Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 58



Ordina questo numero della rivista

Com'è triste Venezia, soltanto mezzo secolo dopo…

Nell'ultimo mezzo secolo l'intero comprensorio lagunare veneziano ha subìto trasformazioni che ne hanno compromesso pesantemente la biodiversità. Non sono bastate le misure di tutela, con l'istituzione di Sic e Zps, né il riconoscimento Unesco per la parte urbana.
Per il futuro è necessaria una strategia di salvaguardia complessiva, che coinvolga, insieme al patrimonio artristico e culturale di Venezia, anche il suo ambiente naturale.

Introduzione
La città di Venezia è il centro di un paesaggio litoraneo prodotto da un'armonica sinergia tra forze naturali (bradisismo, sedimentazione, maree) e millenarie attività umane. Non vi sono al mondo esempi analoghi di sviluppo civile, politico e culturale così strettamente legato alle condizioni ecologiche dell'area che lo ospita. Inoltre, sul popolamento del litorale siamo documentati attraverso una serie di studi naturalistici, che inizia già nel sec. XVI e continua ininterrottamente fino ai giorni nostri, ed anche questo è un fatto unico. In questo paesaggio litoraneo si possono distinguere tre unità fondamentali: i lidi, la laguna e la città. Esse si condizionano a vicenda, quindi il discorso sui lidi non può prescindere dalle condizioni della laguna, e viceversa: pertanto, in questa relazione, con il nome di Laguna Veneta intendiamo sia i lidi che la laguna vera e propria; non saranno trattati invece i problemi della città, che riguardano soprattutto le attività umane.
Venezia è la città nella quale sono nato, e nella quale sono vissuto fino a quando, per gli impegni universitari, ho dovuto trasferirmi altrove, quindi le caratteristiche di questo ambiente mi sono note già dalle esperienze della prima fanciullezza. Alla metà del secolo scorso, per quanto riguarda la componente vegetale, la Laguna Veneta poteva essere considerata una delle zone più studiate nel nostro paese, grazie ad importanti lavori monografici che fornivano un elenco esauriente della flora algale e della flora fanerogamica (cfr. Béguinot, 1913; Béguinot, 1941); in quest'ultimo lavoro veniva anche data una descrizione sommaria della vegetazione, priva tuttavia di dati quantitativi.
Lo scopo delle mie ricerche era di riprendere ed integrare i dati degli Autori precedenti mediante un dettagliato studio delle comunità vegetali dell'ambiente lagunare e dei lidi.
Ho eseguito la mia prima escursione naturalistica nell'autunno del 1948, e nella Laguna Veneta ho preparato la tesi di laurea, sostenuta nel 1951; però gli studi in campo e le analisi di laboratorio sono continuati fino al 1960. Per la valutazione dei dati è stato fondamentale un soggiorno a Montpellier (1953) per lavorare sotto la guida del prof. J. Braun-Blanquet, il più autorevole studioso delle comunità vegetali. La pubblicazione dei dati è avvenuta tra il 1961 e 1966, poi l'interesse scientifico si è rivolto ad altri argomenti (in Appendice una lista completa delle mie pubblicazioni riguardanti la Laguna Veneta).
Successivamente, ho continuato occasionalmente a visitare la laguna ed i lidi ed a seguire la progressiva evoluzione delle condizioni ambientali, fino ad oggi. I dati qui esposti includono i risultati di sopralluoghi effettuati nella primavera ed estate 2008 (si ringrazia ISPRA e Consorzio Venezia Nuova per l'assistenza). Disponiamo inoltre di informazioni ampie ed aggiornate che si possono considerare obbiettive: l'Atlante della Laguna (AA. vari, 2006), pubblicato a cura del Comune di Venezia, e la possibilità di trovare in rete immagini satellitari aggiornate. La mia esperienza sull'ambiente veneziano si limita alla flora e vegetazione, tanto quella sommersa (Pignatti, 1962) che quella delle dune (Pignatti, 1961) e quella degli ambienti periodicamente sommersi dalle alte maree (Pignatti, 1966).
Sono stati eseguiti oltre 500 rilievi di vegetazione fanerogamica e quasi un centinaio di saggi di vegetazione algale sommersa. Particolare attenzione è stata dedicata alle condizioni ecologiche che ne condizionano lo sviluppo, sia per quanto riguarda il mondo delle piante superiori, sia per quello delle alghe marine (escludendo il fitoplancton). Questo è stato un campionamento cospicuo, anche se comparato ai migliori esempi europei, e rappresenta una base adeguata per rilevare le variazioni avvenute nel cinquantennio successivo.
Tuttavia, quando vennero eseguiti i rilievi in campo non erano disponibili strumenti portatili per la georeferenziazione, quindi un confronto puntuale oggi è limitato a pochi casi: il paragone invece è largamente possibile al livello dei dati medi.

