l'immagine presso i cittadini, vuoi a discutibili decisioni gestionali di stampo partitocratico. Risulta sempre più evidente la necessità di ridefinire una strategia nazionale della biodiversità che sia parte integrante di una programmazione, fatta di regole certe e inderogabili, della pianificazione territoriale dove i valori ambientali e paesistici siano riconosciuti come prioritari rispetto ai consumi, spesso ingiustificati, di territorio e alle lacerazioni delle unità paesaggistiche più importanti sacrificate alla politica delle rendita immobiliare quando non alla speculazione edilizia. L'Italia che vogliamo è questa. Attenta ai valori più alti e tipici che il mondo le riconosce e che rappresentano il substrato senza il quale né la cultura né la qualità dei prodotti (l´Atlante dei prodotti tipici dei parchi italiani che ha scoperto ben 475 prodotti tipici e individuato quasi 3.000 produttori) che offre e la conseguente economia - fatta di 95 milioni di presenze annue per un fatturato globale di circa 10 miliardi di euro - sarebbero gli stessi. Il variegato universo dei parchi e delle aree protette si sente responsabile non solo del proprio destino, ma anche di quello dell'intero "sistema paese". Per questo, mentre richiede a gran voce l'indizione della Terza Conferenza Nazionale, si autorganizza con un Congresso che è qualcosa di più della sua consueta assise annuale. Pur non volendo certo sostituire la Conferenza Nazionale, intende contribuire a un dibattito il più allargato possibile, cui apporta il suo contributo di analisi ma anche di proposte e di stimoli nuovi. Ne è testimonianza il Documento congressuale che di seguito riportiamo nel suo testo integrale.
(VG)
Il Documento per il VI° Congresso (Roma 30 e 31 gennaio 2009) della Federazione Italiana dei Parchi e del le Riserve Naturali - Europarc Italia

Le enormi sfide ambientali che la società deve affrontare richiedono scelte urgenti e di grande impegno, capaci di coniugare coraggio politico, ricerca scientifica, flessibilità organizzativa, innovazione tecnologica. I rischi concreti per l'equilibrio e la vivibilità del pianeta, dovuti alla crisi dei sistemi naturali indotti dal riscaldamento globale, si accentuano per la profonda crisi energetica, e per la stessa crisi finanziaria globale. E' oggi messa a nudo l'insostenibilità di un modello economico essenzialmente distruttivo di risorse ed è di fronte a tutti la necessità di agire in modo nuovo, perseguendo un diverso modello e mettendo in campo strumenti moderni e adeguati, con il compito specifico di rafforzare ed estendere una corretta gestione ambientale. In tutto il mondo si stanno ridefinendo strategie, elaborando programmi d'azione e aggiornando le agende per rispondere a queste esigenze. I più alti organismi internazionali, tutti gli impegni contenuti nei trattati internazionali, indicano tra le scelte prioritarie da operare quella della difesa degli equilibri ecologici naturali, individuando nella capacità di resistenza degli habitat e delle specie naturali anche un elemento essenziale per contrastare il riscaldamento globale. Tra gli strumenti più adeguati per raggiungere gli obiettivi desiderati viene indicato quello di una ampia, coerente ed efficiente rete di aree protette. Il Sesto programma d'azione ambientale definisce con chiarezza gli impegni dell'Unione Europea per arrestare la perdita di biodiversità e individua nella Rete Natura 2000 uno strumento fondamentale per raggiungere l'obiettivo. I parchi sono insomma al centro dell'attenzione generale e, come ha ribadito il recente Congresso mondiale dell'IUCN di Barcellona, devono essere potenziati e sostenuti in via prioritaria. L'Italia ha le condizioni per mettersi rapidamente e con efficacia al passo con le esigenze e per sfruttare tutte le potenzialità insite in un buon sistema di aree protette. Essa infatti, grazie al concorso di tutti i soggetti istituzionali, ha dato vita in questo ventennio ad un ricco, articolato e partecipato insieme di parchi, di riserve naturali, di aree marine, di siti della Rete Natura 2000 e di altri strumenti di protezione che, se bene indirizzato e sostenuto, può risultare decisivo per far fronte alle necessità nazionali e, insieme, alle responsabilità che il Paese ha nei confronti del resto del mondo.
