Alpi, regione d'Europa:
tra conservazione della natura, comunità locali e relazioni tra stati


Alpi

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LA REGIONE ECOLOGICA DELLE ALPI: MANCANZA DI UN GOVERNO UNITARIO
La catena alpina è il tassello orografico centrale dell'Europa: estesa dal Mediterraneo alle più alte quote montane, essa custodisce il più vasto campionario possibile di ambienti e di condizioni fitoclimatiche del continente; per questo ospita la gran parte delle specie di flora e fauna europea, con una notevole presenza di endemismi che formano la memoria biologica della tormentata e relativamente recente storia geologica di questo territorio. Le Alpi sono anche uno straordinario ponte biotico, che collega la regione balcanica con l'ovest europeo, e le catene montuose della regione mediterranea (Appennino, Massiccio Centrale) con i Carpazi e le pianure dell'Europa atlantica e danubiana. I recenti fenomeni di ritorno dei grandi predatori, con la prospettiva di ricongiungimento di popolazioni separate da secoli, sono la testimonianza più evidente di questa funzione ecologica.
A dispetto dell'unitarietà geografica e dell'unicità ecologica, le Alpi sono intersecate da numerose linee di confine: il territorio montuoso è così condiviso con Francia, Austria e Germania (UE), e con Svizzera, Liechtenstein e Slovenia (paesi non UE). Una divisione che, per di più, semplifica la straordinaria complessità del 'mosaico' di culture e lingue che compongono un edificio etnografico e culturale tra i più articolati del mondo. Basti pensare al territorio del nostro Paese, dove a quella italiana si affiancano comunità e 'isole linguistiche' di cultura germanica, francese, balcanica, ladina.
Ma l'eterogeneità politica e culturale, se da un lato è ricchezza, è anche diversità e separatezza negli ordinamenti istituzionali: ciò fino ad oggi ha contribuito ad impedire la realizzazione di politiche incisive per l'intera regione alpina.
All'interno dell'arco alpino, l'Italia ha un ruolo privilegiato: si tratta infatti dell'unico Paese che ne abbraccia l'intera estensione, dal Colle di Cadibona all'Istria. Ciononostante il nostro Paese non ha mai dimostrato adeguata considerazione delle problematiche connesse da un lato alla conservazione della natura sulla montagna alpina e dall'altro alle profonde trasformazioni che ne hanno interessato la struttura economico-sociale negli ultimi decenni. Eppure il ruolo delle Alpi è tutt'altro che secondario: esse sono cerniera obbligata di transito tra l'Italia e il resto del continente, pertanto sono attraversate da intense direttrici di traffico, che esercitano forti impatti sulla continuità degli ecosistemi e sulla qualità della vita delle popolazioni residenti nelle valli; le Alpi producono una buona fetta del fatturato turistico del nostro Paese: un'industria del turismo che, affianco ad alcuni esempi di fruizione sostenibile del territorio, è però soprattutto legata ai mastodonti dello sport invernale, che producono benefici occupazionali limitati ed immani impatti ambientali sui vulnerabili ambienti d'alta quota; le Alpi sono la principale risorsa idrica del nostro paese, intensamente sfruttata anche per la produzione energetica, con gravi sconvolgimenti sui fondovalle e sulla continuità ecologica dei corsi d'acqua, senza che fino ad oggi si siano attuate adeguate strategie di moderazione dei danni provocati.
 

LA CONVENZIONE DELLE ALPI: UNA PROSPETTIVA UNITARIA PER LA SALVAGUARDIA DELLE ALPI
Lo scorso 29 settembre il Parlamento Italiano ha ratificato la Convenzione delle Alpi, un trattato vincolante di diritto pubblico internazionale per la tutela e lo sviluppo sostenibile delle Alpi di cui le associazioni ambientaliste dei paesi alpini sono state animatrici e sostenitrici attraverso la CIPRA , organismo di cui Legambiente è membro. Con questo atto le Alpi acquisiscono, per la prima volta, uno strumento riconosciuto da tutti i partner alpini per il governo unitario delle questioni che attengono alla conservazione e tutela dell'ambiente alpino.
Dopo intense trattative gli stati alpini e la Comunità Europea firmarono la Convenzione il 7 novembre 1991 a Salisburgo.
Si costituirono fin da allora gruppi di lavoro per elaborare i primi protocolli e i Paesi passarono alla fase che prevede la ratifica parlamentare, necessaria per l'operatività della Convenzione. La Convenzione entra in vigore dal marzo 1995 a seguito della ratifica di Austria, Germania e Liechtenstein. L'Italia è stata l'ultimo Paese a ratificare la Convenzione: per questo ritardo il nostro Paese finora ha partecipato alle Conferenze delle Alpi in qualità di semplice osservatore e ha perso l'occasione di assumerne la Presidenza, negando di fatto il riconoscimento delle linee guida della Convenzione nelle politiche nazionali e locali.
In ogni caso, è opinione condivisa e sostenuta dalla CIPRA che, perchè si possa passare alla fase attuativa, è necessario che si insedi una Segreteria Permanente, in assenza della quale accordi apparentemente concreti ed efficaci rimangano sulla carta. Per quanto riguarda il nostro Paese, dopo la ratifica della Convenzione è ora indispensabile riguadagnare il terreno perduto: per fare ciò è necessario procedere alla rapida ratifica dei Protocolli già firmati e, soprattutto, inserire nella programmazione nazionale le azioni necessarie a dare attuazione alla Convenzione. Tra le azioni prioritarie riteniamo inderogabile il riconoscimento delle Alpi come sistema territoriale prioritario del progetto di Rete Ecologica Nazionale, anche per il ruolo di collegamento geografico e funzionale con la omologa rete europea prevista dalla direttiva Habitat.
 