Le condizioni negli anni 1950-1960
Al momento della più intensa attività di ricerca sul campo (nel decennio degli anni '50) il Litorale Veneto costituiva una fascia quasi continua di ambienti ad elevata naturalità, dalla foce di Cortellazzo alla spiaggia di Sottomarina, con l'unica importante eccezione della zona balneare da S. Nicolò di Lido all'Hotel des Bains o poco oltre. Come punti focali si possono ricordare Punta Sabbioni, Alberoni e Cà Roman: nei tre casi, la costruzione dei moli foranei (avvenuta nella seconda metà del sec. XIX e fino ai primi del ‘900) aveva creato sul lato affacciato a Nord condizioni favorevoli ad un'intensa sedimentazione e si poteva assistere alla continua avanzata della linea di spiaggia. A Punta Sabbioni, confrontando punti facilmente riconoscibili, che mi erano noti per averli visti quindici anni prima, potevo constatare che la linea di costa a nord del molo in questo periodo era avanzata verso est di almeno un centinaio di metri. Di conseguenza, la vegetazione si trovava in condizione di intensa successione naturale, con serie primarie in rapido sviluppo. Molto differente era il litorale del Cavallino, con dune stabilizzate e fenomeni di erosione sul lato Est (ma su queste torneremo più avanti).
Lo studio della vegetazione dei lidi sabbiosi ha permesso di documentare una situazione del tutto peculiare: mentre gli stadi di vegetazione pioniera, sull'arenile esposto ai venti marini, corrispondevano bene ai modelli ben sperimentati in molti altri ambienti dunosi del Mediterraneo, la vegetazione delle stazioni arretrate era chiaramente differente da quanto noto in letteratura. Riassumendo, le differenze si possono notare su tre aspetti (per una discussione dettagliata si rimanda a Pignatti, 1961):
- presenza di specie microterme - sul litorale del Cavallino e soprattutto verso il Porto di Piave Vecchia è stata verificata negli anni '50 la presenza di parecchie specie, diffuse sulle montagne retrostanti (Prealpi Bellunesi e Trevisane) ma mancanti in pianura, ad es.
Erica carnea, Gypsophila repens, Hippophae rhamnoides, Juniperus communis e la pineta relitta alla foce del Tagliamento. Esse possono essere arrivate sul litorale trasportate dalla corrente del Piave, però, trattandosi di piante adattate ai climi freddi (microterme) esiste anche la possibilità di un insediamento già durante le fasi fredde del Pleistocene.
- presenza di specie stenomediterranee - nelle stesse zone comparivano anche massicciamente
specie degli ambienti più caldi, il cui limite settentrionale in generale si arresta in Istria oppure al Conero, ad es.: Clematis flammula, Quercus ilex, Rosa sempervirens, Teucrium polium.
- presenza di specie continentali, sia di ambiente secco (Apocynum venetum, Fumana procumbens, Medicago minima, Scabiosa argentea subsp. alba, Silene otites, Teucrium montanum, Thymus longicaulis) sia dei luoghi umidi (Carex oederi, Carex distans, Carex panicea, Cladium mariscus, Euphrasia marchesettii, Molinia altissima). Per questo gruppo ed il precedente (specie stenomediterranee) sembra invece più verosimile un insediamento postglaciale (o comunque prima dell'espansione umana), in quanto in generale non si tratta di elementi più o meno isolati, che vengono ospitati in comunità vegetali ampiamente diffuse, ma della presenza di intere comunità, come Quercetum ilicis, prati aridi dei Brometalia e Molinietum.
Queste condizioni si ripetevano, a volte con vistose aggiunte, sia in biotopi situati più ad est (foci del Tagliamento) che più a sud (Sottomarina, Bosco Nordio, Rosolina). Come spiegazione, veniva ipotizzato (Pignatti, 1961) che nell'area si mantenessero testimonianze di vicende precedenti, ad esempio le aree di rifugio durante le fasi fredde del Quaternario, oggi riconoscibili come colonie di specie microterme, e l'invasione dell'ambiente caldo e xerico della duna durante un periodo caldo postglaciale che avrebbe favorito l'ingresso della vegetazione con specie mediterranee provenienti da sud e di comunità steppiche con specie continentali provenienti dal Carso. Nella flora e vegetazione dei lidi e della laguna era dunque possibile riconoscere le testimonianze dei fondamentali eventi che nel Pleistocene recente ed Olocene hanno plasmato l'ambiente tra le Alpi e l'Adriatico.
Successivi studi palinologici confermavano questa interpretazione.
Molto diverso, ma non meno interessante, il risultato dello studio della vegetazione all'interno della laguna.
Esso metteva in evidenza la peculiarità dell'ambiente di barena, come risultato di un delicato equilibrio tra bradisismo, isostasi, sedimentazione ed aumento del livello marino.
Venivano per la prima volta precisate le caratteristiche fisico-chimiche di questo ambiente, la composizione del substrato argilloso e la strettissima dipendenza della vegetazione rispetto al livello marino, con cambiamenti regolari anche per livelli di pochi centimetri (Pignatti, 1966). Vengono riconosciute numerose comunità vegetali, legate ad ambiti ben definiti della concentrazione salina nell'acqua del terreno. La vegetazione in questo modo diventa un fine indicatore delle variazioni di marea, che in laguna hanno ampiezza inferiore a quella teorica nel mare aperto, e che a loro volta regolano la salinità del suolo.
La presenza di una regolare alternanza tra condizioni di bassa e alta marea diviene un ulteriore fattore distintivo rispetto alla vegetazione alofitica delle coste mediterranee, dove le variazioni di marea sono praticamente trascurabili. Da questo deriva il carattere di “atlantismo" che viene percepito nella laguna veneta e che si rende evidente attraverso la presenza di Spartina maritima, specie delle coste atlantiche con questa unica area disgiunta nel Mediterraneo, e di Fucus virsoides, unica alga del gruppo delle fucali presente nel Mediterraneo.
