Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 55



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Vittorio Emiliani: un'Italia da rifare?

Un'Italia da rifare?
Eravamo considerati, dai viaggiatori del Grand Tour, il più' bel Paese del mondo.
Cosa resta oggi tra abusi, rifiuti ed infrastrutture del "Belpaese"?

Vittorio Emiliani, nato a Predappio nel 1935, ha iniziato la sua carriera giornalistica sulla carta stampata, collaborando con le testate Comunità, Il mondo di Pannunzio e L'Espresso; è stato quindi inviato del Giorno e del Messaggero che poi ha diretto per sette anni.

Ha ricevuto il premio Zanotti Bianco da Giorgio Bassani per la sua attività giornalistica a favore del patrimonio storico, artistico e paesaggistico. Ha realizzato, alla fine degli anni '80, l'inchiesta televisiva (per Raidue) "Le mille e una Italia", premiata dalla critica. Ha pubblicato da Rizzoli il volume "Se crollano le torri. Beni e mali culturali".
Ha concorso a fondare il Comitato per la Bellezza che presiede e che ha organizzato nell'ottobre scorso un importante convegno sul tema "Paesaggio italiano aggredito, che fare?".
E' stato deputato, eletto a Pesaro nel 1994, membro della commissione ambiente, territorio e infrastrutture della Camera. Consigliere della Rai dal '98 al 2002 ha incoraggiato le trasmissioni di carattere ambientale ed inchieste come quella di Nino Criscenti "Paesaggi rubati" per Raitre. Nel 2006 ha ricevuto il premio Antonio Cederna istituito dalla Provincia di Roma. Fra i suoi numerosi libri, due ne ha dedicati alla città e al paesaggio di Urbino dove ha passato infanzia e prima adolescenza. Ha ricevuto da Ciampi la medaglia d'oro quale benemerito della cultura. Abbiamo voluto sentire il suo autorevole parere proprio su questi argomenti specifici. Non senza qualche riferimento alle aree protette e al loro ruolo.

La sua relazione "Cultura, Beni Culturali e Ambiente, un'Italia da rifare" alla Giornata Nazionale di Protesta dei Beni Culturali e Ambientali dell'11 novembre 2005 a Roma ha denunciato l'assenza di una politica strutturale e non solo congiunturale sul tema del patrimonio culturale. Una diagnosi impietosa e severa, ma forse necessaria. Ritiene che la classe dirigente, politica e amministrativa, sia adeguatamente sensibile e preparata sulla necessità di mettere in atto politiche attive per la tutela e la salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio?
«Una classe dirigente che ha una legge urbanistica risalente al 1942 - legge certamente ben strutturata e però, certo, da adeguare ai tempi mutati - una classe dirigente che dalla grave crisi innescata nel lontano 1963 dal progetto Sullo non è riuscita a darsi una normativa-quadro con la quale orientare le Regioni (nate nel 1970!) non può avere una grande sensibilità in materia. Una classe dirigente che è stata messa in condizione dalla Corte Costituzionale di non poter più fare espropri a prezzi sostenibili da parte dei Comuni, mi pare che si consegni alla rendita e quindi alla speculazione fondiaria e immobiliare. Dovrei aggiungere il sostanziale fallimento della legge Galasso in materia di piani paesistici regionali e altro ancora… ma per ora basta e avanza. La preparazione viene di conseguenza. Troppi parlamentari e, nella media, assai poco preparati. Tanto più che non passano, con l'attuale legge elettorale, dal vaglio degli elettori, ma sono "nominati" dalle oligarchie di partito. Una volta che ho parlato di "partito dei geometri" che imperversava sono stato querelato -come Oliviero Toscani- dal Collegio nazionale dei geometri e, per la verità, assolto in istruttoria da un magistrato intelligente che si richiamava agli articoli 21 (libertà di espressione) e 9 (tutela del paesaggio) della nostra bella Costituzione del 1948».
