Ustica, riserva scomparsa


L’area marina protetta di Ustica ? Praticamente non c’è più.
Sono bastati infatti due soli mesi di revoca della gestione dell’area protetta al comune e di affidamento alla Capitaneria di Porto per bloccare ogni attività di conservazione, di didattica e di ricerca e per mettere in moto un pericolosissimo processo di cancellazione collettiva dell’esistenza stessa della riserva.
Eppure Ustica è un’ area marina protetta con tutte le caratteristiche che il ministro Matteoli, almeno a parole, afferma ideali, quelle che lui vorrebbe condivise da tutte le aree protette italiane. Essa è stata ed è tuttora una reale produttrice di sviluppo economico sostenibile e fin dall’inizio è stata affidata ad una comunità locale, che ne ha condiviso con convinzione l’istituzione e la gestione. Tanto fortemente da rammaricarsi a tal punto del fatto che la riserva venisse strappata a coloro che ne avevano fatto un vanto per tutto l’ambientalismo italiano, da inviare al ministro stesso una petizione firmata da 1500 persone, più o meno l’intera popolazione dell’isola, perché tornasse indietro su un provvedimento cosi iniquo.
Naturalmente non è servito a nulla.
I nove dipendenti, sette dei quali con un’anzianità di ben dodici anni, sono ridotti alla quasi totale inattività. La mancanza di fondi per le attività didattiche e per le assicurazioni li costringono a svolgere il loro orario di lavoro solo nell’ambito della ricezione dei turisti nel centro d’accoglienza dell’area protetta, situato nella piazzetta del paese, dove peraltro alla domanda di quali attività siano previste per l’estate 2003, non possono far altro che rispondere che per quest’anno non è previsto un bel nulla. Si limitano a svolgere un ruolo più da Pro Loco, che da personale specializzato e a dibattersi nella mancanza di materiali adeguti per rispondere alle richieste di chi arriva nell’isola convinto che l’area marina protetta esista ancora. E’ sospesa la convenzione con i pescatori, che portavano i turisti a visitare gli angoli più incantevoli della riserva e a nuotare tra i pesci numerosissimi anche nella zona B, dove è consentito accedere con i natanti, sono sospese le visite didattiche e le immersioni guidate, non è stata affidato ad alcuno, come avveniva negli scorsi anni, l’incarico della pulizia del litorali della riserva, imbrattati da rifiuti provenienti da mare e da terra, è chiusa la torre dello Spalmatore dove si facevano convegni, mostre, incontri di vario genere anche con le numerose scolaresche, provenienti da varie zone della Sicilia, che peraltro dallo scorso inverno, da quando si è cominciato sulla stampa a dare sempre maggior credito all’ipotesi della revoca della gestione dell’area marina protetta al comune, hanno smesso di venire ad Ustica, è in stato di abbandono il nuovo acquario costruito in un vecchio edificio del porto per sostituire quello della Caletta ormai del tutto inadeguato.
Quello che non si fa più è già di per se stesso abbastanza grave, ma ciò che è veramente drammatico è quello che si consente di fare. Ormai nell’isola si pesca lungo tutto il perimetro, le barche entrano senza problemi nella zona di riserva integrale (delimitata da sei boe di cui una sola funziona), perfino la Grotta segreta, santuario dei ricercatori per la presenza di un’alga assai rara, alla quale si poteva accedere solo in piccoli gruppi guidati, è diventato un luogo di ritrovo di centinaia di turisti, che non mancano di lasciare perfino lì i loro rifiuti.
La Capitaneria di Porto non è in grado o non vuole fare l’opera di vigilanza, che almeno da mare era tenuta a fare anche quando la riserva era gestita dal comune. Inutili sono state le sollecitazioni di locali o villeggianti solerti, preoccupati dal precipitare della situazione. Eppure l’affidamento dell’Area Marina di Ustica alla Capitaneria di Porto è previsto che duri per sei mesi, rinnovabili eventualmente per altri sei. Nel frattempo l’attuale situazione di degrado non potrà che peggiorare.
La nuova amministrazione comunale di Ustica di centro destra, che il 25 maggio 2003 ha sostituito la precedente di segno opposto, tace e non assume alcuna determinazione a proposito di una questione vitale per l’economia di questa piccola comunità. Ha perfino lasciato scadere i termini per impugnare il Decreto di revoca della gestione dell’area marina al comune notificato dal Ministero per l’Ambiente il 12 giugno 2003.
Sarà l’inizio di una nuova stagione di sviluppo insostenibile per l’isola di Ustica, che dimenticando il fatto di avere avuto dall’area protetta il volano per un’ economia basata sulla tutela e sulla conservazione di risorse irripetibili, aspira ora ad un modello più omologato con quello della maggior parte delle coste italiane? Se ne sentono nell’aria i primi sconfortanti segnali.
Se era questo il risultato che il Ministro si proponeva di ottenere colpendo l’area marina protetta simbolo, può ritenersi soddisfatto. Tolta di mezzo Ustica, il rischio che tutte le altre aree marine protette italiane ad una ad una vengano meno è elevatissimo.
Italia Nostra lancia un appello perché l’enorme patrimonio che esse costituiscono, frutto di anni e anni di lavoro portato avanti dagli ambientalisti insieme con le comunità locali, non vada disperso.