Nella nostra penisola infatti, sulle sue catene montuose, lungo le sue coste, nelle pianure e nelle zone umide, così come nelle sue isole grandi e piccole e nei suoi mari, si concentrano paesaggi e habitat in misura e varietà senza uguali, che ospitano specie animali e vegetali in quantità eccezionale e che esprimono spesso, con la loro conformazione e grazie al persistere della presenza umana organizzata, le testimonianze originalissime di una straordinaria vicenda culturale e sociale, di insediamenti millenari e di conoscenze e cure tramandate da infinite generazioni.
I parchi hanno contribuito in modo determinante a rendere meno gravi i pur pesanti rischi che gravano su questo tesoro inestimabile, che fa dell'Italia una perla pregiata nell'immaginario mondiale e un luogo in cui vale la pena vivere e che tutti aspirano a conoscere. Essenziale è poi il ruolo che essi hanno svolto in prossimità delle aree urbane e a cintura delle grandi concentrazioni metropolitane.
L'esperienza dei parchi italiani è un'esperienza avanzata. Grazie ad una legge quadro preveggente e all'impegno di molte Regioni e di un vasto numero di Enti Locali, ha saputo rendersi originale e, pur mancando spesso di obiettivi e programmi statali definiti, ha saputo elaborare indirizzi in grado di esprimere una concezione dinamica della conservazione, accompagnandola con la considerazione degli interessi complessivi e dell'identità dei territori e delle loro popolazioni, realizzando progetti adatti tanto a realtà densamente popolate quanto a zone erroneamente ritenute marginali, contribuendo ad esaltare i valori della solidarietà sociale e a modificare la percezione dei fondamenti della qualità del vivere. Ma non tutte le potenzialità delle aree protette sono state sfruttate e anzi spesso esse sono state compresse e mortificate. Di fronte all'acuirsi delle minacce ambientali, e ai guasti concreti rappresentati dalla continua urbanizzazione del suolo, dal peggioramento della qualità dei corpi idrici, dalla distruzione di ampi tratti di costa, non si è negli anni manifestata da parte di tutte le istituzioni una uguale capacità di reazione e una giusta attenzione al lavoro e ai bisogni dei parchi. La grande crescita quantitativa del numero di aree protette è parsa costituire il traguardo ultimo e non invece la strada per avviare a tutti i livelli una politica innovativa basata sulla sostenibilità. I parchi, giovani e fragili istituzioni dalla funzione "speciale", sono stati lasciati soli. Fra i diversi livelli istituzionali non si è espressa la "leale cooperazione" richiesta dalla legge e indispensabile per dar vita a virtuose politiche nazionali, oltre che per la realizzazione degli accordi di programma previsti dalla legge 428/98 e per lo stesso buon funzionamento degli Enti di gestione. Il Paese ha in questo modo finora sprecato numerose possibilità da un lato di inserire a pieno titolo i parchi nell'ambito di progetti territoriali di vasta portata – per l'Arco alpino, l'Appennino, le isole minori – rinunciando alla necessaria visione ecoregionale, dall'altro di utilizzare ed estendere le tante buone pratiche ambientali sperimentate dai parchi in campo turistico, agricolo, dell'uso dell'energia, delle risorse idriche, forestali e così via. E' ora il momento di rompere questo recinto che confina i parchi in un ambito angusto, a volte persino residuale, per conferire loro il ruolo che legge e necessità impongono per l'animazione, la promozione, la realizzazione di una politica di punta nella modernizzazione del Paese, basata sulla conservazione delle risorse primarie e sulla attenta valorizzazione delle caratteristiche tipiche e durature di ciascuna area geografica. Risulta evidente che in assenza di una assunzione di responsabilità politica da parte dello Stato e delle Regioni, senza il superamento di un troppo lungo periodo di disattenzione e di disinteresse nei livelli di governo, il perdurare dell'isolamento istituzionale rischia di riverberarsi sugli stessi enti, minaccia di annullare il loro ruolo di motori dello sviluppo locale sostenibile e di luoghi dai quali estendere pratiche innovative e può persino generare fenomeni di ripulsa in una opinione pubblica che ha invece in tante occasioni manifestato affetto, considerazione e sostegno verso i propri parchi.
