Riflessioni sulla Federparchi


Congressi e assemblee nazionali sono sempre una occasione per qualsiasi associazione specie di carattere istituzionale per un bilancio e soprattutto una riflessione sul ‘cosa’ fare e ‘come’ farlo.
Federparchi arriva alla propria assemblea del 12 dicembre, dopo quella di giugno a Bocca di Magra, registrando una ulteriore crescita nelle adesioni. Una crescita costante da quando, in anni ormai lontani, siamo partiti. Che ora però in un certo senso si ‘completa’ con l’adesione anche delle aree protette marine. Forse per la prima volta possiamo davvero parlare di rappresentanza di tutto il mondo variegato dei parchi e delle aree protette del nostro paese. Che questo traguardo sia raggiunto in un momento delicato come l’attuale per le aree protette non può che rallegrare, ma pone anche più d’un problema su cui è bene riflettere e discutere senza timori e con grande franchezza. Essere più rappresentativi pone d’altronde nuove responsabilità che non possiamo eludere.
Intanto, più rappresentativi di che cosa? Di un complesso di parchi e aree protette che per molti versi continuano a muoversi in orbite e logiche assolutamente diverse; sul piano istituzionale in primo luogo; è evidente che i parchi nazionali hanno il loro interlocutore più ravvicinato nel ministero, ma anche questo interlocuzione ha caratteri dissimili a seconda che si tratti di parchi terrestri o di aree marine. I parchi regionali invece devono fare i conti principalmente con le regioni ed anche qui in condizioni e secondo modalità che si differenziano a seconda che si tratti di enti o di consorzi. Il che come abbiamo visto anche in recenti vicende può dar luogo, come al Conero, a sviluppi inusitati e certamente impensabili in regioni con legislazioni diverse. Ci sono poi ‘altre’ aree protette i cui interlocutori sono le province e i comuni.
Rappresentare, interpretare questa complessa realtà non è semplice perché ciò richiede innanzitutto di evitare che qualcuno trovi minore ascolto e attenzione. Una qualche difficoltà su questo fronte si è sempre incontrata perché i parchi nazionali (ma non le aree marine) hanno chiavi d’accesso e un peso specifico incomparabilmente maggiore nei confronti di Roma, del Parlamento, dei ministeri etc.
Quelli regionali, lo sappiamo bene, dovrebbero trovare analogo riferimento a livello regionale dove però operano anche i parchi nazionali che non possono fare parrocchia a sé. Vanno bene dunque i coordinamenti regionali (non sempre brillanti peraltro neppure in realtà consolidate) ma non bastano, perché il sistema nazionale delle aree protette è tale soltanto se riesce a dare un senso strategico, programmatorio e di spesa a tutte le aree protette.
Alla associazione che rappresenta questo sistema compete quindi, innanzitutto, la responsabilità di sapere indicare, proporre, sostenere misure, atti, sedi in cui questo assemblaggio (oggi ancora confuso) di aree protette trovi un senso comune, linee operative in cui tutte si possano ugualmente identificare e riconoscere. Tanto più alla vigilia dell’allargamento dell’Europa comunitaria e alle conseguenti e accresciute responsabilità sovranazionali sia dello Stato che delle altre istituzioni. Nelle sedi sovranazionali non ci si può presentare però ‘sparpagliati’ bensì ‘vincoli’ come diceva Peppino de Filippo. E per essere vincoli ad un anno dalla conferenza di Torino bisognerà pure avere sedi nazionali e regionali per discutere e decidere di APE, delle Alpi, di CIP, dei parchi terrestri ma anche di quelli marini che sono l’orto (o la piscina) di casa del Ministero. Di questo e di altro: perché anche i numerosi progetti comunitari di cui si legge in tanti documenti ufficiali dell’Unione e della Corte dei Conti europea sembrano procedere per strade separate, spesso poco trasparenti e confuse. Insomma quello che è in discussione oggi è il ‘ruolo’ delle aree protette a tutto campo; nazionale e comunitario con una responsabilità accresciuta anche costituzionalmente di regioni ed enti locali. Non è un caso che anche la Conferenza delle Regioni e associazioni come l’UPI si stiano ‘riorganizzando’, o comunque cerchino di rafforzare la loro capacità di elaborazione, di proposta e di intervento a livello istituzionale. Con tutte le ovvie differenze, anche Federparchi deve accrescere e rafforzare il proprio ruolo ‘politico’.
Non certo nel senso che comunemente si dà a questo termine che evoca partiti e quant’altro. No, qui ‘politico’ sta - come per le Regioni e gli Enti locali - nella sua precisa accezione di proposta, elaborazione, rappresentazione ‘autonoma’ degli interessi e delle esigenze dei parchi e delle aree protette.
Si dirà che le cose stanno così da sempre ed è per molti versi vero. Ma è vero anche che oggi è soprattutto ‘come’ queste esigenze possono e debbono essere rappresentate data la loro maggiore complessità. Il che vuol dire agire di più in ‘proprio’, certo avvalendoci di tutti gli apporti che sempre sono state ricercati e sollecitati dalle associazioni non solo ambientaliste, ma con una più incisiva e diretta presenza nazionale e regionale della nostra associazione. Il che richiede anche strumenti di interventi più affinati e idonei.

Renzo Moschini



Commenta l'articolo Il Giornale dei ParchiTorna alla prima pagina
del Giornale dei Parchi