LE AREE PROTETTE SULLE ALPI: DAL PIONERISMO AI SISTEMI REGIONALI DELLA "RETE ALPINA"
Il primo parco alpino nasce in Svizzera nel 1914: è il Parc Naziunal Svizzer, ancor oggi unico parco nazionale di questo paese. Seguiranno l'Italia con il Gran Paradiso (1922), l'attuale Slovenia con Triglav (1924) e l'Austria con Karwendel (1928). Per Germania e Francia la storia dei parchi alpini appartiene invece agli ultimi decenni, periodo in cui si avviano anche le diverse esperienze di parchi regionali. In Italia i primi parchi regionali alpini nascono in Trentino (Adamello-Brenta, Paneveggio - Pale di S.Martino, 1967) Sudtirolo (Schlern, 1974) Lombardia (Colli di Bergamo, 1977) Piemonte (valle Pesio e Tanaro, 1978) seguiti molto dopo da Valle d'Aosta (Mont Avic, 1989), Veneto (Dolomiti d'Ampezzo e Lessinia, 1990) e Friuli (Dolomiti Friulane e Prealpi Giulie, 1996), divenendo quasi sempre capostipiti di articolati 'sistemi regionali' di aree protette. Oggi le Alpi italiane ospitano 4 parchi nazionali, 32 parchi regionali e oltre 100 biotopi protetti.
Negli anni si è pertanto definita una 'geografia' delle aree protette che si sono sempre più solidamente attestate sull'arco alpino italiano, al punto di assicurare la copertura di comprensori montani particolarmente estesi, in particolare nelle Alpi Centrali e Orientali; un panorama in cui non mancano esempi di eccellenza, come nel caso del Parco Regionale delle Alpi Marittime, che già collabora con il confinante parco francese del Mercantour e che ha ricevuto importanti riconoscimenti internazionali, o in quello del giovane e dinamico parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Non ci si può però nascondere l'esistenza di gravi elementi di debolezza nell'attuale stato di fatto delle aree protette alpine. Scendendo ad una scala di maggior dettaglio, occorre infatti misurarsi con le carenze della perimetrazione delle singole aree protette: gran parte del territorio dei parchi è ritagliato sulle alte quote montane, spesso perfino oltre il limite della vegetazione forestale, mentre sostanzialmente sguarniti sono i fondovalle e i versanti alle quote della foresta di latifoglie. Aree protette relegate ad una condizione di marginalità finanche eccessiva, al punto di divenire vere e proprie 'isole', povere di connessioni territoriali e in generale povere anche di relazione con il tessuto sociale, quindi, in definitiva, deboli nella negoziazione locale.
Una debolezza aggravata dalla situazione di grave crisi delle politiche di conservazione in alcune regioni del Nord Italia. Sicuramente le situazioni meno propizie sono in questo momento quelle di Lombardia e Friuli, dove l'investimento fatto negli anni passati attraversa una fase di profonda recessione. Grave anche l'assenza di intervento nelle Alpi Liguri, dove la nascita di un parco previsto dalla Regione è fortemente avversata dai poteri locali: ciò crea una lacuna nell'attestazione di istituti di conservazione in corrispondenza della strozzatura geografica che collega Alpi e Appennino.
Non ci si può nascondere che sulle Alpi, così come in generale nelle regioni del Nord Italia, l'investimento dello Stato è stato carente e più spesso assente se comparato a quanto invece ha potuto avvenire nel Centro e nel Sud Italia: ciò ha contribuito all'abbassamento del livello di attenzione da parte di amministrazioni regionali già di per sé scarsamente motivate al consolidamento delle loro aree protette. La situazione attuale si può perciò definire grave, soprattutto per il rischio di perdere acquisizioni, competenze ed esperienze che fino a pochi anni fa apparivano consolidate.
L'attuazione del protocollo 'Protezione della Natura e Tutela del Paesaggio', nelle forme previste dal nostro Paese con il progetto di Rete Ecologica Nazionale, è perciò una inderogabile priorità di intervento per il rilancio di un sistema di aree protette sulle Alpi.
 

