Interventi preliminari finalizzati alla creazione di una popolazione di camoscio appenninico nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini


Il Parco Nazionale dei Monti Sibillini ha avviato in collaborazione con i Parchi Nazionali del Gran Sasso-Monti della Laga e della Maiella e con la partecipazione della Legambiente, le prime azioni previste nell’ambito di un nuovo progetto Life per la conservazione del camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata), approvato e cofinanziato dall’Unione Europea, che rappresenta, tra l’altro, un’importante passo in avanti verso l’introduzione di questo splendido animale nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini.

Le uniche notizie attendibili sulla presenza storica del camoscio appenninico al di fuori dei monti del Parco Nazionale d’Abruzzo si riferiscono al massiccio del Gran Sasso, dove l’ultimo esemplare sarebbe stato abbattuto nel 1892 sul Monte S. Vito, nel territorio di Farindola (Lovari & Perco, 1980). Per i Monti Sibillini, invece, esistono solo vaghe testimonianze sull’esistenza di alcuni toponimi riconducibili al camoscio e alcune citazioni storiche indicanti la presenza di “capri selvatici” (Peranzoni, 1795) che, se riferite al camoscio, ne farebbero supporre la sopravvivenza in quest’area almeno fino al XVIII secolo.
Esistono invece delle testimonianze che accerterebbero la presenza del camoscio appenninico nei Monti Sibillini durante l’Olocene (Masini, 1985), quando la specie occupava probabilmente un vasto areale, che andava dai Monti Sibillini al Pollino, in Calabria, e comprendente, pertanto, anche i massicci del Sirente-Velino, della Majella, dei Simbruini e del Matese (Masini & Lovari 1988). Negli anni ottanta, infatti, sono stati scoperti e recuperati, nella Valle del Lago di Pilato, reperti sub-fossili databili in circa 12.000 anni e attribuibili a Rupicapra pyrenaica.
Le popolazioni di camoscio appenninico dell’Olocene, in seguito, rimasero probabilmente isolate tra loro e, soprattutto durante il periodo storico, subirono una intensa decimazione da parte dell’uomo sia in modo diretto, tramite la caccia, che indiretto, mediante lo sfruttamento del territorio e la concorrenza con il bestiame, tanto da portare la sottospecie, come già detto, alle soglie dell’estinzione agli inizi del 1900.
Intorno al 1915, infatti, un unico branco superstite, composto da appena una trentina di esemplari sopravvissuti nella riserva di caccia del re d’Italia della Camosciara, in Abruzzo, evitò la sicura estinzione solo grazie al ruolo svolto dal Parco Nazionale d’Abruzzo, appositamente istituito nel 1922. Da allora, anche se non sono mancati periodi particolarmente critici, come durante la seconda guerra mondiale, la popolazione di camoscio appenninico è andata progressivamente aumentando.
Attualmente nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, vivono allo stato libero circa 700 individui di camoscio appenninico, mentre altri due nuovi nuclei, ognuno composto da oltre 100 individui, si sono costituiti sul Gran Sasso d’Italia e sulla Majella, grazie agli interventi di reintroduzione realizzati a partire dal 1990 dal Parco Nazionale d’Abruzzo, anche in collaborazione con WWF e CAI, e, nel 1998, dal Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga nell’ambito di un progetto Life cofinanziato dall’Unione Europea.
Nonostante i successi conseguiti, l’importanza conservazionistica di tale sottospecie endemica di camoscio è tuttora pienamente giustificata. Infatti, i prolungati fenomeni di riproduzione tra individui consanguinei, imposti dall’esiguità del loro numero presente in un’unica area molto ristretta, ha inevitabilmente causato una riduzione delle variabilità genetica dell’intera popolazione, rendendola di conseguenza particolarmente vulnerabile in caso di eventi catastrofici o epidemie.

In mancanza di dati certi comprovanti la presenza del camoscio appenninico sui Monti Sibillini in periodi storici, la sua immissione dovrà essere considerata una “introduzione” piuttosto che una “reintroduzione”. Sebbene le introduzioni siano generalmente considerate delle pratiche gestionali sconsigliate dalla comunità scientifica internazionale, nel caso del camoscio appenninico tali interventi sono pienamente giustificati sulla base delle reali e urgenti necessità conservazionistiche riguardanti questa sottospecie tuttora considerata in pericolo di estinzione.
La necessità di costituire un nuovo nucleo di questo animale nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini è tra l’altro sottolineata dal Piano d’azione per il camoscio appenninico, predisposto dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica su richiesta del Ministero dell’Ambiente. La scelta dei Monti Sibillini, quale area prioritaria per la prossima introduzione del camoscio appenninico, si è basata anche sui risultati dello studio di fattibilità realizzato dal WWF nel 1996.