In un paese dalla conformazione geografica tipica come l'Italia, l'impatto delle infrastrutture rischia di essere molto gravoso. Se a ciò aggiungiamo una scarsa considerazione da parte dei progettisti, ci troviamo di fronte a inserimenti discutibili, come la rete per l'alta velocità ferroviaria e la stessa rete autostradale. Qual è il suo pensiero sull'argomento e, soprattutto, ritiene questi atteggiamenti che ritengono il territorio unicamente come substrato inerte destinato ad accogliere manufatti, possano essere modificati?
«Eravamo considerati dai viaggiatori del Grand Tour il più bel Paese del mondo. Stendhal scrisse nel primo ventennio dell'800: Napoli è indiscutibilmente la più bella città del mondo, con tanta campagna dentro…". Il verde di Napoli è scomparso o sta sparendo e la stessa cosa accade in tante splendide contrade italiane, ancora pressoché intatte fino a sessant'anni fa. E' bastato un aumento del reddito e del benessere per travolgere tutto, o quasi. Le grandi infrastrutture sono state calate sul nostro territorio, dentro il nostro paesaggio, con una violenza spesso brutale. Si confrontino le autostrade francesi, quasi tutte scavate in trincea, e quindi poco visibili, con le nostre dove i viadotti si sprecano e tranciano panorami straordinari. Lo stesso dicasi per la direttissima ferroviaria. Una volta le nostre FS avevano i migliori ingegneri del Paese, oggi francamente temo che non sia più così. E poi, per le grandi infrastrutture, soprattutto per quelle viarie, è mai stato sentito un grande geografo? Ricordo che un maestro quale Lucio Gambi era inorridito dalla sbrigatività delle grandi opere cemento&asfalto fatte piombare su territori e paesaggi senza approfondimenti preventivi, anche di tipo idrogeologico per esempio».
Alta velocità ferroviaria in Valle di Susa, con il tunnel di base di oltre cinquanta chilometri sotto un ecosistema fragile e delicato come le Alpi, ponte sullo Stretto di Messina e congiungimento autostradale attraverso un territorio particolare come la Maremma. Tre nodi al centro del dibattito. La sua opinione?
«Nel primo caso credo che non si sia studiato abbastanza e che si sia giunti allo scontro con le popolazioni locali senza aver discusso a sufficienza con loro e con chi le rappresenta (un po' come per la tragedia dei rifiuti in Campania). Il confronto preventivo non è una vana ginnastica democraticistica, è una prassi normale in democrazia. Per lo Stretto di Messina basta interpellare chi vive fra Scilla e Cariddi. Coi traghetti veloci non sente alcun interesse pressante ad investire quella cifra enorme nel Ponte sullo Stretto e a violentare in modo permanente le due rive, popolatissime. Il vero problema -drammatico in tutto il Mezzogiorno- è lo stato deprimente delle strade e soprattutto delle ferrovie per lo più a binario unico e non ancora elettrificate. Che senso ha un ponte faraonico se le arterie di adduzione, viarie e ferrate, sono quelle di un secolo fa, o quasi? Del resto la più moderna acciaieria d'Europa, quella di Taranto, partì negli anni '60 avendo alle spalle una ferrovia, quella per Bari, a binario unico e non elettrificata. E' stata adeguata da poco, quando l'acciaieria si è molto ridimensionata. Sull'autostrada (inutile, si guadagneranno 12 minuti da Rosignano a Civitavecchia) della Maremma ho scritto decine di articoli. Sono i trasportisti milanesi Boitani e Ponti, e non gli ambientalisti, a documentare che, con 18-20.000 autoveicoli di media al giorno, per due terzi formati da veicoli che viaggiano su tratte locali, non c'è traffico sufficiente. La soluzione l'aveva studiata -ed è il solo studio dettagliato in campo- l'Anas nel 2000, con una superstrada a quattro corsie di tipo autostradale che rispettava largamente le oasi naturalistiche, le preesistenze archeologiche e lo strepitoso paesaggio della Maremma, toscana e laziale, che invece verrà sbregato oscenamente da una autostrada superflua che costa due volte e mezzo la superstrada. Mentre la ferrovia tirrenica non viene utilizzata a sufficienza, sia per i passeggeri (ci sono appena 2 Eurostar al giorno fra Roma e Genova) che per le merci, e le autostrade del mare stentano qui a decollare».
