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Punti di Interesse nel Torinese


Logo Unesco Castello Reale a Moncalieri

Il Po ed il castello di Moncalieri
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Il Po ed il castello di Moncalieri
Il Po, il castello ed il centro storico di Moncalieri
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Il Po, il castello ed il centro storico di Moncalieri
Il castello di Moncalieri
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Il castello di Moncalieri
Il castello di Moncalieri ha origini medievali, databili intorno agli inizi del Duecento, quando si presentava come il tipico castello fortificato, collocato sulla cima di un colle ed a dominio sulla pianura.
Il castello fornì rifugio per gli abitanti di Testona, quando le loro case furono distrutte durante le lotte tra i comuni di Asti e di Chieri.
Nel 1277 Tommaso III di Savoia, detto Tommasino, fece costruire una torre e una porta merlata.
L'edificio fu rimaneggiato e ampliato una prima volta nel Quattrocento, per volere di Amedeo IX e di Jolanda Valois di Francia, con l'aggiunta di quattro torrioni cilindrici poi inglobati nei successivi rifacimenti (due di queste torri sono ancora oggi visibili sulla facciata del castello).
Dopo la Pace di Cateau Cambresis (1559), riparati i danni causati dalle lotte tra Carlo V di Spagna e Francesco XV di Francia, la prima Madama Reale trasformò l'antica fortezza in dimora regale, arricchendo inoltre il parco di circa duecento alberi. Le sale interne, fastosamente arredate divennero la sede di grandi feste, come era d'uso all'epoca. Da allora i lavori di abbellimento furono continui e il castello si impreziosì di capolavori d'arte e di mobili preziosi.
Nel Seicento la struttura subì nuove, profonde, modifiche. I lavori, iniziati nel 1619 da Carlo di Castellamonte per volere del duca Carlo Emanuele I, proseguirono con Amedeo di Castellamonte, su ordine della madama reale Maria Cristina di Francia, e continuarono con Filippo Juvarra e Benedetto Alfieri, concludendosi solo a metà dell'Ottocento. Il risultato fu una struttura a pianta quadrata, costituita da quattro padiglioni uniti da gallerie e con torri angolari che ricordano l'antica struttura. I giardini del castello furono realizzati nella seconda metà del Settecento.
Durante la dominazione francese (1798) il castello fu usato anche come ospedale e carcere. Con la restaurazione il castello torno alla famiglia Savoia, che riprese ad utilizzarlo quale abitazione.

Il castello di Moncalieri fu particolarmente amato dal re Vittorio Amedeo II, che ne fece la sua residenza principale e qui morì. Nel castello morirono anche la principessa Clotilde e il re Vittorio Emanuele I. Il castello fu molto caro anche al re Carlo Alberto.

In epoca fascista il castello divenne sede dei rappresentanti gerarchi e poi dei nazisti. Successivamente fu usato come rifugio per gli sfollati rimasti senza dimora.
Dal 1948 una parte del castello è sede del I Battaglione Carabinieri "Piemonte". Nella restante parte del castello sono visitabili gli appartamenti della regina Maria Adelaide, della principessa Maria Letizia e di Vittorio Emanuele II.

All'alba di sabato 5 aprile 2008 un furioso incendio dalle cause ancora ignote si è sviluppato a partire dal sottotetto del torrione sud-est del Castello Reale. L'azione combinata del fuoco e dell'acqua utilizzata per spegnere l'incendio ha causato il crollo del tetto, del locale sottotetto e, successivamente, con effetto "domino", del quarto e infine del terzo piano del torrione. Si sono invece salvati il primo ed il secondo piano, che hanno resistito al peso delle macerie.

A causa dell'incendio del 2008 sono andati distrutti 4 appartamenti del castello ed in particolare la "stanza degli armadi", il "salottino degli specchi", la camera da letto del re Vittorio Emanuele II, la toeletta del re, la camera da letto della regina Maria Adelaide, la toeletta della regina e la "Stanza del Proclama", ossia la stanza in cui il 20 novembre 1849 il re Vittorio Emanuele II firmò lo storico documento (chiamato "Proclama di Moncalieri") con cui scioglieva le Camere, indiceva nuove elezioni e invitava il nuovo Parlamento a ratificare la pace con l'Austria. Fortunatamente il Proclama di Moncalieri si è salvato, perché l'originale è conservato nell'Archivio di Stato di Torino. Quella bruciata nel rogo era una delle uniche due copie autentiche esistenti. L'altra copia autentica del Proclama è conservata nel municipio di Moncalieri. Prima del crollo dei soffitti i vigili del fuoco sono riusciti a portare in salvo il vaso in ceramica della manifattura di Meissen in Sassonia (noto come "Vaso delle Palle di Neve"), dal valore inestimabile, ed il pregadio di Maria Adelaide, ma le altre opere sono andate perdute.

Dal 1997 il Castello Reale di Moncalieri, come tutte le residenze sabaude, è tutelato dall'Unesco, che lo ha iscritto fra i beni considerati "Patrimonio dell'Umanità".

A causa del rogo del 5 aprile 2008 il castello è chiuso a tempo indeterminato. Informazioni 0116402883


Castello della Rotta a Moncalieri

Il Castello della Rotta
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Il Castello della Rotta
Stemma lapideo sopra l'arco di ingresso al Castello della Rotta
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Stemma lapideo sopra l'arco di ingresso al Castello della Rotta
Nella campagna fra Moncalieri e Villastellone, in località La Rotta, assai vicino all'autostrada Torino-Savona, sorge il Castello della Rotta.
Di origine trecentesca, con corte feudale in forma chiusa e torre difensiva all'ingresso, il castello non ha subito modificazioni rilevanti e pertanto ancora oggi si presenta con le sue semplici e funzionali architetture tipiche dei fortilizi difensivi medievali.
Nel 1639 nei pressi del castello si consumò la disfatta (o "rotta" - da cui la possibile origine del nome della zona) del duca Tommaso di Savoia contro i Francesi.
Nel Castello della Rotta morì impazzito il Re di Sardegna Vittorio Amedeo II, fatto rinchiudere dal figlio nelle prigioni del castello.

Il Castello della Rotta è una proprietà privata non aperta al pubblico.


Logo Unesco Palazzina di Caccia di Stupinigi a Nichelino

La facciata settentrionale della Palazzina di Caccia di Stupinigi
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La facciata settentrionale della Palazzina di Caccia di Stupinigi
Veduta aerea della Palazzina di caccia di Stupinigi
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Veduta aerea della Palazzina di caccia di Stupinigi
Diversamente da quanto il nome lascerebbe supporre, la Palazzina di Caccia di Stupinigi è un grandioso complesso monumentale architettonico barocco, che ha l'aspetto di una sontuosa reggia, piuttosto che quello di una semplice residenza di caccia.
L'opera fu voluta dal re Vittorio Amedeo II, che nel 1729 commissionò al siciliano Filippo Juvarra, suo architetto di corte, la costruzione di un luogo di ritrovo e di festa da utilizzarsi prima e dopo le grandi battute venatorie che impegnavano lo stesso re e la corte, oltre a stuoli di servitori.
Anche per Stupinigi, come per tutte le sue opere, l'architetto Juvarra ha mano libera: sceglie personalmente pittori, ebanisti e tappezzieri, e sulla loro opera svolge una rigorosa sorveglianza stilistica, fornendo indicazioni, schizzi e disegni. Pur realizzata, almeno nel suo nucleo centrale, nel giro di due-tre anni, la vicenda costruttiva di Stupinigi proseguì ancora per tutto il Settecento. Dopo la partenza di Juvarra per Madrid (dove morì nel 1736) la sua opera fu continuata da valenti architetti, quali Giovanni Tommaso Prunotto, Benedetto Alfieri e Ludovico Antonio Bo, che completarono i lavori senza comprometterne l'unità stilistica. Nel 1739 Benedetto Alfieri progettò due nuove ali laterali, che tuttavia furono realizzate soltanto nel 1759. A Ignazio Birago di Borgaro di deve invece il disegno della cappella di S. Uberto.
Inaugurata il 5 novembre 1731, la Palazzina non soltanto ospitò balli, concerti, banchetti e visite di stato, ma divenne anche una delle residenze estive preferite dalla famiglia reale, che la frequentò fino ai primi decenni del Novecento.
Nel 1803 la struttura fu scelta da Napoleone come casa di campagna, nella quale soggiornava durante le sue soste in Piemonte. Per breve tempo la reggia fu anche residenza di Paolina Bonaparte. Nel 1842 qui furono celebrate le nozze di Vittorio Emanuele II, allora duca di Savoia, con Maria Adelaide di Lorena. Dal 1900 al 1919 la Palazzina fu la sede estiva della regina Margherita e nel 1911 vi morì Maria Pia, ex regina del Portogallo.

