Ticino: Saino accusa e se ne va

"Oggi sento che la carica di entusiasmo e la voglia di realizzare qualcosa di utile per i cittadini, nonostante gli ostacoli di ordine legislativo, burocratico, finanziario e politico, mi è venuta a mancare e onestà vuole che passi la mano". Verrebbe da pensare, di fronte a queste parole, contenute nella lettera di dimissioni di Luciano Saino da presidente del Parco del Ticino Lombardo, ad un amministratore che getta la spugna. La realtà è diversa. Con quelle parole Saino tende solo ad attenuare la ruvidezza delle pesantissime accuse che la lettera stessa elenca con puntiglio e dovizia di dettagli. Accuse che rimangono, anche se Saino sembra proprio deciso a lasciare, e che sono riassumibili in una: il tentativo di sabotare, svuotandola, l'esperienza di un parco che ha fatto della autonomia, del potere di coordinamento territoriale, della pianificazione, le proprie ragioni di esistenza. La grande attenzione riservata alle difficili vicende di queste settimane al Parco del Ticino, le attestazioni di stima e solidarietà a Saino trovano tutte motivazioni in questa consapevolezza: è in gioco la realtà di un parco che è stato a lungo apripista, punto di riferimento per tante esperienze, regionali e non solo, che sono venute dopo. Certo, Saino è persona stimata; i vent'anni passati negli organismi dello "storico" parco, i sei anni di presidenza, il contributo dato - in qualità di vicepresidente - allo sviluppo della Federparchi ne hanno fatto un personaggio noto. Ma c'è evidentemente di più. C'è la percezione che se si restringe lo spazio di agibilità per quel parco ne soffrirà l'intero sistema; se subirà un colpo la credibilità di quell'Ente saranno un po' più esposti tutti gli Enti di gestione. In fondo la terza pista della Malpensa è l'equivalente del terzo traforo del Gran Sasso o della centrale termoelettrica nel Delta del Po: è la cartina di tornasole del grado di accettazione dei parchi da parte del complesso degli altri poteri. Saino, dunque, accusa, saluta e se ne va. Ma i parchi rimangono. E soprattutto restano lì, a interrogare tutti, le scelte da operare per uno sviluppo che non sia solo espansione e per una gestione territoriale che, di naturalistico, non abbia solo l'abbellimento di ciò che rimane dopo che chi ha potuto ha consumato a proprio piacimento.

l.b.



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