Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 55



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Tra orsi e lupi la scienza delle specie in Abruzzo

La scienza delle specie in Abruzzo

Promuovere la ricerca scientifica è compito cruciale e finalità di un parco, considerato che essa permette di acquisire le conoscenze necessarie alla progettazione degli interventi di gestione per la tutela della flora e della fauna, patrimonio primo dell'area protetta

Il Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM) ha una lunga tradizione in tal senso che inizia con le indagini floristiche dei professori Anzalone e Bazzichelli e arriva oggi alla ricerca sui grandi carnivori condotta dal prof. Boitani e dal numeroso gruppo di ricercatori che con lui collabora. Tra i numerosi progetti di ricerca e monitoraggio in corso attualmente al Parco alcuni sono sicuramente di notevole interesse fornendo dati di immediata utilizzazione per la progettazione o il miglioramento dei piani di gestione e conservazione di alcune delle specie bandiera del Parco; altri invece consentono al Parco un monitoraggio continuo sullo status della fauna e delle foreste o l'implementazione di modelli di riferimento per la gestione del patrimonio ambientale e di biodiversità del Parco stesso. Tutti i progetti di ricerca sono soggetti alla preventiva autorizzazione dell'Ente Parco ed ogni ricercatore ha tra le condizioni imposte in sede di autorizzazione anche quelle di lasciare copia del proprio lavoro alla biblioteca del Parco (sia che si tratti di una tesi di laurea o di dottorato sia di articoli scientifici pubblicati su riviste di settore) e di lasciare all'Ente un esemplare per ogni specie eventualmente collezionata (insetti, fogli di erbario o altro). Questo ha contribuito a formare un patrimonio di notevole valore e importanza a disposizione di tutti gli studenti e i ricercatori che vengono a svolgere il loro lavoro nel territorio del PNALM: oltre 7000 volumi che costituiscono la biblioteca e migliaia di reperti tra tavole di erbario, scatole entomologiche, esemplari imbalsamati e reperti osteologici. Vediamo ad oggi i progetti più significativi in corso.

