C'è parco e parco

Orti botanici e Parchi.
Luoghi per conservare, educare, conoscere.


Le specie vegetali nel mondo contano oltre 250.000 entità e di queste più di 25.000 sono minacciate di estinzione. Le strategie per conservare questo enorme patrimonio genetico sono oggi individuate in due grandi categorie:
1. la conservazione in situ, che prevede l’istituzione di aree di protezione degli habitat che in natura ospitano le specie minacciate e che mirano ad una loro salvaguardia diretta.
2. la conservazione ex situ, che prevede azioni di conservazione in “laboratorio”, coltivando nei giardini botanici le specie, conducendo indagini e studi per conoscerne direttamente la biologia ed il ciclo vitale, oltre che per costruire vere “banche del seme” per la preservazione del patrimonio genetico del mondo vegetale.
La Lista rossa delle piante d’Italia segna, purtroppo anche per il nostro paese, un elenco nutrito di specie, annoverate nelle diverse categoria dell’IUCN nell’ambito del progetto delle Red list sulle specie in estinzione del pianeta, con circa 15 specie estinte e 82 minacciate.
Ma è proprio nel nostro paese che nasce quel modello della conservazione condotta attraverso gli orti botanici: è infatti del 1320 la nascita del Giardino botanico di Salerno, ad opera di Matteo Selvatico, e del 1333 quella del grande Giardino di Piante officinali di Venezia.
La storia degli orti botanici, ha la sua radice nei cosiddetti Orti dei Semplici (ovvero medicinali non composti, provenienti direttamente dalla natura senza essere stati elaborati in alcun modo dall’uomo), così come erano chiamate in allora le piante medicinali, ed hanno avuto diffusione sin dal IV secolo a.c., con i giardini di Teofrasto Eresio, discepolo di Aristotele o del medico di Rodi, Filoromeo Castore, che coltivarono specie medicinali, così come pure fecero i Benedettini nel medioevo.
Tuttavia l’Orto dei Semplici si trasforma in vera istituzione di ricerca, volta all’insegnamento della materia botanica, quando i giardini diventano privati e realizzati su ordine di potenti famiglie nobiliari. Le particolari disponibilità finanziarie rendono infatti possibili maestosi progetti con l’allestimento di ricche collezioni di specie provenienti da diverse contrade nazionali ed esotiche. I giardini assumono in tale fase spesso l’aspetto dell’Hortus conclusus, rinchiuso fra alte mura, a differenza degli esempi anglosassoni dove i giardini erano scenari aperti delle residenze verso la campagna. Così fece, nella prima metà del trecento il Re di Napoli, dando mandato a Matteo Selvatico di realizzare l’Orto a Salerno, dove è nata la Scuola medica, cosiddetta “Madre delle Università”. Questo intreccio fra Orto, ricerca e università è segnato dalla istituzione, nel 1514, del primo “lettore” dei Semplici presso la Scuola di Medicina di Roma, con l’incarico affidato a Giuliano da Foligno.
Con il Rinascimento il connubio fra nuova epoca della conoscenza e sviluppo dei viaggi di scoperta porta un impulso al giardino botanico straordinario, affidandogli il compito di luogo di rifugio delle numerose specie raccolte, chiamate “Plantae Peregrinae”, dalle quali si diffusero poi tante specie oggi parte integrante del nostro corredo botanico ornamentale, dal Tulipano al Lillà a tantissime altre specie esotiche divenute parte del nostro paesaggio quotidiano.
In Italia la prima istituzione di un Orto botanico è contesa fra Padova e Pisa (rispettivamente 1545 e 1547 anche se – secondo i dati di archivio - a Pisa L. Ghini aveva già iniziato a lavorare al giardino botanico già da qualche mese prima la fondazione di quello padovano), mentre sempre del cinquecento sono anche gli orti di Firenze, Roma e di Bologna. Del seicento è quello di Messina, del settecento, Torino, Pavia, Parma, Ferrara, Modena, Palermo e Siena, mentre ottocenteschi sono quelli di Napoli, Genova e Urbino.
La crescita della medicina moderna, in particolare nell’ottocento, ha determinato nel ‘900 il progressivo eclissarsi di queste istituzioni a livello italiano, dove il limitato sviluppo della ricerca scientifica nel campo della storia naturale, ha contribuito all’impoverimento delle iniziative a sostegno dei giardini botanici.
Recentemente l’interesse per gli Orti è però ritornato, grazie al nuovo impulso verso una delle loro diverse funzioni: quella didattico-educativa. L’originario significato degli orti, legato alla importanza di poter studiare dal vero i caratteri delle piante, che li ha fatti nascere accanto alle Università proprio per dar modo agli studenti di conoscerle e confrontarle da vicino, è alla base di quella impostazione che vede oggi gli orti botanici come mete di carattere turistico, tanto da inserire a pieno titolo i giardini negli itinerari di visita, come testimoniano anche le molteplici iniziative avviate anche dalle associazioni dei giardini storici. La presenza di ricche collezioni di vegetali, in veri musei all’aperto, svolge una importante azione di divulgazione della conoscenza della botanica, con attività che sono anche rivolte all’interno degli istituti, che utilizzano le specie coltivate per attività di ricerca e di formazione per gli studenti. Ma gli orti sono soprattutto sede di ricerca e di sviluppo delle tecniche di conservazione, nonché aree campione per la coltivazione di specie minacciate e luoghi di produzione di sementi che entrano nell’esteso sistema d scambio (con la produzione degli “Index seminum”), ovvero delle liste delle sementi disponibili per scambi con altri giardini del mondo.