Le istituzioni devono sapere che per il rilancio della politica dei parchi possono contare su grandi risorse di passione, professionalità e dedizione esistenti dentro e fuori le aree protette. Ma devono tornare a motivarle, così come devono aggiornarne le conoscenze, far leva su nuove capacità e discipline e favorire nuovi apporti da parte di tutti i settori della società, che deve essere coinvolta nel suo insieme in un grande progetto nazionale di ricerca di una nuova strada per lo sviluppo.
Innovare presto, per rendere finalmente l'insieme delle aree protette operante come sistema, per dare efficienza e agilità ai parchi, per assicurare risultati concreti a breve termine. Innovare a fondo, per portare gli strumenti al livello di una sfida ogni giorno più complessa e di una missione, quella della conservazione attraverso lo sviluppo di economie compatibili e sostenibili nel lungo periodo, che assume ogni giorno più importanza per la vita contemporanea e per quella delle generazioni future. Una missione nella quale si esprime, attraverso i parchi, una moderna concezione federalista, basata sulla corretta applicazione del principio di sussidiarietà, secondo il quale si agisce con efficacia localmente, avendo presenti le esigenze e i problemi generali.
La Federazione Italiana dei Parchi e delle Riserve Naturali – Europarc Italia, espressione unitaria degli interessi e delle aspirazioni degli enti di gestione e di tutti i soggetti che in vario modo, spesso anche volontario, hanno concorso ai risultati fin qui acquisiti; associazione che costituisce essa stessa un elemento originale dell'esperienza italiana, apprezzata e considerata all'interno del vasto network europeo e mondiale, ritiene che tale innovazione debba esprimersi secondo precise direttrici e che tutti coloro che hanno responsabilità di governo e di gestione e che hanno a cuore l'avvenire del paese e dei nostri parchi debbano proporsi con urgenza obiettivi essenziali per un loro rilancio. Perché i parchi sono "a misura di futuro" in quanto in grado di affrontare in modo organico i problemi ambientali delle società moderne e in evoluzione e devono essere concepiti "a misura di futuro", cioè sostenuti nelle nuove prove alle quali i fenomeni globali li stanno chiamando.

1. Garantire una estesa ed efficace protezione ambientale
E' fondamentale che ogni scelta strategica, ogni riforma organizzativa e ogni azione gestionale abbia lo scopo prioritario di assicurare ai parchi e alle altre aree protette la massima capacità di tutela di beni riconosciuti come preziosi, scarsi, a rischio e difficilmente riproducibili. Si tratta di beni quali l'acqua, l'aria, le foreste, che rappresentano gli elementi materiali, basilari per la vita di ogni specie a partire da quella umana; e di elementi immateriali che contribuiscono ad arricchire la qualità della vita quali i paesaggi, le conoscenze e i saperi, le relazioni virtuose stabilite tra le comunità e i rispettivi territori. E' giunto il momento di attribuire a questo patrimonio, che costituisce il fondo di garanzia per la vita del futuro, il suo valore reale, che è anche valore economico e che costituisce in ogni caso il fattore principale per le opportunità di crescita di tante aree del Paese e dell'Italia intera. Per procedere celermente sulla strada della migliore e più efficace protezione occorre:
• definire strategie attuative degli accordi sottoscritti dall'Italia nell'ambito della Convenzione sulla Diversità Biologica e dei protocolli per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, associando i parchi e l'intero sistema istituzionale al lavoro basilare di conoscenza e a quello di pianificazione delle attività per contrastare, ridurre e compensare le emissioni nocive e fermare la perdita di Biodiversità entro il più breve tempo possibile, considerando le gravissime conseguenze del fallimento del Countdown 2010;
• considerare e colmare le lacune ancora esistenti nella copertura con provvedimenti di tutela di aree determinanti per la capacità di rigenerazione degli elementi naturali e indispensabili per la connessione tra zone protette. Una copertura che dovrà rivolgere particolare attenzione alle coste e al mare, per i ritardi fin qui accumulati e per le caratteristiche e il ruolo che l'Italia ha in relazione al Mediterraneo e al suo futuro, così come sottolineato anche dall'Unione Europea in sede di revisione intermedia del VI Piano di azione ambientale;
• mettere a sistema, tre le Aree protette, le Università e gli Istituti di Ricerca, un completo programma di monitoraggio delle azioni per la tutela della biodiversità e dei loro risultati. E' del tutto evidente che su questa strada si registrano ritardi storici, gli stessi che continuano ad accumularsi nella adozione e nel rispetto di importantissimi accordi internazionali, come la Convenzione delle Alpi, o nell'applicazione coerente degli impegni contenuti nella Carta Europea del Paesaggio.
