Appuntamento a Mediterre - Mare di migrazioni


Mare di migrazioni; e non soltanto di popoli. Il suo quarto cantore, il naturalista David Attenboroug, lo definisce “Il primo paradiso” (titolo di un suo libro e di una serie di trasmissioni televisive). Nasce sei milioni di anni fa quando le cateratte dell’oceano entrano nel bacino forzando la strettoia di Gibilterra. Un’inondazione durata millenni. Singolare storia naturale quella del Mediterraneo. Animali relegati nelle isole, come il Myotragus, il ghiro gigante di Maiorca, l’elefante pigmeo, l’ippopotamo pigmeo, il cervo nano isolati a Malta e in Sicilia, le cui ossa risalgono a soli 8/10 mila anni. E animali dei, come il toro, venerato a Creta e Cnosso, o come scarabei, buoi, sciacalli, egizi. Oppure animali come il cavallo, veicolo dello spreco della guerra. Cavalli e bisonti dipinti a Lascaux e Altamira, dove visse la nostra progenie artistica. E con il canale di Suez, vagheggiato dal faraone Necao II, da Dario, re dei persiani e da Napoleone, scavato, e interratosi più volte, realizzato da Ferdinand-Marie Lessep, console di Francia nel 1869, si apre un varco anche per invasioni di animali marini dalle acque torride del Mar Rosso. Già, il Mediteraneo è storia di stratificazioni e migrazioni.
Ancora nel 1900 era la dolcezza degli inverni a richiamare sulle sue sponde le èlite fortunate e oziose del nord dell’Europa. Oggi l’estate richiama masse che invadono la Côte d’Azur, la riviera romagnola, la costa Brava, le Cicladi…
Dei 350 milioni di persone che vivono in Tunisia, Algeria, Egitto, Turchia, Grecia, Italia, nelle nazioni rivierasche, 135 milioni, più di un terzo si accalca sulle coste. Come può questo mare avere risorse per tutti, trasformato in una gigantesca discarica alimentata dai rifiuti portati dal Nilo, l’Ebro, il Rodano, il Po. Inquinamento fisico ma anche effetto serra, entrambi destinati a peggiorare le condizioni ambientali. Come gli incendi, che si mangiano, ogni anno, 200 mila ettari, o le installazioni nucleari, le petroliere, l’ingorda industria della pesca e 100 milioni di turisti l’anno, ad un tempo risorsa e cavallette devastanti.
Come nel Fedro di Platone: “vivono tra Phasis e le colonne d’Ercole, su una piccola porzione di terra attorno al mare, come formiche o rane attorno al pantano”.
E domani? Domani auguriamoci che venga ascoltato Matvejeviç. In alcune lezioni al Collège de France ha detto: “Il mare che dovrebbe unire è diventato la frontiera…l’Europa non se ne occupa…”. Lavoriamo oggi per un’Europa “meno eurocentrica e più aperta al suo ‘terzo mondo’, più culturale che commerciale”.




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