Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 56



Ordina questo numero della rivista

Continuità ambientale: la pianificazione "intorno" alle Aree Protette

La necessità di contestualizzare potenzialità e problematiche delle aree protette nei più vasti quadri territoriali che le accolgono è materia di ricerca nel campo della biogeografia e dell'ecologia già dagli anni sessanta del novecento (MacArthur et al., 1967). Quello che oggi è cambiato è il grado di consapevolezza sulla complessità dei fenomeni e dei processi che saldano aree protette e resto del territorio, tanto più che -a livello mondiale- una quota sempre maggiore di parchi viene a trovarsi in contesti densamente urbanizzati.

Alla luce delle riflessioni sui grandi cambiamenti che investono globalmente gli scenari economici, sociali, culturali e territoriali, che hanno mutato notevolmente anche le prospettive di gestione dei parchi, l'Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN) raccoglie, ha raccolto e rilanciato il tema dell'ineludibile legame fra aree protette e propri contesti territoriali, dedicando la quinta Conferenza mondiale delle aree protette (Durban, 2003) ai benefits beyond the boundaries (benefici estesi oltre i confini). In questa occasione si approfondirono anche le problematiche legate all'insularizzazione delle riserve naturali e all'insufficiente loro integrazione all'interno di piani e programmi di sviluppo. Il Durban Action Plan (esito degli incontri e dei dibattiti avvenuti in seno alla Conferenza) contiene le istanze basilari della moderna difesa ambientale: il ruolo critico dei parchi nella conservazione della biodiversità e nello sviluppo sostenibile a livello globale e la necessità di concentrarsi sui collegamenti fra aree protette e propri contesti territoriali, sia terrestri, sia marini.

Dalla teoria alla pratica: esperienze italiane
In relazione alle sfide lanciate dal Durban Action Plan, sempre maggiore riscontro trova il paradigma delle reti ecologiche e delle connessioni naturali in genere; a queste è ormai associata una pluralità di significati che vanno ben oltre quello di "connessione biologica", interessando valenze e funzioni anche più direttamente connesse alla qualità di vita dell'uomo (reti fruitive, reti storico-culturali, sono esempi di questa "multifunzionalità").
Quali opzioni sono perseguibili dagli enti di gestione dei parchi per promuovere e favorire i processi di riconnessione multifunzionale con i propri territori contermini?
Come possono agire a questo proposito le aree protette italiane attraverso gli strumenti della pianificazione e come possono fare continuità ambientale anche al di fuori del proprio territorio amministrativo?
Assumendo come necessità ormai generalmente riconosciuta l'interazione fra le politiche di gestione delle aree protette e quelle che si concentrano sui territori oltre il parco, il contributo si focalizza sulla continuità ambientale come uno dei principali temi su cui sperimentare tale interazione. Le considerazioni sono basate su una preliminare schedatura dei casi, focalizzata sui seguenti parametri:
• scale spaziali di riferimento (dal territorio nazionale a quello di una singola area protetta);
• funzioni attribuite alla continuità ambientale (ecologica, di valorizzazione del tessuto storico-culturale, paesistico-fruitiva...);
• ruoli delle aree protette (promotrici, responsabili o secondariamente coinvolte nel progetto di continuità ambientale);
• caratteristiche dello strumento di pianificazione (soggetto responsabile, grado di formalizzazione e di integrazione nel sistema della pianificazione preesistente);
• modalità di attuazione (previsione di indirizzi specifici per l'integrazione in altri strumenti, avvio di processi partecipativi, cogenza o adeguamento volontario, operatività diretta o demandata a progetti attuativi specifici);
• soggetti coinvolti nell'attuazione e nella gestione (istituzionali e non);
• metodi e le tecniche per la regolazione del rapporto fra pubblico e privato per l'acquisizione e la gestione delle aree di intervento.
In base a queste chiavi di lettura, possono risultare particolarmente significative:
• il piano di rete ecologica dei Paesi Bassi, esteso all'intero territorio nazionale e significativo per la costituzione di una Commissione Internazionale per il coordinamento integrato con i Paesi contigui di alcuni interventi;
• il Progetto Territoriale Operativo e Piano d'Area del Po, riguardante la continuità ambientale dell'intero tratto del fiume compreso in Piemonte e interessante per la forte capacità dell'ente di gestione dell'area protetta nell'attuare le proprie previsioni attraverso l'integrazione con le pianificazioni "esterne" e la concertazione con la vasta gamma di attori presenti su di un territorio densamente urbanizzato;
• il progetto Reti EcoLogiche avviato dalla Provincia di Vercelli, che sperimenta metodi attuativi fondati principalmente su processi partecipativi;
• il progetto pilota POSEIDON, avviato in Valle Scrivia (entroterra genovese) per il rafforzamento dell'identità delle comunità della Valle attraverso esperienze di riqualificazione dell'ambiente naturale lungo il torrente Scrivia;
• il Piano Territoriale del Parco Regionale dei Sassi di Roccamalatina, che prevede la stipulazione di accordi agroambientali estesi anche alle aree contigue del parco;
• il progetto per il Passante Verde di Mestre che si propone di mitigare i palinsesti visivi tagliati dall'infrastruttura, prevedendo fra i propri metodi attuativi quello degli appalti ambientali come alternativa all'esproprio.
Per discutere possibili risposte agli interrogativi iniziali, si approfondiranno tre casi-studio, riguardanti rispettivamente: la costruzione di quadri conoscitivi inclusivi dell'intorno dei territori protetti, le modalità per prevenire o ricucire continuità ambientali all'interno di aree protette interessate da forti spinte allo sviluppo insediativo e le funzioni persuasive che reti "intangibili" (istituzionali) di aree protette possono giocare nella ricostruzione di reti multifunzionali a vasta scala, attraverso la proposizione di nuove immagini territoriali come scenari di sviluppo di aree metropolitane.

