Parchi del Lazio, i conti col territorio


Come entra un’area protetta a far parte di un sistema sociale ed economico locale ? Entro quali confini di sviluppo territoriale si collocano, e quanto consapevolmente, le politiche di conservazione attiva messe in campo dai parchi oggi? Con questi non semplici e per certi versi inediti temi si è confrontato un duplice studio promosso dall’Arp, l’Agenzia regionale parchi del Lazio presieduta da Maurilio Cipparone, e realizzato da Paolo Belloc, autorevole economista e presidente dell’Isri, l’Istituto di studi sulle relazioni industriali.
Il primo prodotto della ricerca, ultimato in verità già da tempo ma presentato solo nei giorni scorsi a Roma, è una ponderosa Analisi socio-economica delle aree protette del Lazio. Quasi cinquecento pagine fitte di dati e tabelle che incrociano dati ufficiali (fonti Istat, Ministero delle Finanze, Inps, etc.) riferiti a 137 Comuni coinvolti dalla presenza di 47 tra parchi e riserve, per uscire dai luoghi comuni e documentare con rigore la realtà entro cui le aree protette del Lazio si trovano ad operare.
Vocazioni, punti di crisi e specialità vengono qui elencate e messe a confronto con la presenza dell’area protetta, a cui sarebbe comunque un errore – è una delle indicazioni più oneste della ricerca – attribuire virtù taumaturgiche. Si va dalla tutela del paesaggio e dal necessario rapporto con una radicata economia di tipo rurale alla riserva di Tuscania al “deserto” socio-economico del parco dei monti Simbruini (con 30 mila ettari è il più grande della regione), dove in certi Comuni il reddito pro-capite è un quarto di quello medio regionale, imprese e lavoratori autonomi non esistono (ma proprio nemmeno uno, stando ai dati delle Finanze) e l’85% di chi ogni anno compila la dichiarazione dei redditi è un pensionato. Dai dati raccolti nella ricerca emerge con chiarezza anche la bomba ecologica innescata da qualche tempo nei parchi della cintura metropolitana, i cui territori accolgono le ondate migratorie dei romani in fuga dalla città. Castelli Romani, Bracciano-Martignano, Vejo, Appia Antica, Nomentum sono solo alcune delle aree protette prossime a Roma dove non solo la pressione edilizia sta raggiungendo livelli insostenibili, ma dove l’improvviso ringiovanimento della popolazione residente porterà nei prossimi anni all’esplosione delle domande di lavoro e abitazioni.
Di carattere opposto sono i problemi socio-economici con cui si misurano altri parchi del Lazio, collocati perlopiù in aree interne o comunque marginali. Il caso esemplare è quello della riserva del Navegna e Cervia, 3500 ettari nella montagna reatina. Qui i nove Comuni interessati contano in tutto appena tremila residenti, con una densità pari a 18 abitanti per Kmq e un’emorragia demografica incessante che ha contratto il numero di giovani del 45% in soli dieci anni. Appare evidente come l’area protetta da sola qui possa fare ben poco, e che ogni intervento di valorizzazione vada accompagnato da azioni di promozione sociale e sostegno esterno. Sostegno che, chiarisce il rapporto, non va inteso solo dal punto di vista finanziario ma pure ed egualmente di comunicazione, di assistenza tecnica, di animazione economica.
Quali siano i fattori decisivi per un reale sviluppo locale, anche e soprattutto per il sistema delle aree protette del Lazio, è il tema centrale del secondo passo della ricerca di Belloc (il relativo rapporto s’intitola Lo sviluppo dei Comuni con aree protette: una proposta di metodo). Lo studio promosso dall’Arp ne individua cinque, ispirandosi a un modello descritto qualche anno fa da un guru delle scienze economiche, l’americano Michael E.Porter. E sono: la solidità istituzionale, l’offerta di fattori di produzione, la domanda locale, la struttura produttiva e la specializzazione produttiva. Laddove siano presenti lacune più o meno marcate in una o più determinanti, l’intervento di politiche esterne ed il sostegno di strumenti esogeni risultano indispensabili. Rimandando alla lettura completa dell’interessante rapporto (cui ha in particolare collaborato la dott.ssa Nicoletta Cutolo dell’Arp, dove può essere richiesto il relativo CD al tel.06 5913371), ci limitiamo qui ad alcune sottolineature. Come quella che pone in risalto, nella determinante dell’offerta di fattori produttivi, la disponibilità locale di risorse umane (senza le quali non c’è spazio per le politiche, ma solo per i miracoli). Ma è la meno economica delle variabili individuate, cioè la solidità istituzionale, a stimolare forse maggiormente la riflessione. La determinante-chiave, vera artefice dello sviluppo locale. Proprio la sua sottovalutazione, sostiene la ricerca, “è probabilmente alla radice del fallimento di molte politiche di sviluppo locale”. Un po’ tessuto sociale un po’ senso civico, è definita come quel patrimonio di beni relazionali tra le più preziose dotazioni di un territorio, e comprende tanto il know how locale che le istituzioni, organizzazioni e consuetudini locali. Tra gli indicatori proposti c’è il numero degli impiegati negli enti locali e quello delle istituzioni culturali, delle radio e tv locali e delle famiglie che pagano il canone Rai. “Qualsiasi politica specifica”, sottolinea il rapporto, “deve essere accompagnata, se necessario, da misure che rafforzino il contesto istituzionale”. Ciò appare evidente in tanti parchi dal contesto economico difficile e marginale, ma anche e talvolta in misura ancora più marcata in parchi “forti” dal punto di vista demografico e del reddito come nella cintura metropolitana, dove le deboli identità locali vengono fagocitate dall’irresistibile potere attrattivo della capitale.
Dove trovare, in conclusione e aldilà della già meritoria raccolta di dati, il valore di analisi e studi come questi ? Intanto nella consapevolezza che le comunità locali, ma anche le singole aree protette, spesso non sono in grado di individuare e valutare da sole i propri percorsi di sviluppo. E questo perché non dispongono degli elementi conoscitivi né degli strumenti di analisi relativi alla propria realtà, e tanto meno di quelli relativi al più ampio contesto nel quale la loro area si colloca. Poi nella constatazione che alle autorità di governo centrali – Regioni o ministero che siano – spettano tanto la distribuzione delle risorse finanziarie che il coordinamento, la regia dei differenti sentieri locali di sviluppo. Senza le conoscenze e gli approcci integrati, questo rischia di diventare un esercizio di pura e aritmetica ripartizione, tanto più pericoloso in un periodo di vacche magre come quello corrente. Onore al merito dunque all’Arp per aver promosso le ricerche e auguri ai parchi, in questo caso del Lazio, di … non vedersele restare in un cassetto.

Giulio Ielardi



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del Giornale dei Parchi