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Relazione sullo stato dell'ambiente

predisposta ai sensi della legge 8/7/86, n. 349
(presentazione)


Cinque anni dopo Rio

Relazione sullo stato dell'ambiente "Cinque anni dopo la storica Conferenza di Rio de Janeiro delle Nazioni Unite, dedicata all'ambiente e allo sviluppo, il mondo è ben lontano dal raggiungere il suo obiettivo principale: un'economia mondiale ambientalmente sostenibile.
Dal summit sulla terra del 1992, la popolazione umana è cresciuta di circa 450 milioni, un numero superiore a quello degli abitanti degli Stati Uniti e della Russia.
Le emissioni annuali di carbonio, che producono anidride carbonica, principale responsabile dell'effetto serra, sono aumentate di nuovo, alterando la composizione dell'atmosfera e l'equilibrio del riscaldamento globale. Negli ultimi cinque anni la ricchezza biologica del pianeta è diminuita rapidamente e in modo irreversibile.
Nelle regioni tropicali e in quelle temperate, vaste aree di foresta antica sono state degradate o rase al suolo: sono state così eliminate migliaia di specie di piante e di animali. Anche le zone umide biologicamente ricche e le scogliere coralline stanno subendo un destino simile" [1].
Gli obiettivi della Conferenza di Rio, riassunti nei quaranta capitoli dell'Agenda 21, cioè del piano di azione per il XXI secolo per l'affermazione di uno sviluppo ecologicamente sostenibile e socialmente più giusto, sono certamente troppo ampi e ambiziosi per essere raggiunti in soli cinque anni. Ed è anche vero che qualche progresso c'è stato. Il più importante è l'acquisizione del concetto stesso di sviluppo sostenibile.
La consapevolezza che le condizioni ambientali, la disponibilità di buona qualità ambientale e di risorse naturali sono condizioni essenziali per lo sviluppo, che lo sviluppo economico non può e non deve forzare la capacità di carico della natura, che la sostenibilità ambientale richiede anche sviluppo sociale, e superamento della povertà. L'inquinamento dell'aria e dell'acqua è a livelli meno allarmanti nella gran parte dei paesi industrializzati che hanno adottato legislazioni di una certa efficacia: per esempio si va verso l'eliminazione del piombo dalle benzine e la produzione delle sostanze che danneggiano l'ozono è fortemente diminuita.
Nei paesi industriali più avanzati le politiche ambientali influenzano le politiche industriali orientando i consumi, gli usi più efficienti di energia e di materiali, limitando la quantità delle emissioni inquinanti dei processi produttivi e la produzione dei rifiuti.
Nei paesi di nuova industrializzazione e nei paesi in via di sviluppo dove le politiche ambientali sono più arretrate si registra una maggiore consapevolezza anche se si fa ancora poco per risolverli.
Nonostante tutto ciò siamo ancora ben lontani dalla sostenibilità del nostro sviluppo. Sulla strada della sostenibilità l'umanità sta incontrando tre ostacoli principali: l'aumento dei gas che provocano effetto serra e cambiamenti climatici, le perdite irreversibili di biodiversità, e i tassi di aumento troppo elevati sia della popolazione mondiale che dei consumi di una sua parte.
Fra il ]990 ed il 1995 le emissioni globali di carbonio hanno raggiunto i 6 miliardi di tonnellate con un aumento di 113 milioni. L'aumento è stato modesto per il collasso delle industrie degli ex Paesi socialisti dell'Europa centrale e orientale che bruciavano molti combustibili fossili ed in particolare molto carbone.
Ma le tendenze in atto non sono positive: I 'Agenzia internazionale per l'energia prevede che se non verranno prese nuove iniziative, le emissioni globali di carbonio nel 2000 supereranno i livelli del 1990 del 17% e nel 2010 del 49%, raggiungendo i 9 miliardi di tonnellate l'anno.
Già oggi alluvioni, siccità, incendi e ondate di calore, sono riconducibili ai cambiamenti climatici indotti dall'aumento dei gas con effetto serra. Un ulteriore forte aumento nei prossimi decenni sarebbe insostenibile.
Anche se le aree naturali protette sono in costante e consistente aumento a partire dalla metà del secolo ed hanno raggiunto quasi il miliardo di ettari, le foreste tropicali continuano a ridursi, gli ecosistemi naturali sono soggetti ad una forte pressione. Si perdono 50.000 specie l'anno e circa un quarto delle 4.600 specie di mammiferi sono minacciate di estinzione.
Ulteriori gravi danni al patrimonio naturale potrebbero venire dai cambiamenti climatici in atto.
La popolazione umana aumenta al ritmo di 88 milioni di persone l'anno. All'inizio del secolo al mondo vi erano solo 1 miliardo e 600 milioni di persone, entro la fine del secolo saremo 6 miliardi.
L'aumento così consistente della popolazione mondiale è una causa decisiva di molti problemi ambientali e di molti problemi sociali.
Negli anni più recenti comincia ad esserci qualche segno positivo: nel 1996 il tasso di aumento della popolazione mondiale è un po' frenato, all'l,5%, rispetto al 2,1% degli anni '60.
La crescita demografica infine non può essere, dal punto di vista della sostenibilità, considerata a prescindere dai livelli di consumo delle risorse.
I paesi industriali hanno ormai raggiunto tassi di fertilità vicini ai livelli di sostituzione, ma mantengono un livello di consumo di risorse procapite troppo alto, insostenibile. La crescita demografica annua degli Stati Uniti, pari a 2,6 milioni di persone, crea maggiori pressioni sulle risorse mondiali dell'aumento di 17 milioni di persone all'anno in India.


