I libri del mese

Le nostre segnalazioni



Febbraio 2005


Aree costiere -Atti dei convegni dei LinceiAree costiere
Atti dei convegni dei Lincei

Edizioni dell’accademia dei Lincei, Roma 2004
348 pag. 10 euro

In occasione della XXI giornata mondiale dell’Ambiente, il 5 giugno 2003, si è svolta a Roma, nella sede dell’accademia dei Lincei, una giornata di studi interamente dedicata alle aree costiere ed ai loro problemi.
Il volume di oltre trecento pagine, illustrato opportunamente, è la fedele riproposizione degli atti della giornata. Le relazioni della mattinata si occupano di inquinamento costiero da sversamenti cloacali, dispersione di idrocarburi e rilascio di acque di sentina: indagini sugli effetti e sui possibili rimedi. Di degrado dei litorali. Di erosione e rinascimento delle spiagge. Di previsione dell’adattamento della fauna marina all’ambiente. Di modifiche territoriali e vegetazione costiera.
Le comunicazioni della mattinata vertono su: barriere sommerse nella difesa di spiagge italiane in erosione (casi di studio). Valutazione della variazione della linea di riva nell’area di Lido di Dante. La difesa costiera in Sicilia. Erosione costiera nella piana versiliese. Evoluzione del rinascimento della spiaggia del Poetto (Cagliari). E via così.
Il testo è di grande interesse scientifico, e fornisce anche a chi non sia interessato ad approfondimenti di livello così accurato una panoramica delle problematiche che si incontrano molto di frequente quando si amministrano aree protette costiere.
Nel volume non figura la relazione sul progetto Cip, coste italiane protette, che pure è stata svolta nella sessione pomeridiana, probabilmente per un disguido relativo alla correzione delle bozze.
Il volume per questo non perde affatto di interesse, di compattezza e di completezza. Segnalo il dettaglio esclusivamente per evitare ricerche infruttuose. Chi fosse interessato a quel particolare testo avendo avuto casualmente notizia della sua esistenza, potrà richiederlo direttamente al suo autore, che è poi anche il titolare di questa onorata rubrica. Compatibilmente con il disordine delle mie carte, potrei essere in grado di fornire le bozze corrette non inserite in questo peraltro ottimo volume, del quale raccomando l’acquisto.

M.G.


Homo civicus
Homo civicus
La ragionevole follia dei beni comuni
di Franco Cassano
Edizioni Dedalo, Bari
176 pagine – 15 euro

