Riflessioni sul ruolo istituzionale della Federparchi

Non ci sono dubbi sulla crescita, non soltanto organizzativa, della Federazione dei Parchi e delle Riserve, che sta per celebrare la sua Assemblea nazionale.
Alla associazione aderiscono infatti la quasi totalità dei parchi nazionali e regionali, dopo il concorso determinante della recente iscrizione delle aree protette marine. E con il numero degli associati è cresciuta anche la autorevolezza e il ruolo di una associazione che – è bene ricordarlo- ha dovuto faticare non poco per essere riconosciuta a tutti gli effetti e nelle varie sedi nel suo ruolo di rappresentanza politico-istituzionale.
Quando ci si pose l’obiettivo - certamente ambizioso - di diventare “l’Anci dei parchi” si vide giusto, sebbene all’epoca vi fossero ancora i nostalgici di una ‘rappresentanza’ da affidare, piuttosto che ad una associazione in cui tutti potessero svolgere alla pari un proprio ruolo, a un parco che pretendeva e ambiva - in nome del suo ineguagliabile ‘modello’ - di fare da chioccia e da maestro. Non ricordo queste cose per rinfocolare polemiche del tutto dimenticate e che appartengono ad un passato lontano del tutto superato: la cosa oggi non avrebbe senso. Se ricordo quel momento e quella scelta è per dire che, saggiamente, ci si ispirò allora alla consolidata esperienza delle associazioni rappresentative degli enti locali: comuni e province innanzitutto, ma anche le comunità montane. ANCI, UPI e UNCEM furono questi i modelli ai quali ci si ispirò. Nel farlo – anche questo forse è bene ricordarlo dopo tanti anni- avevamo piena consapevolezza delle affinità istituzionali con quelle associazioni ma anche delle differenze. Le une e le altre vanno sempre infatti congiuntamente considerate per evitare sbilanciamenti e confusioni che non gioverebbero alla nostra iniziativa. Le affinità sono evidenti e risiedono principalmente nel fatto che i parchi, già con le prime leggi regionali e ancor più dopo la legge 394, risultano a tutti gli effetti soggetti istituzionali con compiti e finalità proprie ossia non ‘derivate’ o delegate. Anche soggetti con competenze derivate sono oggi organizzati in associazioni rappresentative nazionali (municipalizzate ecc.) ma esse restano essenzialmente organizzatrici di servizi, ancorché importantissimi per la vita del paese, che ‘dipendono’ tuttavia – diciamo così - da una o più case madri. Esse hanno perciò indiscutibilmente un ruolo, ma ben circoscritto in ragione di questa derivazione. I parchi invece, pur essendo anch’essi espressione ‘composita’ di vari soggetti istituzionali elettivi, gestiscono in proprio - e non ‘per conto’ - competenze ‘aggiuntive’ e ‘speciali’ rispetto a quelle ordinarie delle istituzioni locali, regionali e nazionali. Accanto a queste affinità vi sono però anche le differenze. La più importante e rilevante è data senz’altro dal non essere i parchi soggetti elettivi. In qualche momento, per la verità, l’idea di eleggerli ha fatto capolino nel dibattito, con motivazioni talvolta assolutamente diverse e contrastanti, ma si è trattato sempre e fortunatamente di sporadici fuochi fatui.
Ma anche questa differenza tuttavia non è prerogativa esclusiva dei parchi perché anche le comunità montane raggruppate nell’UNCEM non sono elettive. E tuttavia, diversamente dai parchi, le comunità montane dispongono di competenze volte a razionalizzare e organizzare su scala più adeguata i comuni operanti in territori specifici, quelli montani appunto. Le comunità montane però non dispongono di compiti diversi e ‘aggiuntivi’ rispetto a quelli dei comuni, se non per la dimensione in cui debbono esercitarli per meglio programmare gli interventi e l’impiego delle risorse.
A queste va infine aggiunta una specificità ulteriore che è prerogativa esclusiva dei parchi, e cioè il rapporto organico e istituzionale, oltre che con le istituzioni, con le associazioni - ambientaliste e talvolta di altro tipo - che per legge sono chiamate a far parte degli enti di gestione o che gestiscono in proprio aree protette di proprietà o a loro affidate dallo stato a dalle regioni.
La Federparchi in questi anni ha fatto tesoro di queste caratteristiche e peculiarità, facendo leva sulle affinità ma non ignorando al contempo di differenze. Innanzitutto per non sbilanciare il proprio ruolo istituzionale e per ricercare un non facile equilibrio tra parchi nazionali e regionali. In tutte le associazioni rappresentative l’equilibrio tra associati di caratura differente non è mai raggiunto una volta per tutte.