Faggi, barbastello e rosalia alpina
Di grande interesse per la gestione forestale sono le ricerche condotte dall'Università della Tuscia, prof. Schirone e prof. Piovesan, sulle foreste vetuste del Parco che ha portato alla scoperta del sito di Val Cervara in Comune di Villavallelonga classificato come la più antica foresta di faggio d'Europa. L'analisi dendrocronologia condotta nella foresta di Val Cervara ha consentito di ricostruire una serie cronologica di 480 anni che quindi si estende dal 1523 al 2002. Tra gli alberi campionati nell'ambito del progetto è stato trovato un faggio con 503 anelli chiaramente visibili e altri incompleti. La cronologia ricostruita dimostra come la longevità potenziale delle faggete è superiore a quanto si è creduto sinora e costituisce inoltre un utile strumento per la ricostruzione dell'andamento climatico, fatto di particolare importanza per il bacino del Mediterraneo per il quale sono piuttosto rare cronologie di più secoli. La presenza nel soprassuolo di piante di età così elevata, la struttura verticale e orizzontale così diversificata, la notevole quantità di necromassa formata da piante sia in piedi che a terra sono caratteristiche di notevole importanza e formano nell'insieme una foresta con notevole complessità strutturale che è a sua volta indice di notevole biodiversità, non tanto per varietà di specie, quanto per molteplicità di micro-habitat. La foresta di Val Cervara quindi può diventare un modello di riferimento per la selvicoltura delle faggete dell'area Parco offrendo indicazioni su come aumentare la complessità strutturale di quei boschi. Le ricerche si sono estese ad altri settori forestali del PNALM di potenziale interesse ed i nuovi dati raccolti ci indicano l'esistenza di altre aree con piante di età notevole. Altro progetto di ricerca rilevante è quello condotto dal prof. Danilo Russo dell'Università di Napoli. Il progetto, finanziato dal Parco, ha come obiettivo quello di indagare il ruolo che la disponibilità di necromassa ha su alcune specie di interesse conservazionistico come il barbastello (Barbastella barbastellus), chirottero molto raro, e la rosalia alpina, coleottero cerambicide, specie prioritaria ai sensi della Direttiva Habitat. Il barbastello è un vespertilionide di piccola taglia classificato come specie minacciata (EN) nel nostro paese: specie con forte flessibilità nel foraggiamento che effettua sia nelle aree forestali che nelle aree marginale e nelle zone umide. Si nutre principalmente di lepidotteri notturni (falene) che nel parco costituiscono il 70% della dieta (Fig.1): l'importanza che le falene hanno nella dieta di questa specie costituisce anche il suo elemento di maggior vulnerabilità considerato che questi insetti sono considerati specie nocive per l'agricoltura e quindi combattute con l'uso massiccio di biocidi.
Il barbastello è stato a lungo considerato specie antropofila ovvero che si rifugia in costruzione antropiche: proprio gli studi condotti al Parco con l'uso della telemetria hanno invece dimostrato definitivamente che questa specie è strettamente fitofila ovvero fa largo uso di cavità negli alberi morti come rifugio (Fig.2). Altro dato rilevante emerso durante le indagini condotte è legato al "roost switching" ovvero ai frequenti spostamenti tra gli alberi utilizzati come rifugio (roost) compiuti sia da singoli individui che da gruppi; nel caso di femmine in allattamento tali spostamenti implicano il trasporto dei piccoli. Di conseguenza, il roost switching diviene meno frequente nel periodo centrale della lattazione quando, essendo i piccoli piuttosto pesanti, il trasporto diviene più difficile (Fig.3). Il roost switching implica la presenza di un elevato numero di alberi morti: le femmine in allattamento o post-allattamento cambiano rifugio in media 0.6 volte al giorno. Considerando che le femmine non utilizzano quasi mai lo stesso albero nella stessa stagione e considerando uno spostamento di gruppo, se assumiamo il gruppo composto di circa 12 individui ne viene fuori che tale gruppo ha necessità per un solo mese di 18 alberi morti. Estrapolando tale stima all'intera popolazione ne viene fuori un dato di circa cento alberi morti.
Anche la rosalia alpina (Rosalia alpina) come il barbastello è legata alla necromassa e lo studio su questa specie è stato condotto nelle stesse aree in cui si è svolta l'indagine sul barbastello. Sono stati esaminati 735 alberi complessivamente, 41 dei quali, pari al 5,6% del totale, sono risultati colonizzati. Di questi, 32 erano alberi morti in piedi (Fig.4), in maggioranza privi di chioma (Fig.5), preferibilmente esposti al sole (Fig.6), con diametri appartenenti a classi diametriche medie e con altezze preferibilmente di 12-15 m (alberi morti in piedi) o di 3-6 m (alberi capitozzati o con cima spezzata) Gli studi condotti su entrambe le specie hanno forti implicazioni sui sistemi di gestione forestale attuati nel territorio del Parco confermando ancora una volta l'importanza del legno morto per la presenza di queste come di altre specie e la necessità conseguente della salvaguardia all'interno delle foreste degli alberi secchi in piedi o a terra e del legno in decomposizione.
"Grandi Carnivori": il lupo
il progetto che senza dubbio più ha impegnato il Parco negli ultimi anni è quello sui "Grandi Carnivori". Condotto dal Dipartimento di Biologia Animale e dell'Uomo dell'Università di Roma coordinato dal prof. Luigi Boitani, interessa lupo e orso e ha durata quinquennale. Il monitoraggio del lupo ha come obiettivo specifico il consolidamento delle conoscenze a medio e lungo termine su presenza, distribuzione, dinamica, arrangiamento territoriale e consistenza numerica della popolazione di questo splendido predatore nel territorio del Parco. Il lavoro sin qui condotto ha permesso di stimare la presenza minima di 7 branchi di lupo, i cui ambiti territoriali si susseguono lungo il principale asse del parco in direzione NO-SE. Il numero massimo di esemplari in associazione rilevato per ciascun branco è variato da 2 (branco Lago vivo) a 9 (branco Mainarde), con una media di 5.1 (±2.4) lupi/branco e corrispondenti ad un totale di 35 lupi nei 7 branchi (Fig.7). Nel corso del 2008 si sono avute precise indicazioni circa la presenza di un ottava unità riproduttiva nelle zone più periferiche del Parco, presenza che dovrà però essere confermata dalle indagini dei prossimi anni e che porterebbe il numero totale di lupi stimato per il territorio del PNALM a circa 40. La lettura incrociata dei dati invernali ed estivi su presenza, distribuzione, arrangiamento territoriale e consistenza numerica confermerebbe la presenza stabile e organizzata in uno stretto mosaico territoriale di una popolazione di lupo ad elevata densità. Una consistenza che è indice di una marcata stabilità demografica e territoriale, da cui si evince che le condizioni ecologiche per la specie nel parco sono particolarmente idonee. E' importante inoltre sottolineare che da 7-8 unità riproduttive, assumendo la sopravvivenza di almeno 2 cuccioli/anno/unità riproduttiva e una mortalità trascurabile a livello degli adulti territoriali, la popolazione di lupo nel PNALM potrebbe essere in grado di mantenere una pressione di emigrazione di 14-16 lupi l'anno in grado di mantenere/ricolonizzare altre popolazioni, presenti in altre aree appenniniche.
Ancora in corso indagini legate ad altri aspetti della biologia ed ecologia del lupo come l'analisi della dieta, il monitoraggio delle specie preda, lo studio della dinamica di popolazione. A queste attività si affianca il monitoraggio radiotelemetrico grazie alla cattura di 3 esemplari (2F e 1M) che potrà dare ulteriore supporto alla ricerca.

