Indagine parlamentare sui Parchi nazionali

Luci ed ombre del documento conclusivo

L’indagine conoscitiva “sul sistema di gestione amministrativa degli Enti parco nazionali”, avviata più di un anno fa dalla Commissione Ambiente della Camera, è giunta alla conclusione. Il documento finale, adottato all’unanimità, è pubblicato sulle pagine di questo sito. E’ un documento che, se conforta da un lato, lascia dall’altro molto amaro in bocca. E’ confortante nella parte di analisi della situazione, nella quale si alza il velo sulle vere ragioni della difficile situazione gestionale in cui versano tutti i nostri parchi nazionali. Viene da dire che non poteva che essere così, dal momento che la fitta serie di audizioni con i protagonisti e l’impegnativo calendario di sopralluoghi ha consentito di fare giustizia dei numerosi luoghi comuni sull’incapacità soggettiva dei parchi a garantire una amministrazione efficiente. Non si possono dimenticare in proposito le premesse da cui partì l’indagine: una vera e propria offensiva contro Enti da mettere in riga in quanto tutti dediti a mettere vincoli e ad accumulare residui passivi.
Ora le cose tornano al loro giusto posto. Si riconoscono le condizioni oggettive per cui soggetti giovani e alle prime mosse sono stati costretti ad agire in una gabbia opprimente di norme contabili antiquate; hanno dovuto affrontare compiti enormi con finanziamenti esigui e disponibili normalmente con ritardi paurosi; hanno dovuto districarsi tra rapporti interistituzionali non regolati e nei quali costituiscono il classico vaso di coccio; hanno vigilato su grandi e complessi territori senza poter contare su servizi di vigilanza direttamente dipendenti. E nonostante ciò se la sono cavata bene, producendo molto lavoro, vere e proprie esperienze d’avanguardia e riuscendo nello stesso tempo ad assottigliare via via le stesse giacenze di cassa.
L’amaro in bocca rimane per la grande occasione perduta e per la relativa modestia delle indicazioni conclusive. Da un anno di lavoro di indagine, che ha sollecitato i contributi di enti, associazioni e corpi dello Stato, che ha impegnato deputati, funzionari e amministratori, era lecito attendersi un approfondimento ben maggiore, in grado di andare al cuore di tutti i problemi, mettendo ad esempio in rapporto la gestione amministrativa con la missione propria dei parchi, che è quella della gestione naturalistica e della valorizzazione ambientale. Sarà per un’altra volta. Così come occorrerà attendere altre occasioni per vedere espresse organicamente tutte le vere necessità dei parchi nazionali. Non che alcune delle indicazioni espresse – revisione del sistema di contabilità, sviluppo dell’autofinanziamento, accelerazione dell’approvazione dei piani, dipendenza funzionale della vigilanza del CFS – non siano condivisibili. Esse fanno parte da tempo delle richieste dei parchi. Il problema è che altre, come la soppressione delle Comunità Montane che stanno nei parchi, sono da ritenersi del tutto eccentriche. E che altre ancora mancano completamente, come ad esempio la previsione di un programma nazionale per le aree protette, la definizione di strumenti di concertazione ai quali associare i parchi, la realizzazione di condizioni di uguaglianza dei diritti tra gli amministratori dei parchi e tutti gli altri amministratori pubblici. Un’indicazione poi, quella secondo cui “andrebbe valutata la possibilità di prevedere, in tutti quei casi nei quali fosse opportuno, il passaggio delle riserve naturali dal Corpo forestale agli Enti parco” è da considerare del tutto regressiva rispetto ad una precisa disposizione di legge in vigore da tempo che già stabilisce il trasferimento di tutte le riserve.
Sono prime sommarie osservazioni su di un documento appena pubblicato. Il giornale dei parchi tornerà sull’argomento al quale intende dedicare altri e numerosi approfondimenti, anche attraverso la pubblicazione di un E-quaderno che raccolga, oltre a giudizi e commenti, l’intero materiale dell’indagine.

L.B.