Le istituzioni degli orti botanici rilevati dalla Società Botanica Italiana (in particolare dal Gruppo di ricerca sugli orti botanici) rappresentano una ricca Lista di istituzioni, che annovera circa 100 realtà. In una breve panoramica regionale, finalizzata ad indicare le principali emergenze, la Valle d’Aosta conta numerosi giardini alpini a partire dall’antichissimo Chanousia, presso il Piccolo S. Bernardo ad un altitudine di 2200 m s.l.m., la cui fondazione risale esattamente al 28 Luglio 1897, quando la collezione di piante dell'abate Pierre Chanoux, rettore del vicino Ospizio dell'Ordine Mauriziano fu, per iniziativa dello stesso abate, trasformata in un Orto Botanico Alpino che, in seguito, avrebbe ricevuto il nome di "Chanousia", per onorare la memoria del fondatore. Il Piemonte da pochissimi anni ha riaperto il proprio Orto Botanico di Torino collocato sulle sponde del Po, a fianco dell’Università, dove è custodito il grandioso lavoro scientifico di Carlo Ludovico Allioni (1728-1804), che ha segnato la botanica con la sua opera “Flora Pedemontana” e con “l’Iconografia taurinensis” (con oltre 3450 tavole acquerellate), l’insigne botanico padre “italiano” della diffusione della cultura linneana. Ma come non ricordare poi i giardini di Villa Taranto e dell’Isola Madre sul Lago Maggiore, o il giardino Rea del Museo Regionale di Scienze naturali.
La Liguria ci riporta di nuovo alle grandi operazioni dei nobili inglesi con il Giardino Botanico Hanbury. La Lombardia ospita l’Orto botanico di Pavia, nato nel 1773, ed alte realtà come giardini alpino di Pietra Corva sull’appennino al confine con l’Emilia Romagna. Trentino Alto Adige, Veneto e Figuli comprendono numerosi giardini alpini (dal Monte Bondone di Trento al Giardino del Cansiglio), oltre al noto Orto Botanico di Padova.
Fra l’Emilia Romagna e la Toscana sorgono più di 12 orti botanici, da quello delle Alpi Apuane all’antico Orto di Bologna e di Firenze, sino agli arboreti sperimentali di Vallombrosa. Il centro italia risulta meno ricco con gli orti di Roma, Camerino, Urbino e Perugina, come anche il sud dove ricordiamo Bari, Napoli, Catania, Messina, Cagliari, Sassari e Palermo oltre al Giardino Nuova Gussonea sull’Etna, richiamo alpino sul rilievo vulcanico dell’Etna.
La necessità di considerare le due strategie di conservazione, in situ ed ex situ, come due strumenti della stessa strategia, ha portato il Coordinamento italiano dei Parchi, oggi Federparchi, a siglare con la Società Botanica Italiana un protocollo d’intesa, che sino ad oggi non ha ancora prodotto efficaci risultati, ma che ha segnato un momento di cooperazione, che nei fatti si svolge con numerose attività di scambio fra Aree protette ed istituzioni Universitarie e di ricerca, collegate alla gestione dei giardini botanici.
L’Orto Botanico di Torino e il Giardino fenologico “C.L.Allioni” inseriti nel Parco fluviale del Po torinese, il Giardino Valbonella nel Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, il Giardino alpino Paradisia al Gran Paradiso, il Giardino Hanbury a Capo Mortola in Liguria, interamente eletto ad area protetta regionale, Il Giardino alpino Valderia nel Parco delle Alpi Marittime, Il Giardino botanico D.Brescia al Parco nazionale della Majella, l’Orto botanico Pellegrini alle Apuane, il Giardino Botanico Alpino "Rezia” del Parco Nazionale dello Stelvio", Il Giardino botanico di Monte Faverghera della Riserva Statale Piazza del Diavolo-Monte Faverghera ed altre iniziative, delle quali molte in fase di avvio, rappresentano un cospicuo patrimonio di attività svolte in questo settore che, se messe in rete fra di loro, possono rappresentare un nuovo e significativo contributo delle aree protette alle attività di conservazione del patrimonio naturale.
Nel 2002 il Protocollo di intesa è stato oggetto di una nuova iniziativa di suo rilancio, avviando il censimento, curato da federparchi, dei giardini inseriti all’interno di aree protette o che svolgono attività di collaborazione, censimento che proseguirà per il 2003 per giungere alla presentazione di un report generale, quale momento di confronto sul tema della conservazione del nostro patrimonio vegetale dal quale ripartire per formare un gruppo di lavoro specifico sul tema e dare vita ad iniziative che attuino gli obiettivi stabiliti dal Protocollo del 1996. Tutti coloro che sono interessati a segnalare attività in corso, o anche progetti, sono invitati a far recapitare le informazioni compilando la scheda online. La nuova stagione è ormai iniziata: collaboriamo tutti a far fiorire di nuovo i giardini dei parchi.

Ippolito Ostellino



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