Non ritiene utile che, stante l'eredità di "Belpaese" occorra un'adeguata educazione al bello? Scuola e informazione fanno abbastanza in questa direzione?
«Più che utile, direi indispensabile. Al contrario nelle stesse scuole superiori -tranne la striminzita ora di Storia dell'arte alla settimana del Liceo Classico - non si insegna praticamente nulla di specifico sullo straordinario (malgrado tutto) patrimonio storico-artistico-paesaggistico che i nostri avi ci hanno trasmesso e che noi stiamo manomettendo rapidamente. Né possono servire a qualcosa le gite scolastiche annuali. Ci vuol altro. Negli Istituti Tecnici poi, dove si formano i quadri dei cantieri edilizi, questa "cultura del Bello" è totalmente ignorata. Un autentico suicidio. Su questi temi la scuola dovrebbe battere e ribattere tutti i giorni portando bambini e ragazzi a vedere i mille tesori delle loro stesse città, dei paesi, dei borghi vicini, e i paesaggi naturalmente. Ho abitato per molti anni a Voghera, città urbanisticamente piacevole, con un entroterra collinare, per lo più vitivinicolo (dal tempo dei romani e oltre, ne parla già Strabone), molto arioso e verde. La città -venduto decenni fa per restaurare il Duomo, il cosiddetto Ostensorio gotico di Voghera (lo si può ammirare al Castello Sforzesco di Milano)- non sembrava avere grandi patrimoni. Ebbene, liberato dalle carceri il Castello che fu dei Visconti e dei Dal Verme, vi si sono scoperti affreschi di notevole bellezza e presso che intatti, quasi certamente di mano, nientemeno, del Bramantino…».
Come giudica le recenti norme di modifica del Codice dei beni Culturali e Ambientali che hanno introdotto la co-pianificazione obbligatoria Stato-Regioni e il parere vincolante del Ministero per ogni intervento sul paesaggio protetto?
«Il nuovo Codice Rutelli-Settis rappresenta un grande passo avanti verso una più rigorosa e attiva tutela del paesaggio italiano. Bisogna vedere però se rimarrà in vigore o se il nuovo governo Berlusconi non vorrà tornare indietro, al Codice Urbani, ben più debole e ambiguo in materia. L'obbligatorietà della co-pianificazione Stato-Regioni mi sembra decisiva in tale campo. Tanto più dopo le delusioni patite con l'ottima legge Galasso un ventennio fa e dopo la tendenza (vedi Regione Toscana) a darsi piani di mero "indirizzo". Il parere vincolante delle Soprintendenze è fondamentale se vogliamo che l'articolo 9 della Costituzione venga puntualmente onorato. Vediamo dunque cosa ne fanno il ministro Bondi (Beni Culturali) e la sua collega dell'Ambiente, Stefania Prestigiacono. E', questo, un passaggio decisivo, una vera e propria cartina di tornasole sulle reali intenzioni del Berlusconi IV in materia di beni culturali e di paesaggio».
La Convenzione europea sul paesaggio può essere utile nella direzione di una sempre migliore coscienza civica nei confronti del paesaggio?