Lidi e laguna costituivano dunque un complesso di straordinario valore ambientale che permetteva collegamenti con la flora alpina, continentale e mediterranea; le caratteristiche ecomorfologiche ed ecofisiologiche della copertura vegetale offrivano interessanti paragoni con i tipi di vegetazione della costa atlantica (specie soggette all'effetto delle maree), con gli ambienti dei deserti salati (vegetazione di chenopodiacee succulente) e dei deserti sabbiosi (dune mobili con graminacee di grandi dimensioni). Una vera e propria palestra per il naturalista, sia che i suoi interessi andassero al componente vegetale che a quello animale.
Quanto risulta dalle informazioni recenti (sia che si tratti di opere pubblicate, come l'Atlante sopra citato, oppure di osservazioni personali) fa emergere gravi elementi di criticità, sia per l'ambiente lagunare che per quello dei lidi. Cerchiamo di riassumere gli elementi più importanti, in quello che appare l'ordine più corretto dal punto di vista logico e scientifico, cioè esaminando prima la laguna e poi i lidi, ed iniziando dai dati fisici e chimici per passare successivamente a quelli biologici (la stessa sequenza è utilizzata per l'Atlante della Laguna). Saranno esaminati solo i dati riguardanti flora e vegetazione, per motivi di competenza disciplinare, però, ricordando che i vegetali regolano il flusso energetico dell'ecosistema, è chiaro che quando essi vanno in crisi, si hanno conseguenze gravi e spesso amplificate anche sugli animali, il plancton ed i procarioti. Vengono citate le tavole dell'Atlante che contengono informazioni relative ai singoli argomenti. Possiamo indicare cinque principali elementi di criticità: batimetria, biomassa e biodiversità in laguna, frammentazione, perdita di habitat naturali, invasione di specie aliene.

Batimetria
– Si è documentato come i fondali lagunari in corrispondenza alla bocca di Malamocco risultino a profondità maggiore rispetto al periodo precedente: la differenza durante gli ultimi 30 anni è di -33 cm, ma si tratta di dati medi, quindi in alcune zone si arriva a 1 m o anche più metri. Queste variazioni sembrano una indiretta (ed imprevista) conseguenza dello scavo del Canale dei Petroli, avvenuto dopo la disastrosa acqua alta del 4 novembre 1966. Infatti, i fondali antistanti Poveglia e Pellestrina negli anni '50 erano in gran parte occupati dalla associazione a Zostera noltii (nella nomenclatura dell'epoca indicata come Z. nana), a ca. 90-100 cm sotto il medio mare. Questi fondali (velme) rimangono generalmente sommersi, ma emergono in occasione di eccezionali basse maree.
Sul lato della laguna fronteggiante S. Pietro in Volta questa condizione si era mantenuta fino agli anni '77-78. In seguito si sono avviati gli imponenti processi di erosione a carico dei fondali lagunari. Una differenza di 33 cm può sembrare poca cosa, però già questa è una modificazione essenziale, perchè esclude la possibilità di emersione, sia pure in condizioni eccezionali. A questo si collega una profonda modificazione della biocenosi sommersa, ed in particolare la scomparsa di Zostera noltii da gran parte delle velme, e la sua sostituzione con Zostera marina specie adattata ad acque più profonde, che non tollera l'emersione (Tav. 61-63). La vegetazione a Zostera noltii costituisce un ecosistema con ricca diversità ed elevata produttività biologica al quale partecipano diverse specie utilizzate fino a tempi recenti per l'alimentazione umana.
Modificazioni importanti della morfologia lagunare si hanno anche per quanto riguarda le barene, cioè le superfici argillose sommerse soltanto durante l'alta marea: esse infatti sono in rapida erosione. Che la superficie delle barene fosse in progressiva diminuzione, era stato già dimostrato in precedenza (Pignatti, 1966), però il fenomeno negli ultimi decenni ha avuto una accelerazione impressionante. La loro superficie complessiva durante il periodo 1930-2002 è diminuita del 37%, e, se il fenomeno continuerà con lo stesso ritmo, nel 2050 le barene saranno praticamente scomparse. Il che avverrebbe probabilmente in ogni caso, aggiungiamo, per effetto del prevedibile aumento del livello marino su scala mondiale. Le barene svolgono un ruolo importante di ammortizzatore per le alte maree e sono un punto focale della biodiversità lagunare (cfr. al punto seguente); la scomparsa di questo ambiente rappresenterebbe una grave modificazione dell'ambiente lagunare, che potrebbe avere conseguenze imprevedibili. Va tuttavia messo in evidenza, che da circa 15 anni è stato avviato un programma per la formazione di barene artificiali: quando avevo visto i primi tentativi nella fase iniziale (1996) avevo tratto la convinzione che si trattasse di interventi destinati al fallimento. Invece, sulla base di sopralluoghi eseguiti durante il 2008, posso testimoniare il pieno successo di questa azione, che, se continuata e sviluppata può sensibilmente migliorare le condizioni ambientali della Laguna.