AREE PROTETTE E CATENA ALPINA NEL PROTOCOLLO "PROTEZIONE DELLA NATURA E TUTELA DEL PAESAGGIO"
Durante la terza Conferenza delle Alpi (Chambery, 12 dicembre 1994), il rappresentante del Governo Italiano apponeva la propria firma in calce ai primi tre protocolli approntati dagli esperti nominati dal Comitato Permanente della Conferenza delle Alpi. Venivano così perfezionati i protocolli 'Agricoltura di Montagna', 'Pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile', 'Protezione della Natura e tutela del paesaggio'. Quest'ultimo assume l'obiettivo di proteggere e, ove necessario, ripristinare natura e paesaggio, per assicurare durevolmente l'efficienza funzionale degli ecosistemi, la conservazione degli elementi paesaggistici, delle specie e degli habitat naturali. Il protocollo è la risultante di un processo negoziale tra Stati, con posizioni di partenza estremamente differenti per la diversità di ordinamenti e di orientamenti culturali del territorio alpino. Anche gli approcci alla conservazione della natura sono diversi, per la eterogeneità nelle forme e nell'intensità di utilizzo delle risorse del territorio da parte delle comunità insediate. Come risultato di questa negoziazione, sono evidenti alcuni elementi di debolezza, come l'utilizzo di formulazioni troppo generiche in materia di vincoli limitativi degli usi del territorio e norme permissive sull'introduzione di OMG.
A parte queste incongruenze, il Protocollo fornisce importanti stimoli alla creazione di aree protette transnazionali, ponendo le basi di un coordinamento e di un potenziamento dei parchi naturali, biotopi e altri territori protetti o meritevoli di tutela. Le disposizioni del protocollo mirano a promuovere la cooperazione internazionale, l'interconnessione a rete dei biotopi, la prevenzione e il risanamento di compromissioni della natura e del paesaggio, ed a favorire la concertazione tra istituzioni ed enti territoriali. Vengono inoltre introdotte specifiche misure, volte a rappresentare e aggiornare periodicamente lo stato di fatto (una 'carta della natura' alpina) ed a stabilire programmi e piani di protezione, gestione e sviluppo, ad armonizzare la pianificazione paesistica con quella territoriale, a gestire, ampliare e istituire nuove aree protette al fine di creare le reti nazionali e quella transfrontaliera. Per il perseguimento di questo obiettivo nel 1997 si è fra l'altro costituito un organismo tecnico, la Rete delle Aree Protette Alpine, che ha sede a Grenoble ed ha organizzato un denso calendario di seminari e iniziative che hanno permesso di stabilire uno scambio permanente tra enti gestori, tecnici ed operatori delle aree protette. La 'rete alpina' è quindi già una realtà, almeno tra gli addetti ai lavori, che dovrà però trovar sostegno, nel nostro Paese, negli indirizzi della programmazione nazionale per la costituzione della Rete Ecologica Nazionale.
Le aree protette alpine in questo momento formano un tassello fondamentale nella geografia dei sistemi territoriali e del paesaggio del nostro Paese. Su di esse è necessario un investimento volto al consolidamento del loro ruolo nei confronti delle aspettative delle comunità, specialmente per quanto riguarda le aree protette regionali e quelle istituite dagli enti locali. Per questo è importante che l'attuazione del protocollo si traduca in una trasversalità di iniziativa tale da far dialogare le politiche di conservazione con quelle che attengono alla gestione degli spazi rurali e forestali, alla strategia di sviluppo turistico, a quella dei trasporti e dello sfruttamento energetico, nello spirito proprio della Convenzione.
La Convenzione, appena ratificata, rischia di diventare precocemente uno strumento inefficace se ad essa non si affiancheranno le politiche degli Stati firmatari, e se, attraverso l'attuazione dei protocolli, non si riuscirà ad orientare i flussi degli investimenti pubblici e privati nella direzione della sostenibilità: un accordo di diritto internazionale da solo non è sufficiente a riorientare i flussi turistici o a smorzare le aggressioni degli impianti per lo sport invernale, delle grandi infrastrutture di collegamento, dello sfruttamento eccessivo della risorsa idrica.