Le Linee guida per la gestione dei siti “Natura 2000” pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale


La G.U. n. 224 del 24 settembre 2002, riporta il decreto del 3 settembre del Ministero dell‘Ambiente e della Tutela del Territorio che ha per titolo, appunto: Linee guida per la gestione dei siti “Natura 2000”.
Si tratta in realtà di un provvedimento atteso per fare chiarezza interpretativa sul discusso art. 6 della direttiva Habitat 92/43 e in attesa che il regolamento attuativo della stessa, emanato con DPR 357/97, venga rivisto e adeguato alle nuove situazioni (sono più di due anni che circola una bozza).
Il decreto in oggetto consta di quattro parti. La prima riassume, come di prassi, tutti i riferimenti normativi precedenti con la consueta sequela di “visto e considerato” (20 capoversi). La seconda rappresenta le vere e proprie linee guida, definendo gli obiettivi, fissando gli indirizzi generali e affrontando il delicato tema dei “soggetti decisori ed attuatori”. La terza parte propone l’iter logico-decisionale per la scelta del piano di gestione e si articola in una sequenza di sei fasi. La quarta ed ultima parte, infine, descrive come dovrebbe essere strutturato un piano di gestione per un sito Natura 2000.
Numerose sono le indicazioni interessanti e i commenti che si potrebbero proporre, ed è pertanto difficile non farsi condizionare dalle proprie pregresse esperienze in materia. Alcune riflessioni appaiono, tuttavia, largamente condivisibili o, quanto meno, non facili da smentire.
- Viene confermata in pieno la strategia comunitaria per la tutela della biodiversità. L’impressione è che molte amministrazioni non abbiano ancora pienamente recepito lo spirito di tali direttive forse temendo eccessive rigidità e “ingessamenti” che condizionano la fruizione e lo svolgimento di attività economiche.
- Le regioni e le province autonome, che in sostanza sono i soggetti decisori (in alcuni casi potrebbero essere anche attuatori), hanno impostato e affrontato in modi molto diversi l’individuazione e la selezione dei siti natura 2000 (SIC e ZPS). Forse per tale motivo le linee guida lasciano in realtà ampi margini alle stesse per decidere se un piano di gestione è necessario oppure no e sul come impostarlo.
- Il documento approvato è ricco di spunti, anche di rilevante contenuto tecnico, ma non è improbabile, conoscendo la nostra situazione, che le linee guida possano rimanere delle “raccomandazioni”. Non si fa infatti esplicita menzione né a sanzioni o poteri sostitutivi (del resto forse sottintesi e pleonastici) né a tempistiche per tradurre i nobili obiettivi così espressi in strumenti efficaci per il governo del territorio. Certo il loro mancato rispetto può far nascere contestazioni e procedure di infrazione ma, osservando ciò che continua a verificarsi, a dispetto di tutte le assicurazioni e le normative di tutela già esistenti, si fatica a supporre che esse possano rappresentare, come invece dovrebbero, un’arma in più per difendere efficacemente habitat e specie considerati prioritari per la tutela della biodiversità negli stati membri.
- Non sarà inutile ricordare che molti enti gestori di aree protette sono, per fortuna, più avanti e pensano alla tutela non solo di alcune specie e habitat riportati dagli allegati della citata e sempre fondamentale direttiva habitat (meno lacunosa appare invece la direttiva uccelli 79/409) ma anche di numerose altre entità o ambienti importanti a livello nazionale, regionale o locale, a volte discutibilmente ignorati nei citati allegati.
- Le linee guida sembrano interessare solo marginalmente le aree protette ma va considerato che numerosi sono i siti “natura 2000” in esse compresi e, talvolta, addirittura coincidenti. A più riprese si ribadisce che tali siti nascono come “integrativi” alle aree protette nel lodevole obiettivo di organizzare un sistema a rete che renda efficaci le politiche di conservazione e tutela che vanno viste quale “parte integrante dello sviluppo economico e sociale degli stati membri”. Anche nel caso, che risulta relativamente frequente, in cui vi siano siti limitrofi e confinanti con le aree protette, si rende indispensabile promuovere una concertazione tra gli enti preposti (si raccomanda in particolare il ruolo delle province pur lasciando aperte altre soluzioni) per garantire sinergia di interventi (si pensi, ad esempio, agli habitat di vertebrati importanti, quali i grandi predatori, che spaziano su vasti areali).
- Il decreto ministeriale lascia in sostanza ampia libertà alle regioni per legiferare in proprio o delegare altri soggetti alla gestione dei siti, fatta salva la loro competenza a livello amministativo.
- Il piano di gestione dei singoli siti non è obbligatorio (se la gestione ordinaria non compromette la funzionalità degli ecosistemi o la struttura della popolazione di una specie la cui presenza ha originato e giustificato la proposta del sito comunitario stesso) ed anzi, nella terza parte, si analizzano tutte le possibili situazioni normative e pianificatorie che lo renderebbero superfluo. Sulla base delle nostre conoscenze dirette, tuttavia, sembrano assai poco numerose le situazioni in cui gli attuali vincoli, derivanti da specifiche norme o da piani sovraordinati (esempio Piani di Bacino, Piani Forestali generali, ecc.) siano sufficienti a garantire adeguata protezione ad habitat e specie secondo lo spirito delle direttive comunitarie. Probabilmente le situazioni più tranquille sono quelle riferibili ai siti già compresi in parchi o riserve naturali