Il complesso architettonico è caratterizzato da una perfetta simmetria assiale, con un corpo centrale dal quale si dipartono quattro braccia che disegnano un doppio cortile, creando una mirabile compenetrazione fra interno ed esterno e, oltre la cancellata, un cortile d'onore esagonale. Cuore della Palazzina è il grande salone centrale, a pianta ovoidale e alto tre piani, con maestose vetrate e cupola coperta in rame. All'esterno la cupola è ornata da una balaustra con pinnacoli e sormontata da un cervo in bronzo dello scultore Francesco Ladatte (francesizzazione del suo vero nome, Ladetti), a simboleggiare la destinazione dell'edificio. In epoca recente il cervo del Ladatte è stato sostituito da una copia, mentre l'originale è esposto nel locale della biglietteria.
La minuziosa regia di Juvarra coinvolse tutto l'apparato decorativo della Palazzina, a cominciare dal grandioso Salone Centrale, vasto ambiente a pianta ellittica concluso da un'alta volta su quattro pilastri reggenti una balconata. L'effetto scenografico del salone è straordinario e si deve al genio dello Juvarra, che sfruttò mirabilmente anche l'effetto prospettico naturale con le vedute verso i quattro vialoni che attraversano il parco. Il salone fu affrescato, ma con risultati non esaltanti, dai fratelli Giuseppe e Domenico Valeriani. Assai migliori i lavori di altri artisti, quali Giovan Battista Crosato (autore dell'affresco più bello dell'intero complesso, Il Sacrificio di Ifigenia, che decora il soffitto dell'Anticamera della Regina), il quadraturista (cioè pittore di disegni architettonici, volute e cornici che "inquadrano") Girolamo Mengozzi Colonna e soprattutto Scipione e Vittorio Amedeo Cignaroli (quest'ultimo autore delle quattro celeberrime tele della Sala degli Scudieri, dedicate alla caccia al cervo). Fra gli scultori, oltre a Ladatte, si deve ricordare Giuseppe Marocco, autore delle trentasei appliques del grande salone centrale, disegnate dallo stesso Juvarra.
La Palazzina di Caccia di Stupinigi conserva gli arredi originali, eseguiti dai più importanti artisti e artigiani piemontesi. All'interno del complesso architettonico è ospitato il Museo di Arte e di Ammobiliamento, nel quale sono esposti, oltre agli arredi della Palazzina, anche quelli provenienti da altre residenze sabaude (Moncalieri e Venaria) e opere di artisti quali l'ebanista Pietro Piffetti e lo scultore ligneo Giuseppe Maria Bonzanigo, nonché la carrozza che Napoleone utilizzò nel 1805 da Parigi a Milano, per la sua incoronazione a re d'Italia, opera di artigianato francese verso il 1790.
Fanno parte del complesso di Stupinigi anche i giardini, dietro la Palazzina, realizzati a partire dal 1740 dal giardiniere francese Michael Bernard, e il Parco Naturale Regionale di Stupinigi, istituito dalla Regione Piemonte nel 1992.
La Palazzina è preceduta dalle cascine e dalle scuderie settecentesche, disposte ad emiciclo lungo il viale che la collega con Torino. Di fianco alla Palazzina, invece, si trova la splendida Parrocchiale di Stupinigi o Chiesa della Visitazione, anche questa opera di Juvarra e inaugurata nel 1739. La chiesa è molto semplice, tanto nella struttura, quanto nei decori, e questo si deve al fatto che l'edificio era destinato principalmente ai contadini delle cascine, in quanto la corte e i sovrani potevano usufruire della ricca Cappella di Sant'Uberto, posta all'interno della Palazzina. La chiesa della Visitazione è a navata unica, con volta a botte, e all'interno conserva le reliquie di Sant'Uberto, affidate dal papa nel 1669 ai duchi di Savoia. Alla fine del Settecento questa chiesa fu ingrandita, su progetto di Ludovico Bo, e vi fu aggiunto un cimitero esterno.

Dal 1997 tutto il complesso della Palazzina di Caccia di Stupinigi è tutelato dall'Unesco, che lo ha iscritto fra i beni considerati "Patrimonio dell'Umanità".

Le visite alla Palazzina di Caccia di Stupinigi ed al Museo di Arte e di Ammobiliamento, ospitato all'interno del medesimo complesso architettonico, sono sospese fino al 2009, a causa di necessari, urgenti ed improrogabili lavori edili e di adeguamento normativo. Tel. 0113581220 - Fax 0113582580 - Sito internet: www.mauriziano.it/arte/monumenti/stupinig/stupini.htm


Mausoleo della Bela Rosin a Torino

Il mausoleo della Bela Rosin
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Il mausoleo della Bela Rosin
Il cancello del mausoleo
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Il cancello del mausoleo
La Bela Rosin e Vittorio Emanuele II
La Bela Rosin e Vittorio Emanuele II

Ubicazione

Nel quartiere torinese di Mirafiori Sud si trova il mausoleo della Bela Rosin, un edificio neoclassico molto simile al Pantheon di Roma ed alla chiesa della Gran Madre di Torino, ma più piccolo. Il mausoleo fu fatto costruire come tomba di famiglia dai figli di Rosa Vercellana, soprannominata in piemontese Bela Rosin (Bella Rosina) e morta a 52 anni, nel 1885, di meningite fulminante a Pisa. Rosa Vercellana fu la moglie morganatica del primo re d'Italia, Vittorio Emanuele II.
Il mausoleo si trova in un parco affacciato su Strada Castello di Mirafiori, quasi all'angolo con Strada delle Cacce, al confine tra il comune di Torino e quello di Nichelino, non lontano dal Parco Colonnetti di Torino ed all'interno dei confini del Parco Fluviale del Po Torinese.
Il mausoleo fu costruito sui terreni in cui anticamente sorgeva la Reggia di Miraflores, ora scomparsa. Rosa Vercellana l'11 aprile 1858 fu infatti insignita dal re del titolo di Contessa di Mirafiori e Fontanafredda, titolo poi passato ai discendenti, ricevendo contestualmente in dono anche la tenuta del Castello di Mirafiori (o Miraflores) e il castello di Sommariva Perno.

Struttura

Al mausoleo si accede entrando dal lato occidentale del parco, attraverso un cancello tripartito in ferro battuto, sulla cui parte superiore sono raffigurate le insegne dei Conti di Mirafiori. Ai lati della cancellata sono accostati al muro del parco due bassi corpi di fabbrica, in origine adibiti a guardiola.
Il parco del mausoleo si estende per circa 29.0000 metri quadrati, tutti compresi all'interno del Parco Fluviale del Po Torinese, ha forma rettangolare allungata ed è circondato da un muro di cinta alto circa tre metri e largo cinquanta centimetri. Al monumento sepolcrale vero e proprio si accede percorrendo un viale alberato, che congiunge il cancello al mausoleo e che conferisce solennità e prospettiva all'insieme.
L'edificio fu progettato da Angelo Dimezzi nel 1886 e terminato nel 1888. La struttura è in marmo chiaro venato, con pianta circolare, di circa sedici metri di diametro e altrettanti di altezza, compresa la grande croce latina che lo sormonta, sopra la cupola lastricata di rame. Una scalinata di cinque gradini introduce nell'androne, ornato da sedici colonne in marmo alte cinque metri. Otto di esse compongono il colonnato sulla facciata, mentre le rimanenti, disposte su due file retrostanti, formano tre corte navate, due delle quali terminano in nicchie.

