Acqua alta sui Parchi


costeL’Italia della natura protetta come Venezia? A prevederlo è l’Enea in uno studio dal titolo "La risposta al cambiamento climatico in Italia", ultimato di recente assieme alla Fondazione Mattei dell’Eni nell’ambito dell’accordo di programma col ministero dell’Ambiente. Di qui a fine secolo, parola di ricercatori, a rischio di andar sotto (solo in parte, naturalmente) sono ad esempio il parco nazionale del Gargano e i parchi regionali di Migliarino-S.Rossore-Massaciuccoli e di Montemarcello-Magra. E le riserve di Orbetello, Foci del Sele, Foci del Volturno, Litorale romano. E via inondando.
La ricerca, scaricabile in .pdf dal sito www.enea.it, è un ulteriore contributo a definire le conseguenze di scenari climatici futuri ormai sempre più accreditati nell’ambiente scientifico internazionale. Gli studiosi dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) dell’Onu ormai di dubbi ne hanno pochi. I cambiamenti del clima terrestre sono già in corso. E sono attribuibili a fattori umani.
In premessa l’Enea ricorda dettagli se possibile ancora più allarmanti, a causa dei lunghi tempi di ritardo tra cause ed effetti nei processi climatici. E cioè che: 1) i cambiamenti temuti, Kyoto o non Kyoto, sono ormai inevitabili; 2) a concentrazioni di gas-serra stabilizzate, la temperatura continuerà a crescere per altri 70 anni.
Passando a descrivere gli impatti dei cambiamenti in Europa e nel Mediterraneo, lo studio si sofferma su quelli relativi alle risorse idriche, alla qualità dei suoli, agli ecosistemi, all’agricoltura, alla frequenza degli eventi meteorologici estremi, e naturalmente alle coste. Sugli ecosistemi, l’aumento della temperatura (quantificato a fine secolo tra 1,4 e 5,8 gradi centigradi) avrebbe e anzi già ha effetti sullo spostamento di vegetazione, fauna e interi sistemi ambientali a latitudini più alte delle attuali. La macchia mediterranea andrà alla conquista del centro Europa, insomma, e le foreste di conifere, delle distese a tundra delle più elevate latitudini continentali.
Anche in Italia, gli impatti ambientali che avranno “aspetti di maggiore criticità” saranno secondo la ricerca quelli derivanti dall’innalzamento del livello marino, del degrado dei suoli e spostamento verso nord degli ecosistemi, dell’aumento dei fenomeni meteorologici estremi. Il Mediterraneo si alzerà, anche se meno di altri mari aperti. Senza mettere nel conto gli effetti dei fenomeni di subsidenza già in atto – come nell’alto Adriatico – l’innalzamento da qui al 2090 è calcolato tra i 20 e i 30 cm. Più che creare nuovi rischi, secondo Enea e Fondazione Matteri, ciò accentuerà quelli esistenti quali quelli derivanti dall'urbanizzazione, dal turismo, dai trasporti marittimi. I problemi maggiori li avranno ad esempio le zone umide costiere: paradisi della biodiversità come Orbetello, Marano e Grado, Lesina, Le Lame di S.Rossore. Il Bel Paese preferito da fenicotteri e oche selvatiche, falchi pescatori e cavalieri d’Italia. L’invasione dell’acqua salata avrà ripercussioni pure sulle falde con conseguenze sull’agricoltura, nonché ovviamente sulle disponibilità di acqua dolce. E quanto all’erosione delle coste, sarà più rapida tanto sulle spiagge basse che su quegli effimeri lidi ottenuti con scogliere artificiali e “pennelli” vari.
Le aree protette costiere oggi contano – a dirlo è la recentissima indagine del Politecnico di Torino, per conto del ministero dell’Ambiente – 8 parchi nazionali e 28 regionali, 52 riserve statali e 64 regionali, più altre 25 per un totale di 177 aree (815.973 ettari, il 25% dell’Italia protetta). Se la strategia futura per i litorali si chiama gestione integrata, il fattore clima è destinato dunque a giocarvi un ruolo cruciale. E una politica di sistema per le aree protette costiere – inserite negli ambienti più minacciati di tutti – non sembra ulteriormente rinviabile. Lo sa Federparchi, lo sa il ministero dell’Ambiente. Ma perché CIP non s’impone sull’agenda dei parchi italiani, chi lo sa ?

Giulio Ielardi


Su questo argomento una ulteriore nota di Renzo Moschini

L’articolo di Giulio Ielardi sulle coste si conclude con un interrogativo sul “perché CIP non si impone sull’agenda dei parchi italiani”. Anche Ferroni, del WWF, commentando Mediterre e la presentazione che in quella sede abbiamo fatto del terzo Quaderno di CIP, si poneva più o meno la stessa domanda.
Vorrei raccogliere l’utile ‘provocazione’ partendo proprio dal Quaderno. Esso è dedicato al lavoro in corso nelle Marche. Ma CIP come da anni ci siamo sforzati di dimostrare è un progetto a carattere nazionale che oggi è riconosciuto come tale in molti documenti anche della Conferenza di Torino. Ma questi ‘riconoscimenti’ –ecco il punto- evidentemente non sono sufficienti perché CIP si ‘imponga’ sull’agenda nazionale dei parchi. Noi stiamo facendo il possibile per riuscirci, per coinvolgere tutte le regioni interessate e il ministero dell’ambiente. E qualche impegno in questo senso l’abbiamo ottenuto ma siamo lontani sia sul fronte delle regioni che su quello ministeriale
da quella svolta che giustamente viene auspicata. Anche nel Quaderno abbiamo riportato le dichiarazioni del direttore Cosentino a ‘Parchi’ in cui si manifestava interesse e disponibilità per CIP. Ecco, ora ci attendiamo che ciò si concretizzi anche con l’aiuto del WWF e di Legambiente che sta per uscire con BluMare, il nuovo giornale sulle aree protette marine che siamo sicuri non potrà non occuparsi anche di CIP.

Renzo Moschini




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