Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 59



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Verso un manifesto per le aree protette

come Centri di Ricerca in Ecologia applicata alla pianificazione, gestione e conservazione

Dopo la consapevolezza del valore del paesaggio e della biodiversità e la lunga e complessa definizione degli ambiti da tutelare, la loro istituzione, regolamentazione e pianificazione, in Italia sono maturi i tempi per sviluppare una fase incentrata sulla gestione che veda nelle aree protette dei poli scientifici ove, attraverso la ricerca applicata sia possibile implementare la conoscenza locale e sviluppare modelli generali utili all'avanzamento disciplinare delle tante scienze del territorio e alla loro integrazione.

Un'area protetta comprende un settore di territorio di particolare interesse ecologico e conservazionistico. Essa può rappresentare l'ambito territoriale che più di ogni altro può essere interessato da iniziative concrete focalizzate alla gestione e conservazione di specie e comunità animali e vegetali, di ecosistemi, di processi naturali e antropogeni (Giacomini e Romani, 1982; Primack e Carotenuto, 2003; Carta di Feltre, 2009).
Esiste una sostanziale differenza tra ricerca di base e ricerca applicata.
Nella ricerca di base si formulano ipotesi, si ottengono risposte, si elaborano modelli in grado di predire con un consistente margine di probabilità la ricorrenza di un fenomeno.
Nella ricerca applicata, nello specifico nelle strategie di gestione, pianificazione,conservazione rivolte alla biodiversità, alle risorse, ai processi naturali (ecologia applicata) si individuano problemi e si elaborano strategie finalizzate al raggiungimento di obiettivi specifici indirizzati alla loro risoluzione. Monitoraggio e gestione adattativa fanno parte di questo processo (Kroll, 2007).
Il settore disciplinare dell'ecologia applicata al territorio è caratterizzato da quella complessità e incertezza tipiche di qualsiasi processo transdisciplinare (cfr. Funtowicz e Ravez, 1995).
Le aree protette possono essere siti privilegiati ove effettuare la ricerca applicata, destinando tempo e risorse, strutturando laboratori, formando studenti, personale e divenendo punti di riferimento per le Università che vi inviano tesisti, stagisti, dottorandi. In alcuni casi, le ricerche possono contribuire all'elaborazione di modelli più generali che portano novità nelle Università: molti corsi di Ecologia applicata e di Conservazione della natura sono tenuti da personale esperto che lavora nelle aree protette e che ha acquisito un background specifico.
Questo livello di maturità degli Enti Parco è stato raggiunto da alcuni decenni nel mondo anglosassone,ove, ad esempio, tra gli autori dei lavori pubblicati sulle maggiori riviste internazionali che si occupano di gestione e conservazione della natura (tra le tante, Conservation Biology, Biological Conservation, Journal of Wildlife Management) è molto frequente individuare personale appartenente a tali enti o a centri di ricerca che ad essi fanno riferimento.
Nel nostro Paese, quello che sembra un assunto di base («nei parchi si fa ricerca applicata alla pianificazione, gestione, conservazione ») è spesso disatteso nel panorama generale del sistema nazionale e regionale delle aree protette.
È possibile passare in rassegna i punti più importanti per capire questa difficoltà delle aree protette nell'identificarsi in una struttura tecnico-scientifica forte.
Consapevolezza (politica, dei tecnici, dei dirigenti): Uno degli aspetti può essere identificato nel medio-basso livello di consapevolezza del ruolo giocato dall'Ente come struttura che può prevedere, oltre ai suoi compiti di controllo del territorio, anche quello di polo per la ricerca delle complesse relazioni uomonatura. Questa assenza può portare a una "timidezza" dell'Ente (di dirigenti, personale, politici) nell'affrontare le competenze tecnico- scientifiche e nel relazionarsi con il mondo della ricerca accademica. Ciò appare grave perché nessuna altra struttura può essere in grado di lavorare sul territorio con continuità e competenza come il personale tecnico delle aree protette, soprattutto quando adeguatamente formato e motivato: esiste un vuoto di conoscenza nella ecologia applicata proprio per tale carenza di consapevolezza e molti lavori recenti hanno sottolineato questo problema (cfr. Prendergast et al., 1998; Kroll, 2007).
Gerarchia. Un altro aspetto da prendere in considerazione è legato alla competenza del personale dirigenziale nelle aree protette che, per provenienza tecnica o spessore culturale (ad esempio, mancanza di esperienza nel settore della biologia della conservazione e del wildlife management), può non essere in grado di riconoscere le problematiche, le priorità e la possibilità stessa di fare ricerca nei parchi. A cascata questo porta, dall'alto, a non indirizzare il personale tecnico dell'area protetta verso una mission tecnico-scientifica.
Il personale tecnico è inserito nell'apparato gerarchico dell'Ente territoriale di appartenenza.
Le decisioni tecniche sono pertanto demandate ad una approvazione dirigenziale.
La presenza di un livello dirigenziale in grado di fornire un contributo critico costruttivo oppure, al contrario, impedire il proseguimento del processo per motivazioni esclusivamente "gerarchiche" (legate a fattori umani, politici, o contingenti) può fare la differenza tra Enti parco che fanno ricerca applicata in modo autonomo ed Enti che delegano la ricerca all'esterno.
Amministrazione: amministrare le "macchina Parco" è importante perché consente l'avvio di attività. L'amministrazione dovrebbe essere però finalizzata a consentire che l'Ente faccia pianificazione, gestione, conservazione (il suo fine istitutivo). Spesso si assiste ad un avvitamento della componente amministrativa su se stessa, che diviene in modo autoreferenziale il fine ultimo dell'esistenza dell'Ente relegando ad un ruolo secondario tutti quegli aspetti legati alla conservazione. I tecnici possono venire assorbiti da questo settore in modo da non poter svolgere più il proprio compito.
Modelli generali e specificità delle singole aree. Il personale tecnico presente nei Parchi, adeguatamente formato, ha due grandissime opportunità. La prima è legata al fatto che l'area protetta come ambito territoriale è caratterizzato da una sua unicità in termini di componenti, complessità, processi, dinamiche, storia, cultura, relazioni. Pertanto è possibile operare in un contesto territoriale specifico ove i modelli generali (siano essi ecologici oppure economici, culturali, sociali, storici) possono rispondere in modo del tutto particolare all'insieme dei fattori e processi (naturali e antropogeni) locali. I modelli generali dell'ecologia devono pertanto essere contestualizzati al sito che può caratterizzarli in modo del tutto specifico e, a volte, contro intuitivo.
Tempi della gestione e tempi dei fenomeni naturali e antropici. Una seconda opportunità può essere fornita agli Enti Parco dalla possibilità di osservare nel tempo tali fattori e processi peculiari, studiandone le relazioni complesse tra loro. Ad esempio, la conoscenza del regime di un disturbo di origine antropica, ovvero della sue caratteristiche in termini di estensione, intensità, frequenza, durata, reversibilità, può essere ottenuta solo nell'arco di un tempo non inferiore a 1-2 anni.
Tempi più lunghi sono necessari se si vogliono conoscere gli effetti di determinati disturbi su specie, comunità e altre componenti di interesse ecologico. Solo chi impegna tempo e risorse in una stessa area per molto tempo (come ad esempio il personale delle aree protette) può indagare a fondo le relazioni tra disturbi antropici e componenti ecosistemiche e attuare risposte tecniche e culturali anche con strumenti partecipati innovativi (Forti et al., 2010).
Sottovalutazione delle competenze locali. Non considerare il ruolo del personale tecnico che ha acquisito competenza sulla stessa area per molto tempo può portare a errori strategici. Si pensi alla redazione di Piani di gestione da parte di Società private e/o istituti di ricerca che hanno solo occasionalmente frequentato il Parco oggetto di indagine, non facendo riferimento alle conoscenze pregresse di tecnici e guardaparco. Professionisti esterni e ricercatori di base possono essere a conoscenza dei modelli disciplinari di base ma, al tempo stesso, probabilmente non conoscono il pattern locale di componenti e processi naturali e antropici.
Come accennato, il personale in servizio sul territorio è quello che, forte del tempo a disposizione speso a controllare la propria area di competenza, meglio è in grado di indagare il regime di quei disturbi che possono essere invece sottovalutati o, al contrario, sopravvalutati da ‘esperti' che visitano l'area per troppo poco tempo per definire il comportamento del processo di disturbo (cfr. Battisti et al., 2008).
La storia delle aree protette in Italia ha attraversato una prima fase (ancora non conclusa) di acquisizione di consapevolezza del valore del paesaggio e della biodiversità. Una seconda fase ha portato alla lunga e complessa definizione degli ambiti da tutelare, alla loro istituzione, regolamentazione e pianificazione. I tempi sono maturi in Italia per sviluppare una terza fase incentrata sulla gestione che vede nelle aree protette dei poli scientifici ove, attraverso l'avvio di ricerche nel settore dell'ecologia applicata alla pianificazione e conservazione di territorio, risorse, biodiversità, è possibile implementare la conoscenza locale ma anche, in modo più ampio, sviluppare modelli generali utili all'avanzamento disciplinare delle tante scienze del territorio e alla loro integrazione.
Questa riflessione è proposta on line e aperta a riflessioni e contributi sul sito www.museodelfiore.it/news%20dal%20museo/petizione .

