Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 58



Ordina questo numero della rivista

Biodiversità e clima nell'agenda del 2010

Le conclusioni aleatorie e del tutto insoddisfacenti del vertice di Copenhagen forniscono qualche spunto utile anche al mondo dei parchi il cui ruolo prima ancora che nei cambiamenti climatici è importante nei cambiamenti di atteggiamento nei confronti dell'ambiente e della sua corretta gestione.

Tra le altre cose, Copenhagen ha rivelato due gap crescenti, al punto di rischiare l'incolmabilità: quello tra sapere scientifico e azione politica e quello tra conoscenza scientifica e livello medio di consapevolezza dei cittadini. Per il primo è evidente che se si ignorano le conclusioni del mondo della ricerca lo si fa volutamente, con la consapevolezza di farlo.
Ancora alla vigilia del vertice in terra di Danimarca, l'International Geosphere Biosphere Programme (IGBP), uno dei grandi programmi internazionali di ricerca sulle scienze del sistema Terra, riuniti nella ben nota Earth System Science Partnership (ESSP), che negli ultimi decenni ha concentrato la sua attenzione proprio sul Global Environmental Change, ha ricordato come sia, oggi, ampiamente dimostrata la responsabilità della pressione umana quale principale fattore del cambiamento ambientale globale. Ecco perché un gruppo internazionale di scienziati, impegnati su queste tematiche, ha proposto di introdurre dei cosiddetti "confini planetari", vale a dire i limiti del Pianeta oltre i quali è bene l'umanità non si spinga. I settori emersi come prioritari riguardano il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità, il ciclo dell'azoto, l'acidificazione degli oceani, l'assottigliamento della fascia di ozono, il ciclo del fosforo, l'utilizzo del suolo, l'impiego globale di acqua dolce, la dispersione atmosferica degli aerosol, il degrado dei suoli. Per i primi tre l'umanità ha già sorpassato il confine planetario individuato.
È del tutto evidente, di fronte all'emergenza che la situazione impone, quanto sia indispensabile e indifferibile andare oltre le condivise affermazioni di principio, raggiunte, senza vincolo alcuno, dai 119 capi di stato e di governo dopo giorni e giorni di confronto alla presenza di 34.000 partecipanti.
Tanto più che gli obiettivi erano minimi, se consideriamo che anche una crescita della temperatura di 1,5 gradi potrebbe determinare impatti irreversibili, e una di 2 gradi rischia di portare verso cambiamenti climatici catastrofici.
Ora la speranza si trasferisce a Bonn per l'incontro intermedio del prossimo anno.
Un anno destinato a restare negli annali della storia proprio per il fatto che bisognerà capire se la consapevolezza emersa a Copenhagen sarà servita a far maturare la decisione di accettare la sfida.
Il 2010 è anche l'Anno della biodiversità, l'anno della verifica di Countdown 2010 (che già si annuncia negativa e che avrà bisogno di ulteriore slittamento di data), l'anno in cui l'umanità è davvero davanti all'ultima chiamata per salvare il suo ambiente di vita e se stessa.
Perché possa essere colta positivamente non sono sufficienti le decisoni della politica internazionale.
La governance mondiale sull'ambiente va accompagnata dalla presa di coscienza, dalla consapevolezza e, soprattutto dagli immediati atti conseguenti, che toccano gli stili di vita e i comportamenti di ognuno di noi.
Sarà possibile andare in questa direzione solo se si comincerà a colmare l'altro gap, quello tra conoscenza di poche èlite e l'intero corpo sociale, i cittadini tutti.
In questo caso, ruolo chiave è destinato a essere svolto dalla scuola e dal mondo della comunicazione, dell'informazione. Forse è tempo di produrre trasferimento obiettivo di conoscenza su questi temi, lasciando da parte la speculazione politica che, di volta in volta, tende, per sua natura, ad accentuare o a minimizzare i fatti legati all'ambiente.
Oggi alcuni dati sono incontrovertibili, altri meno, ma anche per questi, stante la situazione di alto rischio, sarebbe prudente applicare il principio di precauzione.
Altrimenti tutto rischia di essere vano.
Anche il sistema della tutela messo in atto con la rete dei parchi e delle aree naturali protette.
Proprio loro sono chiamate, nel 2010, pur nella scarsità crescente di risorse, a uno sforzo aggiuntivo nel ruolo di educazione e di formazione al futuro sostenibile che da anni svolgono.
Per questo appare indispensabile, in assenza di quella tanto attesa Terza Conferenza Nazionale sui Parchi, cominciare a pensare a una sorta di Stati generali delle aree protette che non solo faccia il punto sull'applicazione della legge quadro nazionale e su quelle regionali -molte delle quali modificate di recente per accogliere le indicazioni europee- ma che ridefinisca la missione dell'intero sistema e soprattutto, al suo internio,
le urgenze e le priorità dettate da quell'agenda globale che non può essere ignorata.
Qui non si tratta di difendere qualche interesse particolare, né tantomeno la poltrona di qualcuno.
Qui si tratta di contribuire a vincere la sfida di un futuro compatibile tra l'uomo e le sue legittime attività e il fragile ecosistema che lo sostiene. Un equilibrio in continua evoluzione, che richiede capacità di adattamento e che negli ultimi tempi è stato fortemente compromesso e posto in condizioni di pericolosa precarietà.
Che il nuovo anno ci porti la forza per cambiare radicalmente la situazione, per avviarci sulla starda di un'economia decarbonizzata fatta innanzitutto di risparmio, efficienza ed utilizzo di energie da fonti rinnovabili; trasferimento di tecnologie pulite ai paesi poveri, perché non ripetano i nostri errori nella strada verso il loro giusto sviluppo; sostegni finanziari agli stessi, per azioni concrete di adattamento ai cambiamenti climatici; blocco dell'insostenibile e continua deforestazione che distrugge patrimoni straordinari, di grande valore per il nostro benessere; azioni concrete per la tutela della biodiversità, la riduzione del consumo dei suoli e la conservazione della loro fertilità.
Brasile, India, Cina, Sud Africa e Stati Uniti, a Copenhagen hanno dato, comunque, un segnale importante, con il riconoscimento della necessità di non sorpassare la soglia dei 2°C della temperatura media della superficie terrestre rispetto all'epoca preindustriale.
Ci auguriamo sia il viatico per un buon inizio, che ora necessita di una vigorosa accelerazione.
Vorremmo che l'Europa e il nostro Paese, troppo timidi e impotenti al recente vertice internazionale, si pongano come soggetti protagonisti di questa inversione di rotta che introduca modelli innovativi nello sviliuppo del futuro. E vorremmo cominciassero a farlo da Bonn 2010.

Valter Giuliano
direttore.rivistaparchi@parks.it