Il futuro dei parchi dopo la Conferenza di Torino


FusilliPer valutare i risultati della Seconda Conferenza nazionale delle Aree Protette, tenutasi a Torino a metà ottobre, occorre cercare le risposte a due domande. Sono stati individuati e condivisi gli elementi necessari alla costruzione del “sistema nazionale delle aree protette” medesime? E’ quindi più vicina la prospettiva di una tale realizzazione, come contributo ad un diverso e sostenibile sviluppo del paese? Non siamo in grado di dare ai nostri lettori risposte rassicuranti. Del resto essi avranno già potuto costruirsi un’opinione propria, considerando il fatto che la Conferenza non ha avuto come base un documento preparatorio e non ha nemmeno prodotto un documento conclusivo.
Non che non siano state avanzate e anche discusse, da molti dei partecipanti, idee e proposte di grande interesse per il futuro dei parchi. A questo proposito, non volendo far riferimento, per ragioni di etichetta, agli undici punti delle proposte di Federparchi, basterebbe guardare agli interventi degli amministratori e direttori di parchi, delle associazioni ambientaliste, degli stessi rappresentanti di categoria, ai contenuti del ricchissimo lavoro predisposto dal Politecnico di Torino e presentato da Roberto Gambino, a molte parti delle relazioni finali presentate dalle cinque sessioni tematiche. Si è dunque in gran parte espressa la ricchezza di riflessioni e di suggestioni che era lecito attendersi da una sede così autorevole.
Ma l’elemento più appariscente della Conferenza è stato proprio il divario tra la profondità di alcune analisi, la consapevolezza di molte proposte, la tensione che ha animato la generalità dei rappresentanti di enti gestori, associazioni, istituti di ricerca, professioni, e l’insistenza degli esponenti del governo su questioni eccentriche (il ruolo delle associazioni ambientaliste nella comunicazione sui parchi), o datate (lo sviluppo economico nei parchi, che deve superare una presunta “ingessatura”), o parziali (l’autofinanziamento come chiave di volta per il sostentamento dei parchi). Così come è spiccata l’assenza dal confronto di una gran parte delle Regioni e di moltissimi esponenti del mondo politico e parlamentare cui pure spetterà di prendere le decisioni conclusive, sulla materia affrontata dalla Conferenza.
Per tornare alle nostre due domande, allora, potremmo rispondere così: sì, gli elementi di una politica rivolta al sistema nazionale – rappresentati da una programmazione concertata e riferita ai grandi progetti d’area, dalla collaborazione tra tutti i livelli istituzionali, dal riconoscimento dell'autonomia e del ruolo degli Enti gestori, dalla risoluzione del problema della tutela coordinata tra aree terrestri e marine, dalla definizione degli strumenti tecnici quali Carta della Natura e Piano della Biodiversità - sono state individuati e proposti con forza all’attenzione generale. La loro più ampia condivisione e la traduzione in atti sono una sfida ancora da vincere.
Ciò che comunque sembra aver fatto decisamente breccia – ma anche su ciò occorrerà una rapida conferma – è l’idea di una sede istituzionale per la concertazione tra tutti i livelli di governo delle scelte riguardanti la politica dei parchi, accompagnata da un esplicito e formale riconoscimento del ruolo della Federazione dei Parchi come espressione della capacità degli enti gestori di elaborare, interloquire, proporre. Non sono elementi da poco, anche perché da essi potrebbero discendere a cascata - una volta avviato il metodo della consultazione con Federparchi e della concertazione tra istituzioni – soluzioni utili per tutti gli altri e decisivi aspetti.
Ognuno valuterà, anche in base al peso che attribuisce a questi due elementi, il giudizio da dare sull’opportunità di aver convocato una Conferenza nazionale e sul risultato che ne è venuto per i parchi e per il paese. Ciò che qui preme sottolineare è che comunque da essi occorrerà partire, senza tacerne la limitatezza ma senza sottovalutarne la portata.

Luigi Bertone




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