Conferenza nazionale, otto mesi dopo


Gli otto mesi trascorsi dalla celebrazione della Seconda Conferenza nazionale delle Aree protette sembravano aver sepolto sotto uno strato di oblio quello scatto di consapevolezza che aveva spinto le istituzioni a convocarla e la parziale apertura manifestata dal Governo verso le proposte che i Parchi e la loro associazione vi avevano unitariamente portato. In alcuni momenti di questi otto mesi è parso perduto il bandolo per riannodare la tessitura di una politica qualsivoglia per i Parchi. Soprattutto nei momenti degli scontri tra le istituzioni interessate, dei commissariamenti e delle liti di fronte ai tribunali amministrativi, delle esternazioni ministeriali contro i supposti “parchi museo”, del palese disinteresse della maggior parte delle Regioni a svolgere in materia un ruolo che andasse un poco oltre i propri confini territoriali. Tutta l’attenzione (si fa per dire) era concentrata sull’iter parlamentare per l’attribuzione della delega al Governo: alla conclusione di quella vicenda si sarebbe giocata la partita. Senza sapere, di qualche giocatore, quale potrà essere il ruolo e nemmeno se potrà scendere in campo.
Ora, a otto mesi appunto dalla Conferenza, un fatto viene a invertire, forse, l’inerzia della situazione e certamente a modificarne alcuni elementi importanti. E’ stata finalmente data una conclusione all’assise dell’ottobre scorso, e si tratta di una conclusione unitaria sulla base di un documento che, per quanto non stringente negli impegni per l’immediato futuro, muove da presupposti e traccia scenari che possono senz’altro considerarsi in linea con gli orientamenti che hanno caratterizzato l’elaborazione della Federparchi di questi ultimi anni.
Accanto alla approvazione del documento devono poi essere sottolineati due altri aspetti, che definiscono un quadro di movimento o, comunque, di apertura all’iniziativa di tutti coloro (le istituzioni innanzitutto) che abbiano interesse ad assumerla. Il primo è il definitivo, politicamente assai rilevante, riconoscimento della Federparchi come interlocutore alla pari nel confronto istituzionale. Qualcuno potrebbe trovare in questa osservazione un banale compiacimento per un risultato “di bottega”. Nulla di più sbagliato. Il riconoscimento formale del ruolo della Federparchi rappresenta in realtà il riconoscimento dell’autonomia degli Enti parco: l’accettazione, da parte di Stato e Regioni, del fatto che i Parchi - soggetti istituzionali e non enti strumentali incapaci di agire politicamente – esprimano una propria autonoma linea politica, anche attraverso una libera e democratica dialettica associativa.
Il secondo aspetto è la costituzione di un Comitato nazionale per le Aree Protette, composto con criteri di pariteticità, che lavorerà a fianco della Conferenza Stato-Regioni e che avrà il compito di esaminare gli elementi di comune interesse, finalizzando l’esame alla concertazione di una politica nazionale in materia. Non è il caso di ribadire l’importanza di un risultato simile, soprattutto ai nostri lettori, che sanno con quanta tenacia la Federparchi abbia lavorato per i due capisaldi della “leale collaborazione” e della “concertazione” tra tutte le istituzioni. Vale la pena però di esporre l’opinione secondo la quale al raggiungimento di questo traguardo – o meglio: all’accelerazione degli eventi che lo hanno reso possibile ora – hanno contribuito la convocazione del Congresso della Federparchi sulla base di una piattaforma precisa e largamente condivisa, quanto l’iniziativa della Regione Piemonte che ha voluto svolgere un ruolo attivo per la conclusione di una vicenda, quella della Seconda Conferenza appunto, alla quale già aveva dato un contributo fondamentale.

l.b.



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del Giornale dei Parchi