Tutto ciò ha conseguenze gravi sulle capacità di orientare le scelte generali di uso e gestione del suolo e quelle specifiche legate agli obiettivi e al funzionamento delle aree protette. La Carta della Natura e il Piano Nazionale della Biodiversità rivestono dunque priorità assoluta e la loro redazione deve essere perseguita finalmente in modo serio e impegnativo, fidando sulle conoscenze scientifiche esistenti e sul protagonismo di tutti i soggetti che hanno responsabilità in materia di gestione ambientale. La loro finalità è quella di individuare i fattori e gli elementi territoriali, ambientali e naturali che la collettività ritiene invariabili (a cominciare dalle aree e dai corridoi strategici per la conservazione della biodiversità) e di indicare gli obiettivi a lungo termine da perseguire, consentendo di rendere così condivisa e ordinaria la cura e la preoccupazione per l'integrità dei territori pregiati e delle loro componenti naturali.
La Rete Ecologica Nazionale è lo strumento conseguente, cui va assegnato con urgenza il compito di portare a coerenza le relazioni tra le diverse tipologie di area protetta e la Rete Natura 2000, secondo un disegno territoriale multiscalare (europeo, nazionale, regionale, locale) che non risponda a logiche gerarchiche ma a criteri funzionali, per il quale ai parchi sia assicurato il ruolo di nodi centrali della conservazione e di laboratori elettivi per le ricerche e le pratiche innovative in materia di difesa del suolo, vigilanza, gestione, sviluppo alternativo, educazione, accoglienza.
La messa in atto di questi strumenti può anche perseguire lo scopo di produrre, nel breve periodo, una forte rivitalizzazione e una nuova mobilitazione delle grandi energie culturali, professionali, morali, che sono presenti e diffuse dentro e fuori le istituzioni, e che non sono state fino ad oggi adeguatamente utilizzate.

2. Programmare le azioni, definire le risorse e misurare i risultati
Il freno più grande alla piena utilizzazione di tutte le potenzialità insite nel vasto insieme di aree protette di cui l'Italia si è dotata è stata l'assenza, tanto a livello nazionale che territoriale, di programmi e piani definiti di comune accordo in base a strategie e priorità. In questo senso si può senz'altro affermare che parti essenziali e qualificanti della legge 394 – a cominciare dalla mancata presentazione al Parlamento delle previste relazioni annuali sullo stato della sua attuazione - non sono state applicate o non sono state adeguate a quanto previsto dal Decreto legislativo del ‘98.
La "leale collaborazione" tra Stato e Regioni, e tra questi e le altre istituzioni coinvolte, è stata scarsamente praticata e non è stata comunque sufficiente a garantire l'efficacia nel perseguimento degli obiettivi. Si sono accumulati gravi ritardi nella definizione degli strumenti di pianificazione; sono emersi continui contenziosi, tanto di natura procedurale – sulle nomine, le delimitazioni, le autorizzazioni - che di natura sostanziale sulla possibilità di operare nelle aree protette con interventi invasivi di carattere infrastrutturale (strade, aeroporti, porti) o produttivo (estrazioni di idrocarburi, impianti di risalita, e così via); infine, e recentemente, sono anche state sottratte ai parchi competenze rilevanti in materia di gestione paesaggistica, riproponendo una divaricazione assurda e che sembrava superata tra bene naturale e bene ambientale, tra tutela della natura e tutela del paesaggio.
E' urgente affrontare questo stato di cose, dando vita ad una vera e propria "alleanza" tra tutti i livelli istituzionali, basata sulla comune consapevolezza della gravità della situazione ambientale e sulla comune responsabilità nei confronti del futuro.