Scoprire le connessioni con il contesto: nuovi modi di leggere il territorio
Nel 2002 è approvato il piano per il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, basato su un'interpretazione del territorio dell'area protetta che mira a fare emergere ambiti territoriali con un'identità riconoscibile, le unità di paesaggio, indifferentemente ai confini amministrativi (Fig.1).
Ai fini della realizzazione della continuità ambientale, tale approccio è rilevante da almeno due punti di vista: in primo luogo, il fatto che il riconoscimento di relazioni ambientali, storico-culturali, paesistiche e fruitive sia effettuato prescindendo dalle delimitazioni di tipo amministrativo e basandosi invece sostanzialmente su criteri di relazione e funzionalità permette di indagare quella zona particolarmente sensibile che sono i "bordi" del parco e di fare emergere la varietà di legami che intercorrono fra dentro e fuori l'area protetta. Per ciascuna unità di paesaggio, il piano si concentra proprio sui "sistemi di relazioni", individuando quelli da conservare, rafforzare, riqualificare, o trasformare in funzione delle loro specifiche funzioni ecologiche, paesistiche, ambientali e culturali.
Il secondo aspetto riguarda invece la ricerca di modalità per la realizzazione della continuità ambientale. Dal momento che è interesse per il parco (ma non solo) realizzare interventi unitari coerenti anche a scavalco dei propri confini, il piano prevede l'elaborazione di programmi di valorizzazione "in rete", "volti a promuovere e coordinare interventi per realizzare, potenziare o qualificare le reti di risorse, servizi ed infrastrutture da cui dipendono le continuità ecologiche, la funzionalità e la fruibilità sociale del parco, coinvolgendo la pluralità dei soggetti istituzionali ed, eventualmente, di operatori ed attori locali interessati" (art.19); al fine di orientare la formazione di tali programmi, il piano ne descrive i contenuti e gli obiettivi specifici in apposite Schede Progetto.
Il primo programma è mirato sia al ripristino delle reti ecologiche interne, sia alla connessione del parco con le aree naturali circostanti, con particolare attenzione per i nodi di connessione ecologica (collegamenti spesso disturbati o addirittura interrotti da vari tipi di infrastrutture (rete viaria, elettrodotti, etc…). Il secondo programma di intervento è invece incentrato sulla rete di fruizione ed ha come obiettivi la riorganizzazione, la riqualificazione, l'eventuale eliminazione di barriere architettoniche e la messa in rete dei sentieri e dei rifugi esistenti oltre che di tutti i servizi di supporto al parco (case del parco, centri di educazione ambientale, centri informativi e centri visita).
Come accennato, per ciascuna unità di paesaggio, il piano definisce i sistemi di relazioni da conservare, riqualificare, o trasformare: per quanto riguarda le parti interne al parco, tali indicazioni hanno valore di direttive per gli strumenti urbanistici comunali, che quindi devono provvedere al proprio adeguamento; per le parti esterne all'area protetta, esse assumono valore propositivo ai fini di intese con i soggetti istituzionali competenti per la pianificazione territoriale sulle aree limitrofe, nell'ottica che la conservazione attiva dei valori del parco sia interesse della collettività: l'area protetta si fa quindi promotrice di iniziative integrate con i soggetti pubblici (Comuni, Comunità Montane, Enti di Gestione di Aree Protette vicine, associazioni) ed i privati interessati, al fine di favorire il mantenimento delle principali connessioni ecologiche, la valorizzazione dell'identità dei paesaggi locali (in applicazione dei principi della Convenzione Europea del Paesaggio), la connessione e l'integrazione tra gli itinerari del turismo culturale e naturalistico; ad oggi, queste opportunità non sono state però ancora colte dagli Enti locali. Gli strumenti giuridici entro i quali definire modalità attuative da impiegare oltre i confini dell'area protetta sono principalmente accordi di programma e di pianificazione e patti territoriali (come previsto dalla Legge Quadro sulle Aree Protette, in merito alla cooperazione dei diversi soggetti interessati all'attuazione delle finalità del parco).

