Rassegna del 08 Giugno 2003

Ecologia ed effetto Matteoli

Più associazioni di destra - Cresciuti i riconoscimenti del ministero. "L’ambiente? Non è di sinistra"

ROMA - In principio furono i Gre, i gruppi ricerca ecologica. Erano benedetti da Pino Rauti e non faticarono a trovare spazio nel nucleo storico delle associazioni ambientaliste riconosciute nel 1987 dal neonato ministero, insieme a sigle come il Wwf e il Fai, il Cai, Greenpeace, Legambiente, Italia Nostra, Amici della Terra. Perla rara i Gre nell’arcipelago verde di monopolio progressista. Perla rara, allora. Perché adesso basta scorrere i nomi delle associazioni ammesse nella lista del ministero guidato da Altero Matteoli, di An, per capire come l’arcipelago verde abbia virato a destra. L’ultima associazione dell’elenco? Fare Verde, costola ecologista della ex-missina Fare Fronte, riconosciuta con decreto nel maggio di quest’anno. Ha aspettato diciassette anni Fare Verde per ottenere l’agognato blasone ministeriale. Diciassette anni di agguerrite battaglie ambientaliste, storica la lotta all’inquinamento dei cotton fioc. Ben più semplice la strada per Ambiente e/è vita, l’associazione presieduta da Nino Sospiri, sottosegretario di An al ministero delle Infrastrutture: fondata nell’estate del 1995, riconosciuta nell’ottobre 2001. Al suo attivo? Le bandiere sventolate controvento alla manifestazione in difesa del parco del Circeo: Ambiente e/è vita la settimana scorsa appoggiava il decreto di Matteoli, quello che toglie parecchi vincoli a questa porzione di paradiso e mette paura per il destino del parco.
Già, i parchi. Il ministro Matteoli lo ha detto chiaramente: la nuova filosofia del suo ambientalismo vuole che i parchi rendano denaro. E Paolo Togni, il suo capo di gabinetto, lo ha trascritto nella legge-delega sull’ambiente, quella che il mese scorso ha spinto il governo a chiedere la fiducia in un Senato messo in subbuglio dalle opposizioni. La prima contestazione: troppo ampia la delega di questa legge che vuole che sia un comitato di ventiquattro saggi nominati da Matteoli a riscrivere l’intera legislazione ambientale.
Buffe coincidenze del destino. Fu proprio Paolo Togni, nel 1997, a gridare allo scandalo per "l’eccesso di delega" del decreto sui rifiuti voluto dall’allora ministro dell’Ambiente Edo Ronchi. In quell’anno Togni era vicepresidente di Kronos, associazione ambientalista nata democristiana, passata per i radicali, virata in Lega Nord e approdata poi nelle simpatie di Alleanza nazionale. Anche Kronos era nel nucleo storico delle associazioni riconosciute dai primi decreti ministeriali. E adesso ha messo in piedi una federazione con altre associazioni ambientaliste, fra queste Ekoclub international (costola di Federcaccia) e Altritalia Ambiente, nata sotto l’egida universitaria (fu presidente il rettore dell’ateneo napoletano), riconosciuta da Matteoli nel precedente governo Berlusconi e oggi presieduta da Carla Fracci, l’ eto ile della da nza.
L’arcipelago verde ha virato a destra. Ed è stato proprio durante l’acceso dibattito al Senato per la legge-delega che Roberto Tortoli, sottosegretario azzurro all’Ambiente, non ha esitato a dire: "La verità è che la sinistra protesta perché ha sempre considerato l’ambiente roba di sua proprietà". Il ministro Matteoli ha fatto il resto. Ha preso in mano i parchi e, invocando lo spoils system , ha deciso di cambiare ad uno ad uno tutti i presidenti, scegliendoli sempre nell’ambito della sua coalizione, incurante delle vibranti proteste degli ambientalisti storici, considerati dunque tutti di sinistra. Ma loro, gli ambientalisti storici, non ci stanno a condividere questa equazione. Ermete Realacci, prima di tutto.
Deputato della Margherita e presidente nazionale di Legambiente, Realacci respinge al mittente la divisione politica degli ambientalisti: "Il problema è mettersi d’accordo sui contenuti delle battaglie in nome dell’ambiente e non della politica. All’interno della nostra associazione ci sono anche esponenti di destra. Un esempio? Amilcare Troiano, neo-eletto presidente del parco del Vesuvio. E’ di An ed iscritto in Legambiente e non posso non condividere le sue azioni e il suo pensiero. Sui temi dell’ambiente, ovviamente".
Anche dal Wwf non vogliono che l’ambientalismo storico sia bollato come un affaire della sinistra , ricordando che l’esponente internazionale più rappresentativo dell’associazione è Filippo di Edimburgo. Ma la verità è che in molti casi non si riesce nemmeno a stabilire i confini del nuovo ambientalismo, visto che fra le new entry delle associazioni ammesse alla corte del dicastero dall’attuale ministro, c’è anche la Lega Navale Italiana. Ma anche l’Endas, l’Ente nazionale democratico di azione sociale, propagazione del Coni. (Corriere della Sera)