Una alleanza che dovrà essere sancita attraverso la costituzione di un Tavolo di concertazione presso la Conferenza Stato Regioni Enti Locali e dovrà basarsi sulla redazione e realizzazione di programmi pluriennali che impegnino le istituzioni e i parchi, senza gerarchie e secondo le competenze di ciascuno, ad azioni concertate, così come già si è iniziato a fare, anche se troppo lentamente e timidamente, con l'adozione della Convenzione dell'Appennino. I programmi dovranno riguardare:
• grandi aree geografiche (le catene montuose, i bacini idrografici, le coste e le piccole isole) ivi comprese quelle tranfrontaliere attraverso gli opportuni raccordi internazionali, secondo l'approccio ecoregionale, che individua nell'omogeneità ecologica un elemento per la definizione dei piani di conservazione della biodiversità;
• habitat naturali e specie di particolare interesse e a rischio specifico;
• grandi temi (qualità dell'aria, qualità e quantità delle acque interne, difesa del suolo e del patrimonio forestale, prevenzione e contrasto degli incendi, uso dell'energia);
• settori economici strategici per lo sviluppo di qualità di aree sensibili (agricoltura e pesca, turismo, artigianato, ricerca) e infrastrutturazione di supporto (accessibilità, mobilità, telecomunicazioni).
Uno degli elementi caratterizzanti di questa programmazione dovrà essere rappresentato dalla definizione precisa e preventiva dei flussi finanziari. La destinazione di risorse alle aree protette dovrà sempre più in futuro essere legata alla realizzazione di progetti attuativi dei programmi definiti. A questo fine dovranno essere utilizzati in modo massiccio le possibilità offerte dall'attuazione dei principi contenuti nelle priorità del Quadro Strategico Nazionale per i Fondi Strutturali 2007-2013 e si dovranno applicare finalmente gli Accordi di programma previsti dalla legge 426/98, così come l'articolo 7 della stessa legge 394/91.
Solo così sarà possibile:
• attingere a risorse provenienti da diverse fonti, in funzione del risultato prefissato e della sua collocazione nelle strategie stabilite;
• unire e concentrare gli sforzi e le capacità finanziarie di soggetti istituzionali e privati diversi;
• introdurre forme condivise e certe di controllo della efficacia di gestione dei parchi e dei progetti programmati, connessi innanzitutto agli obiettivi di conservazione dei fattori naturali e ambientali;
• misurare il grado di efficacia dei progetti realizzati e il livello di efficienza degli enti che li hanno messi in atto;
• incentivare le azioni e i soggetti più meritevoli e sollecitare una migliore organizzazione per i meno efficienti.

3. Riformare e modernizzare il sistema gestionale
L'apertura di una fase nuova della politica nazionale per la biodiversità e la gestione ambientale, basata sugli obiettivi fin qui richiamati, non può prescindere da un aggiornamento dell'organizzazione e del funzionamento dei soggetti gestori e delle relazioni tra di essi. Nella prospettiva della Rete Ecologica Nazionale, cioè di un disegno generale definito, risulta evidente che ogni area protetta avrà determinata la propria missione in funzione dello scopo specifico che si intende raggiungere sulla base della precisa conoscenza dello stato della biodiversità e degli altri elementi naturali. I parchi, come nodi strategici del sistema, dovranno dunque avere, oltre a finalità di carattere generale, particolari missioni di scopo alle quali rapportare l'organizzazione e la governance, sulla base dei principi di sussidiarietà, di integrazione funzionale e di partecipazione. Secondo questa linea sarà allora possibile prendere in considerazione elementi nuovi quali: scale territoriali minime per dare vita ad un ente gestore, l'accorpamento o la gestione associata di più soggetti, l'aggregazione funzionale di enti che operano nello stesso ambito ecosistemico, la costituzione di aree protette di carattere interregionale, la differenziazione di parchi della stessa tipologia ma dalle diverse caratteristiche dimensionali, e così via.
In vista di questa rivisitazione sono comunque urgenti e necessari interventi che derivano da un esame obiettivo delle condizioni operative delle aree protette attuali.
Molti Enti di gestione, in particolare gli Enti Parco nazionali e le Aree Marine, sono ancora organizzati secondo uno schema antico, derivante da una visione statica e quasi folcloristica della funzione loro assegnata.
Nonostante gli sforzi indubbi e le tante pratiche positive introdotte dalla dedizione e dalla professionalità di molti amministratori e tecnici, la situazione non li pone in grado di operare con agilità e prontezza e con il sufficiente grado di autonomia. La forma ha spesso prevalenza sulla sostanza e la burocrazia determina ritardi e sprechi.