Se il parco non è "autoconnesso"
Il Parco Regionale lombardo della Valle del Ticino è un'area ad elevata biodiversità inserita in un contesto territoriale a forte sviluppo antropico, causa di processi di banalizzazione ed impoverimento delle risorse naturali: nonostante l'area protetta costituisca una sorta di corridoio di elevata ricchezza biologica rispetto al contorno (tale da essere inserita nella Rete Mondiale delle Riserve di Biosfera dell'UNESCO e, a scala europea, nella Rete Natura 2000, insieme al corrispettivo parco fluviale sulla sponda piemontese), anch'essa non è immune da processi di sviluppo insediativo che ne minacciano il valore ambientale, pregiudicandone le connessioni ecologiche interne (in questo senso, in termini ecologici, il parco rischia di non essere "autoconnesso").
Essendo collocato in un'area strategica dal punto di vista geo-economico, il parco –che ospita già grandi infrastrutture- agli inizi degli anni duemila è stato interessato dalla realizzazione di un nuovo aeroporto (Malpensa 2000) e delle reti tecnologiche e di trasporto per il suo collegamento al resto del territorio: la previsione di inevitabili impatti sull'assetto ambientale dell'area protetta derivanti da questi interventi è stata lo stimolo perchè il parco avviasse, con il sostegno della Regione Lombardia, lo studio/progetto di una rete ecologica in base al quale indirizzare gli interventi di compensazione ambientale indotti dalla realizzazione della stazione areoportuale. Il progetto, inizialmente concentrato sull'intorno di Malpensa, ha poi allargato il proprio raggio di interesse, portando all'individuazione di una rete ecologica estesa all'intero parco ma anche ai territori limitrofi, considerati di importanza strategica anche per la conservazione delle risorse naturali interne all'area protetta (Fig.2).
A questo proposito è utile soffermarsi sulle diverse, ma complementari, "scale" di attenzione che il progetto si sforza di tenere saldate: da un lato quella "locale", cioè quella che permette di individuare all'interno del parco le aree più sensibili alle modificazioni da parte dell'uomo, dall'altro la scala "sovralocale", che consente di capire il ruolo del parco all'interno di una dimensione territoriale-ambientale "allargata" e che, nel caso del Parco del Ticino, permette di interpretare l'area protetta come uno snodo fondamentale per il corridoio ecologico fra Alpi e Appennini e fra Europa continentale e bacino del Mediterraneo. L'attenzione ai ruoli che l'area protetta assume ecologicamente a scale diverse è essenziale perchè sul piano progettuale si individuino in maniera più consapevole ed efficace le principali connessioni ambientali verso le aree protette circostanti, scavalcando anche i limiti nazionali (ad esempio verso la Svizzera). I principali studi e progetti attivati dal parco a questo proposito riguardano: il corridoio ecologico del Ticino tra Lombardia e Svizzera nell'ambito del programma INTERREG IIIA Italia- Svizzera 2000-2006, lo studio per il corridoio ecologico del torrente Strona, il collegamento con il Parco del Campo dei Fiori in provincia di Varese, il progetto di connessione con i boschi dell'alto milanese ed il Parco Agricolo sud Milano, il corridoio ecologico del Torrente Scuropasso per garantire connessioni tra Alpi e Appennini, in sponda destra del Po, e quello di connessione con il Parco Fluviale del Po piemontese (Fig.3).
Per favorirne l'attuazione, nel 2003 il progetto di rete ecologica è stato corredato dal Regolamento per la tutela e la valorizzazione della Rete Ecologica nel Parco Regionale lombardo della Valle del Ticino, che costituisce uno strumento attuativo del Piano Territoriale di Coordinamento del Parco e disciplina la realizzazione della rete ecologica, fornendo alcune linee guida per l'applicazione del progetto. Il regolamento prevede espressamente che i propri contenuti debbano essere recepiti all'interno dei piani di settore, dei piani comunali e dei piani territoriali di coordinamento provinciali e che le valutazioni ed i pareri sulla realizzazione di interventi di trasformazione urbana dovranno prendere in considerazione anche gli impatti che questi potrebbero avere sulla rete ecologica; infine, nel caso di progetti pubblici e privati che interessino in modo diretto le aree inserite nella rete ecologica, gli impatti indotti dalla trasformazione sulle varie componenti ambientali dovranno essere sottoposti alla procedura della Valutazione di Impatto Ambientale.
Affiancano il regolamento alcuni Indirizzi alla pianificazione locale che, sebbene non direttamente cogenti sui piani locali, suggeriscono alcune "buone pratiche" per contribuire alla realizzazione della rete ecologica: preservare spazi non urbanizzati interclusi nella trama dell'edificato, scegliendo il riuso e la riqualificazione del patrimonio edilizio dismesso e occupandosi della qualificazione naturalistica di queste aree (realizzazione di cinture, cunei, corridoi verdi e controllo della qualità della vegetazione), contenere lo sviluppo urbano di tipo diffuso, introdurre nei regolamenti edilizi indici di permeabilità dei suoli da rispettare per le nuove edificazioni, provvedere alla rinaturalizzazione delle fasce interessate da infrastrutture e alla creazione di zone di ambientazione di quelle tecnologiche e di comunicazione.