L'orso bruno marsicano
L'animale più "famoso" del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, simbolo stesso dell'area protetta e specie emblematica della fauna italiana ed europea è l'Orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus). Inconfondibile per le sue dimensioni, visto che il peso può superare i due quintali, è un animale dal comportamento pigro, solitario e tranquillo; prevalentemente onnivoro si adatta a ciò che offrono l'ambiente e le diverse stagioni: frutta, bacche, erba, insetti, miele, piante, radici, carogne. L'orso vive nelle foreste ma frequenta anche praterie di alta quota al limite del bosco. Il suo avvistamento risulta difficile, mentre è sicuramente più semplice incontrare i segni della sua presenza, come le caratteristiche orme ben evidenti sul fango o sulla neve, oppure le grosse pietre rivoltate che l'orso sposta per mangiare insetti. Questa specie, la cui presenza è limitata alle montagne dell'Italia centro-meridionale ed in particolare al territorio oggi compreso nel Parco, è oggettivamente a rischio di estinzione per la limitatezza della popolazione e per i rischi che essa corre, soprattutto a causa del disturbo da parte dell'uomo e dell'alterazione degli ambienti in cui vive. Nonostante la sua importanza, e nonostante il fatto che la sua salvaguardia sia stata la principale ragione dell'istituzione stessa del Parco, si può affermare che il livello di conoscenza su ecologia, etologia e dinamica della popolazione di orso bruno marsicano sia del tutto insufficiente a fondare azioni concrete di conservazione che tengano conto delle sue effettive esigenze. E' per questo che il Parco, coadiuvato e stimolato da importanti soggetti specializzati nella ricerca biologica, ha dato avvio ad un programma sistematico pluriennale di ricerca sull'orso, che oggi è in pieno svolgimento e dal quale si vogliono trarre indicazioni e conoscenze in grado di rendere sempre più efficaci le azioni di salvaguardia.
In particolare nell'inverno 2004-05 ha preso l'avvio un progetto di ricerca sui grandi carnivori nel Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, inizialmente finanziato dalla Regione Abruzzo. Dal 2006 il progetto è stato finanziato dalla donazione di un cittadino privato degli Stati Uniti tramite intercessione della Wildlife Conservation Society (WCS) di New York, il che ha permesso l'avvio di un programma di ricerca e conservazione quinquennale (2006 –2010). Il Progetto è quindi in una fase intermedia di avanzamento, ma i risultati conseguiti consentono di fornire alcune indicazioni abbastanza precise sullo status della popolazione d'orso, come risulta dal report prodotto nella primavera 2008 "Ricerca e Conservazione dell'Orso (Ursus arctos marsicanus) nel Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise" relativo al secondo anno dell'attività di ricerca. In particolare, per conoscere maggiormente abitudini e stato della popolazione dell'orso sono state realizzate una serie di azioni e attività così sintetizzabili (Da Boitani, Ciucci, Tosoni, 2008):
• cattura e marcatura con radio-collare degli orsi e loro successivo monitoraggio telemetrico al fine di valutarne spostamenti, attività, uso del territorio e dell'habitat, ecologia alimentare, sopravvivenza e riproduzione;
• osservazioni dirette della popolazione al fine di produrre indici di produttività (femmine con piccoli) e altre informazioni sulla struttura demografica e la sopravvivenza degli animali marcati;
• monitoraggio delle attività di svernamento con successivo sopralluogo nei siti di svernamento per confermarne la localizzazione e determinarne la struttura;
• sperimentazione di metodi per la stima della dimensione della popolazione, dalle procedure di stima statistica applicate ai dati pregressi alla valutazione di metodi innovativi di campionamento non-invasivo nell'ambito di uno studio pilota;
• raccolta indici di alimentazione al fine di descrivere e quantificare l'ecologia alimentare e le risorse dell'orso su base stagionale;
• analisi dell'habitat su scala locale e su larga scala al fine di valutare la distribuzione potenziale della specie e le zone a rischio di mortalità;
• monitoraggio demografico ed etologico, tramite osservazioni dirette, dell'uso delle risorse alimentari nei siti di aggregazione autunnale al fine di valutare il potenziale impatto esercitato dal turismo escursionistico;
• indagine realizzata a livello delle popolazioni locali per comprendere al meglio il grado di accettazione dell'orso e le interazioni percepite tra la specie e le attività umane;
Di seguito si forniscono indicazioni sui risultati raggiunti per le varie attività messe in campo, al fine di fornire una sia pur approssimativa idea della complessità della ricerca.