Biomassa e biodiversit. in laguna – Il calcolo della biomassa algale permette un raffronto tra il 1980 ed il 2003: in poco più di 20 anni il dato complessivo si è ridotto fortemente, a volte fino al 10% di quello iniziale, e questo significa che quasi il 90% della biomassa vegetale è perduta. Quali sono le conseguenze sulla catena trofica, sull'ossigenazione ed i processi di demolizione? Questa è una forte modificazione quantitativa, alla quale seguiranno necessariamente altrettanto forti modifiche qualitative. Va qui ricordato che la produttività biologica della laguna è strettamente condizionata dalle condizioni idrologiche e questo fatto, accertato da tempo, era stato messo in evidenza già nel convegno organizzato a Venezia il 14-15 giugno 1960 dall'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, per discutere questi argomenti (D'Ancona, 1960).
Le barene, come indicato al punto precedente, si stanno rapidamente sfaldando.
L'ecosistema delle barene è ricco di elementi altamente specializzati, sia per quanto riguarda la flora che la fauna; tra essi anche una pianta superiore endemica (Salicornia veneta), inclusa nella direttiva Habitat tra le specie prioritarie a livello europeo. Salvaguardia e ripristino delle barene sono da considerare una priorità per la conservazione dell'ambiente lagunare.
E' storicamente accertato, che una parte del litorale che divideva la laguna dal mare era costituita dall'isola di S. Erasmo, inserita tra il litorale del Cavallino e S. Nicolò di Lido. La costruzione dei moli foranei, ai primi del sec. XX, ha separato completamente S. Erasmo dal mare aperto, tuttavia negli anni ‘50 ancora restava sul lato sudest dell'isola un interessante biotopo relitto, con una duna, del tutto simile a quelle del litorale, sulla quale cresceva un campionario quasi completo delle specie psammofile presenti altrove. Sul retro della duna si aveva un avvallamento umido con l'unica popolazione di Limonium ramosissimum, interessante specie ad areale disgiunto in ambienti di estuario (Venezia - locus classicus, foci del Rodano e foci dell'Ebro): essa non è stata ritrovata in tempi recenti.

Frammentazione degli habitat – Il litorale del Cavallino, sul lato rivolto al mare, fino agli anni '50 era in condizioni di forte regressione, probabilmente collegata alla rapida avanzata del litorale a Punta Sabbioni: appare infatti verosimile che la costruzione del molo foraneo abbia favorito la sedimentazione nelle vicinanze di questo e, contestualmente, avviato un processo di erosione nella zona antistante rispetto al flusso della corrente radente, e cioè proprio verso Cavallino-Foce di Piave Vecchia. Ciò nonostante, si era mantenuta una piena continuità di flora e fauna su tutta la sua lunghezza (quasi 30 km) e la linea di spiaggia non era interrotta da costruzioni o altri manufatti. I motivi di interesse per le zone in fase di riempimento sono già stati ricordati, però anche nella zona in erosione si notavano fenomeni inaspettati: infatti la fascia sabbiosa aveva profondità limitata (una cinquantina di metri o spesso anche meno) e sul lato a mare, sotto la sabbia, compariva una banconata argillosa con tracce evidenti di radici di Limonium vulgare e rizomi di Juncus maritimus. Questa condizione, di cui nei Lidi Veneti non si hanno altri esempi, poteva essere spiegata con uno spostamento della duna verso l'interno, ad opera del vento dominante ed in tempi recenti, così da ricoprire una parte delle barene.
Il fenomeno erosivo non aveva conseguenze inquietanti per la difesa a mare della laguna, in quanto il litorale del Cavallino in questa zona ha una larghezza di quasi un km, e sul lato opposto era in gran parte occupato da ortaggi e frutteti con produzione di primizie di alta qualità. Oggi il litorale è sottoposto a provvedimenti di salvaguardia, però gli ambienti con caratteristiche di riserve naturali, nell'Atlante etichettati come “Ambienti naturali con carattere primario dominante", sono ridotti a quattro poligoni di piccole dimensioni, indicate come “sopravvivenze", un termine molto significativo. Il resto è rubricato sotto B4 “Lidi attuali e preesistenti".
L'immagine satellitare e la verifica durante i sopralluoghi dimostrano un capillare sfruttamento delle aree disponibili, in parte trasformate in pinete artificiali che hanno gravemente compromesso l'habitat delle specie spontanee (e sono per lo più utilizzate come camping turistici), e per il resto completamente urbanizzate. Le costruzioni arrivano fino al limite dell'arenile (che ora è molto stretto), e quindi a pochi metri dal mare. Per questo, la linea di costa viene messa in sicurezza mediante un gran numero di pennelli per fissare la sabbia, che modificano le condizioni del popolamento biologico ed alterano anche l'ambiente sommerso. Apocynum (= Trachomitum) venetum, che sulle coste del Golfo di Venezia raggiunge l'estremo occidentale del suo amplissimo areale eurasiatico, specie simbolo della flora veneziana, un tempo molto frequente da Punta Sabbioni alla Foce di Cortellazzo, è ormai diventata specie in imminente rischio di estinzione, per la generale manomissione del suo habitat specifico (le dune più lontane dal litorale vero e proprio). Dell'antico cordone dunale rimangono soltanto pochi frammenti ed appare fallito il tentativo di ricostruire dune artificiali, che risale agli anni '90, ed aveva richiesto cospicui investimenti. le dune sono ormai scomparse e sostituite da impianti turistici e dai cantieri per la costruzione del MOSE. La flora spontanea appare falcidiata, mentre si è estesa una vastissima e densa comunità di specie esotiche: Oenothera adriatica, Ambrosia maritima, Cenchrus incertus, Conyza canadensis ed altre.