La Bela Rosin

Vittorio Emanuele II di Savoia, all'epoca ventisettenne e non ancora re, conobbe la quattordicenne Rosa Vercellana nel 1847 probabilmente a Racconigi (dove il padre di Rosa, ufficiale delle guardie del re, comandava la tenuta reale di caccia), innamorandosene subito. Con Rosa Vercellana Vittorio Emanuele ebbe due figli, cui diede il cognome Guerrieri ed il nome di Vittoria (1848) ed Emanuele (1851), pur rimanendo formalmente sposato con Maria Adelaide d'Asburgo Lorena, da cui aveva già avuto 4 figli.
L'amore e l'affetto che Rosina provava verso il re rimase sempre molto forte, tanto da non essere scalfito dal fatto che Vittorio Emanuele, oltre ai 4 figli avuti con la moglie, la regina Maria Adelaide, aveva molti altri figli in varie parti d'Italia, frutto di passioni tanto occasionali, quanto numerose, figli cui dava sempre il cognome di Guerrieri o Guerriero.
Con il trasferimento della capitale, nel 1864 Rosina seguì il re d'Italia a Firenze, stabilendosi nella villa La Pietraia. Nel 1869 Vittorio Emanuele II si ammalò di polmonite nella Tenuta di San Rossore. Temendo di morire, il re improvvisamente sposò Rosa Vercellana con il solo rito religioso (che non conferiva alla Vercellana nessuno dei diritti e poteri di regina). Ripresosi dalla malattia, a Roma, anni più tardi, il 7 ottobre 1877 Vittorio Emanuele II sposò Rosa Vercellana anche con matrimonio civile. Rosina diventò moglie del re anche per lo Stato, ma senza acquisire il titolo e la dignità di regina e rimanendo pertanto, agli effetti legali, moglie "morganatica".
Isolata e disprezzata dai nobili, che la consideravano una arrampicatrice sociale, e dai politici (fra i quali Cavour, che temeva per il prestigio e l'immagine internazionale che il Regno di Sardegna stava acquisendo), Rosa Vercellana, che non sapeva leggere e scrivere e parlava solo la lingua piemontese, fu invece molto amata dal popolo per le sue umili origini.

Storia del mausoleo

La particolare struttura architettonica del mausoleo (che è una copia identica in scala ridotta del Pantheon romano) fu voluta di proposito dai figli di Rosa Vercellana, Vittoria ed Emanuele, in seguito al diniego ufficiale, da parte della Casa Reale, di seppellire la madre nel Pantheon di Roma, accanto alle spoglie di suo marito, Vittorio Emanuele II, primo re d'Italia.
Realizzato tra il 1886 ed il 1888 dall'architetto Angelo Dimezzi, il mausoleo ha avuto una storia tormentata e spesso degradante, fortunatamente conclusasi con il recente recupero e restauro.
Il 22 luglio 1970 il Comune di Torino acquistò il sepolcreto ancora intatto dall'ultima discendente di Rosa Vercellana, Vittoria Guerrieri Gromis di Trana, per la somma di 132 milioni di lire, senza però stabilirne la destinazione. Il parco fu aperto al pubblico nel 1972, ma il mausoleo fu subito profanato: le bare furono aperte e le salme vennero mutilate in cerca di gioielli. I resti di Rosa Vercellana e dei suoi discendenti furono allora trasferiti nel cimitero monumentale di Torino. Nel 1974 il Comune risistemò sommariamente i danni, ma altre azioni vandaliche distrussero gli arredi interni e la cancellata, con le insegne del casato. Nel 1976 la struttura fu occupata da gruppi di estremisti, che bruciarono il portone e coprirono le pareti interne con murales. Nel 1980 il Comune fece murare l'ingresso e fece ricostruire il lucernario della cupola, nel frattempo frantumato da teppisti.
Dopo vari tentativi non andati a buon fine, finalmente il 30 gennaio 2001 la giunta comunale di Torino guidata da Valentino Castellani approvò il progetto di manutenzione straordinaria e recupero del mausoleo, progetto affidato agli architetti Aimaro Isola e Roberto Gabetti (marito di una discendente di Rosa Vercellana), al prezzo di 5 miliardi e mezzo di lire.
I lavori di restauro conservativo, durati quasi tre anni, terminarono nell'estate 2005. All'interno l'unica modifica fu lo spostamento dell'altare nella parte esterna posteriore dell'edificio, mentre per il resto l'intervento seguì le indicazioni originali del progetto, con il marmo chiaro e venato, le colonne chiare e il soffitto che ricorda quello del Pantheon di Roma.
Il foro al centro della cupola è stato chiuso con una copertura in vetro sormontata da una croce, che comunque lascia intravedere il cielo. Il parco è stato attrezzato con alcuni gazebo e un noleggio di biciclette.
L'apertura al pubblico del mausoleo e del parco, con inaugurazione ufficiale, avvenne il 25 settembre 2005.
La struttura adesso può ospitare letture, dibattiti e concerti, ma le attività devono essere temporanee, in quanto la Soprintendenza ai Beni Artistici ed Architettonici del Piemonte ha escluso che l'area, un sepolcreto, possa essere destinata a sede permanente di qualsiasi attività (compresa quella di planetario, ventilata nel passato).

Per conoscere gli orari di visita del mausoleo, variabili nel corso dell'anno, telefonare alla Circoscrizione 10 del Comune di Torino (Mirafiori Sud), al numero 0114435003. Ingresso gratuito.


"Triade" di Arnaldo Pomodoro a Torino

Triade di Arnaldo Pomodoro
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Triade di Arnaldo Pomodoro


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Triade di Arnaldo Pomodoro
Al centro della rotatoria stradale fra i corsi Maroncelli e Unità d'Italia, al confine con il Comune di Moncalieri (corso Trieste) e a pochi passi dal Palazzo del Lavoro di Pier Luigi Nervi, è stata installata "Triade", opera di Arnaldo Pomodoro [Morciano di Romagna, 1926 - vivente], uno dei più significativi e importanti scultori italiani contemporanei di livello mondiale.

Il monumento è costituito da tre colonne cilindriche, realizzate in resine e fibra di vetro e segnate in superficie da fenditure e squarci, segni tipici dell'arte di Arnaldo Pomodoro. Le tre colonne, alte circa 15 metri e con un diametro di un metro e mezzo ciascuna, si ergono da uno sottilissimo velo d'acqua che scorre e che ne esalta la forma svettante verso il cielo.
Il monumento "Triade" installato a Torino costituisce la copia esatta in resine e fibra di vetro dell'opera che Arnaldo Pomodoro ha realizzato nel 1979 in bronzo e ferro e che è attualmente collocata nel giardino di una istituzione privata negli Stati Uniti. Caratteristica specifica dell'opera installata a Torino e che la differenzia dalle consuete sculture in bronzo di Pomodoro, è dunque la sua realizzazione in resina e fibra di vetro con finitura bianca, materiali che consentono di vedere gli interni delle colonne.
Alla sera "Triade" è illuminata da quattro fari sommersi attorno alla base di ciascuna colonna, che mettono in risalto lo slancio della scultura.