Dalle esigenze dei parchi ai benefici per il territorio
Da ormai dieci anni per l'area metropolitana di Torino viene evocata, accanto ad altre, l'immagine della "corona verde", come accade, da molto più tempo, a Parigi, Londra e Francoforte. L'idea di una cintura verde intorno alla città era in qualche modo prevista fin dagli anni cinquanta dagli strumenti urbanistici comunali del capoluogo piemontese, ma era poi caduta in oblio e non più tenuta in conto dalla forze alla guida dello sviluppo territoriale; alla fine degli anni novanta sono le aree protette regionali, che orbitano attorno alla città, a riportare all'attenzione pubblica l'idea di una corona verde e a sottolinearne la validità e l'attualità, alla luce delle grandi trasformazioni territoriali -avvenute e previste- che portano alla continua saturazione degli spazi naturali presenti e alla cancellazione delle specificità storiche e paesaggistiche ancora leggibili (Fig.4).
La spinta alla costituzione di una rete di spazi naturali connessi nasce quindi da esigenze dei parchi regionali (guidati dal Parco Fluviale del Po Torinese) che, nel 1997, raccolgono in un documento programmatico le proprie motivazioni, a partire dalla constatazione dei problemi che si trovano ad affrontare nella propria pratica quotidiana, quali: le pressioni esercitate dallo sviluppo insediativo sulle aree naturali che, ormai si sa, non costituiscono isole a sé stanti e non possono tutelare efficacemente il benessere degli ecosistemi a prescindere da cosa avviene nel resto del territorio; l'erosione delle specificità paesaggistiche che ancora conferiscono identità ai territori delle aree periurbane strutturate da secoli dall'attività agricola; il disequilibrio nella distribuzione dell'uso degli spazi verdi dell'area metropolitana torinese che sottopone alcune aree ad un'eccessiva pressione turistica e ricreativa con il rischio del degrado delle risorse naturali.
Quello che in definitiva i parchi chiedono, rivolgendosi principalmente alle autorità regionali, sono politiche di gestione da un lato maggiormente specifiche (cioè più mirate alla protezione degli spazi naturali a ridosso dei maggiori centri urbani) e dall'altro unitarie (che risolvano squilibri nella distribuzione di carichi e benefici e, scavalcando fisicamente i confini delle singole aree protette, siano in grado di tutelare e valorizzare gli spazi naturali ancora presenti sul territorio, funzionali alla connessione fra le aree protette).
Il progetto Corona Verde nasce dunque (aspetto assai significativo) dalla capacità dei parchi di mostrare come le proprie istanze siano rilevanti ben oltre i propri limiti amministrativi (sia in chiave di problematiche da risolvere sia di opportunità di valorizzazione) e da quella degli altri soggetti pubblici di accogliere questa occasione come possibilità di riqualificazione e sviluppo per l'intero territorio metropolitano.
Gli interessi delle parti coinvolte si aggregano così attorno ad obiettivi di riqualificazione ambientale e paesistica dell'area metropolitana torinese, attraverso la ricostituzione del tessuto connettivo del territorio, funzionale ai sistemi di relazioni ecosistemiche, paesistiche, storiche e culturali, senza il quale una difesa concentrata solamente sull'integrità delle aree protette risulterebbe inefficace. In questo disegno di continuità ambientale, il ruolo delle aree protette è paragonabile alla struttura primaria da cui partire per (ri)costruire il tessuto connettivo di cui, come si è detto, non sono solamente i valori strettamente naturali a dover essere preservati o riqualificati. I parchi vedono così riconosciute e messe in valore alcune proprie peculiarità non strettamente di tipo ecologico: possono infatti essere nodi di particolare interesse del sistema storico-culturale e delle reti di fruizione. Affinché la pianificazione della Corona Verde sia il più possibile saldata alle politiche di trasformazione territoriale più generali, la regia è affidata alla Regione (ed in particolare al settore Pianificazione delle Aree Protette) che per il suo avvio impegna dieci milioni di euro del Documento di Programmazione Economica 2000-2006 messi a disposizione dei comuni e degli enti parco: attingendo a fondi europei, il Documento individua infatti la linea di intervento "Sistema della Corona Verde" nella misura "Valorizzazione della programmazione integrata d'area"; questa fase, conclusasi nel dicembre 2006, ha visto la presentazione ed il finanziamento di trenta interventi principalmente finalizzati alla riqualificazione paesaggistica e fruitiva delle sponde fluviali dei principali corsi d'acqua. Altre misure di finanziamento sono state individuate nella legge regionale 4/2000 "Interventi regionali per lo sviluppo, la rivitalzzazione e il miglioramento qualitativo dei territori turistici", nei fondi derivanti dai PRUSST (Programmi di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio) e nei Patti Territoriali della Provincia di Torino.
Oggi, il cammino verso la realizzazione di questo ambizioso progetto di continuità ambientale è lontano dal potersi considerare concluso, anche dal momento che chiama in causa una moltitudine di attori il cui coordinamento richiede strutture e modalità complesse di gestione; ma l'area metropolitana torinese ha ora un'immagine chiara di assetto ambientale verso cui tendere e un progetto valido per farlo, anche grazie ai suoi parchi.