Questa condizione è chiaramente documentata sull'Atlante, in cui sono illustrati i “Complessi ecosistemici funzionali", però il litorale non viene preso in considerazione: in effetti sembra impossibile ridurre ad un denominatore comune usi così antitetici. Siamo davanti ad un esempio di come un'area costituita da due settori, l'uno di alto significato ambientale, e l'altro con economia di tipo tradizionale e prodotti pregiati, possa rapidamente venire trasformata in area fabbricabile per uso esclusivo di pochi proprietari durante brevi soggiorni estivi. Tuttavia nell'Atlante non viene messo nella dovuta evidenza il fatto che la condizione attuale non è il risultato di una saggia programmazione per un'area protetta, ma soltanto la presa d'atto di una distruzione ormai irreversibile dell'ecosistema naturale.

Riduzione degli ambiti naturali – Gran parte della laguna e dei litorali sono dichiarati Siti di interesse comunitario (SIC) e Zone di protezione speciale (ZPS): soltanto i centri abitati (Venezia, la zona urbana del Lido) ne sono esclusi - però si tratta di Patrimonio dell'Umanità, tutelato dall'UNESCO. Da questo si potrebbe trarre la conclusione che l'intero territorio è inserito in un sistema coordinato di salvaguardia. Tuttavia, la Tavola che illustra le reali condizioni di queste aree, descrive una situazione ben diversa: la maggior parte della superficie delle aree protette è valutata nella categoria degli “ambiti compromessi"; essi sono la tipologia prevalente da Burano a Murano, Venezia e fino a Chioggia ed al Taglio di Brenta. La categoria di maggiore valenza ambientale è costituita da “ambiti naturali con carattere primario" limitati alla foce del Dese; minor valore viene riconosciuto agli “ambiti tipici con carattere secondario" che sono abbastanza ampi, ma concentrati soprattutto nel settore di nordest. In questa classificazione il litorale vero e proprio (ad es. Cavallino, Lido e Pellestrina) non viene nemmeno preso in considerazione.
Dai sopralluoghi effettuati quest'anno, mi sembra chiaro che tutta la fascia da Punta Sabbioni a Ca' Savio, un tempo in condizioni di piena naturalità, è oggi completamente devastata ed invasa dalle specie esotiche, e questo anche all'interno di aree recitate come riserve naturali ai sensi della Direttiva Habitat. Per un'analisi della biodiversità sarebbe necessario disporre di una carta dettagliata delle comunità vegetali (carta fitosociologica).
Le Tav. 66-67 riportano soltanto i tipi di habitat, cioè complessi vegetazionali, che sono rappresentati in maniera approssimativa e con poco dettaglio: una carta fitosociologica permette una migliore comprensione della situazione attuale, e rende possibile un confronto con qualche dato della bibliografia precedente. Inoltre essa costituisce un prezioso “punto zero" per tenere sotto controllo la situazione in futuro. Oggi questi documenti si preparano agevolmente in base ai dati satellitari, e forse già esistono, ma sarebbe utile che essi fossero disponibili a stampa oppure in rete.
Nella Tav. 66 sono presentate 4 aree con maggiore dettaglio: S. Nicolò, Alberoni, S. Maria del Mare e Ca' Roman. Rispetto alla situazione degli anni '50, che ci è nota per visione diretta (e può essere verificata su foto aeree del tempo) possiamo fare le osservazioni seguenti:
S. Nicol. – L'unità prevalente è quella definita come “non di interesse comunitario"; come ambiti più vicini allo stato naturale, si rileva soltanto una sottile striscia di dune e sul bordo dell'arenile una fascia di dune embrionali; gli ambienti umidi (di grande importanza per la conservazione della biodiversità per i vegetali, insetti, anellidi, avifauna), sono ridotte a due soli punti. Negli anni '50, S. Nicolò costituiva un biotopo unitario, anche se sottoposto ad un certo impatto a causa della costruzione di fortificazioni nel periodo bellico; oggi si tratta di singoli elementi in un'area largamente banalizzata.
Alberoni – La superficie può essere ripartita in tre sezioni: la prima (ad ovest) è il campo di golf, completamente antropizzato, la seconda, dove esisteva un ampio sistema di dune, è ora una pineta artificiale e la terza, che corrisponde alla striscia litorale, ospita vegetazione naturale, con tre unità: dune stabilizzate, vegetazione erbacea pioniera e dune embrionali. Anche qui le stazioni umide hanno presenza puntiforme. Negli anni '50 anche questo era un biotopo unitario, di alto valore ambientale, documentato da numerosi rilievi pubblicati. Come biotopo unitario intendiamo un biotopo nel quale sono presenti tutti gli stadi della successione naturale e che quindi ospita in maniera più o meno completa la flora e la fauna indigena. La maggior parte del patrimonio ambientale del biotopo Alberoni è stata annullata dalla piantagione della pineta, che era stata giustificata come misura per la stabilizzazione della duna e consolidamento del lido, una motivazione poco convincente, in quanto questo è il punto nel quale l'isola raggiunge la sua massima larghezza. A distanza di cinquant'anni, il risultato finale è una completa de-naturalizzazione della vegetazione.