Le catture
I tentativi di cattura di orsi allo stato selvatico, a fini del loro monitoraggio radio-telemetrico, sono realizzati nell'ambito della ricerca dal mese di marzo fino a dicembre. Alle attività di cattura partecipano squadre specializzate composte da personale dell'Ente Parco (Servizio Scientifico, Servizio di Sorveglianza) e del Dipartimento BAU.
Le attività di cattura prevedono una fase di preparazione (la perlustrazione del territorio per individuare le aree idonee, la preparazione e diversificazione dell'esca su base stagionale, l'allestimento dei siti di cattura e loro pasturazione periodica, il monitoraggio della frequentazione da parte degli orsi dei siti di cattura pasturati) ed una fase di attivazione (la preparazione delle attrezzature, messa a terra delle trappole, monitoraggio dei siti di cattura attivati, intervento e manipolazione degli animali catturati).
I siti sono selezionati in base ad alcuni parametri oggettivi:
• ricorrenza di segni di presenza;
• difficoltà di accesso da parte del pubblico o di turisti;
• assenza di altre forme di disturbo antropico (attività zootecnica, agricola e venatoria, turismo);
• possibilità di accesso veicolare da parte della squadra di cattura e in tempi non superiori ai 30 minuti;
• presenza di strutture arboree idonee per l'ancoraggio del laccio ed a densità tale da permettere la tele-narcosi;
• possibilità di mantenere un contatto radio iso-onda con il sito di cattura dalla base logistica o da un punto di ascolto.
Il rifornimento dei siti viene effettuato essenzialmente con carote, ma saltuariamente anche carne (carcasse certificate o porzioni di esse), frutta (pere, mele) o esche odorose. Statisticamente, circa la metà dei siti pasturati viene successivamente attivato con la messa a terra e l'armatura delle trappole, a seguito del rilievo di una effettiva frequentazione da parte di orsi ed il 20% porta alla cattura di orsi.
Complessivamente, a partire dal 2004, con questi metodi sono stati catturati e collarati oppure muniti di marche auricolari 24 esemplari di orso. Si rimarca come, dopo le difficoltà del 2007, quando fu possibile catturare solo due esemplari, nell'anno in corso sono stati muniti di radiocollare ben sei orsi, di cui tre femmine. Questo rende il campione di orsi collarati abbastanza significativo rispetto alle finalità ed alle aspettative iniziali della ricerca, permettendo di impostare su buone basi le indagini etologiche oggetto delle prossime annualità di ricerca.