La ragionevole follia della difesa dei beni comuni (all’interno dei quali ovviamente spiccano le aree protette per una loro completezza ed esemplarità) è quanto Franco Cassano propone all’ “homo civicus” affinché riesca ad uscire dalla tenaglia delle due forme di etero direzione oggi presenti sulla scena pubblica: la condizione del suddito oppure quella del cliente).
Franco Cassano è amico dei parchi da qualche tempo. I lettori più affezionati della rivista “Parchi” ricorderanno una importante, impegnativa e impegnata intervista, che segnò li momento di maggiore esplicito avvicinamento del grande studioso di pensiero meridiano e di sociologia della conoscenza con i nostri lavori amministrativi e con le nostre “fisse” culturali. Più di recente Cassano è entrato, assieme a Predrag Matvejevic, a far parte attiva del comitato scientifico della nostra rivista: insomma è “uno dei nostri”.
A maggior ragione, quindi, ci pare opportuno dare conto dell’esistenza di questo suo lavoro fortemente impegnato sul piano pubblico, ma altrettanto fortemente collegato con i suoi maggiori temi di riflessione culturale. Forse il “ma” potrà apparire una sciocchezza, a chi già ha acquisito la consapevolezza della faticosità di ogni atteggiamento che separi l’intervento sociale dalla torre d’avorio degli studi o della pubblicistica attenta ai fatti e scanzonata nella forma. “Ma” non tutti sono approdati a queste consapevolezze, del resto opinabili, e forse quel “ma” non guasta.
Sia come sia, il volume di Cassano muove da un convincente “Elogio della cittadinanza”, ovviamente attiva, che si sviluppa nell’arco di quattro brillanti e appassionanti capitoli. Dal rifiuto dell’idiota moderno e dell’individualismo che si contrappone all’esercizio maturo della cittadinanza, il capitolo, con un lavoro in salita, approda alla comunità degli uomini liberi e quindi all’ homo civicus. Il percorso prosegue con riflessioni sull’Italia di Berlusconi e sulla secolarizzazione infinita, con una attenzione particolare alla “scommessa di Pascal” della quale si recupera il concetto di scommessa segnalando che nel frattempo il Dio di Pascal è messo piuttosto male, è in “eclissi” così come il bene pubblico e molte forme di solidarietà sociale.
La questione che appassiona Cassano è relativa al ponte di comando, che non deve essere occupato da nessun unto del Signore, se i comandi da dare hanno a che fare con la democrazia, soprattutto perché se l’enfasi dei nostri anni sul carattere limitato delle risorse ambientali non dovesse rivelarsi esagerata, soltanto una apertura volontaria e diffusa ad una nozione più larga e comune (trascendente) di bene, solo una scommessa fatta già oggi può evitare l’alternativa tra una progressiva auto distruzione e il potere dispotico di qualche futuro funzionario del bene generale.
Nel quarto capitolo si dipana l’alternativa tra chierici e piazzisti per disegnare il profilo degli intellettuali nell’era della globalizzazione, e qui termina la parte “elogio della cittadinanza” che lascia il campo ad una riflessione sul Sud tra Europa e Mediterraneo.
Chi conosce Cassano sa che su questi temi l’uomo è sempre in tiro, ed è sempre in grado di regalare nuove e affabulatorie proposte. Non c’è modo di riassumerle. Si possono citare quasi a caso alcuni passaggi, premettendo che la scelta risulta molto agevole (leggi alla voce: dove peschi, peschi bene).
Nel capitolo “pensare il Mediterraneo” si avverte che “il primo comandamento mediterraneo è: tradurre le tradizioni, far sì che gli uomini diventino amici nonostante le differenze, ma anche grazie ad esse”. Più avanti: “la criticità del Mediterraneo deriva dalla circostanza che esso è il punto del pianeta su cui si incontrano e si scontrano civiltà diverse. Quei conflitti costituiscono la prova più certa della centralità del Mediterraneo che, lungi dall’essere diventato un lago marginale, costituisce ancor oggi una frontiera cruciale”. E infine: “un’Italia senza Mediterraneo è una caricatura di se stessa, della sua geografia, della sua storia, della sua cultura, una condanna al silenzio della sua voce. Questo silenzio sarebbe una amputazione grave della stessa anima europea, la perdita della sua capacità di sentire il proprio sud e il Mediterraneo come una fonte decisiva della propria identità. Un’Europa sena Mediterraneo è un’Europa subalterna al fondamentalismo del Nord – Ovest, un’appendice dell’Atlantico e quindi necessariamente un’Europa divisa da se stessa. Pensare il Mediterraneo non è pensare contro l’Europa, ma pensare un’altra Europa, un’Europa intera ed equilibrata”.
L’ultima parte del bel volume di Franco Cassano è dedicata alla “ragionevole follia” di associarsi per essere uomini civici, allo scopo di contribuire a far passare la nottata, avendo consapevolezza che la nottata siamo noi. Su quest’ultima parte le citazioni sono a maggior ragione amputazioni. Tutto il testo è vivo, e si tiene strettamente, come si tiene la speranza, e la forza di scendere in campo e giocare la partita. L’unico brandello di citazione che mi permetto perché si parla di cose nelle quali sono immerso, è la proposta di costruire anche al sud i distretti industriali (pagina 163) in un disegno di superamento della passivizzazione delle masse. Nel mio piccolissimo mi permetto di citare l’esperienza marchigiana dei distretti, e la necessità di complicare e di allargare quell’idea e quella esperienza dando vita a distretti ecologici, a distretti dove si sperimenti una nuova misura del valore e dello sviluppo. Per portare l’acqua al mio mulino, che – se non ho capito male – è anche il mulino di Cassano. Con la speranza che nessuno dei due sia troppo a vento…

Mariano Guzzini


Gennaio 2005


Storia dell’ambienteStoria dell’ambiente:
una introduzione di Marco Armiero e Stefania Barca
Carocci editore, Roma
212 pag – 16,80 euro