S. Maria del Mare – Un piccolo sistema dunale, oggi non molto differente dalla situazione preesistente, che però rimaneva comunque di importanza marginale. Una sola specie della flora lagunare era nota soltanto per quest'area, ma essa non è stata osservata negli ultimi decenni. Questo biotopo è contiguo ai cantieri per la costruzione delle opere mobili per la difesa delle acque alte eccezionali (MOSE) e potrebbe venire ulteriormente modificato da quest'opera.
Ca' Roman – Ampio sviluppo della vegetazione psammofila, sia come dune ad Ammophila che con dune stabilizzate, alle quali si aggiunge, in posizione arretrata, una pineta artificiale; qui non sono registrate stazioni umide. Queste condizioni corrispondono abbastanza bene a quelle rilevate 50 anni orsono, e per questo Ca' Roman ormai va considerato l'unico lembo di litorale nel quale le condizioni precedenti si sono mantenute.

Invasione di specie aliene
Questo è un fenomeno generale nei paesi industrializzati e fortemente inseriti nel processo di globalizzazione, e che proprio nell'Italia settentrionale ha raggiunto una particolare intensità: dunque non c'è da meravigliarsi se anche Venezia e la sua laguna non ne sono immuni. Tuttavia qui il fenomeno ha raggiunto aspetti particolarmente evidenti, e che in molti casi investono direttamente la struttura degli ecosistemi. Pertanto, possiamo trascurare quanto è comune a Venezia e ad altre parti della Pianura Padana (ad es. l'espansione di Senecio inaequidens ed altre esotiche) e brevemente discutere alcuni casi.
Sargassum muticum e Undaria pinnatifida - Alghe brune provenienti dai mari giapponesi, in espansione sulle coste atlantiche dell'Europa; sono state segnalate nel Mediterraneo dal 1989 e pochi anni più tardi osservate anche a Venezia. La comparsa in laguna sembra collegata all'introduzione della vongola filippina (Tapes philippinarum), specie adattata agli ambienti eutrofizzati (e causa di gravi problemi per la conservazione dei fondali e la riproduzione di specie ittiche di largo uso alimentare a Venezia). Le due alghe brune hanno invaso le rive, le bricole ed i canali, sia in città che in laguna; durante il periodo vegetativo (inverno-primavera) i talli raggiungono 1-2 m di lunghezza e formano un denso groviglio. Hanno un' elevata produzione di materia organica che all'inizio dell'estate va in decomposizione alterando l'ossigenazione dell'acqua e provocando ulteriore eutrofizzazione dell'ecosistema. Alghe rosse dei mari giapponesi recentemente insediatesi nei canali della città sono Antithamnion pectinatum e Polysiphonia morrowii.
Spartina xtownsendii - Specie ibridogena, formatasi nel sec. XIX in Inghilterra come combinazione tra Spartina maritima (indigena anche in laguna) e l'americana S. alterniflora.
In Inghilterra si comporta come specie invasiva, anche se soggetta a periodi ciclici di espansione - contrazione. L'insediamento in laguna è recente (Scarton et al., 2003), però con diffusione molto rapida, sia a nord che a sud della città, e fin quasi a Chioggia. Vive sulle barene, in generale assieme a S. maritima, ma formando caratteristiche popolazioni con espansione su aree circolari.
Spartina juncea - Appartiene al genere della precedente, ma ha un'ecologia molto diversa, in quanto si tratta di specie degli ambienti secchi sabbiosi, soprattutto dune embrionali o vegetazione erbacea di ambienti salmastri. La specie è distribuita sulle coste atlantiche dell'Europa e Nordamerica, ed è nota anche per varie zone costiere del Mediterraneo. A Venezia è stata osservata per la prima volta alla fine degli anni ‘50 in una ristretta area presso il molo foraneo di Punta Sabbioni; oggi è ampiamente diffusa sulle coste sabbiose dal Friuli alla Romagna ed abbastanza comune anche nel Veneziano.
Specie adattata ad ambienti disturbati, la sua espansione è favorita dall'impatto umano sugli ecosistemi costieri, però finora non sono note conseguenze di particolare gravità.
Oenothera adriatica, Ambrosia maritima, Conyza canadensis - Specie già note al Béguinot, ma rare e localizzate, la prima identificata come Oe. biennis. Oggi esse hanno invaso i biotopi sabbiosi e sostituito quasi completamente la vegetazione naturale.
Cenchrus incertus - Identificata a Venezia negli anni ‘30 con il nome di C. tribuloides, vive sulle dune, ma la sua presenza non può essere ricondotta ai problemi ambientali dei lidi veneti, in quanto questa specie è in espansione su tutte le spiagge del Mediterraneo come conseguenza del turismo balneare. Viene qui riportata solo perchè particolarmente fastidiosa per le infiorescenze munite di spine acutissime.

