Grandi eventi sportivi invernali e parchi: convivenza impossibile?


Il caso dei Campionati Mondiali di Sci Alpino del 2005, che coinvolgeranno direttamente il territorio del Parco Nazionale dello Stelvio per quanto riguarda le competizioni programmate dalla FIS (Federazione Internazionale dello Sci) a Santa Caterina Valfurva, ha posto sotto i riflettori la questione della convivenza possibile tra un grande evento sportivo ed una area protetta montana. Una convivenza sicuramente problematica ma che in linea di principio, laddove il parco includa aree già attrezzate per questo genere di competizioni (è il caso di Santa Caterina, che ospitò una analoga competizione anche nel 1985), può anche giungere a virtuosa mediazione, una sfida di sostenibilità da cogliere. Questo – almeno – fu l’approccio seguito anche da Legambiente nel momento in cui, nel 2001, chiese alla Regione Lombardia (l’attore istituzionale maggiormente coinvolto nell’evento) di accogliere una sfida di sostenibilità per produrre un evento la cui progettazione e realizzazione fosse all’altezza della vulnerabilità dei siti interessati alle gare. Nel caso dei Mondiali la storia è nota: la Regione non rispose alle sollecitazioni degli ambientalisti se non di fronte ai ricorsi amministrativi presentati dall’associazione, quando ormai i danni erano fatti e si poteva solo sperare di recuperare una parte dei cocci. Peraltro il caso dei Mondiali 2005 (ma si tratta di un dato tutt’altro che inconsueto) è viziato da originarie e prevalenti aspettative speculative, assecondate dalla delegazione italiana della FIS, in virtù delle quali l’evento Mondiale è mero pretesto per creare una ‘straordinarietà’ in grado di superare la normativa di tutela e ottenere l’emanazione di provvedimenti inconcepibili in condizioni ordinarie ma richiesti a più riprese (e puntualmente respinti) nel corso del quindicennio precedente. Nello specifico, si tratta dell’infrastrutturazione sportiva della Valle dell’Alpe e del suo collegamento in un carosello sciistico Bormio-Valfurva sviluppato tutto entro il Parco Nazionale. Per inciso si tratta di opere estranee dalle competizioni ma incluse nei provvedimenti approvativi delle piste agonistiche che si sviluppano in tutt’altri versanti.
L’evento del Mondiale 2005 dovrebbe essere esaminato per la propria specificità che ha amplificato il potenziale destrutturante nei confronti del Parco Nazionale, nello stesso periodo impegnato nella difficile partita della redazione del Piano. In ogni caso possiamo affermare che – a differenza delle altre discipline sportive, che richiedono strutture da realizzarsi in ambiti cittadini o metropolitani - gli eventi sportivi invernali, nella dimensione assunta negli ultimi decenni, sono generalmente incompatibili non solo con l’esistenza di un’area protetta, ma con la stessa dimensione ambientale ed economico-sociale delle località montane in genere. La CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) ha da tempo dimostrato con i propri dossier che gli eventi sportivi invernali si chiudono quasi sempre con un complessivo bilancio negativo, e spesso con esiti catastrofici per le comunità locali; sempre più numerosi sono i comuni che hanno fatto bancarotta dopo aver ospitato una simile competizione, e la ragione è semplice: l’ipertrofia delle dotazioni richieste (centri stampa, ski stadium, parcheggi, strutture atletiche, di assistenza, di soccorso, villaggi olimpici, ecc.) non ha riscontri nei bisogni di un piccolo comune montano, che però è costretto a contrarre in tutta fretta mutui esosi per concorrere alla loro realizzazione e che, finito il circo, si ritrova con edifici e strutture del tutto inutili, per cui al costo del mutuo si somma l’onere della gestione infruttuosa a cui segue spesso anche quello dello smantellamento. Anche l’immagine di una località non trae in genere significativi benefici: nel caso dell’edizione di San Moritz 2003 anzi l’incoming turistico è addirittura crollato nei giorni dei mondiali, perché i visitatori abituali hanno evitato di prenotare settimane bianche temendo che le manifestazioni turbassero la tranquillità della celebre località engadinese. I cultori dello sci agonistico, invece, hanno preferito godersi lo spettacolo al caldo del salotto di casa, nonostante gli organizzatori fossero giunti al punto di offrire l’accesso gratuito alle tribune semivuote dello ski-stadium.
Di fronte a simili esiti non stupisce che molte località proposte per lo svolgimento di competizioni internazionali abbiano declinato l’invito, spesso a valle di consultazioni popolari (l’ultima nel 2002 nell’Oberland Bernese): non una opzione di sottosviluppo, ma semplice avvedutezza e capacità di futuro. Le conseguenze ambientali del grande evento si trascinano nel tempo: i comuni indebitati, per pagare i debiti contratti, non hanno molte alternative al rilascio di concessioni edilizie facili; Villettopoli è spesso l’esito inevitabile.
Valfurva non fa certo eccezione: gli apologeti della ‘grande occasione di sviluppo’ rappresentata dai Mondiali 2005 dovrebbero riflettere sul fatto che oggi questa località afferma di essere in grave recessione: ma non fu proprio a Valfurva che si svolsero i Mondiali del 1985? Che esito hanno avuto gli investimenti fatti in quella occasione? Lo ricordiamo brevemente: per realizzare piste e ski stadium venne demolito il complesso storico delle fonti ferruginose, e grazie a ciò oggi Valfurva ha una attrattiva in meno, il termalismo. La nuova edizione dei Mondiali si accanisce contro l’altra grande risorsa: il Parco Nazionale dello Stelvio, per prospettarvi apocalittici scenari di espansione del comprensorio sciistico. Una simile scelta costringerà ancor più di oggi la valle a vivere della monocoltura dello sci, con tutti i rischi e i limiti che sono propri di un turismo monotematico e lontano da una prospettiva di qualità. Come se ciò non bastasse, la facilità con cui si sono ottenuti i nulla osta ora sta scatenando grandi appetiti negli altri versanti del Parco Nazionale: le richieste di nuove autorizzazioni per piste e impianti sono proliferate anche nei versanti trentino e sudtirolese, da Pejo alla Cima Solda.
Alla prova dei fatti i grandi eventi sportivi si dimostrano incompatibili con le aree protette montane, almeno finchè non verrà recuperata la centralità dell’occasione agonistico-spettacolare. La sfida della sostenibilità potrà tornare ad essere possibile e interessante quando punterà sulla produzione di esternalità positive in termini di qualità ambientale, sostenibilità dei progetti rispetto ai valori tutelati, introduzione di intelligenti accorgimenti, ad esempio con riferimento al risparmio energetico, alla certificazione degli approvvigionamenti, alla valorizzazione complessiva del territorio in chiave multifunzionale… quando in altre parole diverrà pretesto di innovazione e non, come oggi, di semplice speculazione.


Damiano Di Simine
Osservatorio Alpi, Legambiente



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del Giornale dei Parchi