L'associazione Aprile e la città dei Parchi

Convegni e escursioni

GRAVINA "Incontri d'Aprile" si intitola la serie di iniziative organizzate dall'associazione culturale Aprile appunto di Gravina e che si svolgeranno durante l'arco del mese. Sono iniziative di natura diversa, ma con un'unica matrice. "Si direbbe un pacchetto di proposte a tutto campo all'insegna di uno stile di vita sano e partecipativo, se vogliamo cosí intendere il motto di questi incontri "la politica come welfare come benessere, nella propria cittá, con gli altri, per conoscersi, abbattere le diffidenze, vivere meglio"- dicono dall'associazione culturale. Un laboratorio sulla cittá che tenta, attraverso diverse iniziative culturali, di affrontare tutte le tematiche di maggiore attualità. Dopo la biciclettata alla scoperta delle bellezze di Gravina svoltasi lo scorso 2 giugno, il programma prevede un dibattito su un tema di estrema attualitá: l'istituzione del Parco dell'Alta Murgia. Un tormentone quello del parco dell'Alta Murgia, simbolo per un intero territorio, che si trascina da oltre 12 anni, una storia infinita fatta di "devastazione e saccheggi". Ma adesso il Parco sembra sia giunto in dirittura d'arrivo, anche se - come dicono gli organizzatori del convegno - il condizionale é sempre d'obbligo, quando si parla del Parco dell'Alta Murgia. "Questo convegno vuole mettere un punto alle vicende che fino ad ora hanno interessato il Parco dell'Alta Murgia per fare un passo in avanti e dire quale Parco si vuole costruire e cosa si può fare per costruirlo insieme, perchè il piano del Parco dell'Alta Murgia rappresenta un irrinunciabile strumento di governo del territorio". E sarà il prof. Dino Borri, che ha curato lo studio preliminare per il Parco ad essere uno dei relatori del convegno in programma martedí, alle 18 presso il museo civico. Oltre al docente del Politecnico di Bari, interverranno l'assessore provinciale alla Pianificazione, Cesare Veronico; il sindaco di Gravina Remo Barbi; l'agronomo Francesco Iacovetti; il Presidente del centro Studi "Torre di Nebbia", Piero Castoro e l'ambientalista Laura Marchetti. Il convegno sará coordinato dal Sen Onofrio Petrara, Consulente del Comune di Gravina per il Parco dell'Alta Murgia.
Dietro questo convegno si cela una idea che si vuol far crescere nella comunitá gravinese. "Abbiamo un'ambizione: realizzare la cittá dei parchi, mettendo in rete l'immenso patrimonio ambientale di cui dispone la cittá: Parco Archeologico di Petramagna, gli habitat rupestri, il bosco comunale"- dice la Responsabile dell'associazione, Antonella Sarpi. Ecco in questa logica spiegati i due appuntamenti sabato 14 giugno con un'escursione notturna nella gravina e domenica 22 giugno al bosco lungo "i sentieri del falco grillaio" in collaborazione con la Lipu. (La Gazzetta del Mezzogiorno)