22/10/2003
Il primo contributo che giunge è di Renzo Moschini e lo pubblichiamo qui di seguito

L’indagine conoscitiva conclusasi il 14 ottobre con l’approvazione di un documento della Commissione ambiente della Camera aveva come oggetto la gestione amministrativa degli Enti parco nazionali.
Ad innescarla, come forse si ricorderà, era stata la polemica improvvisamente amplificata anche in autorevoli sedi nazionali sullo ‘scandalo’ dei residui passivi di buona parte dei parchi nazionali. Giacenze di cassa che fornivano, secondo alcuni, prima ancora che la prova di un grave fenomeno di inefficienza amministrativa, la incontrovertibile conferma di indirizzi sbagliati in quanto volti a privilegiare i famigerati ‘vincoli’ piuttosto che il fare.
L’indagine parlamentare ridimensiona drasticamente la ‘bolla speculativa’, per fornirci – sulla base anche di una serie di sopralluoghi della commissione- un quadro certamente non privo di ritardi e difficoltà ma riconducibili ad un contesto che chiama in causa innanzitutto il ministero dell’ambiente senza peraltro escludere anche gli altri livelli istituzionali. Il documento parlamentare denuncia infatti le norme che allungano spaventosamente i tempi di decisione e di spesa, i controlli degli atti di cui ormai generalmente si sono liberati quasi tutti gli enti amministrativi ma non i parchi nazionali, le piante organiche ancora largamente insufficienti e inadeguate. Se si pensa che dinanzi a tutto questo finora l’unica cosa che è stata fatta è quella di ridurre e ritardare cospicuamente i finanziamenti ai parchi c’è davvero da sperare che al ministero ( e non solo) ci si preoccupi una buona volta di mettere i parchi nazionali nelle condizioni di poter fare al meglio il loro mestiere.
Su rimedi anche il documento della Camera poteva essere assai più preciso e rigoroso anziché perdersi un po’ troppo in considerazioni estemporanee sulla managerialità che francamente troviamo singolari e lasciano interdetti. L’esigenza di rendere efficenti i parchi sarebbe tale da richiedere presidenti manager o in via subordinata presidenti affiancati da un vice manager. Chi se la sentirebbe di sostenere una cosa del genere per un sindaco, un presidente di provincia o di regione che pure di problemi gestionali e anche aziendali ne hanno incomparabilmente di più e ben più complicati di un parco. La divisione dei compiti tra gestione politica e amministrativa introdotta da tempo ormai nella nostra pubblica amministrazione non basta, non è sufficiente anche per i parchi? Direttori e uffici non dovrebbero provvedere proprio ‘anche’ a questo?
E’ sintomatico al riguardo quanto viene detto nel documento sulla vigilanza nei parchi nazionali. La commissione non ha potuto non prendere atto che attualmente i rapporti con il CFS non sono tali da garantire una vigilanza quale sarebbe necessaria. Tanto è vero –scrive il documento ‘ che laddove vi sono buoni rapporti tra l’Ente parco e il locale presidio del corpo forestale, si registra una particolare efficacia della stessa azione amministrativa’. Non a caso dove le cose vanno assai meglio è nel Gran Paradiso perché lì la vigilanza ‘dipende’
direttamente dal parco. La conclusione a cui pervengono i parlamentari della Commissione ambiente è che sarebbe preferibile trasferire questa parte del CFS al Ministero dell’ambiente; e perché non direttamente ai parchi perché la vigilanza faccia finalmente parte a tutti gli effetti delle rispettive piante organiche come già avviene con ottimi risultati nei parchi regionali? Visto che il Parlamento sta discutendo della riforma del CFS non sarebbe stato male che il documento sull’indagine desse qualche buon ‘consiglio’ ai colleghi.
Singolare al riguardo è anche la vicenda delle riserve naturali dello stato che da tempo immemorabile avrebbero dovuto essere trasferite- come prescrive la legge- ai parchi nazionali. Il documento conclusivo su questo punto tergiversa un po troppo limitandosi ad augurarsi che almeno per una serie di casi finalmente si proceda. Francamente non si vede perché l’operazione non dovrebbe riguardare il complesso delle riserve; che senso ha infatti far gestire ai parchi territori enormi e lasciare che riserve comprese in quegli stessi territori siano gestiti da Roma dal CFS e dal ministero dell’agricoltura? Ma ancor più paradossale è che tra i motivi, le ragioni in base alle quali si consiglia il trasferimento di almeno una parte delle riserve naturali ai parchi via sia la possibilità di utilizzarle per fare ‘cassa’.
In conclusione ci sembra di poter dire che merito dell’indagine è quello di avere ‘scoperto’ che i parchi non avevano imboccato la via della perdizione vincolistica ma di essersi ingegnati in questi anni ,anche con errori e ritardi che non debbono essere nascosti, per fare quello che dice la legge. Il documento ci aiuta a capire dove stanno una serie intricata di nodi che vanno finalmente e con decisione sciolti. Poteva dirci con minore cautela e esitazione come ciò possa e debba essere fatto. Sarà per un’altra volta.

Renzo Moschini



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