Bibliografia:
Battisti C., Luiselli L., Pantano D., Teofili C., 2008. On threats analysis approach applied to a Mediterranean remnant wetland: Is the assessment of human-induced threats related into different level of expertise of respondents?, Biodiversity and Conservation, 17: 1529-1542.

Carta di Feltre, 2009. www.dolomitipark.it/it/parchi.per.una.sola.terra.carta.feltre.html

Forti G., Rossi F., D’Aureli M., Tamburini P., 2010. Un percorso verso una reale identità sistemica: il caso del sistema museale del lago di Bolsena, Museologia scientifica memorie,
5: in stampa.

Funtowicz S.O., Ravetz J.R., 1995. Planning and decision-making in an uncertain world: the challenge of post-normal science, In Horlick- Jones T., Amendola A. & Casale R. (ed.)

“Natural risk and civil protection”, Proc. of International Conference on Natural Risk and Civil Protection, Commission of the European Communities, Belgirate, Italy, 26- 29 October 1993, 416-423.

Giacomini V., Romani V., 1982 (2002). Uomini e parchi, Franco Angeli Editore, Milano, 210 pp.

Kroll A.J., 2007. Integrating professional skills in wildlife student education, Journal of Wildlife Management, 71: 226-230.

Prendergast J.R., Quinn R.M., Lawton J.H., 1998. The gaps between theory and practice in selecting nature reserves, Conservation Biology, 13: 484-492.

Primack R.B. e Carotenuto L., 2003. Conservazione della natura, Zanichelli, Bologna, 514 pp.


Corrado Battisti
Servizio Ambiente ("Aree protette-parchi regionali"), Provincia di Roma
Gianluca Forti
Museo del fiore, Comune di Acquapendente (VT)