I risultati della Radiotelemetria
Gli animali radiocollarati o dotati di marche trasmittenti vengono seguiti attraverso tecniche di radiotelemetria, che consentono di determinarne la posizione e seguirne gli spostamenti, e quindi di valutare l'uso dello spazio e degli habitat da parte degli animali. L'analisi di tali dati è stata effettuata sino al 2007, e viene qui riportata (da Boitani, Ciucci e Tosoni, 2008). Nel corso del 2007, sono stati applicati 4 collari su 4 orsi adulti ed un paio di marche auricolari trasmittenti su un orso giovane (Tab.1). Cinque degli orsi catturati nel 2006 sono stati monitorati anche nel corso del 2007, per un totale quindi di 9 orsi monitorati nel 2007 di cui 7 con radio-collare. Un esemplare maschio è stato trovato morto il 30 settembre 2007 a seguito di avvelenamento, dopo 6 mesi di monitoraggio radio-telemetrico, mentre i rilevamenti a carico di un altro maschio si sono interrotti in data 13 luglio 2007 a seguito della perdita del collare dopo 4 mesi di monitoraggio. I collari satellitari di un altro paio di esemplari hanno dato problemi dopo alcuni mesi di funzionamento, mentre le marche auricolari VHF hanno funzionato correttamente per tutto il 2007.
Degli individui catturati nel 2006, e ancora oggetto di monitoraggio nel 2007 (n=5), soltanto 2 erano ancora monitorati alla fine del 2007.
Complessivamente quindi, nell'arco del 2007 sono stati compiuti rilevamenti satellitari su 1-6 orsi su base mensile. Per tutti gli orsi con collare satellitare e trasmissione datisulla rete GSM i rilevamenti VHF sono stati limitati alle occasioni in cui la rete GSM non ha trasmesso le localizzazioni per più di 7 giorni consecutivi. Per tutti gli altri orsi si è proceduto con 1 – 3 controlli VHF a settimana, essenzialmente al fine di verificarne la sopravvivenza. Lo sforzo di rilevamento, in termini di km veicolari percorsi e di ore impiegate per compiere i rilevamenti radio VHF dal momento della partenza dalla base di campo, è stato pari per l'intero periodo di monitoraggio a 15.284 km veicolari; sono state impiegate 374 ore/operatore per effettuare 310 rilevamenti radio, per una media di circa 50 km e 1 h:15 min/localizzazione VHF/operatore.
Per tutti gli orsi con collare GPS-GSM, il monitoraggio VHF (limitato alle direzioni di controllo) è corrisposto a 28 rilevamenti con uno sforzo veicolare di 3.069 km veicolari.

Rilevamenti satellitari
Nel corso del 2007 sono state acquisite 6393 localizzazioni satellitari su 7 orsi (4 femmine adulte e 3 maschi adulti). Il numero di localizzazioni per ciascun orso è variato da 342 a 2388. In relazione alla stagionalità ecologica e comportamentale della specie, la stagione successiva allo svernamento e coincidente con gli accoppiamenti è stata nel 2007 la meglio campionata, sia in termini di localizzazione che di individui, mentre durante la fase di ipergfagia è stata monitorata una sola femmina adulta.
Considerando le localizzazioni totali, comprese quelle registrate nei precedenti due anni di ricerca, il campionamento telemetrico sembra essere ben strutturato nelle porzioni centro-meridionali e centro-settentrionali del parco , sebbene rimangano potenzialmente escluse importanti porzioni centro-orientali e nord-occidentali.