La nuova opera d'arte contemporanea è stata inaugurata il 2 febbraio 2006, in occasione delle XX Olimpiadi invernali "Torino 2006".
L'intervento artistico è stato scelto dalla Giunta Comunale di Torino per connotare la "porta d'ingresso sud" (cioè l'accesso alla città per chi proviene da sud, dalle autostrade A6 ed A21), nell'ambito del nuovo Piano Regolatore curato dagli architetti Giorgio De Ferrari, Claudio Germakm, Chiara Ronchetta e Vera Comoli.
L'opera è stata scelta e qui collocata perché, con l'acqua in perenne movimento alla sua base, si presta bene ad essere inserita nel tema "La Città dai quattro fiumi", al quale è stata associata la "porta d'ingresso sud", giacché a poche centinaia di metri dal monumento si trova proprio la confluenza di due dei quattro fiumi torinesi: il Po ed il Sangone. Fu Pomodoro in persona, durante il sopralluogo per studiare l'ambientazione dell'opera, che suggerì di porre alla base della scultura una vasca circolare a falde inclinate, che permettesse di interpretare il tema scelto ("La Città dai quattro fiumi") e contemporaneamente sottolineasse lo slancio della scultura.
"Triade" è stata donata alla città di Torino dalla Fondazione di Arnaldo Pomodoro.

Museo della Frutta a Torino


Modelli di pere
Una sala del Museo della Frutta
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Una sala del Museo della Frutta
I minareti del Palazzo degli Istituti Anatomici
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I minareti del Palazzo degli Istituti Anatomici
Nel Museo della Frutta "Francesco Garnier Valletti" sono esposte la collezione pomologica ed una parte del patrimonio storico-scientifico appartenuto alla "Regia Stazione di Chimica Agraria", costituita nel 1871 e divenuta nel 1967 "Sezione operativa di Torino dell'Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante". L'intero patrimonio è stato ora affidato in comodato al Museo della Frutta, che ha messo in esposizione circa 1000 volumi, scegliendo fra quelli più antichi e rappresentativi dell'intera collezione, che ne conta più di 19 mila.

La collezione di 1021 "frutti artificiali plastici" modellati a fine Ottocento dal "ceroplasta" Francesco Garnier Valletti [Giaveno 1808 - Torino 1889] fu acquisita dalla Regia Stazione di Chimica Agraria nel 1927 per interesse del suo direttore, Francesco Scurti. Tra il 1932 e il 1935 la Stazione acquisisce altri 323 modelli di frutti e ortaggi. Oggi l'intera collezione comprende complessivamente 1381 modelli di varietà di frutti e ortaggi, di cui 1100 sono esposti, mentre gli esemplari di minor qualità e interesse, sia dal punto di vista scientifico sia da quello estetico, sono conservati nel deposito appositamente creato all'interno del Palazzo e consultabili su richiesta.

La collezione originaria del 1927 è pervenuta nella sua quasi interezza, senza deterioramenti o alterazioni plastiche, a dimostrazione non solo della validità della "formula costruttiva" a base di resine inventata da Francesco Garnier Valletti e da lui tenuta accuratamente segreta (ma divulgata da un suo allievo, Michele Del Lupo, dopo la morte del maestro, nel Manuale di pomologia artificiale secondo il metodo di Garnier Valletti, edita da Hoepli nel 1891), ma anche della cura con cui i frutti sono stati conservati nel tempo. Fanno eccezione le uve, la cui fattura è di grande qualità estetica, ma non di pari resistenza, tanto che non sono più di 24 i grappoli ancora esistenti. Complessivamente per l'apertura al pubblico del museo, avvenuta il 13 febbraio 2007, si è reso necessario il restauro di soli 38 frutti, rotti o crepati in modo grave, mentre per tutti gli altri è stata sufficiente una accurata pulitura che li ha restituiti all'originario splendore.
I nuclei più consistenti di frutti esposti sono costituiti dalle pere (501 varietà, di cui 494 opera di Garnier Valletti), dalle mele (295, 286 delle quali della collezione originaria), dalle pesche (98, di cui 67 di Garnier Valletti), dalle susine (70, ma solo 20 fanno parte del nucleo acquisito nel 1927), dalle albicocche (56, 44 delle quali rientrano fra quelle di Garnier Valletti), dalle patate (50) e un esemplare per qualità di rapa, di barbabietola, di carota, di pastinaca, di melograno, e di mela cotogna. Le collezioni di funghi e di ciliegie non sono opera di Garnier Valletti, ma provengono dal laboratorio Ravagli di Torino.

Oltre alla collezione pomologica il Museo presenta altre collezioni e oggetti storici della Stazione di Chimica Agraria. Fra questi oggetti meritano di essere ricordati:
  • il grande baco da seta in papier maché, prodotto nel 1913 dalla ditta di Parigi del Docteur Auzoux, unica testimonianza sopravvissuta del "Museo internazionale di apicoltura e bacologia" di Torino, chiuso nel 1921
  • i quattro busti in marmo che riproducono Pasteur, Malpighi, De Filippi e Rocca
  • la grande biblioteca dell'Istituto, ricca di 19.000 volumi (di cui un migliaio esposti).

Il percorso espositivo, dopo una breve introduzione a carattere multimediale dedicata alla "Città della Scienza" del quartiere San Salvario a fine Ottocento ed alla figura di Francesco Garnier Valletti (geniale ed eccentrico artigiano, artista e scienziato, che lavorò anche alle corti di Vienna e San Pietroburgo per costruirvi fiori e frutti finti), si sviluppa attraverso una serie di ambienti in cui sono ricostruiti i laboratori, le sale museali, la biblioteca, gli uffici della Stazione di Chimica Agraria, prima di dare accesso alla Galleria vetrata.

L'avvincente storia di una collezione, ricca di molte varietà di frutta oggi perdute, e di un istituto di ricerca offre l'occasione per interrogarsi sul presente e sul futuro di aspetti quali l'alimentazione, la salvaguardia dei prodotti "locali" e "tradizionali" e la biodiversità.

Il Museo della Frutta si trova nel Palazzo degli Istituti Anatomici, importante esempio di architettura di fine Ottocento, il cui carattere monumentale sottolinea l'importanza attribuita alla ricerca scientifica nel rilancio della città di Torino dopo la perdita del ruolo di capitale. Nello stesso palazzo di trovano anche lo storico Museo di Anatomia Umana "Luigi Rolando" e il Museo di Antropologia Criminale "Cesare Lombroso" (in fase di allestimento, con apertura prevista a fine 2009). Questi tre musei, cui si affiancherà in futuro anche quello di Antropologia ed Etnografia, formano un polo fortemente rappresentativo della ricerca scientifica all'epoca del positivismo, illustrando un periodo della vita e della cultura della città, a cavallo fra Otto e Novecento, quando Torino era la "capitale del positivismo" italiano, che trovava il suo centro proprio nel quartiere San Salvario e per precisione nella cosiddetta "Città della Scienza". Con questo termine di designava un insieme di imponenti edifici - tra cui il Palazzo degli Istituti Anatomici - costruiti lungo Corso Massimo D'Azeglio a fine Ottocento per ospitare le facoltà scientifiche, di fronte al grande Parco del Valentino, in cui avevano sede, nel Castello del Valentino, la Regia Scuola d'Applicazione per gli ingegneri e, al suo fianco, l'Orto Botanico. Dal 1990 il Parco del Valentino è compreso all'interno dei confini del Parco Regionale Fluviale del Po Torinese.

Il Museo della Frutta si trova in Via Pietro Giuria, 15. Orari: dal lunedì al sabato, dalle 10 alle 18. Ingresso intero 3 Euro, ridotto 1,5 Euro. E' possibile acquistare il biglietto cumulativo per il Museo della Frutta ed il Museo di Anatomia: intero 5 Euro, ridott 2,5 Euro. Ingresso gratuito al mercoledì. Accesso ai disabili con accompagnatore. Tel. 0116708195 - Fax 0116708196 - E-mail: info@museodellafrutta.it - www.museodellafrutta.it Per il Museo di Anatomia Umana: www.museounito.it/anatomia/


Fontana dei Mesi a Torino

La Fontana dei Mesi al Valentino
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La Fontana dei Mesi al Valentino
La Fontana dei Mesi al Valentino
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La Fontana dei Mesi al Valentino
La Fontana dei Mesi è una delle poche testimonianze che rimane di quell'effimero "paese delle meraviglie" progettato da Carlo Ceppi, Costantino Gilodi e Giacomo Salvatori per l'Esposizione Generale Italiana che si tenne a Torino nel 1898, in occasione del cinquantenario dello Statuto Albertino. La fontana è composta da una grande vasca inclinata ovale, in cui precipita una spumeggiante cascata. La vasca è sovrastata da una terrazza, anch'essa ellittica, su cui poggiano quattro gruppi di statue maggiori che raffigurano i fiumi che bagnano Torino:
  1. La Stura, con i tre nudi femminili che scherzano intorno a una ruota di mulino con reti da pesca sullo zoccolo
  2. il Po, dalla gigantesca figura barbuta
  3. la Dora, rappresentata da una pastorella con la cuffia ornata di margherite e che con la mano destra disseta un ariete, mentre un giovinetto suona la zampogna
  4. il Sangone, rappresentato dal genio del fiume, che sorride spiando una coppia di amanti, mentre si abbeverano alle sue acque.