"L'agricoltura serve alle aree protette"

TUTELA DELL'AMBIENTE - Concluso il primo workshop sull'orso bruno e la gestione del territorio

AVEZZANO. "Valorizzare l'agricoltura compatibile e le aziende agricole multifunzionali". Questo secondo la Coldiretti provinciale è il segreto per lo sviluppo socioeconomico delle aree protette e per l'attività di difesa della biodiversità e delle specie animali in pericolo di estinzione. Questo è ciò che è emerso dal primo work shop sul tema: "L'orso marsicano e la gestione del territorio", svoltosi ad Avezzano e organizzato dal Comune e dalla Forestale.
La manifestazione ha avuto anche il patrocinio del parco Velino-Silente, delle Comunità montana della Valle Roveto e della Marsica 1, nonché delle riserve naturali del monte Salviano e di Zompo lo Schioppo di Morino.
Il direttore della Coldiretti provinciale, Giuseppe Colantuoni, che è intervenuto nel corso del convegno, ha evidenziato come la politica agricola comunitaria e il decreto legislativo di orientamento ed ammodernamento del settore agricolo del 5 marzo 2001, hanno individuato tra le attività dell'azienda agricola la salvaguardia del territorio e la tutela dell ambiente e della biodiversità.
La Coldiretti è convinta che la stessa prioritaria finalità della conservazione del patrimonio naturale chiama in causa direttamente il ruolo degli agricoltori sul territorio.
Sempre di più infatti la conservazione corrisponde alla custodia, alla manutenzione e al mantenimento del patrimonio naturale che per il suo straordinario valore, ha giustificato l'istituzione dell'area protetta.
La sopravvivenza dei parchi è, dunque, secondo la Coldiretti, in gran parte legata al consenso di chi li abita e per ottenerlo occorre molta trasparenza nelle decisioni e la partecipazione attiva di tutte le forze presenti sul territorio.
Anche l'intervento del dottor Potena, del Corpo forestale dello Stato, ha evidenziato l'importanza delle attività agricole all'interno delle aree protette che contribuiscono al mantenimento dei fondamentali equilibri degli ecosistemi naturali contribuendo al mantenimento di molte specie protette come quella, appunto, dell'orso bruno marsicano.
L'agricoltura dunque può cotribuire alla salvaguardia dell'orso marsicano, una specie che rischia l'estinzione. E il primo Work shop svoltosi ad Avezzano ha risposto proprio a questa esigenza. (Il Centro)