«In parte sì, in parte no. In realtà la nostra cultura della tutela era già più avanzata. La Convenzione Europea parla, ad esempio, di "paesaggio percepito" dalle popolazioni alle quali sostanzialmente subordina le decisioni definitive in materia. Con questo schema non avremmo varato un solo Parco Nazionale o anche Regionale. Sulla coscienza civica in tale materia c'è da lavorare moltissimo. A me è capitato di fare il consigliere comunale a Urbino, città mirabile immersa in un paesaggio antico ancora largamente intatto. Ebbene, ogni volta che ci battevamo contro uno scempio anche evidente, anche vistoso, subito qualcuno insorgeva dicendo in sostanza che quel paesaggio era delle persone che ci vivevano. Lo stesso è accaduto nelle polemiche sulla lottizzazione di Monticchiello. In realtà quei paesaggi sono di tutti, sono del mondo intero. Un'altra volta, partecipando da uditore, al consiglio comunale straordinario di Subiaco sul Parco regionale dei Simbruini - che non decollava mai - sono stato investito dalle solite invettive: «Voi siete amici del lupo e non dell'uomo, vergognatevi!». Le stesse invettive che, quando andavamo a Pescasseroli a sostenere le battaglie per quell'ormai antico Parco Nazionale voluto da Benedetto Croce (che vi era nato), venivano rivolte ad Antonio Cederna, a Mario Fazio, a Salvatore Rea, a me e ad altri giornalisti. Non sempre le popolazioni sono illuminate. Bisogna che i discorsi di elite calino formando una opinione più diffusa e condivisa, ma, nel frattempo, non possiamo fermarci. Forse che le popolazioni insediate abusivamente, a loro rischio e pericolo, sulle falde del Vesuvio avrebbero mai approvato quel Parco Nazionale?».
Qualche anno fa - Ministro dei Beni Culturali e Ambientali Giovanna Melandri - lo Stato assicurò che non ci sarebbero più stati nuovi condoni per gli abusi edilizi. Poi, con il Governo successivo, ancora una volta si tentò di rimpinguare le casse dello Stato proprio in quella maniera.
Ritiene impossibile che proprio invocando il superiore interesse collettivo nei confronti di un bene caratterizzante la nostra penisola come il paesaggio, si possa trovare un accordo "bipartisan" per non continuare a premiare l'abusivismo e distruggere l'Italia?
«I condoni decisi in Italia dal 1984 in qua hanno grandemente accelerato la devastazione del Belpaese creando fra gli aspiranti abusivi (veri e propri lottizzatori in più casi) attese mirabolanti per sempre nuove sanatorie. E quindi continui incentivi ad abusare del paesaggio, a delinquere. Anche al Centro-Nord dove, negli anni Settanta, l'abusivismo (tranne che a Roma, capitale dell'edilizia illegale) era ormai sconosciuto dopo l'edilizia postbellica. Per la verità anche i piani regolatori sono stati, subito dopo l'approvazione, scardinati a colpi di varianti e di deroghe, o di accordi di programma. E lo sono tuttora, o lo sarebbero se non si alzassero dure proteste come quelle contro l'intenzione di approvare contestualmente col nuovo PRG di Roma due clamorose deroghe per centinaia di miglia di metri cubi. Basta andare sulla riva bresciana del Garda e sorvolare Gardone e Salò per vedere come, con decisioni formalmente legali, si sia cementificato uno dei più bei paesaggi del mondo. Torniamo insomma al discorso iniziale: l'accordo bipartisan dovrebbe riguardare una seria legge-quadro di taglio europeo per l'urbanistica, nel cui ambito stroncare alla radice abusi e illegalità creando finalmente una mentalità nuova ispirata alla tutela dell'interesse generale. Ma ci spero poco. Il progetto Lupi (FI) prevedeva l'estensione al Paese del modello Milano, e cioè una urbanistica contrattata fra i grandi detentori di aree e i Comuni. Modello che, temo, anche ad una parte del centrosinistra non è poi così sgradito».
Nel caso di una più volte annunciata revisione della Costituzione, come introdurrebbe concetti più cogenti per la tutela dell'ambiente e del paesaggio?