I quattro gruppi statuari appena descritti sono, rispettivamente, opera degli scultori Luigi Contratti, Edoardo Rubino, Giacomo Cometti, Cesare Reduzzi.
Lo specchio d'acqua è circondato da una balaustra arricchita da statue allegoriche dei dodici mesi.
Originariamente nel bacino si trovavano anche altri gruppi statuari andati perduti: la sirena tirata da tre cigni, i putti, chiamati La Pace e La guerra e il satiro portato a spalle dal Po (opere di diversa mano dovute agli scultori Vittorio Bonino, Giuseppe Cerini, Antonio Bottinelli, Casimiro Debiaggi, Biscarra, Edoardo Rubino e Francesco Sassi). Dalla forma neosettecentesca, espressione di un linguaggio sospeso fra nostalgie rocaille e spunti liberty, con allusioni e citazioni della fontana della Villa della Regina a Torino, ma realizzata in cemento, la Fontana dei Mesi era uno scenario ideale per incantare il visitatore dell'Esposizione Generale Italiana, calandolo in una dimensione atemporale e fantastica. Nel periodo dell'Esposizione, durante la notte la fontana veniva illuminata da fasci di luce multicolori, che sottolineavano le linee sinuose dell'architettura ed i gruppi statuari posti sulla terrazza della vasca.
La Fontana dei Mesi si trova nell'estremità meridionale del Parco del Valentino, a sud del Borgo Medievale, a pochi metri dal Po e dunque dentro i confini del Parco Fluviale del Po Torinese.


Borgo Medievale del Valentino a Torino

Il Borgo Medievale del Valentino
Il Borgo Medievale del Valentino
Passeggiando nel Borgo Medievale
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Passeggiando nel Borgo Medievale
La Rocca del Borgo Medievale del Valentino a Torino
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La Rocca del Borgo Medievale del Valentino a Torino
La torre-porta di accesso al Borgo Medievale
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La torre-porta di accesso al Borgo Medievale
Il complesso architettonico noto oggi col nome di "Borgo Medievale del Valentino", all'interno dell'omonimo parco, fu inaugurato il 27 aprile 1884 alla presenza dei sovrani d'Italia, Umberto e Margherita di Savoia. Il Borgo Medievale nacque inizialmente come "Padiglione della Sezione di Storia della Arte Antica" nell'ambito della "Esposizione Generale Italiana Artistica e Industriale", che si svolse a Torino dall'aprile al novembre del 1884. Questa sezione dell'esposizione fu realizzata con lo scopo di illustrare vari aspetti della vita in Piemonte nel secolo XV. Mentre la "Rocca" (cioè il castello medievale) era stata costruita per durare nel tempo, il villaggio era inizialmente destinato alla demolizione, da effettuarsi dopo che la manifestazione fosse terminata.
Tuttavia l'enorme successo ottenuto dal complesso fece sì che esso fosse acquistato dalla Città di Torino a fine manifestazione, entrando a far parte dei Musei Civici solo molto più tardi (le carte amministrative dicono dal 1942).
L'ideazione, il progetto e la realizzazione del complesso del Borgo Medievale si devono a un gruppo di intellettuali e artisti piemontesi che, fra il 1882 e il 1884, guidati dall'architetto e archeologo portoghese Alfredo D'Andrade (1839-1915), rielaborarono i modelli superstiti di architetture e di decorazioni quattrocentesche censite e studiate in vari paesi e città del Piemonte. Nel complesso, le località piemontesi che possono vantare dettagli riprodotti negli edifici del Borgo Medievale del Valentino sono quasi cento: un vero e proprio catalogo dal vivo fatto di muri, porte, finestre, cornici, balconi, fontane, aree porticate, spesso arricchite da preziosi dettagli come le serrature, i cardini, le catene, i soffitti dipinti, per arrivare, naturalmente, agli ambienti interamente arredati della cosiddetta "Rocca".
Tutto il complesso fu studiato e realizzato in modo tale da apparire assolutamente "vero". Grande cura e perizia furono poste nella scelta dei particolari costruttivi, mettendo in atto tutti gli espedienti per accogliere il visitatore ed immetterlo in un mondo diverso rispetto all'ambiente circostante. L'unica strada del villaggio si sviluppa tutta a zig-zag, per apparire più lunga e offrire sempre nuovi scorci al visitatore; il chioccolio della fontana posta vicinissima al ponte levatoio segna uno stacco acustico per chi entra nel Borgo, mentre le botteghe danno l'illusione di un villaggio vivo e vissuto.
L'obiettivo di creare un luogo pittoresco e illusivo non era però l'unica finalità che si ponevano gli ideatori del Borgo, anzi, i loro scopi erano innanzitutto didattici, educativi, di tutela e di valorizzazione del patrimonio storico-artistico medievale piemontese e valdostano.

Per le sue caratteristiche e per la sua collocazione all'interno del Parco del Valentino, il Borgo Medievale si inserisce nel paesaggio torinese anche come luogo per lo svago e il tempo libero, grazie alla sua splendida posizione, adagiato con naturalezza sulla riva del Po.
Al Borgo Medievale si accede tramite un ponte levatoio ed una torre porta, copia della torre porta del ricetto di Oglianico e del ponte levatoio del castello Malgrà di Rivarolo, entrambi in Canavese. Nel Borgo fra le varie costruzioni si citano la Casa di Avigliana e la Casa di Borgofranco d'Ivrea. Sotto i portici del Borgo si trovano alcune botteghe artigianali, mentre al centro della piazzetta è da ammirare la Fontana del Melograno, copia identica della omonima fontana nel castello di Issogne. La Rocca (ossia il castello) del Borgo Medievale presenta ambienti completamente arredati, che riproducono una dimora signorile del XV secolo.

La Rocca del Borgo
La Rocca, ossia il castello in mattoni che domina il settore meridionale del Borgo Medievale, è l'edificio più importante e imponente dell'intero complesso. La Rocca si presenta quale dimora signorile fortificata, con alcune stanze sontuose ricche di mobili, oggetti, vasellami, suppellettili e tessuti, come nella sala da pranzo, nella cucina e nel camerone degli uomini d'arme. Al primo piano, oltrepassata la sala del trono con i Prodi e le Eroine, ispirati ai versi dello Chevalier Errant di Tommaso III di Saluzzo, nella camera baronale campeggia il grande letto a baldacchino con lo stemma di Amedeo IX. Pregevole è anche la cappella, con copie degli affreschi che Giacomo Jaquerio eseguì a Sant'Antonio di Ranverso, qui riprodotti da Giuseppe Rollini.

Il Giardino Medievale
Allestito a partire dal 1998, il Giardino Medievale comprende il Giardino delle delizie, con rose, primule, viole e bulbacee primaverili di cui amava circondarsi la corte, il Giardino dei "rimedi semplici", utilizzati nella farmacia medievale, e l'orto con il capanno in salice e paglia di segale, dove trovano riparo gli strumenti per lavorare il terreno, erbe essicate e sementi. Le painte coltivate, individuate attraverso minuziose ricerche bibliografiche e inonografiche, sono proposte con specie botaniche locali, secondo tecniche di coltivazione naturali. Nel 2004 è stata aperta la passeggiata attorno alle mura, che offre scorci inediti sulla rocca e sui giardini.