In più, al momento della convocazione del Congresso, si aggiungono le conseguenze di nuovi e gravi provvedimenti lesivi delle capacità operative in quanto ancora una volta diretti a ridurre le risorse e a comprimere gli organici.
Per questo è divenuto indispensabile aggredire la situazione, introducendo modifiche - a cominciare da quelle che non richiedono interventi legislativi - che abbiano come obiettivo:
• la sburocratizzazione, l'estensione dell'autonomia, l'uniformità di gestione degli Enti, tanto terrestri che marini, anche allo scopo di garantire l'unificazione nell'organizzazione di un settore che deve agire in modo unitario e programmato;
• la velocizzazione delle procedure per l'adozione e l'entrata in vigore degli strumenti di pianificazione;
• la verifica della qualificazione degli amministratori e l'aggiornamento continuo di tutto il personale impiegato;
• l'applicazione di forti criteri di premialità per gli Enti virtuosi in quanto a pianificazione e rispetto dei piani di gestione;
• l'unitarietà tra gestione e servizio di vigilanza e il trasferimento agli Enti della responsabilità nella gestione dei beni pubblici demaniali nei rispettivi territori.

4. Incentivare la partecipazione
La gestione moderna dei più ricchi e preziosi territori del Paese deve configurarsi come un'azione corale, che veda protagoniste le collettività residenti, senza la partecipazione attiva delle quali non può esistere efficace tutela, e corresponsabilizzati tutti i settori della società, quello politico-istituzionale insieme a quelli scientifici, culturali, economici e sociali. Un rilancio dell'intero sistema non può che far leva su nuove forme di partecipazione e collaborazione, che contribuiscano a superare la marginalità politica del settore, lo integrino nel complessivo sistema istituzionale e gli garantiscano il necessario consenso sociale. In linea generale occorre favorire ogni apporto di cui il sistema e i singoli Enti gestori si possano avvalere per accrescere le proprie conoscenze, le risorse umane e finanziarie, le capacità operative.
E' perciò opportuno, a livello nazionale:
• che venga sostenuta la relazione tra ricerca e parchi, attraverso l'incentivazione di forme di collaborazione e la realizzazione di reti con gli istituti di ricerca e con le università, l'istituzione di borse di studio-lavoro, la finalizzazione di programmi secondo le esigenze di gestione dei parchi stessi;
• che si aiuti il consolidarsi di forme di volontariato rivolto tanto alla promozione dell'attività dei parchi che alla fornitura di uno specifico e qualificato contributo tecnico-scientifico;
• che si introducano norme utili al coinvolgimento di donatori privati nella realizzazione di attività di tutela naturalistica. Quello della partecipazione economica di aziende, società e associazioni a piccoli e grandi progetti per la biodiversità è un tema da affrontare con decisione per i suoi effetti pratici e perché risponde all'esigenza di responsabilizzare alla compensazione i principali utilizzatori delle risorse naturali;
• che ai parchi venga attribuita la capacità e la titolarità di "sportello ambientale", per un rapporto semplice e unificante con cittadini e operatori.
Nello specifico dell'attività dei parchi, una maggiore partecipazione sociale alla vita e alle attività degli enti è realizzabile attraverso:
• l'introduzione di forme di concertazione interistituzionale per la definizione degli obiettivi e l'adozione dei programmi, tanto nazionali che territoriali e regionali;
• la migliore articolazione delle forme di apporto delle comunità locali alle scelte programmatiche e gestionali, superando la rigidità e il burocratismo insite nella sola presenza e nelle attuali funzioni delle Comunità del Parco;
• la formalizzazione del ruolo degli attori economici e sociali locali così come del volontariato, favorendo la crescita di una "cittadinanza" attiva e consapevole all'interno dei parchi;
• l'adozione di percorsi precisi e di procedure garantite per il coinvolgimento dei residenti in caso di scelte rilevanti e incidenti sulle modalità di vita e di lavoro;
• l'istituzione in via ordinaria di percorsi partecipati, con le caratteristiche di Agenda 21 Locale, per la determinazione degli obiettivi di gestione e dei piani d'azione, e l'adozione generalizzata di strumenti pubblici di valutazione dei risultati di gestione, come il bilancio sociale e il bilancio di sostenibilità.