Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 58



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Mediterraneo

Pesci e pescatori senza domani

Il mare continua ad essere terra di nessuno, o meglio di tutti. Se come abbiamo visto nel numero scorso, fino ad oggi si è utilizzato per disfarsi dei peggior veleni, non abbiamo avuto maggior pudore nel prelevarne indiscriminatamente ogni risorsa alimentare disponibile e continuiamo a farlo impunemente.

Una situazione drammatica a livello planetario che trova riscontro nel nostro Mediterraneo, non meno sotto pressione degli altri mari, se si valuta che nelle sue acque il 36% delle risorse ittiche sia pescata ben oltre la soglia della sua capacità di rigenerazione.
Secondo i dati della FAO, in tutto il pianeta, tre quarti delle specie ittiche commestibili sono state sfruttate già eccessivamente, riducendo alcune di esse oramai sull'orlo della completa estinzione. Specie migratorie, come il tonno, e grandi predatori, come gli squali, versano in condizioni disastrose: secondo una recente analisi pubblicata su Nature da un gruppo di biologi marini una percentuale vicina al 90% degli squali sarebbe scomparsa dalla faccia della Terra
negli ultimi 50 anni.
In Mediterraneo le popolazioni di pesce martello, verdesca, squalo volpe e mako sono diminuite dall'inizio del secolo XIX di una percentuale tra il 97 e il 99%.
Come ha messo in evidenza una splendida inchiesta pubblicata sul numero di maggio 2009 di Geo, i primi colpevoli di questa moria planetaria sono i "super-pescherecci", una flotta di mostri, vere fabbriche ittiche galleggianti: più di cento metri di lunghezza e oltre duemila tonnellate di capacità di carico, costituiscono l'1% della flotta mondiale eppure prelevano più del 50% del pescato. Molte solcano i mari senza bandiera e senza permessi: la Fao stima che un terzo abbondante della pesca complessiva sia praticata illegalmente.
Altre "navi fantasma" di cui poco o nulla si parla e si scrive.
Spesso invece si fanno battaglie mediatiche contro i piccoli pescatori, che sono vittime quanto i pesci di un sistema impazzito.
Reti a strascico che potrebbero ospitare una flotta di sei jumbo jet e le cui maglie cucite insieme farebbero più volte il giro del mondo. Immensi imbuti la cui parte finale forma un tubo di quattro metri di diametro per cinquanta di lunghezza. Più di cento tonnellate di pesce ad ogni salpa e percentuali elevatissime (fino all'80%) di pescato indesiderato, ucciso per niente.
La tecnologia a servizio della morte.
E' come se su terra andassimo a caccia con le armi dell'esercito abbattendo tutto ciò che si muove, ma studiassimo sanzioni solo per cacciatori muniti di fionda.
Purtroppo l'ultimo decennio con l'avvento del terrorismo e le conseguenti reazioni delle nazioni "ricche", ha visto fare notevoli passi indietro sulla speranza di avere un corpus solido di diritto internazionale, ma non sembra vi sia altra soluzione se vogliamo risolvere alcuni problemi di scala globale.
La pesca è indubbiamente uno di questi.
Sarebbe però auspicabile che almeno nel Mediterraneo, su cui si affacciano 17 paesi (ma sono molti di più quelli che vi pescano) si trovasse a breve un accordo serio e internazionale sulla pesca perché si agisca rapidamente prima di ritrovarci in un grande ed unico mar morto.
L'Unione Europea dovrebbe fare da capofila, ma finora la sua azione in questo senso non ha certo brillato, anzi. Proprio l'UE possiede infatti la seconda flotta al mondo (dopo quella cinese) di super pescherecci ed ha stipulato il suo più esteso accordo commerciale con la Mauritania, versando 86 milioni di euro l'anno per inviare 200 navi a pescare lungo le acque costiere africane.
Emblematico poi è il caso del tonno rosso: dopo anni di denuncia mediatica (da parte di Greenpeace ma non solo) della situazione drammatica in cui versa la popolazione di questa specie. Eppure la sua pesca indiscriminata e illegale da parte delle tonnare volanti con l'ausilio di mezzi aerei dotati di radar e sonar, continua e ancora non si è arrivati a garantire la tutela di questo tesoro dei nostri mari. Nel giugno 2008, l'Ue aveva finalmente decretato la chiusura della pesca al tonno, ma già a novembre la misura era saltata: la Commissione Internazionale per la conservazione dei tonni dell'Atlantico (ICCAT), un'organizzazione intergovernativa cui è affidata la gestione del tonno rosso e di cui l'UE è membro attivo e influente, aveva già ristabilito un contingente di ventiduemila tonnellate per il 2009, quando gli stessi scienziati dell'ICCAT si raccomandavano di non superare il tetto delle quindicimila. Secondo recenti dichiarazioni pare che tale quota sia scesa notevolmente, anche per le pressioni esercitate da Greenpeace, e che si stia lavorando ad un blocco delle esportazioni di tonno rosso. Vedremo.
Proprio nei primi giorni del 2010, tuttavia, un'interrogazione parlamentare ha messo in evidenza che dal 2000 al 2008 l'Ue invece di contenere il fenomeno ha sborsato ben 34,5 milioni di euro per finanziare proprio le flotte di pescherecci per la pesca al tonno rosso: davvero un controsenso.
Di questo passo l'estinzione potrebbe arrivare già nel 2012 secondo alcuni esperti.
Non c'è più tempo: è necessario fare delle rinunce subito.

E non è solo questione di tonno.
Bisogna rendere più forte e stabile il sistema di aree protette in tutto il pianeta blu.
Inutile dire che nel nostro Paese le Aree Marine Protette versano sempre in pessime condizioni, gestite dal Ministero con approssimazione, poca chiarezza e fondi esigui: quasi fosse un giocattolo senza importanza strategica reale.
Eppure è sotto gli occhi di tutti ed i dati lo dimostrano quanto le aree protette siano polmoni fondamentali ed efficaci per ripopolare i nostri mari.
Basta tuffarsi in apnea o con le bombole nelle acque protette dei nostri parchi, laddove è permesso, per rendersene conto.
Nell'isola caraibica di Santa Lucia, appena cinque anni dopo l'istituzione di un parco nazionale, la quantità di pesce pescato nelle aree limitrofe era aumentata del 90%.
Nonostante ciò la protezione dei mari è indietro anni luce: nel mondo solo lo 0,5% è protetto, mentre si stima che tale quota dovrebbe salire al 20% per salvare la biodiversità sommersa.
Abbiamo bisogno di una nuova sensibilità.
Si deve capire che il mare non è una pattumiera senza fondo, né una risorsa infinita di cibo. è sintomatico del nostro folle agire il problema agghiacciante della plastica che, radunandosi per le correnti, ha formato cinque nuovi continenti artificiali negli oceani, e, degradandosi per effetto della radiazione solare, si trova disciolta nei nostri mari in percentuale spesso superiore al placton.
Abbiamo bisogno dell'analogo delle guardie forestali per i fondali marini: controlli e sanzioni sono fondamentali.
Che il 2010 sia l'anno della protezione della biodiversità, ed in particolare di quella del mare, perché i pesci possano ancora ballare sui nostri fondali ed i pescatori possano continuare a pescare con la saggezza moderata di chi non ha mai chiesto al mare più di ciò che il mare poteva dare.

Luigi Ocaserio