Il complesso del Borgo e della Rocca Medievale del Valentino è visitabile con le seguenti modalità:

  • Borgo Medievale: Aperto tutti i giorni della settimana, orari 9-19 invernale, 9-20 estivo, ingresso gratuito. E' possibile prenotare visite guidate a pagamento. La domenica pomeriggio alle ore 15.30 è possibile visitare il Borgo Medievale accompagnati da una guida. Questo servizio è gratuito, è disponibile anche in inglese e francese e non occorre prenotazione.

  • Rocca Medievale: Orario: da martedì a domenica ore 9-17 da novembre a marzo e 9-19 da aprile a ottobre (lunedì chiuso). Ingresso a pagamento: 5 Euro intero.
    La visita è multimediale audio-guidata, si svolge a gruppi (massimo 25 persone) e dura 30 minuti.

Tel. 0114431701/02 - Fax 0114431719 - E-mail: promozione.borgo@fondazionetorinomusei.it - Sito internet: www.borgomedioevaletorino.it


Logo Unesco Castello del Valentino a Torino

Il Po ed il Castello del Valentino, facciata orientale, a Torino
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Il Po ed il Castello del Valentino, facciata orientale, a Torino
La facciata occidentale del Castello del Valentino
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La facciata occidentale del Castello del Valentino
Il Castello del Valentino ha origini tardomedievali (alcuni documenti riportano il nome del più antico dei suoi proprietari, un certo Melchiorre Borgarello, prefetto ad Avigliana). Tuttavia la parte più illustre della storia di questo splendido edificio, situato in riva al Po e nel cuore del Parco del Valentino, uno dei più belli d'Italia, iniziò nel 1564, quando Emanuele Filiberto di Savoia acquistò la struttura e la fece ingrandire e abbellire, secondo direttive date, sembra, da Andrea Palladio.
Per volere di Maria Cristina di Francia, la madama reale che predilesse proprio questa fra tutte le residenze di casa Savoia e che qui soggiornò a lungo con la corte, gli architetti Carlo e Amedeo di Castellamonte eseguirono grandiosi lavori tra il 1630 ed il 1660, trasformando la villa in un castello e fondendovi mirabilmente elementi architettonici sia di gusto francese (ad esempio nel tetto molto inclinato), sia di gusto italiano (ad esempio l'elegante decorazione barocca, la ritmicità spaziale e la facciata in cotto che prospetta verso il Po). Il castello subì alcune modifiche esterne ancora nell'Ottocento, in occasione dell'Esposizione universale del 1858, quando il carattere di "villa fluviale" con affaccio sul Po fu alterato, privilegiando la facciata sulla città mediante l'aggiunta delle due gallerie laterali del cortile d'onore.

All'interno assai interessante è soprattutto il piano nobile, decorato con preziosi stucchi, opera di artisti luganesi, e affreschi seicenteschi con soggetti storici e mitologici, opere di Isidoro, Francesco e Pompeo Bianchi, di G. Paolo e G. Antonio Recchi e di Isidoro Casella.

Nel passato l'edificio fu abitato dalla corte e utilizzato per feste pubbliche, tornei d'amore, giostre e caroselli. Oggi nel castello ha sede la Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino.

Dal 1997 il Castello del Valentino a Torino, come tutte le altre residenze sabaude piemontesi, è tutelato dall'Unesco, che lo ha iscritto fra i beni considerati "Patrimonio dell'Umanità".

Essendo sede universitaria, utilizzata per le lezioni, il castello è visitabile soltanto al sabato, dalle ore 9.30 alle 12.00. Ingresso gratuito, prenotazione obbligatoria.


Orto Botanico di Torino

L'Orto Botanico di Torino
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L'Orto Botanico di Torino
Scorcio dell'Orto Botanico con il Castello del Valentino
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Scorcio dell'Orto Botanico con il Castello del Valentino
Monumento a Carlo Allioni all'interno dell'Orto Botanico
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Monumento a Carlo Allioni all'interno dell'Orto Botanico
Le attuali strutture di base dell'Orto Botanico sono state con ogni probabilità ereditate da uno dei due giardini che, nel progetto iniziale del Castello del Valentino, dovevano essere compresi tra il corpo centrale e le due ali laterali, forse da adibire ad orto per gli abitanti del castello. L'Orto Botanico dell'università di Torino, adiacente al castello del Valentino e all'interno dei confini del Parco Fluviale del Po, fu fondato nel 1729 dal re Vittorio Amedeo II, assumendo subito notevole importanza per l'ateneo torinese, da cui dipendeva (le specie coltivate nel 1762 erano già circa 1200). In origine il giardino aveva una superficie di circa 6800 metri quadri ed era strutturato in forme geometriche, con due grosse vasche, presso le quali convergevano aiuole e stradine. L'attuale edificio, che contiene l'aranciera, la serra calda ed il museo-erbario, fu costruito negli anni '20 dell'Ottocento. Al 1830-40 risale invece il "boschetto" o arboreto, che conserva specie esotiche e dove fu ricostruito un lembo del bosco tipico della pianura padana occidentale. Dopo alcuni ampliamenti e modifiche, nel 1893 l'Orto Botanico assunse l'aspetto attuale, con una estensione di ben 27.000 metri quadri. Alcune modifiche interne per ricavare laboratori ed aule ridussero successivamente gli spazi dedicati alle serre. Nel 1962-63, a cura del Prof. B. Peyronel, su una collinetta con rocce e terra appositamente creata fu allestito un "alpineto", in cui furono collocate le piante alpine.

Riaperto al pubblico nel 1995, dopo la ristrutturazione e la riqualificazione scientifica di alcuni settori, l'Orto Botanico ospita oggi circa 6000 specie botaniche, con più di cento famiglie di piante erbacee rappresentate, un arboreto, una aranciera ed alcune serre, nelle quali, oltre alla flora locale, sono coltivate anche piante medicinali, industriali ed esotiche. Un piccolo settore del giardino riunisce inoltre le specie citate nelle Sacre Scritture.
Nel 1996 è stato allestito un piccolo percorso per ipovedenti e non vedenti, dotato di cartelli con disegni e testi in rilievo e con scritte anche in Braille, relativi a specie particolarmente note o di uso corrente (es. lavanda, melograno, rosa ecc.).
L'Orto Botanico è dotato di laboratori attrezzati per ricerche di fitologia e anatomia delle piante e di micologia, di una ricca biblioteca, di erbari e di importanti collezioni iconografiche, tra le quali la celebre "Iconographia Taurinensis" (65 volumi con 7460 tavole miniate, curata da Carlo Allioni).
Annesso al giardino vi è anche il Museo dell'Orto Botanico, nel suo genere uno dei più importanti d'Italia, che ospita numerose e ricche raccolte botaniche, donate da vari studiosi. Interessante è il materiale donato dal Duca degli Abruzzi dopo i suoi viaggi in Alaska e sul Ruwenzori. Oltre alla classica attività scientifica e didattica, il Museo si propone di attuare un piano di salvaguardia della biodiversità, con la conservazione in ambiente protetto di specie a rischio, appartenenti sia alla flora locale, sia alla flora esotica.

Il complesso dell'Orto e del Museo Botanico è aperto al pubblico (con visite guidate):

  • Sabato, domenica e festivi dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19 a partire da aprile fino alla fine di settembre.
  • Durante la settimana le visite sono possibili solo per scolaresche ed esclusivamente su prenotazione.

Biglietto intero 3 Euro, biglietto ridotto 1,50 Euro, biglietto cumulativo per gruppi e per classi non superiori a 20-25 persone 25 Euro.