La maga Circe e il Parco

Per il turismo, contro il turismo di FULCO PRATESI

Il parco nazionale che prende il nome dal promontorio sacro alla maga Circe ("dove - come canta Virgilio - la figlia del Sole fa sonar del suo canto perpetuo i boschi inviolati") è nato sotto una cattiva stella. E sembra che i filtri della maga che trasformarono in porci i compagni di Ulisse funzionino ancora. Il Parco Nazionale del Circeo, nato nel 1934 per salvare gli ultimi relitti delle famose Paludi Pontine e "allo scopo di tutelare e migliorare la flora e la fauna e di conservare le bellezze del paesaggio", comprendeva, in soli 8.500 ettari, un campionario completo della natura tirrenica: uno stupendo promontorio rivestito di boschi, una lunga duna sabbiosa irta di ginepri e lentischi, quattro laghi costieri ricchi di fauna e una secolare foresta planiziaria di querce, ultima reliquia della mitica Selva di Terracina. Aggiungete a questi tesori naturali il paesino medievale di San Felice Circeo, il resto di favolose ville romane, diverse torri costiere e la città di Sabaudia, uno dei più prestigiosi esempi di urbanistica e architettura moderna. Un gioiello, al quale venne aggiunta, nel 1979, la deserta e bellissima isola di Zannone, poco al largo del promontorio.
Specialmente nel secondo dopoguerra le aggressioni infuriarono: si aprì una strada lungo le dune, si scaraventarono ville e villette abusive su buona parte del promontorio, lungo la duna e attorno ai laghi, si autorizzò la caccia e la navigazione a motore nei laghi. Tanto che da varie autorità scientifiche internazionali venne la proposta di togliere l’etichetta di Parco Nazionale.
Subentrò, ai tempi di Giovanni Marcora, ministro dell’Agricoltura degli anni ’70, un periodo di relativa pace grazie alla nomina di un bravo direttore, all’acquisizione dei laghi costieri, al "taglio" delle zone litoranee più degradate. Da qualche anno, però, le cose sono peggiorate: si è aperta una inutile strada che taglia in due i magnifici Pantani dell’Inferno portando i bracconieri nel cuore dell’area più preziosa (ci hanno rimesso le penne due rari fenicotteri), gli abusi edilizi proseguono, si è creata un’aviosuperficie in un’area vincolata, si è demolita una struttura antica che regolava il collegamento con il mare del Lago di Paola.
È ora in preparazione, stando alle più recenti informazioni, un nuovo decreto ministeriale che potrebbe consentire nuove costruzioni, la navigazione a motore nei laghi e l’insediamento di case galleggianti. Senza parlare di progetti di nuovi parcheggi, di ampliamento di porti come quello alla foce del Rio Martino, di ripristino di strade chiuse da tempo.
Non si comprende come tutte queste iniziative possano andare d’accordo con i principi della legge istitutiva del ’34 citata in apertura e con l’inclusione di parte del parco nell’elenco delle Riserve Internazionali della Biosfera ottenuta nel 1977. E se anche la legge istitutiva pone tra gli scopi del Parco quello di "promuovere lo sviluppo del turismo" questo non può essere attuato distruggendo la sua stessa materia prima, un ambiente naturale incomparabile e tutelato. (Corriere della Sera)

Parco delle Madonie 2020, un sogno possibile

Workshop di due giorni a Castelbuono per simulare i possibili scenari di rilancio della zona

Castelbuono. Tutti attorno ad un tavolo per discutere di sviluppo sostenibile delle Madonie. Con questo intento l'Ente Parco ha organizzato due giorni di work shop simulato, dal tema "Parco delle Madonie sostenibile", che si è tenuto ieri e l'altro ieri in un albergo di Castelbuono. All'iniziativa, che rientra nell'ambito del processo partecipato di "Agenda 21 Locale", hanno partecipato oltre al presidente del Parco Massimo Belli una cinquantina di soggetti fra i quali alcuni sindaci, assessori, professionisti, medici, artigiani, impiegati e docenti. Sotto la guida della manager Carolina Pacchi e del suo staff di collaboratori della società Avanzi di Milano i partecipanti , divisi in fasce (cittadini, tecnici, imprenditori e amministratori), hanno immaginato lo scenario che vorrebbero trovare nel Parco delle Madonie nel 2020. Nello stesso tempo hanno anche ipotizzato le linee e quindi i progetti da seguire per raggiungere l'obiettivo sviluppo sostenibile.
Alla fine dei due giorni le cinque ipotesi scelte, fra le circa venti pensate, sono state: un sistema integrato del termalismo e del benessere, un piano di marketing territoriale, alcuni progetti pilota per l'uso di energie alternative, una nuova gestione dei rifiuti e un sistema centralizzato del sistema turistico locale. Anche se in teoria, quindi, le possibilità di sviluppo per il territorio madonita non mancano ma è necessario creare un ampio coinvolgimento dei soggetti che operano nel territorio a tutti i livelli. Infatti, lo spirito di "Agenda 21 locale" è proprio quello di far dialogare l'amministrazione locale con i cittadini, con le organizzazioni locali e le imprese private per attuare una propria strategia di sviluppo. Dopo questo appuntamento il prossimo sarà alla fine di giugno e coinvolgerà tutti i comuni del territorio che si dovranno confrontare per condividere, pensare e sviluppare progetti di sviluppo sostenibile per definire un piano di azione locale che guardi al ventunesimo secolo. (La Sicilia)