Non lo è nell’ANCI tra comuni grandi e piccoli, tra aree metropolitane e piccole città, tra nord e sud. Non lo è nell’UPI che presenta più o meno la stessa situazione. Lo è maggiormente nell’UNCEM, probabilmente perché si tratta di istituzioni rese più omogenee dall’appartenenza a territori tipici.
La Federparchi non poteva e non può sfuggire, per ragioni intrinseche, a questi rischi. In particolare nel rapporto con le problematiche dei parchi nazionali e regionali, che sono quasi sempre diverse non solo per la dimensione e per la storia, ma soprattutto per i referenti istituzionali principali; lo stato per i primi, le regioni per i secondi. E qui forse emerge un elemento sul quale vale la pena di soffermarsi con maggiore attenzione. Non v’è dubbio che dal ’91 - quando ha preso avvio in maniera massiccia la istituzione di nuovi parchi nazionali - sono stati questi ultimi ad occupare maggiormente la scena per motivi che è facile intuire. Al maggior peso specifico delle nuove aree protette si aggiungeva anche il fatto che il loro referente generale era lo stato, con il ministero dell’ambiente. Tutti, cioè, avevano lo stesso referente istituzionale a differenza dei parchi regionali, che hanno molti e diversi referenti, sicuramente meno facilmente raggiungibili. Non stupisce quindi che la Federparchi, specialmente in alcune fasi, sia apparsa a molti associati troppo schiacciata sul ministero, ossia sui parchi nazionali. In diverse regioni a questo inconveniente si è rimediato grazie alla presenza di coordinamenti regionali che sono riusciti nel complesso a compensare questo squilibrio. Resta in ogni caso aperto un problema, che solo in parte dipende però dalla capacità e dalla volontà della associazione. Intendo dire che l’azione di Federparchi, per raggiungere al meglio i suoi scopi, deve poter avere come interlocutori permanenti i diversi livelli istituzionali, dallo stato ai comuni, ma deve averli anche unitariamente. In altri termini: Federparchi non deve soltanto interloquire con il ministero, le regioni, le province, i comuni e le comunità montane, ma deve poterlo fare a tavoli e in sedi in cui ‘unitariamente’ si sviluppa il confronto e si prendono le decisioni opportune. Questa possibilità manca ormai da anni. Ed anche recenti tentativi di ricostituirne finalmente una, come proposto alla Conferenza di Torino, non hanno dato risultati. Stessa situazione nelle regioni. Anche in quelle che pure operano attivamente e magari stanno rivendendo la loro legislazione, di tavoli di confronto non si parla né punto né poco. Questa è una questione cruciale, anzi è la questione perché senza una concertazione che metta concretamente in atto quella ‘leale collaborazione’ istituzionale che sembra sempre più un ricordo d’altri tempi, è mera illusione pensare che le aree protette possano fare sistema nelle regioni e nazionalmente. Che fine hanno fatto i progetti di vasta area, alpini, appenninici, marino-costieri? Dispersi nel ghiaccio dei rapporti politico-istituzionali, che verrebbe da dire fanno venire la tosse anche alle pulci se ciò non suonasse offensivo anche per qualche istituzione che nella confusione si illude - magari in nome di una malintesa sussidiarietà - di poter rivendicare per sé ruoli che non appartengono. Penso a quei comuni che fanno parte di parchi e che si sono istituiti in associazione i quali (ossia alcuni) come è avvenuto di recente rivendicano per sé – e solo per sé - addirittura un ruolo di rappresentanza nei confronti del ministero, ruolo che la Federparchi, in quanto rappresentante dei parchi che sono a loro volta espressione del ministero (analisi del cavolo) non potrebbe assolvere. Quando non si battono le strade maestre – quelle appunto della cooperazione istituzionale - è facile finire in qualche viottolo municipalistico che da sempre è l’altra faccia - e neppure la migliore - del centralismo.
Qui oggi sta il passaggio più difficile ma non eludibile di Federparchi, che ha bisogno di raccordarsi - e non separatamente - con le varie rappresentanze istituzionali: ANCI,UPI, UNCEM e ovviamente le regioni. E deve poterlo fare sia in sede nazionale che nelle varie regioni, dove pure stanno accadendo cose è necessario intervenire nelle sedi appropriate.
E deve poterlo fare nella nuova prospettiva di una politica europea che investa e riguardi sempre più anche i parchi e non soltanto i siti comunitari. Chi discuterà e in quali sedi di questi enormi e nuovi problemi?

R.M.



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del Giornale dei Parchi