Gaia Pallottino
Segretario generale di Italia Nostra

Una fine annunciata

L’articolo di Gaia Pallottino ci fa capire, più di tanti discorsi ora rassicuranti ora ammonitori, di come stanno veramente le cose per le aree protette marine.
Ustica e Miramare sono stati per tanti anni gli unici esempi dignitosi e concreti di cosa avrebbero potuto e dovuto essere - ma non sono state - le tante aree protette marine previste prima dalla legge sul mare e poi dalla 394.
Ustica in particolare (data la modestissima dimensione di Miramare gestita encomiabilmente dal WWF) ha per anni rappresentato autorevolmente e meritatamente un esempio.
Di colpo, con un tratto di penna, ovvero con un provvedimento ministeriale, tutto questo è stato azzerato. Il Comune, che evidentemente non era gradito a Roma, è stato messo senza tanti riguardi in quarantena per affidare il tutto alla Capitaneria di Porto. L’intervento, scandaloso, avviene nel momento in cui dal Ministero giungono, sia pure stancamente, segnali di una ripresa di attenzione e di impegno per le aree protette marine, rimaste al palo nonostante una legge che ha preceduto, di quasi un decennio, quella sui parchi del ‘91. Anzi, come prova di questo rinnovato ancorché tardivo impegno, si è cercato di accreditare l’idea che il Ministero privilegiasse il ruolo degli Enti locali e in particolare dei Comuni. Che l’ignorare Province e Regioni anche a statuto speciale confliggesse prima ancora che con il buon senso con la legge quadro, al Ministero finora non era apparso di nessuna importanza. In fondo così era preferibile, perché si toglievano di mezzo istituzioni che avrebbero potuto legittimamente dire la loro, dando al tempo stesso l’illusione che le comunità locali erano invece tenute in debita considerazione. In questo modo invece proprio i comuni sono destinati a diventare ostaggio di un potere ministeriale che sulla gestione delle aree protette marine pretende di comandare secondo un criterio assolutista e burocratico che gli è assolutamente vietato in qualsiasi parco terrestre. Così è stato a Ustica.
Quando a sostenerlo erano quelli che hanno ideato il progetto CIP e lavorano per realizzarlo poteva sembrare un eccesso polemico. Ora la vicenda di Ustica dimostra che avevamo mille e una ragione.
Non sarebbe l’ora che ne prendessero atto anche tutti coloro che hanno colpevolmente pazientato chiudendo non uno ma entrambi gli occhi?

Renzo Moschini




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del Giornale dei Parchi