Nella presentazione al volume, Piero Bevilacqua sottolinea il “coraggio” degli autori nell’assumersi l’onere di offrire al pubblico italiano una impegnativa introduzione alla storia dell’ambiente. Le parole non sono scelte a caso. Introdurre nel mondo accademico, o nel supponente ambito di chi ritiene di essere (molto spesso a ragione) addetto ai lavori, una nuova disciplina è una azione che richiede coraggio. E l’avvenimento nel caso specifico si compie attraverso un testo davvero impegnativo.
La storia dell’ambiente vanta pochi decenni di vita, ma ha prodotto una mole considerevole di libri, saggi, articoli che si sono sedimentati sotto forma di letteratura internazionale che a questo punto è molto utile esaminare allo scopo di illustrarne i principali percorsi e le acquisizioni maggiormente interessanti.
Piero Bevilacqua è un personaggio polimorfo, studioso acuto ma anche vivace organizzatore di strumenti per organizzare e riorganizzare le conoscenze. Quindi la sua parola è particolarmente autorevole e rassicurante, quando – come in questa occasione – afferma che il compito è pienamente riuscito.
In effetti Barca e Armiero offrono la possibilità di farsi una idea non superficiale, ma neppure troppo specialistica, di un settore di studi che incarna una delle più profonde rivoluzioni culturali del nostro tempo. La storia dell’ambiente, infatti, non è una nuova disciplina o un ennesimo specialismi accademico.
Come chiariscono gli autori, “si tratta di qualcosa di più ambizioso, un progetto che vuole mettere in discussione l’intero statuto epistemologico delle scienze storiche, lanciando una sfida: rimettere la natura dentro la storia, e riscrivere i libri guardando al modo in cui gruppi, società, nazioni, individui e culture hanno interagito coi loro ambienti, e sono stati influenzati da essi”.
La storia ambientale, quindi, rovescia o, in qualche modo, corregge profondamente ogni visione antropocentrica del nostro passato, e della disciplina che lo analizza e lo ripropone.
Come è nata la necessità di raccontare la storia unificando quello che fino ad oggi era separato e amputato?
Gli autori propongono una “genesi” che deriva da due grandi tradizioni storiografiche: quella delle “Annales” francesi, molto attenta alla geografia (il mediterraneo! Ma anche l’adriatico, con il singolarissimo risultato di produrre a Parigi il più completo volume di storia dell’Adriatico, che non si è visto né a Venezia, né in Ancona, né a Bari, né a Dubrovnik, né a Zara), e quella americana della “frontiera”, che aveva messo al centro della sua ricostruzione gli spazi dell’Ovest.
Da questi antenati, nascono nuovi studi, radicalmente innovativi, che Barca e Armiero presentano al lettore attraverso il rapido richiamo ad alcune figure di rilievo che hanno contribuito a formare la tradizione del pensiero ecologico. A volte tra queste figure si incontrano nomi altisonanti, mostrati sotto una nuova luce, attraverso la presentazione di lati nascosti del loro pensiero. E’ il caso del Marx dei Manoscritti economico-filosofici del 1844, e del terzo libro del Capitale che si sofferma con ampiezza sui problemi della rendita fondiaria. E’ il caso di Malthus e di Polanyi, anche loro trascinati nella tribuna dei padri fondatori.
Ma la parte ancor più innovativa arriva con altri autori, più contemporanei, l’americano Barry Commoner (“il cerchio da chiudere” del 1971), il rumeno Nicholas Georgescu-Roegen, Alfred Crosby (“Lo scambio colombiano”).
La parte davvero appassionante è quella che da conto del lavori degli storici che danno vita a modi nuovi di leggere la realtà di differenti ambiti nazionali, compresa l’Italia, ricollocando la natura al posto che le compete in quanto totalità imprescindibile del nostro esistere, prima ancora che del nostro agire. La natura che viene prima della storia e che è, inestricabilmente, dentro la nostra storia. Questa osservazione modifica il punto di vista secolare di tutti gli autori che si sono occupati dello sviluppo, inteso come principio organizzativo di tutti i testi che si sono occupati di storia e di quanti hanno fatto ricerca storica.
La favola di un avanzare progressivo dell’umanità verso un futuro sempre più radioso è oggi dissolta da un nuovo racconto che ci mostra come il procedere delle società sia portatore di sempre più evidenti e devastanti distruzioni. L’ambientalismo e la storia dell’ambiente hanno quindi risvegliato l’umanità da un lungo sonno dogmatico.
Il lavoro di Barca e Armiero ricostruisce le tappe dell’avventura di una avventura culturale che ha cambiato il modo di fare e di leggere la storia. Il volume è suddiviso in cinque capitoli. Il primo – “storia” – racconta la nascita della storia ambientale illustrandone le fonti e i metodi; il secondo – “natura” – offre alcuni spunti per la definizione del concetto di natura secondo le scienze sociali; il terzo – “economia” – mette in relazione la storia ambientale con quella economica, analizzando temi come la rivoluzione industriale e l’energia. Nel quarto capitolo – “risorse” – si esaminano alcuni grandi filoni di indagine storico-ambientale e alcune catastrofi ambientali. Nel quinto, infine, - “ecologia” – si ripercorre la storia delle idee ecologiche, dei conflitti ambientali e dei movimenti ambientalisti negli ultimi due secoli.
Marco Armiero insegna storia contemporanea e storia dell’ambiente all’Università di Napoli; Stefania Barca è dottore di ricerca. Ad entrambi va un forte ringraziamento per un lavoro che potrebbe mettere in crisi alcune delle più ottuse paratie stagne che rendono faticoso e molto spesso inutile l’impegno di chi tenta di sperimentare nelle aree protette e nel mondo della cultura percorsi progettuali e azioni esemplari che abbiano a che fare con la natura e con l’uomo, senza fratture, senza contrapposizioni e senza tragici malintesi.

Mariano Guzzini



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del Giornale dei Parchi