Conclusioni da cui ripartire
Le esperienze brevemente ricordate ci servono per fare emergere alcune questioni e, genaralizzandole, per articolare una serie di prime risposte alle domande di partenza: quali opzioni sono perseguibili dalle aree protette per promuovere e favorire i processi di riconnessione con i propri territori contermini, e che ruolo possono ricoprire all'interno di reti territoriali dalle funzioni molteplici? Per fare ciò possiamo concentrarci su due momenti: quello del processo di pianificazione e quello dell'attuazione (con un'attenzione particolare anche a modalità di acquisizione e gestione delle aree su cui intervenire).
È essenziale che l'allargamento dell'attenzione oltre i limiti amministrativi dell'area protetta avvenga già dalle prime fasi di "lettura" del territorio, in modo da rintracciare con maggiore efficacia i fattori che ne influenzano le caratteristiche, ma anche per prevedere possibili sinergie con i processi in atto sul resto del territorio, in un'ottica di sistema e quindi di maggiore efficacia. Utili a questo fine sono metodi di interpretazione come quello delle unità di paesaggio, che non si limitino a considerare le componenti territoriali racchiuse nei confini delle aree protette, ma che fanno emergere le relazioni funzionali fra dentro e fuori parco, relazioni sulle quali in molti casi si basa la stessa esistenza delle risorse tutelate dalle aree protette (ma che molte volte non sono fra i criteri principali utilizzati per individuare i limiti amministrativi dei parchi).
In un'ottica operativa, è inevitabile che tale approccio implichi la ricerca di "non tradizionali" modalità d'attuazione, dal momento che si ragiona su fenomeni che non ubbidiscono ai limiti amministrativi convenzionali: quale valore di cogenza e quali possibilità di attuazione hanno gli indirizzi che ricadono sui territori esterni? Nel caso illustrato, essi assumono un valore esclusivamente propositivo e sta al parco avviare intese con gli altri enti territoriali, promuovendo, ad esempio, iniziative integrate; gli strumenti giuridici entro i quali definire le modalità attuative "oltre i confini dell'area protetta" sono principalmente accordi di programma e di pianificazione e patti territoriali (come previsto dalla Legge Quadro sulle Aree Protette). In alcuni casi –non rari, in un contesto nazionale così densamente insediato come il nostro- le stesse aree protette non possono essere considerate "territori omogenei" dal punto di vista dello stato di conservazione delle risorse al proprio interno, presentando anche pesantissime condizioni di frammentazione che vanno affrontate tramite interventi mirati e coordinati. È possibile, ad esempio, predisporre progetti ad hoc di continuità ambientale (i quali sarebbe bene che si avventurassero anche nell'esplorazione delle principali connessioni con le eventuali aree protette circostanti); tali strumenti possono attuarsi prevedendo la formazione di progetti e programmi attuativi incentrati su specifici ambiti considerati "nodali" per l'efficacia della continuità ambientale, ma anche disciplinando il recepimento dei propri indirizzi nei vari piani di settore (per la regimazione delle acque e la sistemazione delle sponde, di assestamento forestale e naturalistici) ed infine promuovendo la prediposizione di appositi piani di gestione. Questo ultimo tipo di strumento si presta particolarmente all'avvio di processi di pianificazione "concertati" fra Ente Parco, soggetti intessati all'attuazione e resto della popolazione, costituendo anche un'occasione di adempimento al principio, sancito dalla Legge Quadro sulle Aree Protette, di partecipazione ed inclusione delle comunità residenti nelle aree protette alle attività di pianificazione dell'Ente di Gestione.
Un ulteriore motivo di riflessione riguarda il ruolo da protagonisti che i parchi possono rivestire nella costruzione di nuovi scenari o vision che interessino territori ben più vasti di quelli protetti, e guidati da una logica ben più complessa rispetto oltre all'unica finalità di riconnessione ecologica delle aree protette: si pensi soprattutto ai casi in cui sono i parchi a dare impulso alla costituzione di cinture verdi attorno a grandi realtà urbane, attraverso lo stimolo all'attivazione di processi di pianificazione strategica; in questi casi, il progetto di continuità ambientale viene a costituire un'occasione non solo di riqualificazione di una rete di aree naturali o semi-naturali, ma anche una possibilità su cui fondare processi di vero e proprio sviluppo sociale ed economico come l'innesco di processi di governance o di valorizzazione "in rete" delle risorse territoriali.
Una questione conclusiva, che segna in realtà un cammino aperto alla sperimentazione e alla codificazione di metodologie e prassi, riguarda la pianificazione paesaggistica: dato il carattere di prevalenza dei piani paesaggistici nei confronti degli altri strumenti di pianificazione (come dalle più recenti disposizioni del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), quella paesaggistica potrebbe infatti giocare un ruolo da "alleato" per la continuità ambientale, facendosi carico delle dovute previsioni atte a realizzare quell'infrastrutturazione ambientale multifunzionale (Gambino, 2007) con capisaldi le aree protette, ma innervante l'intero territorio.

