Nuove Riserve marine

Alcuni aspetti dell’interconnessione terra–mare

Quando le prime aree marine furono istituite la “visione” di chi le ideò si fermò alla battigia poiché il mare era (e per alcuni ancora è) elemento- ambiente specifico soprattutto se guardato settorialmente (ed esclusivamente) dal punto di vista scientifico. Quel “bagnasciuga”, quella linea di confine tra quest’elemento e il resto delle terre emerse costituisce ancor oggi uno dei maggiori problemi nei rapporti tra AMP e Ministero; solo recentemente la problematica è stata affrontata con determinazione dal Ministero, ma i tempi e le modalità per affidare agli Enti gestori delle AMP le aree del demanio marittimo, si stanno rivelando lunghi e difficoltosi. Ad oggi le competenze in materia di demanio marittimo non sono state ancora trasferite agli enti gestori impedendo, di fatto, la realizzazione di una pianificazione e di una gestione integrate della fascia costiera marina e terrestre. Mi chiedo Perché ci si è mossi dopo tanti anni, visto che la legge quadro al titolo II art. 18 – Istituzione di aree protette marine, comma 2, già prevedeva che nel decreto istitutivo delle AMP figurasse anche la concessione d’uso dei beni del demanio marittimo.
Una interpretazione personale forse semplicistica ma volutamente ingenua di questo stato di cose si può far derivare dalla necessità di parte del mondo politico, ministeriale, scientifico universitario, associativo, di avere un piccolo mondo “esclusivo” ove operare senza ingerenze, soprattutto poiché “gli altri” non capiscono né le tematiche né le problematiche di questa particolare fascia di territorio.
Questa situazione ha comportato non solo la mancata considerazione di alcuni aspetti importanti delle realtà delle aree marine protette connessi alla costa (come ad esempio il peso ambientale e la sostenibilità del prelievo ittico dal punto di vista scientifico o come il diving o il diportismo dal punto di vista ecoturistico), ma, come già anticipato, ha reso soprattutto impossibile l’interconnessione tra le AMP, il sistema costiero e le altre realtà protette terrestri.
Da sempre considero terra e mare come elementi quasi simbiotici e giudico una forzatura, o in alcuni casi addirittura un’incongruenza, il voler definire o aggettivare come “marini” elementi ed attrezzi prettamente terrestri (e il viceversa) solo perché si trovano, o sono usati, in uno dei due ambienti. Soprattutto ritengo che se i decreti istitutivi, la logica, oltre il buon senso, pongono tra gli obiettivi principali di un’AMP quello dello sviluppo sostenibile del territorio e delle sue popolazioni, ciò non può prescindere da una totale interconnessione terra–mare, come hanno sempre dimostrato la tradizione, la storia e la cultura di questi luoghi.
Conflitti personali creati da coloro che hanno interesse alla gestione dell’AMP, e magari si vedono minacciati nel loro intento da un Parco nazionale adiacente, o meglio dai responsabili dell’Ente Parco, creano solo danni e confusione.
Come è stato sottolineato durante la seconda Conferenza Nazionale delle aree naturali protette in particolare nel documento su “Le aree marine protette per la tutela della biodiversità e la promozione di uno sviluppo sostenibile”, che ho più volte citato, sono proprio le AMP, con il loro caratteristico rapporto di interconnessione tra la terra e il mare, che possono rivestire un ruolo strategico nell’ambito della gestione dello sviluppo sostenibile della fascia costiera marina e terrestre e contribuire a conservare la diversità marina, mantenere la produttività degli ecosistemi, promuovere il benessere economico e sociale delle comunità. D’altro canto, anche per considerare solo l’aspetto puramente finanziario dello sviluppo economico delle fasce costiere marine e terrestri, connesso naturalmente e opportunamente alla gestione delle AMP, basterebbe computare nel bilancio finale di gestione il valore degli apporti culturali che queste forniscono (dal valore dei cambiamenti collettivi di comportamento a quello dei progetti educativi attivati, dalle semplici ricerche ambientali sviluppate in ambito scolastico alle tesi di laurea).
Braudel uno dei più noti studiosi del Mediterraneo sostiene: "Il Mediterraneo, come tutti i mari che vi accedono è mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. Viaggiare nel Mediterraneo significa [...] incontrare realtà antichissime, accanto alla barca del pescatore, che è ancora quella di Ulisse, il peschereccio devastatore dei fondi marini o le enormi petroliere. Significa immergersi nell’arcaismo dei mondi insulari e nello stesso tempo stupire di fronte all’estrema giovinezza di città molto antiche, aperte a tutti i venti della cultura e del profitto, e che da secoli sorvegliano e consumano il mare [...] Da millenni tutto confluisce nel Mediterraneo [...] E anche le piante, le credete mediterranee, ebbene, a eccezione dell’ulivo, della vite e del grano [...] sono quasi tutte nate lontano dal mare [...]".
Descrive un ambiente complesso, usato da millenni, con un continuo interagire di attività e di natura, interpretazione questa che ritengo debba essere alla base dei criteri alla cui luce si attua la gestione delle AMP.
Le aree marine protette sono piccoli spazi di mare, difficili da proteggere, fragili nello sviluppo sostenibile e indissolubilmente legate alle terre.
"Su una carta del mondo il Mediterraneo non è che una fenditura della crosta terrestre" scrive ancora Braudel, ed è proprio così, ma da questa “fenditura” come sappiamo dipende il nostro futuro e quello delle Aree Marine per la tutela e affermazione delle quali abbiamo tanto lottato.

Elio Lanzillotti
Presidente della Riserva Naturale dello Stato e della AMP di Torre Guaceto e Vicepresidente di Federparchi
* estratto dall’articolo della rivista “Parchi”, n° 38




Commenta l'articolo
Il Giornale dei ParchiTorna alla prima pagina
del Giornale dei Parchi