Stelvio, ideale per il gipeto

Primi nidi nel parco dopo gli ultimi rilasci

BOLZANO. Si alzeranno presto in volo i primi piccoli di gipeto nel parco dello Stelvio. La notizia è confermata da Arturo Osio, il presidente dell'Ente Parco, che ricorda come sia la prima volta, dopo i rilasci effettuati negli ultimi anni, che una coppia dello splendido rapace abbia messo su famiglia. Il programma di reintroduzione del gipeto nell'Arco alpino del resto prosegue con successo tanto che nuovi esemplari sono stati rilasciati ieri in nel Parco svizzero dell'Engadina mentre per il prossimo anno, dopo quelli già effettuati nel 2002, sono in programma altri rilasci in Val Martello.
Il gipeto, in passato, fu oggetto di una spietata caccia che ne determinò la scomparsa dalle Alpi, con l'ultimo esemplare abbattuto nel 1913. Il progetto, per la reintroduzione del meraviglioso avvoltoio nelle Alpi, prese timidamente il via negli anni Settanta ed oggi è una realtà ben consolidata nella zona di Passo Stelvio, areale molto ricco del cibo preferito dal gipeto che, come tutti gli avvoltoi, si nutre di animali morti. (Alto Adige)

Illustrato il programma del Parco Magra

Recupero dei rustici

AMEGLIA — Il programma di recupero dei rustici in area protetta all'esame della gente. L'assessore all'urbanistica di Ameglia Goffredo Guglielmone, il Presidente e il direttore del hanno presentato l'altra sera alla popolazione di Montemarcello, una delle zone più interessate, piano e guida per il recupero, la riqualificazione e la conservazione del patrimonio edilizio rurale in uso in abbandono in area protetta e contigua. Il presidente Walter Baruzzo e il direttore Patrizio Scarpellini, con l'ausilio di in maniera dettagliata l'azione programmatica con la quale il parco intende promuovere il recupero e la riqualificazione degli insediamenti esistenti per fare del parco un'area "viva, vissuta e produttiva", fatta salva naturalmente l'esigenza della difesa ambientale dell'area in questione. Dall'affollata assemblea sono venute domande, chiarimenti, approfondimenti. Gli enti componenti del parco e fra questi il Comune di Ameglia e gli abitanti potranno ora presentare osservazioni sul merito delle scelte fatte dall'Ente Parco "Montemarcello-Magra". (La Nazione)

“In Sila troppe costruzioni abusive”

La denuncia è di Legambiente che ha scritto una lettera al presidente Chiaravalloti

SAN GIOVANNI IN FIORE. Il circolo di San Giovanni in Fiore di Legambiente, in una lettera inviata, tra gli altri, al Presidente della Giunta regionale ed al Prefetto di Cosenza, sottolinea il "proliferare di attività edilizie, probabilmente illegali, all' interno del Parco nazionale della Sila". "Il proliferare di costruzioni - afferma Legambiente nella lettera - è stato notato in diverse zone della Sila e, soprattutto, all' interno della perimnetrazione del Parco nazionale ricadente nel territorio del Comune di San Giovanni in Fiore. E' necessario, dunque, un immediato intervento del Corpo forestale dello Stato, dei carabinieri e delle altre forze di polizia cui è affidata la vigilanza e la sorveglianza nel territorio del Parco". Legambiente ricorda che "in base alla normativa vigente, le opere abusive realizzae nelle aree protette nazionali vengono acquisite gratuitamente a favore degli organismi di gestione. Inoltre, i sindaci sono tenuti a notificare al Ministero dell' Ambiente ed all' Ente parco, entro novanta giorni, gli accertamenti e le ingiunzioni alla demolizione. Occorre perciò intervenire con sollecitudine per fare rispettare la normativa e le disposizioni di legge vigenti".
(Il Giornale di Calabria)