Conclusioni
Le pagine precedenti hanno permesso uno sguardo d'assieme sulle trasformazioni del manto vegetale nella zona di Venezia e della sua laguna, e sull'informazione che si può ricavare dalle piante come indicatori ambientali: si tratta di una visione necessariamente sintetica, ma essa porta ad una conclusione abbastanza sconfortante. L'intero comprensorio, messo in crisi dall'aumento dell'acqua alta (che può esser considerato fattore ambientale di carattere generale) è stato inoltre sottoposto negli ultimi decenni ad un impatto generalizzato. Sono stati eseguiti studi accurati, che documentano una situazione sempre più grave. I processi erosivi, sia sui fondali lagunari che sulle barene, sono imponenti e mettono a rischio l'equilibrio idrico e biologico della laguna. L'intera fascia litorale è largamente urbanizzata a scopo turistico e speculativo. I punti focali della biodiversità sono in gran parte scomparsi. E tutto questo è avvenuto nonostante il fatto che l'alta marea del 1966 abbia dato un chiaro allarme, e da allora il problema di Venezia sia stato discusso a tutti i livelli. Sono state spese somme cospicue, sono stati adottati provvedimenti di tutela con l'istituzione di SIC e ZPS, ma ciò nonostante la situazione ha continuato ad aggravarsi. Non si vuole scaricare la responsabilità di questa situazione su amministratori e politici: probabilmente Venezia è investita da un processo che si diffonde ormai a livello globale e che porta all'eliminazione della biodiversità ed alla distruzione degli ambienti naturali. Tuttavia, questo nell'ambiente veneziano ha avuto conseguenze particolarmente devastanti. La città, assieme alla sua laguna, si trova di fronte alla crisi più grave tra quelle presentatesi durante la sua storia millenaria.
Pertanto, ci si deve chiedere che cosa si possa fare. Indubbiamente, proiettare nel futuro l'esperienza di questi ultimi cinquant'anni è sempre un gioco pericoloso, che espone a grossi errori, tuttavia appare chiaro che il punto di non ritorno è vicino, forse già superato; e si tenga conto che ancora rimane l'incognita di un probabile aumento del livello marino causato dal cambio climatico, che potrebbe aggiungere un'ulteriore motivo di rischio.
In questo momento si possono prospettare alcune priorità, sia di carattere scientifico che operativo. Dal punto di vista scientifico, è necessario procedere ad un monitoraggio accurato delle variazioni di biodiversità, e questo ai tre livelli: specie, comunità, unità complesse. Per quanto riguarda le specie bisogna render noti gli inventari attualmente disponibili delle specie presenti, aggiornarli, ed integrarli dove possibile; in particolare va raccolta ogni esistente documentazione sulle estinzioni di specie.
Questi dati vanno integrati sia al livello di comunità che di habitat complessi.
Dal punto di vista operativo, si tratta di sperimentare ed applicare metodi “soft" di intervento per il restauro ambientale. In questo campo, in Italia siamo ancora indietro, però negli ultimi anni, sui lidi ed in laguna sono state effettuate esperienze interessanti.
Per quanto riguarda l'ambiente lagunare, è stata acquisita una esperienza notevole nella ricostruzione delle barene artificiali, che ha avuto pieno successo e costituisce un importante know how con metodi ampiamente originali. Per quanto riguarda il litorale invece non si vedono progressi e si possono soltanto accennare a possibili linee guida.
Anzitutto, bisogna evitare le sovrapposizioni tra destinazioni d'uso differenti su una stessa area, come ad es. la balneazione nelle riserve naturali. Quindi è necessario riprodurre in vivaio le specie minacciate, per seme o per via vegetativa, in modo da ricostituire le popolazioni naturali. Particolare cura va utilizzata nell'evitare ogni forma di inquinamento genetico. In questo senso, anche i rimboschimenti effettuati fino alla metà del secolo scorso, rappresentano una grave manomissione dell'ambiente naturale, alla quale va posto rimedio creando un ambiente diversificato. Si possono citare alcuni casi. Ad es. la City Beach, nell'area urbana di Perth (Australia Occidentale), dove sul cordone di dune sono delimitati sentieri di attraversamento, oppure ci sono passerelle panoramiche, così i bagnanti possono arrivare al mare senza calpestare la vegetazione costiera; il locale Orto Botanico produce un gran numero di plantule, che centinaia di volontari, nei giorni festivi, mettono a dimora. Dopo pochi anni i biotopi naturali sono in rapida rigenerazione. Oppure il programma giapponese per ricostruire fasce di bosco naturale sulle aree che circondano gli impianti industriali: Porto Marghera potrebbe essere un esempio pilota per il nostro paese. In particolare, in ogni importante ecosistema costiero su substrato alluvionale, dovrebbe essere organizzata almeno una area protetta con carattere di “sanctuary", in modo da garantire la sopravvivenza della flora e fauna specializzata nelle condizioni ecosistemiche delle comunità naturali. La devastazione dell'ambiente litoraneo è stata molto rapida; il recupero e restauro dell'ambiente sarà certamente più lento, ma oggi è sicuramente possibile. Venezia ospita un inestimabile patrimonio artistico e culturale, che sarebbe degnamente completato mediante il recupero del patrimonio ambientale.

Sandro Pignatti

AA. vari, 2006 - Atlante della laguna - Venezia tra terra e mare. Comune di Venezia.