La sostenibilità in Europa

Il Quinto programma europeo per lo sviluppo sostenibile fa parte delle misure adottate dall'Unione Europea in applicazione dell'Agenda 21 di Rio. All'inizio del '96 la Commissione Europea ha pubblicato una relazione sull'applicazione di questo programma comunitario insieme ad una relazione sullo stato dell'ambiente redatta dall'Agenzia europea dell'ambiente.
Questi documenti ci consentono di fare il punto sulla situazione e sulle politiche ambientali in Europa.
Le conclusioni sintetiche di questo primo bilancio sono le seguenti: "la strategia e gli obiettivi generali del Quinto programma restano validi, non si sono tuttavia verificate le modifiche dei comportamenti e la volontà di avviare una svolta, che sono indispensabili se si vuole progredire in direzione di uno sviluppo durevole e sostenibile" [2].
Vediamone, sinteticamente, le ragioni.
L'integrazione delle politiche ambientali nei settori chiave per uno sviluppo sostenibile (industria, energia, trasporti, agricoltura e foreste, turismo) è progredita, ma troppo poco e con velocità diverse.
Questa integrazione è più avanzata nell'industria manifatturiera dove la legislazione ambientale è in vigore da decenni, è più lenta nei settori del turismo e dell'agricoltura. Nel settore dei trasporti sono in corso progressi nel campo delle emissioni degli autoveicoli e della qualità dei carburanti, però l'aumento del parco di veicoli annulla gli effetti di tali progressi. Nel settore dell'energia c'è qualche miglioramento, ma restano alte le emissioni di CO2 e mancano incentivi adeguati per promuovere indirizzi più sostenibili.
Salvo novità o nuovi interventi, difficilmente l'Unione Europea riuscirà a stabilizzare al 2000 i livelli del 1990 di emissioni di CO2: probabilmente si registrerà un incremento, sia pure moderato, intorno al 5% e a partire dal 2000 le emissioni tenderebbero ad aumentare dell'1 % all'anno circa.
Buoni sono invece i progressi per l'eliminazione delle sostanze che distruggono l'ozono. L'Unione Europea ha fatto in questi anni notevoli sforzi per la protezione del suo patrimonio naturale (Direttiva Habitat, Direttiva Uccelli, Regolamento CITES, comunicazione per i terreni paludosi, revisione delle norme sui Fondi strutturali). C'è un ritardo invece degli Stati membri nel designare i siti habitat: ritardo che rischia di rendere poco efficace il progetto rete natura 2000 per il mantenimento della biodiversità in Europa.
Si registra un regolare, sebbene lento, miglioramento della qualità delle acque della Comunità, con l 'unica eccezione dell'inquinamento da fonti diffuse, in particolare agricole. I tentativi di ridurre i consumi d'acqua non hanno avuto successo e resta quindi la tendenza all'aumento dei consumi di acqua dolce.
Negli ultimi anni è aumentato notevolmente l 'interesse della Comunità per l 'ambiente urbano: purtroppo i dati disponibili, scarsi, non sono incoraggianti né per la qualità dell'aria, né per l'impatto dei trasporti.
Il rumore è fra i principali problemi ambientali delle zone urbane europee: circa l'8% della popolazione urbana è esposto a rumori pericolosi che superano i 70 dB(A) e un altro 11% è esposto a livelli nocivi superiori a 65 dB(A), per traffico, attività industriali e traffico aereo.
I dati statistici dei paesi europei nel campo dei rifiuti non sono ancora omogenei e quindi difficilmente confrontabili e sommabili. Ovunque si registrano, salvo flessioni congiunturali, tendenze all'aumento della quantità di rifiuti.
La Comunità sta cercando di diminuire la quantità di rifiuti smaltiti in discariche e negli inceneritori promuovendo il riciclaggio, il recupero energetico ed altre forme di gestione e valorizzazione dei rifiuti.


