Vie Verdi lungo il mediterraneo occidentale: il progetto Rever Med - MedOcc.


Portogallo, Spagna, Francia e Italia hanno varato nel 2002 il progetto denominato “Rever Med” nell'ambito dell'Interreg IIIb Medocc, dando vita ad una iniziativa per la realizzazione di un Piano direttore per la costruzione di una estesa rete di percorsi definiti come “Vie Verdi” ovvero, secondo la definizione data dal gruppo di lavoro in occasione dell’incontro fondatore di Lille del 12 settembre 2000: "Vías de comunicación autónomas reservadas a los desplazamientos no motorizados, desarrolladas en un marco de desarrollo integrado que valore el medio ambiente y la calidad de vida, cumpliendo las condiciones suficientes de anchura, pendiente y calidad superficial para garantizar una utilización en convivencia y seguridad a todos los usuarios de cualquier capacidad física”.
L'11 e 12 dicembre 2003 si è tenuto in proposito a Siviglia, nella luminosa Andalusia, sotto l’organizzazione dell’Assessorato all’Ambiente un incontro di rapporto sulle attività svolte. Si è trattato di un momento nel quale sono stati confrontati i diversi momenti di attuazione del progetto che sostanzialmente si muove su due linee di azione: la redazione di un “Piano direttore” che individui la rete dei percorsi verdi e i “Progetti pilota”, esempi dimostrativi delle possibili realizzazioni proponibili nell’ambito del progetto generale.
E' una iniziativa che si fonda innanzi tutto sulla conversione delle linee ferroviarie dismesse e della rete dei cosiddetti “tratturi” (percorsi della transumanza storica) integrando in tale sistema tutte le altre possibili reti dedicate alla mobilità non motorizzata e riferibili alle reti dei percorsi ciclabili e dei percorsi pedonali. I tratturi, ad esempio, in particolare in Spagna e Portogallo hanno una estensione di particolare valore e con una riconversione che interessa un sistema che oggi presenta una ricca serie di realizzazioni che nel corso dell’incontro sono state ampiamente descritte. Muovendoci verso est la situazione si fa via via meno fitta anche in ragione delle diverse caratteristiche territoriali. A tale proposito è significativo rimarcare come la parte spagnola abbia come partner tecnico la Fundación de los Ferrocarriles Españoles che ha sviluppato una specifica azione in merito al recupero delle rei ferroviarie dimesse.
La situazione Francese è infatti meno estesa, anche se il sistema delle “Vie Verdi” ha un assetto organizzato, che però è concretamente attuato per un 10% del progetto nazionale. In Italia aderiscono al progetto la Provincia di Torino, la Provincia di Modena, il Comune di Roma , la Regione Sicilia, la Regione Emilia-Romagna, la Regione Lombardia, la Regione Liguria , il Parco regionale del Lambro, il Comune di Milano e l’Università di Milano, con l’assistenza tecnica dell’Associazione Greenways Italia.
Il progetto prevede anche la creazione di una cartografie consultabile su internet, basata sulla tecnologia software Gis, che consentirà di interrogare con ampie possibilità l’intera area geografica coinvolta nel progetto.
Il momento di confronto ha affrontato anche il tema della gestione di queste nuove infrastrutture che in momento di crisi delle risorse pubbliche per la gestione e la manutenzione deve essere affrontato adeguatamente per garantire la sostenibilità economica degli interventi.
A questo proposito è stato sottolineato come si tratti comunque di un servizio pubblico alla stessa stregua della rete viabile ordinaria ma che comunque questo tipo di strutture può anche avere un interesse per i privati in sistemi di gestione integrata e partecipata mista.
E' stato anche in parte affrontato il tema del confine fra Vie Verdi e Greenway, anche in quanto l'iniziativa vede la partecipazione tecnica dell'Associazione Greenways Italia. Grazie al contributo del Prof. Roberto Gambino del Politecnico di Torino si è potuta verificare la sostanziale differenza fra l'idea di Greenway nell'esperienza europea ed in quella americana, nella quale il concetto si afferma in una sua concezione più estesa, ovvero di vero e proprio sistema territoriale di salvaguardia e promozione del territorio che poco ha a che vedere con una rete di percorsi dedicati alla mobilità non motorizzata.
E' necessario quindi tenere in maggiore considerazione l'importanza di non confondere i termini, riconducendo il caso europeo al tema complesso ma definito della viabilità alternativa e quindi appunto della rete delle Vie Verdi, che possono costituire una nuova trama di mobilità sostenibile dove la bicicletta costituisce il mezzo principe per i trasferimenti, anche in contesti ambientali o di interesse turistico e paesaggistico.
Le Greenway restano invece e percontro quel complesso sistema di tutela e promozione del territorio che è riduttivo ricondurre ad un insieme di percorsi, mantenendone il suo significato di programma di valorizzazione e pianificazione territoriale come nuova frontiera delle aree protette, un nuovo soggetto speciale per una attenta gestione territoriale.
Il movimento delle Greenway in Europa ha avviato un suo lavoro che però appare connesso più ad una linea di lavoro che si può ricondurre al progetto delle reti di percorsi più che alla filosofia statunitense delle greenway (come al esempio la Hudson Greenway River) che, a ben vedere, appare essere certamente più stimolante e che non dovrebbe essere utilizzato per una visione europea di ben altra tipologia. E’ certamente vero che l’esperienza europea ed il suo territorio rendono quanto mai più difficile attuare progetti della natura delle greenway statunitensi. Tuttavia anche nel nostro continente si può pensare che programmi di tale natura, ovviamente adattati opportunamente, possano avere un futuro.
E’ peraltro su questa strada che il Po e l’Hudson avevano iniziato un percorso di collaborazione proprio per scambiare esperienze in merito e per avviare un possibile gemellaggio del quale anche sulla Rivista Parchi si era dato riscontro. Un progetto che forse è in procinto di ripartire nel 2004.

Ippolito Ostellino


Sull’articolo un commento di Renzo Moschini
L’articolo di Ippolito Ostellino si riferisce ad una particolare esperienza in corso che riguarda alcuni paesi europei. Già nelle definizioni egli ha dovuto opportunamente precisare che l’assonanza con altre esperienze soprattutto americane non deve trarre in inganno tante sono le differenze sostanziali come risulta chiaramente dall’articolo di Gambino riportato a ‘corredo’.
Di iniziative che si rifanno a vari progetti comunitari e che coinvolgono, sovente con un ruolo di primo piano le aree protette di vari paesi anche esterni all’unione europea, se ne contano ormai numerose. Mi chiedo se questo proliferare di sigle dietro cui sono identificabili progetti, programmi, esperienze concrete quasi sempre scollegate fra di loro, non ponga un problema ai parchi e a tulle altre istituzioni coinvolte. Il problema di individuare sedi e creare strumenti in cui sia possibile raccordare questo complesso di iniziative, coglierne e dargli un senso meno frammentato.
Oggi non v’è documento comunitario ma anche nazionale, delle regioni e degli enti locali che a questo riguardo non sottolinei l’esigenza di una maggiore ‘coesione’, ‘integrazione’, ‘cooperazione’ delle politiche comunitarie.
I parchi non potrebbero - nel momento in cui si pongono l’esigenza di coinvolgere sempre più tutte le aree protette e non soltanto i siti in questo impegno sovranazionale- cominciare a fare un preciso ‘inventario’ di quel che bolle in pentola, anzi nelle varie pentole?




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