Po torinese: cinquina...quasi tombola
5 nuovi piani territoriali per il Parco del Po torinese


Per il Parco fluviale del Po torinese è un gran periodo. Il Consiglio Regionale del Piemonte ha infatti appena approvato, in via definitiva, 5 nuovi strumenti di pianificazione del territorio protetto (due relativi al Po oltre ai tre stralci di Piano d'Area per gli affluenti sinistri orografici Sangone, Stura di Lanzo e Dora Baltea). E' uno soddisfazione che forse può apparire poco adatta ai tempi in cui viviamo, nei quali la pianificazione non pare essere alla ribalta delle attenzioni della cronaca del territorio e della gestione della cosa pubblica.
Qui ne diamo invece conto, convinti dell'estremo valore che gli strumenti di gestione del territorio hanno, sostanzialmente per due motivi:

la pianificazione rappresenta uno strumento utile, a patto di essere usata, evitando di abbandonarla su qualche scaffale polveroso. Se essa costituisce quotidiano tavolo di lavoro sul quale testare e verificare l'applicazione di norme ed indirizzi generali relativi alla categorie di uso del suolo, può favorire l'orientamento in senso sostenibile della gestione dei aree ad elevato interesse ambientale, naturalistico o paesistico. Nel caso del Po questo è possibile in particolare grazie all'istituto del "parere obbligatorio" che deve essere richiesto all'Ente in merito alla conformità degli interventi rispetto al Piano d'Area, che costituisce anche Piano paesistico, e stralcio del Piano territoriale regionale (PTR).

dopo le novità di procedura inserite dalla 394/91 il raggiungimento di un risultato di questa natura è ancor più importante in quanto sono gli enti stessi a seguire direttamente le fasi di stesura ed adozione dei piani, svolgendo pertanto un ruolo di primo piano sul territorio, e divenendo quindi momento di coagulazione del dibattito sull'uso delle risorse territoriali dell'area protetta, in aperto confronto con tutti i soggetti pubblici interessati e con i portatori d'interesse.

La pianificazione, quindi, è morta? L'esperienza del Po torinese porta ad affermare proprio di "no". L'istituto del parere, gestito innanzi tutto con efficienza e rispetto dei tempi (garantiti da una organizzazione interna efficace nonostante la carenza di organico che ancora segna questo Ente), non si è dimostrato una "lungaggine" nell'esperienza di gestione del Piano avviata sin dal 1992. L'interesse non risiede tuttavia certo solo nei tempi: il valore del Piano sta nella natura dello strumento di Piano e nel modo di gestirlo.

nella sua natura, in quanto l'architettura normativa consente un approccio adattabile alle diverse realtà e prevede, pur in una griglia di coerenze e "incompatibilità" (che hanno rivelato la loro efficacia generale confrontati con gli strumenti di tutela idraulica come il Piano di Bacino), finestre di approfondimento, modalità di adattamento alle situazioni in essere, che permettono di avere quella giusta flessibilità che deve caratterizzare uno strumento di carattere non locale ma di "area vasta".

nel modo di gestirlo, in quanto nel tempo si è sempre più esteso un approccio nel quale le attenzioni alle problematiche proposte è stata sempre massima, grazie all'insieme dei professionisti chiamati a formare la Commissione Urbanistica di valutazione - che regolarmente si riunisce circa ogni 10 giorni per esaminare le pratiche presentate (circa 300 all'anno) - e grazie all'ormai consolidato metodo della concertazione e del confronto, che ha spostato la gestione del Piano da una mera "pratica burocratica" ad un momento di crescita della cultura di gestione del suolo. A testimonianza di ciò è da ricordare l'interessante sviluppo del progetto di redazione di un manuale di buona pratica progettuale (in collaborazione con il Dipartimento di Progettazione architettonica del Politecnico di Torino) che di recente è stato redatto e che sarà presto disponibile in un Demo sul nostro web.

Il Piano, quindi, sembra morto perché morte (o mai nate) sembrano le esperienze di sua gestione. Forse non sono mai nati, in tante realtà, quei soggetti che potevano curarne la vita o forse quanto doveva essere fatto in proposito, da chi doveva, non è stato fatto. Anche su questo tema sembra che le aree protette possano rappresentare una realtà, una testimonianza che avrebbe certo fatto piacere a Valerio Giacomini, il nostro maestro.

In sostanza possiamo affermare che nel caso del Po questa notizia possa meritare l'attenzione dovuta, all stessa stregua o forse più di una grande Opera Pubblica, pensando che nella realtà si sia predisposto un nuovo strumento in più per coloro i quali hanno il compito di gestire le risorse territoriali, dando vita a quella aspirazione- intenzione che Eugenio Turri ha espresso nel suo saggio "Il paesaggio come Teatro" nel quale leggiamo:

Il problema è allora questo: chi deve farsi carico di tutelare, di farsi mediatore delle istanze di salvaguardia e di trasformazione? ......... Costituendo organismi di pianificazione in cui sia rappresentata la voce della cultura e delle tradizioni locali, in cui abbiano gioco, non meno dei politici, degli attori della trasformazione, i cultori d'arte, di storia, di geografia del luogo, i naturalisti, gli archeologici, i cantori, i "griot" che oggi sono proliferati ovunque nella provincia italiana, quasi come rivalsa contro le dimenticanze della cultura nazionale......... Da essi soltanto possono uscire le forze capaci di rinnovare lo spento paesaggio italiano, ridare lena alla progettualità bloccata, forse in questi ultimi anni, dal timore di lacerare un tessuto così prezioso, lasciato poi in mano alle forze più incolte e meno avvertite dei valori ereditati, sui quali soltanto è possibile costruire il nuovo.

Non possiamo, credo, e non dobbiamo quindi pensare alla morte del Piano per rispetto a quella chiarezza di insegnamenti, che i nostri maestri del ‘900 hanno saputo tracciare nella cultura italiana del paesaggio. Sta a noi riscoprirli e lavorare per affermarne il valore.

Ippolito Ostellino
Direttore dell'Ente di gestione




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