I principali problemi ambientali dell'Italia

Il sistema di gestione dei rifiuti urbani è tra i più arretrati d'Europa: l'88%finisce in discarica, il 5,1% è incenerito e solo il 6,9% viene riciclato.
Questo sistema non è più sostenibile: moltiplica i siti inquinati dalle discariche, legali e più spesso illegali, produce emergenze continue in molte località.
Col Decreto Legislativo 22/97 si è avviata una riforma di questo importante settore attivando interventi di prevenzione, facendo partire un sistema agevolato e incentivato di riciclaggio con obiettivi minimi fino al 35% dei rifiuti urbani, puntando su un recupero energetico da combustibili e da rifiuti urbani e assimilati (un combustibile meno inquinante del carbone e impiegabile in impianti con limiti di emissioni più rigorosi dei normali limiti in vigore per impianti industriali), rendendo marginale entro il 2000 lo smaltimento in discarica ed anche il tradizionale incenerimento dei rifiuti tal quali.
Preoccupa lo scadimento della qualità delle acque interne di superficie ed in molte zone anche di quelle sotterranee.
I dati più recenti relativi a 118 fiumi indicano che solo per il 31% dei corsi d'acqua la qualità risulta buona (di solito vicino alle sorgenti), per il 29% media, per il 28% cattiva e per il 12% pessima.
Per le acque sotterranee, l'inquinamento chimico preoccupa, in particolare nel bacino padano, per lo sfruttamento agrozootecnico del suolo, l'elevata concentrazione di impianti industriali e di aree urbanizzate.
Nonostante alcuni recenti miglioramenti continuiamo ad avere circa 600 chilometri di coste non balneabili: questa situazione critica deriva in buona parte dalla inadeguatezza dei sistemi di depurazione degli scarichi. n 33,6% degli scarichi non è per nulla depurato. Su 11.218 depuratori esistenti, 4.437 utilizzano soltanto il trattamento primario. Con l'entrata in vigore della Direttiva CEE 271/91, occorrerà, con precise scadenze, rivedere il sistema di depurazione delle acque italiane, completandolo e ricorrendo ad una depurazione più spinta (di tipo terziario) per gli scarichi in aree sensibili. Per avviare l 'applicazione di tale direttiva, il Ministero dell 'ambiente ha predisposto un piano straordinario di collettamento e di depurazione che comprende oltre 1.000 interventi (fra adeguamenti, potenziamenti e nuovi impianti), per un investimento globale, in parte con fondi statali, in parte locali ed europei, di oltre 10 mila miliardi. Tali interventi, con uno sforzo straordinario, dovranno essere avviati nel '97 e nel '98.
Nel frattempo si procederà col recepimento della Direttiva CEE 271/91 al riordino ed alla stesura di un nuovo testo unico in materia di tutela delle acque dall'inquinamento.
Consistente e diffuso in quasi tutte le città è l'inquinamento da traffico, con inquinamento dell'aria, rumore e congestione. Fra gli inquinanti che più preoccupano, oltre alla CO2 e agli NOX, crescono gli idrocarburi aromatici ed il benzene in diverse città.
Circa due terzi delle auto circolanti in Italia non è catalizzato. Le auto non catalizzate hanno emissioni del 60% superiori a quelle catalizzate. Con un simile parco macchine è difficile riuscire ad avere una qualità dell'aria accettabile nelle città dove circolano la maggior parte dei circa 30 milioni di autovetture e dei quasi 6 milioni di motoveicoli.
Per recuperare vivibilità nelle città è necessario ridurre il trasporto privato, incrementare i trasporti pubblici, migliorare e introdurre forme innovative di mobilità e della sua gestione, migliorare la qualità dei carburanti, incentivare auto meno inquinanti.
L'Italia dispone, per ragioni territoriali e climatiche, di un grande patrimonio naturale, il più ricco d 'Europa.
Sono state individuate e classificate 5.599 piante superiori ed è stata completata la lista della fauna italiana che comprende ben 57.344 specie.
L'Italia è anche uno dei paesi più densamente popolati d'Europa con 189 ab/kmq, con valori di concentrazioni che nelle pianure e lungo le coste si avvicinano ai 500 ab/kmq. L'Italia è un paese industriale, con 625 mila unità locali di impresa con più di un addetto, di cui 129 mila con più di 10 addetti, con una diffusa rete di infrastrutture.