«Francamente mi terrei l'articolo 9 così com'è. Quando si è parlato di modificarlo inserendovi la dizione "ambiente", ci siamo accorti che ogni variazione era in peggio e non in meglio. Lo terrei così perché la dizione "paesaggio" tutto già ricomprende, esso è "il palinsesto della nostra storia plurimillenaria" come disse al Senato Giulio Carlo Argan, maestro della storia dell'arte, quando si votò nel 1985 (quasi alla unanimità) la legge Galasso».
Ritiene sufficiente l'attenzione che parchi e aree protette riservano agli aspetti paesaggistici, oppure ne svilupperebbe ulteriormente l'azione e l'influenza proprio su questo argomento specifico? Quale giudizio dà delle politiche in atto a livello nazionale per le aree protette?
«Molti ambientalisti hanno poca cultura di paesaggio. Quando, una volta, in una riunione, evocai il nome di Benedetto Croce, filosofo dell'estetica e autore della prima legge sulle bellezze naturali appena prima del fascismo e dei due primi parchi nazionali (Gran Paradiso e Abruzzo), vidi qualche sorriso affiorare sulle labbra di alcuni dirigenti di associazioni ambientaliste i quali forse ritenevano che la difesa della natura cominciasse con…Chicco Testa. Tuttavia la creazione alla fine del secolo scorso di tanti nuovi Parchi Nazionali e regionali, se può aver creato confusione e approssimazione, ha diffuso anche una cultura della tutela attiva. Certo, se ora rispunta l'idea -magari con un altro disastroso turnover di presidenti impreparati- del parco come luna-park, come parco divertimenti, andremo verso il deterioramento di quella cultura e di quel patrimonio collettivo che è naturalistico, paesaggistico e ambientale. Quanti sostengono l'uso soltanto para-turistico dei parchi propongono spesso la riapertura, sia pure parziale, della caccia, con la possibilità di edificazione nei pressi, e così via. Mentre i parchi vanno fatti "respirare" anch'essi. Ci si accusa allora di volerli "imbalsamare". Sciocchezze: noi vogliamo rinaturalizzare, con questi e altri "polmoni" verdi, un Paese che va sempre più coprendosi di asfalto e di cemento».
E' stato, di recente, annunciato un programma di edilizia residenziale pubblica. In passato proprio l'attuazione di analoghe politiche della casa è stata devastante per il territorio e il paesaggio, anche sotto il profilo della qualità estetica. Quali elementi ritiene si dovrebbero introdurre per migliorarne la qualità estetica e ridurne l'impatto complessivo sul paesaggio?
«Il pericolo esiste ed è grave. Credo che occorra anzitutto assecondare una tendenza già in atto, cioè quella di riqualificare e recuperare ad uso abitativo economico interi quartieri degradati, in parte vuoti o poco abitati, in realtà utilizzati per la speculazione più bieca sulla pelle degli immigrati irregolari. Poi, certo, si dovrà anche andare ad abitazioni nuove, ma si può farlo ridando a questa edilizia sociale la qualità architettonica e urbanistica che ha avuto per decenni prima di precipitare nell'edilizia più brutta e meno servita del mondo occidentale (o prima di sparire, perché così era avvenuto, a fronte di una domanda di giovani coppie e di immigrati pressante). Cerchiamo, ovunque, di studiare gli esempi migliori lavorando su quelli e soprattutto pensando da subito ai servizi e alle infrastrutture collettive, prima ancora che alle case. Con soluzioni che si inseriscano nel modo più discreto nel paesaggio oggi divorato da villettopoli o da quartieri speculativi ancora di impatto violento. La nostra popolazione non cresce moltissimo e questo ci consente di ponderare le scelte. L'edilizia più distruttiva è stata peraltro, negli ultimi anni, quella turistica delle seconde e terze case».