Per informazioni e prenotazioni: Tel. 0116705985 - Fax 0116705962. Sito internet: www.bioveg.unito.it


Fontane del Po e della Dora a Torino

La Fontana del Po in piazza CLN
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La Fontana del Po in piazza CLN
La Fontana della Dora Riparia in piazza CLN
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La Fontana della Dora Riparia in piazza CLN
Le due fontane di trovano in piazza CLN, nel centro di Torino, e sono addossate al retro delle chiese di San Carlo e di Santa Cristina, la cui facciata prospetta invece su piazza San Carlo.
La costruzione delle due fontane risale al 1936 ed è contemporanea a quella della piazza CLN. Per la sistemazione del secondo tratto di Via Roma (cioè da Piazza San Carlo a Piazza Felice), ricostruita secondo i disegni dell'architetto Marcello Piacentini, il Comune di Torino approvò il progetto dell'ingegner Giuseppe Momo, il quale prevedeva «la formazione di due facciate monumentali in pietra da taglio verso la nuova piazzetta, intonate all'insieme architettonico delle località quale risulterà dal complesso dei nuovi palazzi: le due facciate comprenderanno due fontane con sculture allegoriche».
Si decise che le statue, dall'importante ruolo scenografico, avrebbero dovuto rappresentare i due maggiori fiumi cittadini, il Po e la Dora. Fu dunque bandito un concorso, aperto a tutti i giovani artisti dell'epoca, che condusse all'esame di 56 bozzetti. Alla fine vinse lo scultore Umberto Baglioni [Scalea 1893 - Torino 1965], che scelse di rappresentare i due corsi d'acqua sotto forma di figure umane: un uomo barbuto e una donna vistosamente formosa, entrambi adagiati su un basamento marmoreo.
Nell'agosto del 1937, con la costruzione dell'impianto di erogazione idrica basato su elettropompe, cominciarono i primi lavori. L'ossatura in cemento armato delle vasche fu rivestita in lastre e blocchi di serizzo. Poi toccò alle due statue, realizzate in marmo di Seravezza. I lavori si conclusero rivestendo le vasche con materiale ceramico. Purtroppo la mancata impermeabilizzazione delle vasche portò subito a gravi infiltrazioni, che costrinsero a sospendere l'erogazione dell'acqua.
Se si eccettuano pochi giorni nel 1987, in occasione del cinquantenario di via Roma e della relativa mostra allestita dall'architetto Rosenthal in piazza CLN, l'acqua non è più tornata nelle fontane fino al 2005, quando, a seguito di un radicale restauro delle parti lapidee e di una complessa opera di impermeabilizzazione delle vasche, effettuata in collaborazione con la Smat-Società Metropolitana Acque Torino (che ha provveduto al rifacimento dell'impianto idrico), l'acqua è tornata nuovamente a scorrere nelle due fontane, riaperte solennemente dal sindaco Sergio Chiamparino il 24 giugno 2005, in occasione della festa di San Giovanni Battista, patrono di Torino.

Monte dei Cappuccini a Torino

Il Monte dei Cappuccini, la società Canottieri Esperia ed il Po, visti da piazza Vittorio Veneto a Torino
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Il Monte dei Cappuccini, la società Canottieri Esperia ed il Po, visti da piazza Vittorio Veneto a Torino
La chiesa di S.Maria del Monte di notte
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La chiesa di S.Maria del Monte di notte
Interno della cupola della chiesa di S. Maria del Monte dei Cappuccini
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Interno della cupola della chiesa di S. Maria del Monte dei Cappuccini
La collina del Monte dei Cappuccini, sovrastata dalla chiesa di Santa Maria del Monte con l'annesso convento dei Cappuccini, si trova nei pressi della chiesa della Gran Madre di Dio e costituisce oggi uno dei luoghi e delle immagini-simbolo di Torino, elemento fondamentale dello splendido panorama cittadino che si gode da piazza Vittorio Veneto e dal Lungo Po.
Dall'IX secolo e fino al 1400 sul colle esisteva una fortificazione, detta "bastita" a difesa di Torino e dunque bersaglio di assalti e assedi. Nel 1473, venute meno le esigenze strategiche, la bastita fu convertita a beneficio feudale privato.
L'ultimo proprietario, appartenente alla famiglia nobile degli Scaravello, intorno al 1581 vendette il Monte al duca di Savoia Carlo Emanuele I. Il duca si attivò per insediare sul colle i Frati Cappuccini, per i quali fece costruire un convento ed una imponente chiesa.
Nel 1891 il Comune di Torino accolse favorevolmente la domanda del Club Alpino Italiano, che aveva richiesto di aprire una propria sede proprio sul Monte dei Cappuccini, in una parte dei locali del convento, vista l'alta panoramicità del luogo, con vista su quasi tutto l'arco alpino occidentale e su parte dell'Appennino Ligure, quando le condizioni meteorologiche sono favorevoli. Nel 1874 il Club Alpino Italiano inaugurò sul Monte una vedetta e un osservatorio, cui seguì, pochi mesi dopo, il 9 agosto dello stesso anno, l'inaugurazione del Museo Nazionale della Montagna, realizzato in alcuni dei locali del convento.
Sul colle le due istituzioni - Il Museo della Montagna ed il Convento dei Cappuccini con la Chiesa di S. Maria del Monte - riassumono i due volti di Torino: quello rivolto alla spiritualità e quello rivolto alla scienza ed alla montagna.

La Chiesa di Santa Maria del Monte

Fin dal Medioevo esisteva sulla sommità della collina una chiesetta, dedicata a Santa Maria. Nel 1584 Giacomo Soldati, ingegnere del Duca di Savoia, iniziò a progettare la trasformazione della fortificazione in chiesa. Il progetto, non realizzato dal Soldati, fu ripreso e largamente modificato dall'architetto Ascanio Vitozzi di Orvieto, che iniziò i lavori di realizzazione della chiesa verso il 1610. Dopo la morte del Vitozzi i lavori furono continuati da Carlo e Amedeo di Castellamonte, cui si devono anche le decorazioni. La chiesa fu ultimata nel 1637.
Di stile pre-barocco (o di transizione tra il Rinascimento ed il Barocco), la chiesa, a croce greca con terminazioni curvilinee, si presenta solenne a dominio della città e del colle. La cupola, in origine sferica e rivestita di piombo, fu per due volte privata del metallo: nel 1705 (assedio di Torino) e nel 1799 (occupazione napoleonica). Fu pertanto necessario sostituire il piombo, prolungando il tamburo ottagonale con una copertura di lastre di pietra. L'interno della chiesa presenta un presbiterio con un fastoso parato ornamentale, su disegno di Amedeo di Castellamonte. Il tabernacolo, del 1638, è di "mastro Luca Longo tedesco". L'apparato ligneo, detto la "Gloria", che sovrasta l'altare, suggerisce, nell'abbondanza di elementi compositivi e di volute, una paternità lombarda o luganese.
Il vano centrale della chiesa, a pavimentazione in pietra di Barge, si espande su due cappelle laterali, aventi medesima decorazione marmorea ad opera di Carlo di Castellamonte. La grande tela che campeggia sull'altare e che raffigura la Madonna che porge il bambino a San Francesco, alla presenza di San Lorenzo diacono e di un altro frate, è di Giovan Battista Crespi, detto il Cerano. Il dipinto originale è ora conservato nella Galleria Sabauda. Nella cappella di sinistra la tela raffigurante il martirio di San Maurizio è opera dell'atelier di Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo.
Le quattro statue collocate ai lati delle cappelle raffigurano S. Antonio da Padova, San Felice da Cantalice, San Fedele da Sigmaringen e Santo Stefano da Montegranaro. Le prime due sono da attribuirsi a Stefano Maria Clemente. Le ultime due sono state eseguite con molta probabilità dalla bottega del Plura (1732).
Sotto la mensa dell'altare di San Maurizio riposano le spoglie di Sant'Ignazio da Santhià, vissuto per molti anni al Monte. Sotto la mensa dell'altare di San Francesco sono invece conservate le reliquie del piccolo martire romano San Botonto, provenienti dalle catacombe romane di Sant'Agnese e donate ai frati cappuccini torinesi nel XIX secolo dal papa Gregorio XVI. I quattro altarini ai quattro angoli della croce greca, sotto le nicchie vitozziane, sono stati disegnati da Benedetto Alfieri (1745-1747). La parte absidale della chiesa è occupata da un coro maestoso, con stalli seicenteschi disposti sui tre lati del grande vano rettangolare. L'alto schienale fu aggiunto nel 1845. In alto, sulla parete centrale, risalta un grande crocifisso ligneo del Seicento, attribuibile a Bartolomeo Botto.