Il territorio è quindi soggetto ad una forte pressione di attività edilizia, industriali, delle infrastrutture, che rischiano di compromettere il patrimonio naturale del paese.
L'indice di boscosità è inferiore di ben 5 punti percentuali rispetto alla media europea (28,8% rispetto al 33,9%).
Così molte delle nostre specie sono minacciate: 38 specie di mammiferi su 118; 125 specie di uccelli su 473; 32 di rettili su un totale di 58; 3 di anfibi su 38 e 39 pesci su 489. Qualche passo avanti nella protezione del patrimonio naturale del Paese lo si è fatto con il sistema delle aree protette: con i 18 Parchi nazionali e con le aree protette regionali sono oggi protetti circa 2 milioni di ettari, pari al 6,58% del territorio nazionale. Con i nuovi parchi previsti si dovrebbe arrivare in tempi relativamente rapidi al 10%.
Nell'ambito dell 'applicazione della Direttiva CEE 43/92 "Habitat" sono stati individuati in Italia ben 2.800 siti di importanza comunitaria per la presenza di specie e di habitat di interesse europeo. La definizione della Carta della Natura italiana, ormai in corso, consentirà una individuazione ed una descrizione degli habitat italiani in base ai quali si potrà poi procedere per indicare linee di assetto del territorio, finalizzate alla tutela integrata del suo patrimonio naturale.
Come è ricca di aree naturali di grande pregio, l 'Italia vede la presenza di numerose aree pesantemente inquinate, in particolare in aree industriali parzialmente o totalmente dismesse.
Abbiamo 14 aree estese dichiarate ad elevato rischio di crisi ambientale: Napoli, Lambro-Seveso-Olona, Burana-Po di Volano, Po Polesine, Conoidi, Brindisi, Taranto, Priolo Augusta, Gela, Porto Scuso, Sarno, Orbetello, Massa Carrara e Manfredonia.
10 sono poi le aree dichiarate critiche, per l 'elevata concentrazione di attività industriale ad elevato impatto: Casale Monferrato, Genova, Livorno, Piombino, Ravenna, Novara e Trecate, Asti, Alessandria, Cuneo e Savona.
Piani troppo generali e generici, dai costi insostenibili, non hanno dato risultati attesi. Ora si tratta di procedere ad interventi più mirati come quelli avviati per Bagnoli, per Sesto S. Giovanni, per il Sarno o per Orbetello.
Si tratta cioè, utilizzando l 'art.l 7 del Decreto Legislativo n. 22/97, di procedere a censire le aree ed i siti inquinati, distinguendo quelli di interesse locale da quelli di interesse nazionale, e quindi procedere con progetti e interventi di bonifica.
Questi interventi, a rilevante ricaduta occupazionale, possono consentire di recuperare aree preziose per lo sviluppo dei servizi, del verde pubblico ed anche di nuove attività industriali.
In questo ambito occorre, infine, porsi il problema della delocalizzazione di alcune attività industriali che si trovano in centri abitati e che sono ormai incompatibili.
Per tali attività occorrono aree disponibili, possibilità di disporre di incentivi ed anche di ammortizzatori sociali per i lavoratori durante la fase del trasferimento degli impianti.
Non sarà facile nemmeno per l'Italia stabilizzare le emissioni di CO2 entro il 2000 ai livelli del '90 e realizzare le ulteriori riduzioni, del 7% entro il 2010, previste dall'Unione Europea.
Per mantenere questi impegni occorre intervenire in due settori chiave: quello dell'energia e quello dei tra.sporti dove, senza nuovi interventi, sono previsti incrementi delle emissioni di CO2, al 2010, dell'ordine del 15-20%.
Nel campo energetico si sta operando per un innalzamento dell'efficienza energetica sul lato della produzione e per una razionalizzazione sul lato dei consumi elettrici.
Sono stati avviati contatti con il Ministero dell 'industria al fine di definire un Piano Nazionale per le Fonti Rinnovabili per il periodo 1998-2002 in coerenza con l'obiettivo di un raddoppio di un contributo delle energie pulite al 2010 contenuto nel Libro Verde dell'Unione Europea. Per l'Italia questo risultato implica una conversione addizionale di energia solare, eolica, geotermica, idrica e da biomasse per 11-12 milioni di TEP/anno. Per ottenere questi risultati va ridefinito dall'Authority sull'energia il prezzo di cessione all'ENEL dell'elettricità prodotta, differenziato per tipologia di fonte rinnovabile.