Monitoraggio dell'attività di svernamento
Durante la stagione invernale del 2006-07, sono stati monitorati per via telemetrica 6 orsi, tutti tramite telemetria satellitare . Tutti gli orsi monitorati erano femmine adulte, di cui una accompagnata da un piccolo dell'anno precedente. Tre radio-collari hanno smesso di funzionare durante la stagione invernale, non permettendo quindi la ricostruzione della data di fine svernamento od il numero esatto di siti di svernamento utilizzati, cosa del resto fatta per gli altri tre orsi.
La data di inizio dello svernamento è variata tra il 10/11 ed il 12/12 con periodo modale coincidente con la quarta settimana di novembre, mentre la data di fine svernamento è variata tra il 27/03 ed il 28/04. La femmina con il piccolo dell'anno precedente non ha mostrato un periodo di svernamento differente dalle altre femmine.
In totale, incluse le stagioni invernali precedenti sono stati ad oggi individuati 14 siti di svernamento. I siti individuati per via telemetrica sono quindi stati verificati sul campo con sopralluoghi mirati e condotti nei successivi mesi estivi. In totale, 6 siti tana utilizzati nella stagione invernale del 2006-07 sono stati verificati tramite sopralluogo e in questi, come in quelli individuati negli anni precedenti, sono stati effettuati rilevamenti delle variabili ambientali (topografiche, strutturali e vegetazionali) a livello del sito stesso dell'immediato circondario.

Raccolta di escrementi e analisi alimentari
La raccolta degli escrementi, ai fini dell'analisi della dieta su base stagionale, viene realizzata nell'ambito della ricerca secondo due strategie complementari: una raccolta mirata nelle zone di frequentazione intensiva degli orsi radiocollarati, dove queste (cluster) sono state identificate dalle aggregazioni di localizzazioni GPS successive ed entro una distanza di 100 m, e una raccolta generalizzata in più ampie porzioni di territorio al fine di rappresentare l'intera popolazione di orsi. Dal 30/05/2007 al 06/12/2007 sono stati effettuati 83 sopralluoghi mirati in altrettanti cluster a livello di 7 orsi muniti di radio-collare. Complessivamente, nell'82% dei cluster ispezionati è stato riportato un esito positivo, ovvero con riscontro di presenza e/o raccolta di indici di alimentazione. In totale sono stati raccolti 396 escrementi.
Sulla base dell'interpretazione dei segni riscontrati in fase di sopralluogo, l'alimentazione degli orsi è stata suddivisa in relazione alle principali categorie alimentari; queste, in ordine decrescente di frequenza, sono state:
• piante da frutta, con il 46% dei cluster ispezionati;
• carcasse di animali domestici e selvatici, con il 39% dei cluster ispezionati;
• insetti, con il 29% dei cluster ispezionati;
• piante erbacee, con il 23% dei cluster ispezionati.
Questo spettro alimentare conferma la variabilità della dieta dell'orso ed è di grande importanza in termini gestionali, permettendo di individuare i potenziali conflitti tra le esigenze alimentari dell'orso e le attività umane. Conferma anche l'importanza della disponibilità di frutta selvatica, o messa a disposizione dell'orso, al fine della limitazione dei potenziali danni all'agricoltura indotti dalla specie.

Le osservazioni dirette
Nell'ambito della ricerca vengono anche effettuate osservazioni dirette alla popolazione di orso nel Parco, con i seguenti obiettivi:
• produrre un conteggio conservativo del numero minimo di unità familiari (femmine con piccoli dell'anno);
• valutare ulteriormente fattibilità e resa della questa tecnica per la stima di alcuni parametri demografici;
• mettere a punto i dettagli logistici per ottimizzare l'applicazione della tecnica negli anni futuri.
Le osservazioni dirette degli orsi avvengono utilizzando due strategie di campionamento: osservazioni realizzate durante sessioni in simultanea, in cui più osservatori sono stati dislocati simultaneamente sul territorio, e osservazioni realizzate durante le sessioni opportunistiche, ovvero non necessariamente in simultanea e svolte durate l'intero arco della stagione estiva ed autunnale o accidentalmente durante altre attività di campo. L'osservazione della popolazione di orso è articolata e concentrata in due repliche stagionali: una estiva (luglio) ed una tardo estiva-autunnale (agosto-settembre). Le sessioni di osservazione comportano l'impiego di parecchie decine di operatori, in turni di osservazione che vengono effettuati all'alba e al tramonto.
Nel corso del 2007 sono stati realizzati 14 avvistamenti in appostamento e 9 casuali. Gli avvistamenti effettuati, vagliati sulla base dei criteri per evitare le doppie conte, nonché in base alle caratteristiche individuali di alcuni degli orsi avvistati, corrispondono ad almeno 6 orsi differenti, di cui 4 adulti di sesso indeterminato e 2 giovani di un anno non associati ad unità familiari. Non sono state quindi individuate nuove unità familiari, ma è stata documentata la presenza di 2 dei 7 piccoli nati nella stagione precedente. Nella seconda replica stagionale sono stati realizzati 96 avvistamenti in appostamento. In base ai criteri di conta, sono stati avvistati almeno 19 orsi (15 adulti, 1 giovane e 4 piccoli dell'anno), di cui 8 adulti di sesso indeterminato, 1 giovane di un anno non associato ad un'unità familiare, 4 individui adulti dotati di marche e/o collare e 2 unità familiari, costituite ciascuna da 2 piccoli dell'anno. Sempre nel 2007, tra il 1 aprile e il 30 settembre sono state inoltre realizzate osservazione su base opportunistica, per un totale di 49 uscite e/o appostamenti. In totale sono stati compiuti 124 avvistamenti d'orso. In base ai criteri spazio-temporali per evitare le doppie conte applicati alle osservazioni opportunistiche ed alle caratteristiche individuali di alcuni degli orsi osservati, nonché combinando gli avvistamenti scaturiti dalle osservazioni in simultanea ed opportunistiche ed includendo nel conteggio gli orsi marcati con radio-collare e/o marche auricolari sicuramente non inclusi tra gli individui avvistati, si conteggia un minimo di 28 e 30 orsi, rispettivamente nella prima e nella seconda sessione. Nel corso del 2008 gli avvistamenti hanno permesso di individuare almeno 6 femmine con piccoli, per un totale di piccoli dell'anno minimo di 10.