Lo studio, realizzato con il coordinamento di Fulvio Fraticelli e la supervisione scientifica di Sandro Lovari e Franco Pedrotti, ha riguardato le aree del Parco Nazionale dei Monti Sibillini e del Parco Regionale del Sirente-Velino e si è basato sui parametri ambientali ed antropici caratterizzanti le aree estive, le aree di svernamento e i fattori di disturbo dell’unico modello esistente, rappresentato dalla popolazione di camoscio appenninico del Parco Nazionale d’Abruzzo.
Dallo studio risulta che “tutto il gruppo dei Sibillini potrebbe costituire un vasto unicum ecologico per l’insediamento e il successivo sviluppo di una consistente popolazione di camoscio appenninico”. Le aree ritenute idonee ai fini della reintroduzione presenterebbero i requisiti fondamentali per la vita dei camosci, riconducibili ad: 1) aree idonee per il periodo estivo, caratterizzate da praterie d’altitudine ascrivibili all’associazione Festuco-Trifolietum thalii con presenza di aree rupestri nelle aree adiacenti; 2) aree idonee allo svernamento, caratterizzate da ampie zone rupestri diversamente esposte e con presenza di aree boscate adiacenti.
Ma una delle caratteristiche che renderebbero i Monti Sibillini l’area maggiormente vocata per la reintroduzione del camoscio appenninico, anche rispetto al massiccio del Sirente-Velino, è il fatto che, sempre secondo lo studio di fattibilità, ”tra le diverse aree individuate come idonee per la sua reintroduzione non si riscontrano barriere ecologiche di alcun tipo, per cui l’animale potrebbe utilizzare tutta le parte interna ed in quota del comprensorio montuoso (circa 24.000 ha) senza incontrare ostacoli ai suoi spostamenti”.
Non mancherebbero tuttavia i fattori di disturbo, rappresentati soprattutto dal flusso di escursionisti, piuttosto intenso nei mesi estivi anche in alta quota, che però potrà essere all’occorrenza agevolmente gestito attraverso l’emanazione di apposite disposizioni da parte del Parco.

Nel 2002 è stato approvato, dall’Unione Europea, il progetto Life – Natura intitolato conservazione di Rupicapra pyrenaica ornata nell’Appennino centrale proposto dal Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, che pertanto ne è anche il coordinatore. Partner e cofinanziatori del progetto sono il Parco Nazionale della Majella, il Parco Nazionale dei Monti Sibillini e, per la parte riguardante la divulgazione e la sensibilizzazione, la Legambiente.
Oltre alle azioni finalizzate al necessario rafforzamento genetico dei nuovi nuclei di camoscio che sono stati costituiti sul Gran Sasso e sulla Majella e alla prevenzione dei rischi sanitari, il progetto, della durata di tre anni, prevede, coerentemente con il piano d’azione, la realizzazione di quegli interventi che rappresentano la premessa irrinunciabile sui cui basare la creazione di un nuova popolazione di camoscio appenninico anche nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Tali interventi consistono essenzialmente nella predisposizione di un piano di idoneità, nella realizzazione di un’area faunistica del camoscio e nelle attività di comunicazione ed educazione ambientale finalizzate alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica riguardo l’importanza del progetto.
Il piano di idoneità, oltre che basarsi, naturalmente, sui risultati dello studio di fattibilità elaborato nel 1996, dovrà prendere in considerazione le nuove informazioni provenienti dalle indagini sul campo appositamente avviate, dai dati relativi al flusso di escursionisti raccolti in alcune aree “sensibili” negli ultimi anni, nonché dagli studi realizzati nell’ambito del Piano per il Parco.
Sono altresì avviate le procedure finalizzate alla realizzazione dell’area faunistica del camoscio. A tale proposito si ritiene opportuno precisare che, sebbene l’area faunistica non venga considerata strettamente necessaria agli interventi di immissione in natura degli esemplari di camoscio, per il fatto che questi possono essere più efficacemente catturati in natura e liberati direttamente nella nuova area, tuttavia essa svolge un’insostituibile ruolo nella sensibilizzazione delle comunità locali e dei fruitori del Parco, senza il coinvolgimento dei quali il progetto potrebbe incontrare maggiori ostacoli nella sua realizzazione.
L’immissione di camosci in libertà, in attuazione del piano d’azione, che prevede la liberazione iniziale di almeno 20 esemplari, dovrà tuttavia necessariamente avvenire con il coinvolgimento del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, che tuttora rappresenta l’unica area in cui è possibile prelevare tali esemplari e con cui, peraltro, sono di recente iniziati positivi rapporti di collaborazione che lasciano ben sperare di rivedere presto balzare, anche tra le rupi dei Monti Sibillini, il “camoscio più bello del mondo”.

Alessandro Rossetti
collaboratore del Parco Nazionale dei Monti Sibillini




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