Nel settore dei trasporti le azioni devono riguardare i veicoli, le infrastrutture e la gestione. Sul fronte dei veicoli il Ministero dell'ambiente ha siglato un Accordo di Programma con la FlAT finalizzato alla riduzione dei consumi specifici medi del 20% delle automobili che verranno commercializzate nel 2005. Verrà anche messa a punto entro il 2000 una City-Car con consumi di 3 litri per 100 km.
Risulta inoltre cruciale un potenziamento del trasporto pubblico locale, in particolare attraverso l'estensione dell'impiego di moderne tranvie veloci (rifinanziamento della Legge 211/92) e delle piste ciclabili.
Un impiego di veicoli elettrici, a metano e a GPL può dare contributi importanti ai problemi ambientali locali.
Si sta studiando con il Ministero dei trasporti la possibilità di introdurre una quota progressiva crescente, a partire dal 1998, di veicoli a bassa emissione negli acquisti di veicoli delle flotte comunali e di autobus per il trasporto pubblico. Anche l'incentivo per la rottamazione delle vecchie auto, dovrebbe essere commisurato alle emissioni più basse di CO2 delle nuove auto e quindi ai consumi litri/km.
Per quanto riguarda nuove infrastrutture sia stradali che ferroviarie, va attentamente considerato l 'impatto ambientale in termini di emissione di gas di serra, specie se si tratta di strutture destinare a durare decine di anni.
Occorre definire un obiettivo di riequilibrio modale del trasporto merci tra strada e ferrovia per il 2005 e 2010. L'84% delle merci trasportate su strada e solo il 12% su ferrovia sono incompatibili con la riduzione di emissioni di CO2: occorre concretamente portare le merci su ferro e cabotaggio al 40%. Anche la verifica dell'Alta Velocità, disposta dal Parlamento, deve assumere la priorità del potenziamento del trasporto delle merci su ferro.
Il raggiungimento delle riduzioni di gas-serra deve vedere una partecipazione più incisiva degli enti locali.
Le regioni e i comuni che non hanno ancora predi.sposto Piani Energetici, dei Trasporti e del Traffico, devono elaborarli entro la fine del 1998, verificando la riduzione dei gas di serra.
Una riflessione particolare, per concludere, richiede il rischio idrogeologico ed in particolare la necessità di attivare misure di salvaguardia per la prevenzione di alluvioni e frane, il rafforzamento del monitoraggio e dei controlli a partire dalle aree a maggior rischio.
Nell'ambito del Progetto AVI ("aree vulnerate italiane per alluvioni e frane"), realizzato dal CNR e dal Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche si è recentemente provveduto al riconoscimento, al censimento e alla catalogazione delle aree storicamente vulnerate dalle frane e dalle alluvioni. Per mezzo di una attività di documentazione, che ha preso in esame tutte le fonti di informazione disponibili, è stata creata una preziosa banca-dati, nella quale sono elencati i comuni interessati da eventi alluvionali o movimenti franosi tra il 1918 ed il 1990. I dati successivi al l 990 sono recenti e quindi ampiamenti noti. Il Ministero dell'ambiente ha quindi provveduto a sottoporre ad analisi statistica tale banca-dati, opportunamente informatizzata, in modo da giungere ad individuare i comuni maggiormente colpiti da movimenti franosi e da alluvioni. In attesa dell 'operatività dei Piani di Bacino e/o dei Piani stralcio occorre, con priorità:
  • disporre con i Servizi Tecnici Nazionali, l'ANPA e le regioni una verifica dei comuni a maggiore rischio;
  • estendere nelle aree individuate con tale verifica nei comuni a maggiore rischio le misure di salvaguardia, con le stesse procedure, previste dalla Legge n. 677 del 31.12.96, adottate in occasione delle alluvioni in Toscana ed in Friuli;
  • fissare nei comuni a rischio un monitoraggio ed un controllo permanenti affidando tali funzioni alle ARPA o al Corpo Forestale dello Stato o ad altri organismi precisamente individuati. Se le regioni, con tali strumenti, non fanno i controlli, occorre attivare controlli sostitutivi dei comuni a maggiore rischio;
  • verificare nei comuni a maggiore rischio i piani di emergenza e di protezione civile secondo modalità concordate dalle regioni con il Dipartimento della Protezione Civile.