Santa Maria avrà presto il parco marino

Castellabate. A fine giugno la bozza di decreto istitutivo del Parco Marino di Santa Maria di Castellabate, un'area di protezione degli ambienti costieri marini su un progetto che si avvia a compiere il ventesimo anno di età. Erano i primi anni Ottanta quando si cominciò a parlare di tutela dell'ambiente marino e iniziò il dibattito sui limiti alla pesca e all'attività di infrastrutturazione costiera, furono per la verità proprio i pescatori ad avversare la progettualità, rivendicandone l'attività economica collegata al mare. Si rimodulò varie volte il progetto, ma gli scogli rimanevano sempre tali. "La bozza di parco marino elaborata dall'amministrazione comunale - spiega il primo cittadino di Castellabate, Costabile Maurano - è scaturita da una fase di concertazione con gli attori dello sviluppo, dai pescatori, agli esercenti attività balneare e agli ambientalisti: c'è stato un consenso unanime alle localizzazione delle tre zone definite. Entro una quindicina di giorni dovrebbe essere pronta la bozza di decreto e dovrebbe così chiudersi un percorso che ha avuto inizio venti anni fa". Nella bozza presentata dal comune è già contenuta la zonizzazione, sarà poi il ministero dell'Ambiente a definirne i parametri di sviluppo e a delineare i vincoli di tutela nelle aree proposte dall'ente locale e di concerto con altri enti territoriali: la bozza elaborata dal comune di Castellabate è del 28 marzo scorso. "Le aree proposte dal comune - prosegue il sindaco - sono tre e si sviluppano a seconda della protezione della fascia costiera e marima. La fascia di tipo A è quella a nord del territorio comunale, corrispondente alla zona di Punta Tresino. E' la zona di massima tutela ambientale per la protezione di un comprensorio naturalistico tra i più belli della regione. Seguono poi altre due zone, una di tipo B, a protezione minore, ma restano i vincoli alla infrastrutturazione. C'è in ultimo la fascia di tipo C, dove è possibile, compatibilmente con un sistema di protezione generale, operare una infrastrutturazione del territorio". (La Città di Salerno)

Pezzopane propone: ora gli enti si coordino

Abruzzo - Cinghiali e danni

Un coordinamento tra Regione, Provincia, Enti Parco, Comunità montane e Comuni per risolvere il problema dei danni provocati dai cinghiali nelle campagne delle zone interne dell’Abruzzo. È quanto sollecita il consigliere regionale dei Ds Stefania Pezzopane che auspica l’uso degli "strumenti previsti dalle leggi: abbattimenti selettivi, controlli sul territorio, recinti". La Pezzopane s’è incontrata con una delegazione di cittadini, agricoltori e amministratori del comprensorio del Gran Sasso e della Valle Subequana, i quali si sono lamentati per i danni provocati dai cinghiali alle colture. "Mi è stata - ha spiegato la consigliera Ds -una situazione drammatica che in questi anni, per la scarsa attenzione di Regione e Provincia dell’Aquila, è diventata intollerabile".
Annunciando un’interrogazione al presidente della Regione, Pace, e agli assessori regionali all’Ambiente e all’Agricoltura, Desiati e Sciarretta, la Pezzopane propone un "piano regolatore triennale, elaborato da un tavolo permanente con le associazioni agricole di settore e gli ambiti di caccia" e il superamento delle "lungaggini burocratiche che non consentono il rimborso adeguato e in tempi certi dei danneggiati. Quest’anno - conclude - il ritardo del Parco Sirente-Velino negli abbattimenti selettivi ha creato un ulteriore aggravio agli agricoltori". (Il Messaggero)

