Montanari per scelta

Nel superare la sbornia delle magnifiche sorti progressive di uno sviluppo insostenibile, di consumo e di conurbazione, nel pieno di una ingovernata ed oligarchica competitività globale, lentamente ci si accorge che il vero valore aggiunto, non delocalizzabile di un territorio consiste proprio nelle sue peculiarità e diversità bioculturali, nelle produzioni tradizionali, in contesti relazionali esclusivi: beni tutti da conservare a da valorizzare non solo come credibili potenzialità di nuova economia ma anche quali garanzie di qualità ed equità, attuali e future, del vivere questi luoghi per le comunità locali. […]

Municipalità dal significativo disagio insediativo, a bassa densità demografica, con mezzi economici ridotti a fronte di ambiti territoriali estesi e complessi, uno scarso dinamismo migratorio e naturale, […] con determinazione tentano di prendersi in mano il proprio destino e in collaborazione con i Parchi cercano di trasformare le proprie peculiarità in opportunità di luoghi ad elevata e mantenuta naturalità, dotati di produzioni di nicchia, antichi saperi, suggestive pluralità culturali, relazioni sociali ed intergenerazionali strette, scenari ed atmosfere in altri contesti perdute definitivamente.
Tradizioni ed identità che non traggono ossigeno dall’arroccamento in enclave, da ingenue nostalgie, chiusure regionalistiche, bensì da cooperazione ed autoimprenditorialità, da un rinnovato orgoglio di appartenenza che è coesione sociale, senso del limite, disponibilità allo scambio creativo e innovativo con la pianura, la città e le dimensioni affini transnazionali.
La rete alpina delle aree protette (4 parchi nazionali, 32 parchi regionali, oltre 100 biotopi protetti nel solo versante italiano) è impegnata a rispondere concretamente a questa sfida dell’ apertura, della feconda contaminazione e della competizione economica, cercando di modificare a proprio vantaggio e nel rispetto della capacità di carico dell’ambiente, i rapporti di scambio attraverso scelte strategiche che si fondano sulla qualità, sull’innovazione e sulla partecipazione.

[…] cito sinteticamente solo alcune esperienze virtuose e trasferibili attuate in questi contesti:
  • La certificazione integrata qualità ambiente, organizzativa e del territorio (primi parchi in Europa sono italiani ed alpini);
  • L’ospitalità diffusa familiare quale strategia per un intelligente recupero funzionale del patrimonio edilizio esistente, per la conservazione delle tipologie edilizie tradizionali e l’integrazione del reddito dei presidi montani;
  • La rinaturazione dei fiumi, la gestione e manutenzione mirata degli Habitat prioritari, dei pascoli e dei prati come precondizioni della conservazione delle biodiversità, del paesaggio agrario e contestuale rilancio dell’attività di alpeggio;
  • Realizzazione di aree “fossil free” con innovative risposte al fabbisogno energetico attraverso fonti rinnovabili: cogenerazione, fotovoltaico, solare termico, microidroelettrico e tutta la significativa e potenziale filiera del legno e delle biomasse;
  • L’attivazione di iniziative e di percorsi di apprendimento e di formazione permanente con master dedicati, laboratori didattici e centri studi sulla vulnerabilità e sensibilità degli ambienti, sulle emergenze idrogeologiche e pirologiche, sugli impatti relativi ai cambiamenti climatici;
  • Il sostegno alla multifunzionalità delle attività produttive e di servizio attraverso progetti quali le malghe modello, le fattorie didattiche, l’ intermodalità nel trasporto (“Al Parco con l’autista” guide+ navette+bici+treno);
  • Il recupero delle cultivar tradizionali con banche dati agronomiche e antropologiche, il sostegno alla conversione al biologico, la promozione e distribuzione breve e locale delle produzioni agricole, artigianali ed artistiche;
  • La creazione di agenzie di sviluppo e marketing territoriale per la crescita produttiva e la valorizzazione di servizi turistici e commerciali quali l’accoglienza incoming ed i punti vendita attraverso il piccolo commercio diffuso.

Non interventi puntiformi quindi, ma progetti locali articolati e coerenti con visioni strategiche integrate tra settori interconnessi quali le dinamiche demografiche, l’agricoltura, il turismo, la mobilità, la formazione, il terziario avanzato.
E’ urgente e irrinunciabile quindi adeguare a queste nuove complessità l’impianto normativo di riferimento per le aree montane, con scelte concrete che ne riconoscano la specificità e ne compensino le fondamentali funzioni di presidio, conservazione e valorizzazione di ambienti che rappresentano una fondamentale memoria culturale ed un importante ponte biotico per l’Europa.
Mi riferisco in particolare alla riforma della legge 97, alla ratifica ed all’attuazione dei protocolli della Convenzione delle Alpi, all’attivazione del sistema territoriale dell’arco alpino previsto dalla legge 426 del ‘98, alla definitiva approvazione delle misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, ad un concreto riconoscimento di sussidarietà ed autogoverno per le aree di montagna negli statuti regionali, fino alla definizione di uno specifico programma di interventi dell’U.E. per la montagna in sede di ridefinizione dei fondi a finalità strutturali.
Norme quadro, deleghe, incentivi ed indennizzi però non sono sufficienti a ridisegnare scenari sostenibili per queste terre e le nostre comunità se non sapremo “fare società locale” attraverso forme di governo sorrette da processi realmente partecipativi e di concertazione, in una prioritaria alleanza con i Comuni, che partano innanzitutto da una “ritrovata coscienza” dei luoghi e del valore del patrimonio territoriale inteso come bene comune condiviso.
Progresso e benessere non coincidono solo con la crescita economica, ma sono frutto anche della qualità dell’ambiente e dell’abitare, di relazioni solidali e di reciprocità tra le persone che vivono nei nostri paesi, di ritmi lenti, di produzioni uniche e naturali, della vera ricchezza che consiste nell’essere sobri e consapevoli nei consumi.
Sta crescendo forse una nuova generazione, di montanari non per appartenenza ma per scelta, per etica e per estetica.
Tra l’abbandono e la banalizzazione della montagna esiste un “altro” futuro, difficile ma possibile: costruiamolo insieme.

Valter Bonan
estratto dall’intervento al Convegno “Alpi, ritorno al futuro” (Torino, 20 febbraio 2004)




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del Giornale dei Parchi