Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 56



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Sistema Italia - Terre

APE e alpi: l'imperativo é ripartire

Risvegliare APE per contribuire al rilancio dell'Abruzzo e dell'Appennino.
Tornare a occuparsi della Convenzione delle Alpi per una politica concertata e sostenibile della più importante e fragile bioregione europea, in bilico tra progetti dubbi e lodevoli iniziative.

Davvero difficile vedere terra, nel senso di approdo, per la politica dei parchi e delle aree protette sulle Alpi e sull'Appennino.
Qui si scontano tutti ritardi nell'attuazione di quel sistema della conservazione della biodiversità della penisola, prefigurato con la legge 426, che proprio nelle Alpi e nell'Appennino vedeva due dei suoi fulcri portanti.
Puntualmente evocato, il Progetto APE sembra più una chimera, che sta nei cuori e nelle speranze degli ideatori, piuttosto che nella realtà concreta nei fatti e nelle progettualità territoriali.
Non si fa politica solo con la pubblicità piuttosto che con gli slogan rassicuranti e autoreferenziati.
Ci vuole concretezza di risultati, in termini di atti per uno sviluppo sostenibile e per la tutela della biodiversità.
La ferita profonda che il terremoto ha inferto a L'Aquila e all'Abruzzo -cuore verde d'Europa e spina dorsale del progetto Appennino- può e deve essere l'occasione per ripartire da APE nella necessaria e urgente riprogettazione di un futuro sostenibile per il fragile ecosistema appenninico, capace di pianificare una nuova economia ecocompatibile creando quei posti di lavoro verdi che ormai stanno diventando, in moltissime realtà, vere opportunità per i giovani del nostro Paese.
Se non decolla, come vorremmo, il sistema delle aree protette appenniniche, che dire delle Alpi che pure hanno come riferimento una Convenzione internazionale sottoscritta dal nostro Governo?
Dall'Italia "notizie non pervenute".
La Consulta delle Alpi, costituita da Stato, Regioni e Autonomie locali, da tempo non è convocata.
Forse perché le ultime riunioni non hanno mai raggiunto il numero legale.
Ed è così che il Presidente, scaduto, non è stato sostituito, come non è stata ricomposta la Consulta.
In questa maniera la Convezione delle Alpi continua a rimanere più un fastidio che un'opportunità di visione generale su una bioregione che è al centro dell'Europa e che meriterebbe una governace complessiva, unico modo per ottenere risultati concreti nella sua gestione sostenibile.
Intanto a fine aprile 2009, il Parlamento europeo ha ratificato il protocollo Trasporti, lanciando in tal modo un segnale di forte pressione per un rinnovamento della politica europea dei trasporti a favore di un sistema di trasporto rispettoso dell'ambiente e delle comunità insediate nell'arco alpino. Tra gli obiettivi, quello di ridurre gli effetti negativi e i rischi derivanti dal traffico intraalpino e transalpino, soprattutto mediante il suo trasferimento su rotaia.
Il protocollo Trasporti è stato sin qui ratificato da cinque Parti contraenti -Austria, Francia, Germania, Liechtenstein e Slovenia. Mancano all'appello l'Italia, il Principato di Monaco e la Svizzera.
Tornando all'Unione Europea, si attende ora la ratifica da parte del Consiglio dei Ministri che tuttavia rimane incerta proprio a causa del blocco imposto dal nostro Paese.
Sarà la Presidenza di turno ceca a dover convincere l'Italia dell'urgenza della ratifica e poter così inserire il Protocollo Trasporti tra i punti all'ordine del giorno della prossima riunione del Consiglio dei ministri dei Trasporti, che si terrà i prossimi 11 e il 12 giugno.
Nel frattempo si è conclusa, sempre ad aprile, la gara d'appalto per la nuova galleria di sicurezza del traforo autostradale del Fejus progettata a seguito del dramma del tunnel del Monte Bianco del 1999 e dell'incendio che interessò lo stesso Frejus nel 2005.
Per la contraddizione rispetto alla tendenza che la Convenzione delle Alpi indica la nuova opera non ha mancato di suscitare vivaci polemiche, in particolare sul dimensionamento della seconda canna.
Se per le autorità francesi doveva essere limitata a un diametro di 4,40 metri, sufficiente alla circolazione di veicoli di soccorso, per quelle italiane la necessità era di realizzare una galleria di 8,20 metri, affinché sia possibile l'incrocio tra due veicoli dei vigili del fuoco.
Alla fine è prevalsa questa seconda ipotesi e i lavori di costruzione, che inizieranno quest'anno si concluderanno nel 2014.
La preoccupazione espressa dagli ambientalisti e da numerosi amministratori locali è che, a questo punto, la nuova galleria possa poi essere aperta alla circolazione ordinaria. Un'ipotesi che parte francese è stata ufficialmente esclusa, mentre le autorità italiane e la società concessionaria del tunnel hanno già ventilato l'interesse per un tunnel "utile", soprattutto in considerazione dell'impegno finanziario che l'investimento richiede.
L'ipotesi di un gravoso aumento del traffico pesante transalpino, che tale prospettiva comporta, è in contraddizione evidente sia con il Protocollo trasporti e la Convenzione delle Alpi, sia con gli obiettivi del programma francese per l'ambiente "Grenelle de l'environnement" di cui abbiamo dato conto su queste pagine.
La mancanza di una politica coordinata che la Convenzione potrebbe assicurare, si riflette anche su altre iniziative che necessiterebbero di una visione di sistema e di un accordo tra le varie parti competenti e interessate.
Invece, avanti in ordine sparso e meno male che la rete dei parchi e delle aree protette è consolidata e rappresentata da soggetti intraprendenti che assommano progetti e iniziative, di concretezza e di immagine.
Va ascritta prevalentemente a questa seconda categoria la candidatura, che tra accelerazioni e frenate, cambi di direzione e contrordini, intende richiedere l'iscrizione delle Alpi nella Lista del patrimonio mondiale dell'Umanità dell'Unesco.
Se in una prima fase, infatti, arrivò l'indicazione di compattare le svariate proposte in un'unica candidatura, successivamente si è tornati alla puntualità delle richieste ed è così che le Dolomiti hanno proceduto candidando ben nove i gruppi dolomitici: elmo e Croda da Lago, Marmolada; gruppo Pale di San Martino, Pale di San Lucano e Dolomiti Bellunesi (Veneto); Dolomiti Friulane e d'Oltre Piave (Friuli); Dolomiti Settentrionali (con Cadini, Dolomiti di Sesto, Dolomiti d'Ampezzo, Dolomiti di Fanes, Sénés e Braies, tra Alto Adige/Südtirol e Veneto); gruppo Puez-Odle; gruppo Sciliar, Catinaccio e Latemar, (Alto Adige-Trentino); le Dolomiti di Brenta (Trentino); il canyon del Rio delle Foglie.
A conti fatti il sistema dolomitico, che si propone per il prestigioso riconoscimento, si estenderebbe complessivamente su oltre 142 mila ettari.

A cura di Ettore Falco