La Sardegna e lo ‘strano’ caso del Gennargentu

Quello del Parco del Gennargentu è davvero un caso ‘strano’ che tra logoranti polemiche, faticose intese regolarmente contestate e perciò immancabilmente rinviate al mittente, si trascina dalla notte dei tempi. Difficile ovviamente appassionarsi ormai a questa interminabile telenovele in cui è stato detto tutto e il suo contrario. L’ultima puntata riguarda una lettera del 30 aprile con la quale il ministro Matteoli prevede ‘il differimento o l’inefficacia delle misure di salvaguardia vigenti’. Alla lieta novella c’è chi ha esultato. Altri più stoltamente ne fanno addirittura un esempio e prova di governo virile rispetto ai predecessori quasi che il Gennargentu sia una vertenza giovane e di primo pelo.
Ora anche il lettore più disinformato sulle vicende dei parchi sa che nel panorama pur variegatissmo di situazioni che le aree protette presentano da sempre quella del Gennargentu è assolutamente unica. Che nel 2004 a 13 anni dalla legge quadro e dopo che si sono istituiti parchi nazionali e regionali di ogni tipo nei più diversi territori e ambienti del paese –isole comprese- il ministro dell’ambiente debba scrivere in una lettera ufficiale che il parco non deve essere più interpretato ‘come una sorta di barriera interdittiva alle attività economiche’ dà abbastanza bene l’idea e la misura della assurdità di una situazione in cui tutti gli orologi sembrano essere stati bloccati. C’è persino chi inneggia alla vittoria contro l’invadenza nazionale ed anche regionale e contro lo ‘straniero’ si esaltano l’autodeterminazione ( nientemeno),
la dignità dei sardi, la sacralità di una cultura che come la postorizia vanno considerate patrimonio mondiale della Umanità. Tra tanti squilli di tromba e sprechi di retorica a buon mercato a nessuno sembra venire in mente che anche le aree protette sarde decise non a Roma ma a Cagliari assai prima della legge quadro si trascinano penosamente non meno di quella del Gennargentu anche se naturalmente non godono della stessa fama. Ci sono statuti – o meglio bozze di statuto- di parchi regionali che si trascinano da anni, durante i quali si è modificata più volte la nostra Costituzione e approntato un progetto di Costituzione europea. Non solo: nessuno, o pochi, si chiedono perché gli altri due parchi nazionali sardi da un po’ di tempo quando finiscono sul giornale è quasi sempre per cose poco edificanti. Men che mai si parla delle censure comunitarie ad una regione dove i siti comunitari sono stati praticamente cancellati per far posto a micidiali progetti di cementificazione costiera.
Eppure non risulta che queste situazioni, comprese quelle decisamente e inconfondibilmente ‘sarde’ e quindi non impure e dovute ad intromissioni ‘straniere’ turbino i sonni di chi sta brindando all’ennesima manfrina.
Certo in tante di queste vicende e specialmente in quella di cui parliamo gli errori sicuramente non sono mancati a cominciare dal vezzo – di cui si possono trovare chiare e inconfondibili tracce anche in numerosi e recenti provvedimenti riguardanti le aree marine - di istituire l’area con il suo bagaglio di vincoli e rimandare la istituzione dell’ente gestore a chissà quando. Ma se tutto questo è innegabile e da censurare per gli inevitabili effetti negativi che esso è sempre destinato fatalmente ad avere specie in realtà già tanto difficili e complicate, è altrettanto innegabile che deve esserci dell’altro se le cose incancreniscono al punto di rendere la vicenda del Gennargentu tanto grottesca. E a renderla più grottesca è l’uso strumentale e stucchevole di ruoli istituzionali che debbono essere ovviamente legittimamente rivendicati e affermati purchè non servano solo a mandare a ramengo anche le scelte più ragionevoli e ampiamente rodate in Italia e fuori.
D’altronde le tradizioni culturali delle comunità che hanno saputo nel corso di una lunga storia tutelare i loro ambienti non sono una esclusiva prerogativa della Sardegna. Tutte le regioni italiane, speciali e non, hanno un patrimonio importante, incluso il ruolo delle istituzioni locali di cui si è generalmente riusciti ad essere rispettosi nella istituzione dei parchi e delle altre aree protette. Cosa rende così diversa la Sardegna da giustificare questa resistenza? I parchi sono stati e sono anche, se non innanzitutto, una risposta ai guasti di politiche sbagliate, alla cementificazione selvaggia che distrugge la natura, altera gli ecosistemi e così via. La Sardegna forse ne è esente al punto che le aree protette e i parchi non servono, anzi fanno danno? Non scherziamo.
Proprio dinanzi a questo ennesimo rinvio per il Gennargentu, mentre anche in altre situazioni meno conosciute fuori dall’isola ci si barcamena in esasperanti e scandalose pantomime, se fosse vero che la istituzione dei parchi avrebbe arrecato tutti quei danni che da anni si paventano rumorosamente dovremmo oggi festeggiare i tangibili guadagni dovuti allo scampato pericolo. Ma c’è qualcuno che è in grado senza arrossire di sostenere una cosa del genere? Davvero la Sardegna, che oggi è tra i fanalini di coda nella gestione delle aree protette, ha tratto vantaggio da questa sua azione di contenimento se non di aperto sabotaggio?
Cosa fare allora? Se una cosa sorprende, tre le tante in questa ‘strana’ vicend,a è che le istituzioni da quelle comunali che rivendicano un ruolo, alle province, alla regione fino allo stato che hanno anch’esse ovviamente un ruolo non meno importante non siano riuscite –ammesso che l’abbiano voluto e cercato- a mettersi intorno ad un tavolo per decidere secondo quel principio di ‘leale collaborazione’ istituzionale fissato dalla legge e che ha funzionato piuttosto bene ovunque almeno finora.
Si tratta di un principio non valido per la Sardegna alla quale forse si addice di più il litigio permanente, lo scambio d’accuse che in decenni non riesce a far decollare un parco?
A giudicare dai risultati si sarebbe tentati di rispondere sì.
Ma è chiaro che ragionevolmente nessuno può teorizzare una simile bestialità. Che finalmente qualcuno anche in Sardegna se ne accorga?

Renzo Moschini



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del Giornale dei Parchi