A regime, è necessario attivare un monitoraggio delle condizioni del territorio, capillare e compiuto, diretto a prevenire gravi situazioni di rischio di esondazione e di frana. A questa attività di acquisizione di dati sulle aree più esposte dovrebbe essere affiancata un'attività su tutto il territorio nazionale, diretta ad acquisire gli elementi essenziali di conoscenza della naturalità delle aree, della loro vocazione, in funzione di scelte più razionali circa le possibili utilizzazioni del territorio e i necessari strumenti di difesa. Ciò per garantire un uso compatibile di questa essenziale risorsa in tutti gli strumenti di pianificazione urbanistica, produttiva e di infrastrutture. Al di là delle competenze per la difesa del suolo che, a livello nazionale, sono oggi principalmente del Ministero dei lavori pubblici, occorre che la prevenzione sia più mirata nelle aree a maggior rischio e che si facciano passi avanti nella pianificazione dei bacini idrografici non solo rendendo operativi i piani di bacino, ma basandoli su linee di assetto e di uso integrato e sostenibile del territorio.

Edo Ronchi

Ministro dell'ambiente


Note:
[1] L.R. Brown, C.Flavin, H.F.French, State of the World, Worldwatch Institute, ISEDI, 1997;
[2] Commissione delle Comunità Europee, Relazione "Per uno sviluppo durevole e sostenibile" Bruxelles 10.1.96 Com. (95).