Béguinot A., 1913 - La vita delle piante superiori della Laguna di Venezia e nei territori ad essa circostanti. Pubbl. n. 54
dell'UIL Idr. d. R. Magistr. alle Acque. Venezia.
Béguinot A., 1941 - La vita delle piante vascolari. In La Laguna di Venezia, Monografia, 3, 1, 9, (2): 1-369.
Curiel D., Bellemo G., Marzocchi M., Scattolin M., Parisi G., 1998 - Distribution of introduced Japanese macroalgae Undaria pinnatifida, Sargassum muticum (Phaeophyta) and Antithamnion pectinatum (Rhodophyta) in the Lagoon of Venice. Hydrobiologia 385: 17-22.
D'Ancona U., 1960 - Aspetti biologici della conservazione lagunare, in Ist. Ven. Sc. Lett. Arti, Atti Convegno conserv. d. laguna e città di Venezia, 14-15 giugno 1960, pp. 139-145.
Pignatti S., 1960 - Ricerche sull' ecologia e sul popolamento delle dune del litorale di Venezia. Il popolamento vegetale.
Bull. Mus. Civ. St. Nat. Venezia 12: 61-142.
Pignatti S., 1962 - Associazioni di alghe marine sulle coste veneziane. Mem. Ist. Ven. Sc. Lett. Arti. 32, 3: 1-134.
Pignatti S., 1966 - La vegetazione alofila della Laguna Veneta. Mem. Ist. Ven. Sc. Lett. Arti 33, 1: 1-174.
Scarton F., Ghirelli L., Curiel D. & Rismondo A., 2003 - First data of Spartina Å~townsendii in the Lagoon of Venice (Italy), in Ozhan E. (ed.), Proc. 6th Intern. Conf. on Medit. Coastal Envir. MEDCOAST 03, Vol. 2: 787-792.
Pubblicazioni di S. Pignatti riguardanti la Laguna di Venezia; lista completa (i lavori di argomento diverso, che contengono dati sull'ambiente veneziano sono indicati con *)
Pignatti, S., 1951 - Polygala exile DC. e Centaurium vulgare Rafn. nella laguna veneta. Archivio Botanico, 27: 1-7.
Pignatti, S., 1951 - Contributo sulla flora della provincia di Venezia. Atti Ist. Ven. Sc. Lett. Arti, 109: 305-326.
Pignatti, S., 1951 - Notizia di ricerche fitosociologiche nella laguna veneta. N. Giorn. Bot. Ital. n.s., 58: 182-183.
*Pignatti, S., 1960 - Il significato delle specie poliploidi nelle associazioni vegetali. Atti Ist. Ven. Sc. Lett. Arti, 118: 75-98.
Pignatti S., 1953 - Introduzione allo studio fitosociologico della Pianura Veneta Orientale. Archivio Bot. 28-29.
Pignatti, S. e Sacchi, C. F., 1953 - Popolamenti malacologici ed associazioni vegetali sul litorale veneto. Archivio
Botanico, 29: 225-246.
Pignatti S., 1960 - Ricerche sull' ecologia e sul popolamento delle dune del litorale di Venezia. Il popolamento vegetale.
Bull. Mus. Civ. St. Nat. Venezia 12: 61-142.
*Pignatti S., 1962 - Le specie mediterranee del genere Bryopsis. Atti Ist. Ven. Sc. Lett. Arti. 120: 31-58.
Pignatti S., 1962 - Associazioni di alghe marine sulle coste veneziane. Mem. Ist. Ven. Sc. Lett. Arti. 32, 3: 1-134.
Pignatti, S., 1962 - Sulla vegetazione di alghe marine del litorale veneto. N. Giorn. Bot. Ital., 69: 1-3.
Marcello, A. e Pignatti, S., 1963 - Fenoantesi caratteristica sulle barene della Laguna di Venezia. Mem. Biogeogr.
Adriatica, 5: 189-257.
Berti, T., Fassina, G. e Pignatti S., 1063 - Attività antimicrobica di alghe della Costa Veneta. Giorn. Bot. Ital., 70: 609-612.
*Pignatti E. und S., 1966 - Anthropogene Meeresalgengesellschaften an der Adriatischen Küste, in Tüxen R. (ed.) “Anthropogene Vegetation" Symp. Internat. Ver. Vegetationskunde pp. 1-7. Rinteln. Pignatti S., 1966 - La vegetazione alofila della Laguna Veneta. Mem. Ist. Ven. Sc. Lett. Arti 33, 1: 1-174.
Pignatti S. e Rizzi L., 1967 - Alghe dragate il 7.2.1966 dal fondo marino al largo di Venezia. Arch. Ocean. Limnol. 14:
432- 434.
Pignatti, S., 1972 - Il popolamento della Laguna Veneta e la sua origine. Ateneo Veneto n.s., 10, 1-2: 61-71.
*Pignatti S., 1979 - Dieci anni di cartografia floristica nell' Italia di Nordest. Inform. Bot. Ital. 10: 212-219.
*Pignatti S., 1993 - Dry coastal ecosystems of Italy, in van der Maarel E. (ed.) “Dry coastal Ecosystems - Polar regions and
Europe" pp. 379-390. Elsevier, Amsterdam.
*Pignatti S., 1994 - Ecologia del paesaggio. UTET, Torino 228 pp.