Nuove perimetrazioni? Ai posti, pronti, via...


Aperta e voluta fin dal suo insediamento dal ministro Matteoli, la partita delle riperimetrazioni ha gioco facile a tener banco nella stagione più scialba – da molto tempo a questa parte – dell’Italia dei parchi. Come le due indagini parlamentari ancora in corso, solleva cortine fumogene sui problemi veri – leggasi proposta di legge delega, tagli continui ai finanziamenti, nomina di presidenti in spregio ai dettami della 394, commissariamenti ripetuti e prolungati - lanciando esche ad ambientalisti e cronisti che s’immaginano (nel secondo caso, spesso a ragione) miopi e distratti. Così, è sufficiente una frequentazione anche saltuaria della rassegna stampa messa a disposizione dei lettori del Giornale dei Parchi per sapere quanta parte della episodica attenzione dei media è assorbita da crociate locali non proprio memorabili: fuori dal parco ! entriamo nel parco ! ma così il parco si suicida !, etc. etc. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta non di notizie ma di annunci: voti di consigli comunali, esiti referendari, magari appena interviste a singoli assessori o presidenti di associazioni venatorie. Qualcosa di molto diverso e soprattutto lontano dagli atti che contano (e che giustificherebbero il titolo) e cioè decreti del presidente della Repubblica, nel caso dei parchi nazionali, e leggi o delibere nel caso dei parchi regionali. Ma tant’è.
Porte spalancate a chi vuole uscire dai parchi nazionali: questa in pratica la direttiva assegnata dall’attuale ministro dell’Ambiente, appena nominato (nel giugno 2001, ricordiamo), al suo direttore generale Aldo Cosentino. Di raccogliere le richieste dei Comuni sono incaricate le Comunità del parco, e pazienza per il tempo sottratto alla predisposizione dei piani socio-economici. Ma la risposta dei Comuni sorprende molti. E prima in un’intervista alla rivista di Federparchi (Parchi, n.37) e dopo nel corso di un’audizione alla Camera lo scorso aprile, Cosentino può sostenere che “il mio problema, da due anni a questa parte, è piuttosto quello di arginare le richieste di nuove ammissioni”. Eppure una veloce e certo lacunosa ricognizione non sembra giustificare tale ottimismo. Vediamo.
Allo Stelvio entro l’autunno si attende una sforbiciata del parco di circa 2500 ettari, sul fondovalle della splendida val Venosta. Sempre per bocca di Cosentino l’ha promesso il governo alla Provincia di Bolzano, nel corso di un incontro nello scorso luglio col presidente Luis Durnwalder (e senza Arturo Osio, presidente del parco). All’Appennino tosco-emiliano, l’ultimo arrivato, ha chiesto di entrare nell’area protetta Sologno, frazione di Ligonchio: ma il parco è ancora all’anno zero nonostante il Dpr risalga al 21/5/2001. E al di là del presidente, l’ex prefetto Raffaele Guerriero ancora fresco di nomina, manca proprio tutto e c’è da pensare a sede, direttivo, prime assunzioni, insomma segnali di vita. Anche all’Arcipelago toscano, il parco nazionale dal perimetro più originale d’Italia, mappe catastali e pennarello rosso vanno e vengono negli uffici tecnici comunali. Le richieste di forte ridimensionamento avanzate dai Comuni hanno scandalizzato gli ambientalisti, che vi hanno pure dedicato un dossier di denuncia dal titolo “Cucù, il Parco non c’è più”. Oggi che tengono banco pure altre questioni, come il varo sofferto della riserva marina, il commissario Ruggero Barbetti proprio nei giorni scorsi è tornato sull’argomento con un appello “a superare la frammentarietà di una perimetrazione del Parco fatta a tavolino da soggetti privi della necessaria conoscenza dei luoghi”.
In Abruzzo c’è Bisegna che vuole uscire dallo storico parco dell’orso e del lupo. Ma ci sono pure 15 Comuni che hanno appena chiesto di entrare nel parco del Gran Sasso-Laga o di ampliare i suoi confini entro i loro territori. “E’ come se un vero e proprio parco, per dimensioni ma anche per qualità del territorio, entrasse a far parte di un altro parco”, è giustamente scritto nel comunicato dell’ente dello scorso 18 luglio. Ben seimila ulteriori ettari che, a Dpr pubblicato in Gazzetta, porteranno nell’Arca dell’Italia protetta gioielli come l’abbazia di San Clemente a Casauria ma pure lo zafferano di Navelli. In Campania, l’atteso varo del piano del parco del Cilento ha portato al pettine molti nodi e intorno a ferragosto la Comunità montana del Vallo di Diano ha messo nero su bianco la richiesta di molti Comuni, che si aggiunge a quella di Marina di Camerota, di rifilare a suon di sforbiciate l’enorme territorio del parco. Ma il caso più grave è forse al Pollino. Tra Calabria e Basilicata, qui le proposte di revisione del perimetro vengono da 40 Comuni su 56. Ben 36 chiedono di ridurre il parco, 4 di ingrandirlo ancora (già adesso con i suoi 190mila ettari è il più esteso d’Italia, come e più di mezza Valle d’Aosta). Alla drastica cura dimagrante proposta si aggiunge il rischio di giungere a un perimetro eccessivamente contorto e frastagliato, togliendo al parco l’attuale preziosa continuità territoriale, così anche lo stesso presidente Francesco Fino ha responsabilmente definito “non accettabili” le proposte giunte dalla Comunità del parco.
Più al riparo da fibrillazioni, al momento, appaiono i confini dei parchi regionali. Con le immancabili eccezioni. Ampliamenti sono dati in arrivo, tra l’altro, ai Sassi di Roccamalatina in Emilia Romagna, a Colfiorito in Umbria, alla Gola della Rossa nelle Marche. Ma sono più consistenti, anche qui, i tagli promessi: tra l’altro, al Mincio e all’Adamello in Lombardia, al Sirente Velino in Abruzzo, a numerosi dei parchi del Lazio tra cui Veio e i monti Lucretili (rispettivamente, 1903 e 1378 ettari in meno).

Giulio Ielardi



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del Giornale dei Parchi