La lezione di Johannesburg


Sulle pagine di questo giornale troverete molti accenni al summit appena conclusosi in Sudafrica. Era inevitabile che parte del nostro notiziario avesse come riferimento un evento così clamoroso. Si tratta però di note "a margine", non di grandi discorsi o di profonde analisi. Tanto è stato detto e scritto infatti, sugli esiti del vertice, che non ci sembra di avere molto di originale da aggiungere. Confessando dunque di non avere trovato, ad oggi, per un giudizio definito e organico, il bandolo nel gran groviglio di sentimenti, opzioni, promesse, rivendicazioni, ipocrisie che ci sono state trasmesse dall'ufficialità dell'assemblea mondiale e dai suoi ufficiosi e rumorosi dintorni, ci limitiamo a condividere il diffuso senso di insoddisfazione, di vuoto, per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
Semmai, a ben guardare dal nostro angolo di visuale, che è quello delle aree protette, e proprio considerando la quantità di pronunciamenti e di messaggi preoccupati sulla sorte del pianeta (anche chi non ha accettato costrizioni ha comunque dovuto ammettere la gravità della situazione) una lezione - o meglio, una indicazione - ci sembra di poter cogliere per il futuro del lavoro che attende i parchi.
L'indicazione è quella di chiamare tutti, in ogni campo e in ogni occasione, a fare il possibile per rispondere adeguatamente ad una situazione dichiarata insostenibile.
Vogliamo tradurre in concreto questa indicazione e parlare di parchi? Si presenta già a metà ottobre, con la Seconda Conferenza nazionale delle Aree Protette una occasione eccezionale per confermare con i fatti ciò che le autorità italiane hanno solennemente esposto a Johannesburg. I parchi non sono "altro" rispetto alle politiche per la difesa dell'aria, dell'acqua, delle foreste, della biodiversità. In una visione moderna del loro ruolo, anzi, essi sono uno strumento formidabile per mettere alla prova tanto l'uomo che la natura nella ricerca di un nuovo equilibrio. Soprattutto se, come in Italia, le scelte che li riguardano si riflettono direttamente sul 10 per cento del territorio nazionale.
Ebbene: nel quadro degli impegni assunti in Sudafrica, nella logica di un contributo tanto più utile in quanto proveniente da uno dei paesi più industrializzati, quali scelte proporrà il Governo per il futuro dei parchi? Certo non potranno essere scelte di basso profilo, ma dovranno costituire una politica organica, di rilancio su scala nazionale, che dia il segno tangibile, appunto, di una "lezione" acquisita una volta per tutte e che contribuisca a spazzare via le incertezze, le titubanze, o le vere e proprie resistenze, di tante amministrazioni, anche regionali.
I parchi, dal canto loro, dovranno giungervi con idee, progetti, programmi che dimostrino ben riposta la fiducia che tanti italiani esprimono e confermino legittima la rivendicazione di un ruolo decisivo nelle scelte di politica territoriale.
A questo proposito ci piace segnalare uno di questi programmi, reso noto in questi giorni dalla Regione Puglia e da Federparchi: una esposizione dedicata ai parchi del Mediterraneo, che si chiamerà Mediterre e si terrà a Bari alla fine di marzo del prossimo anno. Si tratta di un appuntamento il cui scopo è quello di favorire e sostenere la collaborazione scientifica, culturale ed economica tra soggetti di paesi dalle condizioni estremamente differenziate ma uniti da una necessità comune e che proprio per questo risponde coerentemente alla lezione di Johannesburg.

l.b.




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