Bibliografia
CONSORZIO PARCO LOMBARDO DELLA VALLE DEL TICINO, 2005, La Rete Ecologica del Parco del Ticino, Regione Lombardia.
MC ARTHUR R. H. e WILSON, E. O., 1967, The Theory of Island Biogeography, Princeton University Press, Princeton, USA.
GAMBINO R., 2007, Parchi, paesaggi, territorio, Parchi - Rassegna di cultura delle aree protette, 50:45-64.
Durban Action Plan, esito della V Conferenza Mondiale delle Aree Protette organizzata dalla World Conservation Union- Durban 2003, in: http://www.iucn.org
Dipartimento Interateneo Territorio (DITER),2007, "Progetto Corona Verde: pianificazione strategica e governance", Rapporto di Ricerca (Convenzione Regione Piemonte, settore Pianificazione Aree Protette),in: http://www.ocs.polito.it
Piano per il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, in: http://www.sibillini.net

Nota conclusiva: l'articolo è basato sul lavoro di tesi di Laurea Magistrale in Pianificazione Territoriale, Urbanistica e Ambientale discussa nel 2008 al Politecnico di Torino e intitolata: "Strumenti operativi per la continuità ambientale: esperienze di pianificazione "intorno" alle Aree Protette" relatrice Prof. Claudia Cassatella.

Bianca Maria Seardo