C'è parco e parco

In Umbria c'è lo "STINA", ma ...


L'ennesima sigla del mondo dei parchi è uno dei pochi primati delle aree protette umbre, si chiama STINA ed è l'acronimo di Sistema territoriale di interesse naturalistico-ambientale. Nome impegnativo ed estensione ragguardevole. Istituito tre anni fa (l.r.29/99), sulla carta è di gran lunga la più grande oasi della regione di San Francesco: ben 44.270 ettari, che interessano nove Comuni (tutti in provincia di Terni, tranne Todi in provincia di Perugia). Altro che i sei parchi doc, che arrivano sì e no a toccare i diecimila ettari, ma in realtà lo STINA è qualcosa di assai diverso da un parco. La gestione è affidata alla Comunità montana di Monte Peglia e Selva di Meana, con sede a San Venanzo.
Stiamo parlando dell'angolo sud-occidentale dell'Umbria, a cavallo dell'AutoSole nei pressi di Orvieto e a ridosso del confine col Lazio, oltre il quale si estende uno dei parchi meglio gestiti della Regione di Roma e cioè quello di Monte Rufeno. Lo STINA ha il suo cuore in tre aree naturali protette. La più estesa, per 3255 ettari, è quella di Allerona-Selva di Meana. Un sistema di boschi che ospita martore, tassi e orchidee e comprende al suo interno un Sic (di 2492 ha). Poi c'è l'area protetta Melonta, 1154 ettari, con fitte leccete e il gufo reale come ospite di riguardo. Infine c'è l'area protetta di S.Venanzo, che conta solo 126 ettari.
Ciascuna di queste tre aree ha una zonizzazione, realizzata con studi preliminari dalla Comunità montana, fatta eccezione per la Melonta dove è in via di ultimazione. Ci sono i piani, nonché i regolamenti che prescrivono diverse restrizioni tra cui il divieto di caccia. Per il restante territorio - cioè il 90% dello STINA, va pur sottolineato - non vigono norme diverse da quelle previste dai piani regolatori e dalle ordinarie leggi regionali. Lo STINA ha anch'esso un proprio piano: la Comunità montana se lo fa e se lo approva, non senza difficoltà viste le risorse a disposizione. Dei 27 funzionari di cui è composto il personale, infatti, solo uno - e nemmeno a tempo pieno - si occupa dello STINA; mentre i finanziamenti regionali, relativi alle sole tre riserve, ammontano finora a 20mila euro l'anno. Lo STINA non ha guardaparco, per cui la sorveglianza è esercitata come nel resto del territorio dal Corpo forestale dello Stato.
Insomma, a parte le tre aree protette, degli articoli di legge istitutivi dello STINA sul territorio non sembra restare molto. Se non, forse, le tracce di una piccola ennesima lotta tra istituzioni. Va notato infatti che, al momento dell'istituzione dello STINA, le funzioni amministrative di individuazione del soggetto gestore, approvazione dei piani e vigilanza erano appena state trasferite dalla Regione alle Province. E di fatto è o dovrebbe essere così nei sei parchi propriamente detti, mentre l'unica eccezione introdotta successivamente riguarda appunto il sistema Peglia-Meana.
"Non sono previsti al momento altri STINA nel territorio regionale, ma l'intenzione è di creare comunque altri sistemi di gestione", dice Eros Quagliarini, alla guida del settore parchi della Regione. Dove, da sempre, il problema principale da risolvere è quello dei finanziamenti e del personale insufficiente presso i singoli enti gestori, appena 3-4 unità ad area protetta. La soluzione adesso prospettata a Perugia è per certi versi unica, praticamente l'uovo di Colombo. "Accorperemo gli stessi parchi regionali a gruppi di due o tre per affidarli ad enti gestori unici", conclude Quagliarini, "che avranno a quel punto a disposizione anche un personale più adeguato".

Giulio Ielardi




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