Sfuggiti allo sterminio i lupi mettono famiglia

Foreste Casentinesi

Veniva per l'aria voce di campane, tra le cime dell'Appennino, quella mattina d'inverno del 1964. Ma ben presto si udirono voci concitate e poi schioppettate che risuonarono come cannonate nell'atmosfera tersa e gelida: era in corso l'ultima battuta di caccia al lupo in Romagna, poichè le leggi di 50 anni fa davano licenza di uccidere i lupi in ogni stagione, considerandoli “nocivi”. Gli allevatori dell'alta Val Savio e dell'alta Val Bidente si erano uniti nel braccare un lupo solitario, grande predatore, che aveva sbranato parecchi vitelli; altri capi erano stati salvati a stento, “ricuciti” dai veterinari. Dopo numerosi appostamenti a vuoto, non lontano da Ridracoli, il “cerchio” dei battitori si chiuse e il lupo non riuscì più a trovare rifugio nella Foresta della Lama. In quegli anni, sull'intero Appennino italiano, i lupi, come specie, erano ridotti al lumicino, a rischio d'estinzione. Mezzo secolo dopo la situazione è profondamente mutata. La protezione accordata alla specie sin dal 1968, lo spopolamento di molte alte vallate, il notevole aumento degli ungulati (caprioli, daini, cervi, cinghiali) ha riproposto condizioni favorevoli a un ritorno del lupo in grande stile. Anche sul nostro Appennino, ove oggi dimorano, secondo i dati più recenti, almeno quattro o cinque famiglie di lupi nell'ambito del Parco delle Foreste Casentinesi, per una popolazione di una quarantina di esemplari. Superbi predatori, sono al vertice di un ritrovato equilibrio naturale: soprattutto i cinghialotti sono una delle maggiori componenti della loro "dieta". Tra l'altro, proprio in questa stagione sono nati i lupacchiotti, allevati in tane situate in luoghi impraticabili, in genere esposte a sud, vicino a corsi d'acqua. Il ritorno del lupo nell'alta Romagna e la sua espansione numerica (malgrado il persistere di qualche episodio di bracconaggio) nel corso degli ultimi decenni può destare stupore: in realtà, come affermano i naturalisti della Sterna (cooperativa che opera nel campo della ricerca scientifica ed ambientale), anche negli anni '60, i più bui per la specie, qualche esem di lupo è sempre rimasto nelle alto Appennino. Però, allora, non “faceva notizia”: l'esodo dei montanari verso la pianura aveva reso disabitate non poche alture, la sensibilità dell'opinione pubblica sui temi ambientali era ancora scarsa. Il lupo c'era ma restava un problema per gli allevatori, che dovevano difendersi da attacchi talora devastanti alle greggi. Ed un sistema di indennizzi è, ancor oggi, uno dei principali mezzi di gestione di questa preziosa specie: non si può certo chiedere ai predatori di comportarsi come nei cartoni tv. La popolazione dei lupi romagnoli oggi appare in buona salute, segno di un equilibrio naturale ritrovato. Anche la segnalazione di esemplari con mantelli più scuri o nerastri non significa ibridazioni tra femmine di lupo e maschi di cani, ma variazioni compatibili con il patrimonio genetico del lupo appenninico.
A proposito di grandi predatori, anche l'orso, un tempo, viveva quassù. Le ultime segnalazioni, avvalorate da cronache storiche, riguardano battute di caccia nella Foresta di Campigna e della Lama nella prima metà del '700. In ricordo della presenza del grande plantigrado restano numerosi toponimi, cioè nomi di località, come ben sanno gli escursionisti che percorrono l'alta Valle di Bagno e la zona di Ridracoli: Fosso dell'Orso, Pian dell'Orso, Siepe dell'Orso, Orsarola, Macchia dell'Orso sono rivelatrici denominazioni antiche che ricorrono ancor oggi nella sentieristica delle nostre foreste. Era il 1773 quando si fece quella che, stando alle cronache, fu l'ultima caccia all'orso in Romagna. Il possente selvatico fu abbattuto nella impervia foresta di Sasso Fratino e fu perseguitato per aver sbranato alcune vitelle, di cui due di proprietà dei padri di Camaldoli. (Il Resto del Carlino)


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