Storie italiane

Il Parco dell'Appia Antica


Gran parte dei parchi italiani, soprattutto quelli regionali, sono espressione di un territorio complesso, un paesaggio culturale, profondamente plasmato dalla presenza plurimillenaria di comunità umane.
Parlare dunque di parchi come isole di wilderness, fatta eccezione per alcune aree alpine o insulari, ha dunque poco senso nel nostro Paese.

I nostri, sono parchi profondamente legati alle trasformazioni e alle culture del territorio, testimonianze dunque da proteggere per quello che sono e non ciò per ciò che erano in origine. Questa condizione è certamente accentuata nei parchi urbani o suburbani. L'attuale legislazione nazionale sulle aree protette, cui fanno riferimento le legislazioni regionali, non viene certo incontro a questa realtà, e immagina la gestione di tali territori come aree avulse dai contesti sociali urbani o suburbani.

Il Parco Regionale dell'Appia Antica accentra ed esalta queste peculiarità, perché inserito nel tessuto urbano della capitale e perché contiene al suo interno ampie testimonianze della storia romana: un percorso archeologico che racchiude grandi ville, sepolcri, il Circo di Massenzio, gli imponenti acquedotti e complessi catacombali che appartengono alla tradizione ebraica e a quella cristiana.
Un groviglio di competenze nazionali e internazionali (per la presenza delle catacombe che sono in territorio Vaticano), regionali e locali, che si sommano, si scavalcano e a volte, apertamente si contraddicono.

A complicare in qualche modo la situazione vi è il fatto che il territorio del Parco, e per questo è sufficiente dare un'occhiata ad una pianta di Roma, rappresenta il principale corridoio biologico della città: un vero e proprio cuneo verde di 3.500 ettari che si inserisce dai piedi dei Colli Albani fino al centro storico cittadino.

Un territorio dunque dalla forte complessità, per il quale non va dimenticata una centralità geografica non indifferente, che ne fa continuo oggetto di dibattito a tutti i livelli.
E' in questo quadro di riferimento che l'Ente Parco ha cominciato a muoversi nel 1998, anno del suo insediamento; si, perché il Parco dell'Appia Antica, ipotizzato in epoca napoleonica, ribadito da leggi del Senato Regio ai primi del ‘900 e perseguito da Antonio Cederna sin dagli anni '50 del secolo scorso, è divenuto realtà soltanto allo scadere del millennio.

Un eredità e una responsabilità non indifferente dunque per chi, come noi, si è trovato a gestire uno dei patrimoni più interessanti e, tutt'ora, meno valorizzati d'Italia.
Il Parco, a quattro anni dal suo insediamento, presenta in questi giorni il suo Piano.
L'adozione di un Piano è il momento della verità, la possibilità in concreto di dare forma e sostanza alla propria idea di Parco, di dare strumenti operativi per la sua gestione, all'interno di un corredo di norme e regole.

Per descrivere il Piano anche, nelle grandi linee occorrerebbe troppo spazio, bastino dunque alcune parole d'ordine delle linee d'azione.
Andare oltre l'idea del Parco archeologico: per le peculiarità accennate sopra la prima esigenza cui dare risposta nel Piano è stata quella di garantire pari dignità e tutela a tutti i beni ricompresi nel Parco siano essi archeologici, paesaggistici o naturalistici. Non si può infatti dimenticare che nel Parco è ricompresa un'importantissima porzione dell'agro romano, quella campagna, che al di là del valore paesaggistico, fa della città di Roma il primo comune agricolo d'Italia.

Superare le cesure territoriali: il Parco, letteralmente strappato, pezzo per pezzo, alle speculazioni edilizie degli anni ‘50 e '60 del Novecento, accusa la mancanza di un'unitarietà territoriale che deve necessariamente essere ricomposta attraverso nuove acquisizioni, o attraverso percorsi che ne consentano il superamento.
Qualità della vita e qualità del muoversi: per le stesse ragioni occorre ridurre gli elementi di sofferenza per il territorio. Riqualificare le zone degradate, frutto dell'abbandono e della mancanza di controlli nella crescita della città, e risolvere i problemi di viabilità con interventi infrastrutturali volti a drenare il traffico veicolare. In alcuni casi la riqualificazione passa solo attraverso la delocalizzazione di tutte quelle attività che sono incompatibili con il territorio del Parco. Da qui, occorre perseguire il lavoro di concertazione avviato dal Parco con gli imprenditori per individuare, in accordo con il Comune, aree più idonee a tali attività.

Fruizione e dunque promozione: si è detto che il Parco deve essere percepito come un unicum territoriale, questa è la premessa necessaria per una sua fruizione. Per ciò occorre costruire le condizioni per un impegno trasversale, che coinvolga Stato, Regione ed Enti locali, in grado di creare un clima di collaborazione tra i diversi enti preposti alla tutela dei beni contenuti nel Parco dalle sovrintendenze (dello Stato, vaticana e comunale) agli assessorati (regionali, provinciali e comunali) ovviando così ad una normativa lacunosa e insufficiente, per un territorio così complesso.
Un impegno che dovrà necessariamente sfociare in una legge ad hoc che completi e perfezioni quella attuale e consenta di coordinare le competenze a tutti i livelli: Stato, Regione e Comune.

D'altronde ricordiamoci che se non fosse stato per i 253 miliardi di vecchie lire messi a disposizione dalla legge per Roma Capitale e dai finanziamenti per il Giubileo, che hanno consentito la realizzazione del tunnel del Grande Raccordo Anulare (unica grande infrastruttura pubblica mai realizzata esclusivamente per il godimento del paesaggio), il recupero dell'asse dell'Appia Antica, la risistemazione della valle della Caffarella, dell'area degli Acquedotti e della Villa dei Quintili, oggi non saremmo qui a parlare di Parco.

Con l'adozione del Piano si chiude un'epoca e se ne apre un'altra, la sfida è ora quella di far accettare un percorso fatto di norme e regole valido per tutti. A partire da noi.

    Paolo Vaccari
    Responsabile Comunicazione del Parco Regionale dell'Appia Antica




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