In molte città le previsioni di insediamento nel tessuto urbano di un numero variabile di grattacieli ha scatenato accese polemiche tra chi pensa che sconvolgano la lettura storica dell'urbanistica e il profilo stesso delle stesse città e chi invece parla della necessità di segni di modernizzazione e di contemporaneità sostenendo, nel contempo, il vantaggio che l'edilizia verticale porta con sé in termini di minor consumo di suolo. Qual è la sua opinione?
«I grattacieli non li demonizzo in partenza. Se dobbiamo (e lo dobbiamo assolutamente) economizzare suolo libero, verde, agricolo, etc..., dobbiamo in qualche caso andare in altezza. Ma vi sono paesaggi nei quali i grattacieli "ci stanno" (penso allo sky-line milanese) e paesaggi (penso a quello torinese) dove non ci stanno per niente. A Roma penso che il paesaggio tutto moderno e contemporaneo dell'Eur consenta l'inserimento di altri grattacieli. Magari di alta qualità architettonica. Certo, li vedo meglio per le funzioni direzionali che non per quelle residenziali. Tutto va studiato portando grande attenzione al nostro amato e sfigurato, purtroppo, paesaggio. Goethe scrisse che eravamo stati capaci di creare -per mano di artisti, di poeti e di artigiani-artisti- una "seconda natura" che aveva arricchito la già bellissima "prima natura". Una "natura naturata" cioè che, secondo la splendida definizione di Averroè, si era fusa con la "natura naturans" originaria. Un discorso sempre valido».
Altro tema caldo, che pone in contrapposizione due schieramenti, è quello che riguarda l'inserimento di impianti di produzione di energie rinnovabili. Il caso dell'eolico è paradigmatico, ma anche la diffusione capillare del solare potrebbe comportare analoghe criticità in termini estetici. Vorrei sentire il suo pensiero in proposito.
«Devo dire che considero, dal punto di vista estetico, più impattante e pericoloso l'eolico. Anche perché le grandi pale si vanno diffondendo sul nostro Appennino senza alcun piano ma sulla base di contatti diretti (a dir poco scorretti) fra le grandi imprese del ramo e Comuni le cui finanze sono allo stremo e che cedono paesaggi intatti in cambio di pochi euro. Salvo poi pentirsene amaramente. Anche le Regioni stanno ragionando in termini meno brutalmente produttivistici, per esempio la Regione Molise per le pale che minacciavano la splendida area archeologica di Saepinum, presso Campobasso. L'eolico potrebbe, e dovrebbe, essere inserito nelle ex aree industriali o in quelle ancora in attività, dove le pale non produrrebbero sconquassi da punto di vista estetico. Dovendo scegliere, faccio un esempio: meglio nell'area di Piombino che non sopra i vigneti e la rocca di Scansano, meglio nella zona industriale di Genova o di Napoli che non nelle colline retrostanti. Fra l'altro, l'eolico impatta fortemente e non dà, in Italia, grandi benefici in termini di energia. Secondo Carlo Rubbia, non abbiamo molto vento (tranne forse che in Sardegna che però lascerei senza pale…). Sul solare credo che dovremo fare delle concessioni: anch'esso ha un impatto tutt'altro che limitato e però, quanto meno, ha, nelle sue varie forme, una redditività molto maggiore. So benissimo che non è bello, so benissimo che può disturbare e però consente impieghi molto più flessibili dandoci energia diffusa in maggior quantità. Anche in questo caso tutto sta, come ho detto tante volte nel corso di questa intervista, a pianificare con attenzione e precisione di dettaglio questi impianti per l'energia solare. Del resto, se vogliamo liberarci dell'inquinamento da petrolio e carbone, se vogliamo affrancarci dall'energia da petrolio e da carbone senza cadere nel nucleare, dobbiamo pur fare qualche compromesso, il più possibile intelligente, però, il più possibile razionale e anche redditizio in termini sociali. Senza trascurare (ma con questo governo non mi pare aria) quel risparmio energetico sul quale possiamo ancora lavorare non poco, in termini di aziende».

Valter Giuliano