dotate di Piano Ambientale (ma ciò non è scontato e sarebbe da verificare caso per caso). Significativo, a tal proposito, l’espressione prudente, del comma che recita “si prende atto che non sempre gli attuali piani assicurano gli obiettivi ambientali”. Sembra evidente che il “non sempre” vada tradotto, con assai maggiore franchezza, in “raramente”. Qualora si opti per la predisposizione di piani specifici per i singoli siti Natura 2000, il lavoro da svolgere è cospicuo e richiede molteplici professionalità. Da ciò emerge un problema concreto di costi ed è auspicabile che siano varate specifiche misure per incentivare la predisposizione di tale strumento (il piano di gestione, appunto). Un simile lavoro, se svolto secondo le linee guida emanate, avrebbe un’importante ricaduta (anche di verifica e controllo) su tutto il materiale che è stato raccolto nell’ambito della Carta della Natura e di altre ricerche commissionate dal Ministero (ad esempio il completamento delle conoscenze naturalistiche di base, CCNB).
- Sarà inoltre importante capire se l’apposita commissione di Bruxelles approverà, sic et simpliciter, tutte le proposte di SIC e ZPS che il Ministero ha trasmesso all’UE senza esercitare alcun filtro sulle proposte, molto variegate, ricevute dalle singole Regioni. Per la regione biogeografica alpina la scadenza dovrebbe essere prossima anche se si nutrono dubbi circa la possbilità che si rispetti il termine previsto del 31 dicembre 2002.
- Una sottolineatura di notevole importanza riguarda il fatto che tra i siti sono comprese aree in parte degradate ma recuperabili con opportuni interventi di ripristino e gestione attiva. Le politiche di conservazione, quindi, comportano azioni attive e non solo abbandono all’evoluzione naturale degli ecosistemi. Ciò è importante, e certamente utile, ma sarebbe stato preferibile affermare in modo più esplicito che la priorità maggiore va nella direzione della effettiva conservazione dei siti integri, in cui non vi è, fra l’altro, necessità di intervento ed anzi deve essere ridotto al minimo il disturbo antropico. Sulla stessa linea anche la precisa indicazione che i piani devono “determinare l’uso di tutte le risorse” e quindi “considerare insieme le esigenze di tutela e valorizzazione dei sistemi ambientali”.
- Il ruolo centrale delle Regioni viene ribadito quali soggetti decisori (ad eccezione dei siti marini) e si auspica un loro positivo intervento per disciplinare in modo organico, con specifica legge, tali aspetti. In alternativa potrebbero limitarsi a svolgere le sole funzioni amministrative previste dal regolamento attuativo 357/97.
- L’iter logico-decisionale si fonda su una sequenza di passaggi. Dalle attività conoscitive preliminari alla verifica se sia possibile integrare i piani già operanti senza dover provvedere alla redazione del piano di gestione ad hoc. Nel caso ciò non sia possibile vengono definite in modo puntuale tutte le tappe per la sua predisposizione. La struttura del piano appare, giustamente peraltro, piuttosto complessa e sollecita anche l’evidenziazione di opportuni “indicatori” per il monitoraggio e la verifica dell’efficacia della strategia di gestione. A tal riguardo si cita un apposito manuale tecnico predisposto dalla DCN che contempla precise indicazioni per ognuna delle tipologie di sito ipotizzate (sono 24 in totale). Risulta evidente che è indispensabile poter contare su professionalità molto esperte e persone che conoscano il più possibile il territorio in esame.
- La struttura del piano prevede cinque componenti fondamentali (fisica, biologica, socioeconomica, archeologica-architettonica e culturale, paesaggistica) per ognuna delle quali vengono forniti i parametri da considerare e sviluppare. Colpisce, ad esempio, il riferimento alla necessità di un approccio “sinfitosociologico” nella descrizione della vegetazione in modo da valutare anche quella potenziale oltre a quella reale.
- Particolare importanza, anche a livello di sintesi, viene affidata al paesaggio (ricordata la carta di Firenze dell’ottobre 2000), con l’auspicio di estendere, se necessario, l’analisi anche all’esterno del sito.
- Oltre al quadro conoscitivo delle cinque componenti, gli altri punti considerati nella quarta ed ultima parte riguardano l’analisi (esigenze ecologiche di specie ed habitat, con uso di indicatori), gli obiettivi gestionali derivanti dall’individuazione dei fattori impattanti, la strategia gestionale in cui sono citati anche costi e tempi (che appaiono elementi molto delicati capaci di limitare l’efficacia stessa di queste linee guida) e il necessario monitoraggio dei risultati.
La pubblicazione di questo decreto si configura quale ulteriore importante tappa verso la concreta attuazione delle direttive comunitarie in cui il ruolo di “rete natura 2000” assume un valore centrale e preponderante, nonostante il persistere di limiti tecnici già riscontrati ma che si spera possano essere gradualmente superati con opportune revisioni degli allegati. Gli enti gestori delle aree protette, per molteplici motivi, sono parte in causa e meriterebbero di essere maggiormente coinvolti dalle amministrazioni regionali o provinciali, per realizzare quelle sinergie che solo una leale collaborazione tra enti ed istituzioni e la messa in comune delle diverse competenze può assicurare, superando gelosie e arroccamenti in piccoli centri di potere che, in un quadro di integrazione europea, sono ormai del tutto anacronistici.

Cesare Lasen




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