Genetica non invasiva
Nell'ambito della ricerca, a partire dal 2007 l'attività nel settore della genetica non invasiva è stata incentrata principalmente sull'individuazione di un'adeguata strategia di campionamento genetico della popolazione di orso marsicano, che potesse essere utilizzata in futuro come strumento per l'ottenimento di una stima della sua consistenza e per un monitoraggio nel medio- lungo periodo. È stato pertanto realizzato uno studio pilota di campiomanento genetico non invasivo, con l'obiettivo di valutare se alcune modificazioni della strategia di trappolamento potessero condurre ad un consistente aumento del successo di campiona mento, rispetto a quello riscontrato nei precedenti tentativi svoltisi tra il 2003 e il 2005. E' stata così individuata una strategia di campionamento di tipo stratificato-casuale, basata sull'allestimento di 70 trappole olfattive, delle quali 21 hanno fornito campioni di pelo.
Lo studio ha pertanto fornito delle indicazioni promettenti circa la possibilità di riapplicare la tecnica su vasta scala e di ottenere, tramite l'applicazione di opportuni modelli, una stima della consistenza residua della popolazione di orso marsicano. Per questa ragione e con gli obiettivi sopra esposti, il campionamento genetico non invasivo è stato pertanto ripetuto nell'estate 2008 sull'intera area del parco e della Zona di Protezione Esterna. I risultati di questo campionamento sono in corso di elaborazione.

Conclusioni
La ricerca in corso sui grandi carnivori, ed in particolare sull'orso bruno marsicano, rappresenta il maggiore tentativo sin qui effettuato per conoscere meglio questa specie, per identificarne l'ecologia, per capire quale effettivamente sia la dinamica delle popolazione, e quali in prospettiva le strategie per poterne garantire la sopravvivenza.
Essa costituisce la base scientifica indispensabile al PATOM, il Piano di Azione per la Tutela dell'Orso Marsicano, che vede impegnati soggetti diversi quali amministrazioni pubbliche, enti di ricerca ed associazioni. Il migliore esempio di come la ricerca scientifica possa essere un grande sforzo di cooperazione e organizzazione, che veda impegnati fianco a fianco università, parco e soggetti privati.
Già oggi, grazie a questa collaborazione, si vedono grandi risultati, e gli ulteriori anni a disposizione permetteranno di affinare sempre più le conoscenze.
Ancora una volta, e nello specifico relativamente ad una delle specie animali più importanti per il suo valore simbolico e per i rischi oggettivi che corre, si dimostra che la sfida della conservazione trova nei parchi e nelle aree protette il suo epicentro, ma che può essere vinta solo se soggetti diversi traguardano obiettivi comuni.

Vittorio Ducoli e Cinzia Sulli