Il Convento dei Cappuccini

Nel 1583, mediante la collocazione di una croce sul piazzale, si ufficializzò l'arrivo dei Frati Cappuccini sul colle, che da allora prese il nome di Monte dei Cappuccini.
I frati operarono spesso a favore della popolazione della città sottostante, con attività di assistenza di appestati (1630) e colerosi (1831, 1854, 1865). Non mancarono episodi di assedio al convento ed alla chiesa, come durante la guerra civile tra madamisti e principisti (1640) ed in due occasioni i frati furono persino espulsi dal convento, a seguito delle leggi di soppressione e riordino degli ordini religiosi napoleoniche (1802) e siccardiane (1867).
Nel 1842 Carlo Alberto fece aggiungere una nuova ala al convento, per usi infermieristici, che fu pertanto denominata "ala albertina".
Attualmente una parte del convento è sede della Curia Provinciale dei Cappuccini del Piemonte e della Val d'Aosta e casa di formazione per giovani frati. L'altra parte dell'antico convento ospita invece il Museo Nazionale della Montagna "Duca degli Abruzzi" unico nel suo genere in Europa e gestito dal Club Alpino Italiano.


Murazzi di Torino

Il Po, i Murazzi ed il Ponte Vittorio Emanuele I a Torino
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Il Po, i Murazzi ed il Ponte Vittorio Emanuele I a Torino
Nell'ambito del complesso monumentale di piazza Vittorio Veneto e della chiesa della Gran Madre di Dio si collocano anche i famosi Murazzi, grandi bastioni in pietra che rivestono le rive del Po e che consentono l'accesso al fiume. I Murazzi ricevettero la sistemazione definitiva nel 1830, grazie al progetto dell'architetto biellese Carlo Bernardo Mosca, che realizzò anche le due rampe di collegamento con la piazza Vittorio Veneto.
Oggi i Murazzi sono diventati una meta classica della vita notturna torinese, per la suggestività del luogo e per l'abbondanza di locali pubblici ricavati dentro i bastioni.

Chiesa della Gran Madre a Torino

Il Po, il ponte Vittorio Emanuele I e la chiesa della Gran Madre a Torino
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Il Po, il ponte Vittorio Emanuele I e la chiesa della Gran Madre a Torino
La chiesa della Gran Madre di Dio a Torino
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La chiesa della Gran Madre di Dio a Torino
La chiesa della Gran Madre di Dio, situata nel quartiere Borgo Po, ai piedi della collina e molto vicina al fiume, è un singolare tempio neoclassico che assomiglia al Pantheon di Roma. L'edificio è perfettamente allineato con il ponte Vittorio Emanuele I (il più vecchio della città, voluto da Napoleone nel 1807 e costruito tra il 1810 ed il 1815), piazza Vittorio Veneto (realizzata tra il 1825 ed il 1830), via Po (progettata dall'arch. Amedeo di Castellamonte nel 1673-75) e piazza Castello (progettata da Ascanio Vittozzi nel 1584). Grazie a tale allineamento prospettico, dalla facciata della chiesa è possibile godere di una veduta incomparabile e magica sulle vie e piazze della città appena citate.
Di fronte alla chiesa della Gran Madre di Dio si trova il monumento a Vittorio Emanuele I, opera della tarda maturità di Giuseppe Gagini. La chiesa è preceduta da una ampia, solenne e monumentale scalinata, ai cui lati sorgono le statue della Religione e della Fede, opera di Carlo Chelli. La chiesa della Gran Madre di Dio, scenografica costruzione a pianta circolare, in perfetto stile neoclassico, fu progettata e costruita da Ferdinando Bonsignore fra il 1818 e il 1831, con lo scopo di ricordare il ritorno a Torino (20 maggio 1814) del re Vittorio Emanuele I, cacciatovi da Napoleone, che aveva annesso il Piemonte alla Francia. L'edificio è preceduto da un pronao esastilo, sotto il quale, entro nicchie ai lati del portale, si trovano le statue di S. Marco, di C. Chelli, e di S. Carlo, di Giuseppe Bogliani. L'interno, a pianta circolare, è arricchito da tre cappelle semicircolari con cornici e rilievi in stucco, inframmezzate da statue di scuola piemontese dell'Ottocento, dedicate a Margherita e Amedeo di Savoia. Sugli altari ci sono le statue del Crocifisso e del Sacro Cuore, opere di Edoardo Rubino, e, sull'altare maggiore, una Vergine con il Bambino, di Andrea Galassi, scultore piemontese dell'Ottocento.
Sotto la chiesa, con ingresso sulla sinistra della scalinata, si trova l'Ossario del Caduti nella Prima Guerra Mondiale, su disegno di Giovanni Ricci (1932), con pronao aperto da sette porte di onice d'Algeria. L'Ossario fu realizzato per ricordare gli oltre 5000 torinesi caduti durante la guerra. Attorno all'altare della rotonda centrale dell'ossario si trovano tre corridoi rivestiti di marmo nero.

La chiesa è aperta tutti i giorni, con orario 7.30 - 12 e 16.30 - 19. Nei festivi anche 20.30 - 22. Informazioni 0118193572


Logo Unesco Basilica di Superga a Torino

La basilica di Superga
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La basilica di Superga
Interno della Basilica di Superga
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Interno della Basilica di Superga
La cupola della Basilica di Superga
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La cupola della Basilica di Superga
Panorama dalla cupola di Superga
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Panorama dalla cupola di Superga
Tomba del re Carlo Emanuele III a Superga
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Tomba del re Carlo Emanuele III a Superga
Il chiostro di Superga
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Il chiostro di Superga
Uno dei punti più alti e panoramici della collina di Torino, il colle di Superga a 669 metri di altitudine, fu scelto dal Duca Vittorio Amedeo II di Savoia per farvi erigere una chiesa, affinché fosse visibile da tutta la città e fosse visivamente collegata e allineata, lungo l'asse della "Strada di Rivoli" (ora Corso Francia), con il Palazzo Reale di Torino e con il Castello di Rivoli, destinato, secondo i progetti (mai completati) a divenire la reggia esterna alla capitale. Secondo la tradizione Vittorio Amedeo II volle far costruire questa imponente chiesa per adempiere al voto fatto il 2 settembre 1706 durante il famosissimo assedio di Torino da parte delle truppe francesi, che avevano già conquistato tutto il Piemonte e che si preparavano a scagliare l'attacco finale alla capitale del Ducato Sabaudo. Al termine della guerra, vinta dai Piemontesi, il duca, che nel frattempo aveva acquisito il titolo di re a seguito del Trattato di Utrecht del 1713, chiamò a Torino uno dei massimi architetti europei dell'epoca, il messinese Filippo Juvarra, al quale commissionò la costruzione di una enorme basilica, in segno di ringraziamento verso la Madonna, alla quale il duca aveva chiesto aiuto per vincere sui Francesi. Al di là delle motivazioni religiose, è chiaro che la scelta di una posizione preminente a dominio sulla città e su gran parte del Piemonte per erigervi la basilica di Casa Reale contribuiva a sottolineare esplicitamente l'affermazione della dignità regale e del simbolismo dinastico.

In origine sul colle di Superga esisteva già una cappella, che fu abbattuta nel 1715 per spianare la sommità della collina, abbassandola di 40 metri, e farvi costruire una nuova enorme chiesa con annesso convento. I lavori per il nuovo edificio religioso iniziarono nel 1717 e si conclusero nel 1731, quando la basilica fu inaugurata dal re Carlo Emanuele III, il successore di Vittorio Amedeo II. Nell'architettura della basilica Filippo Juvarra rielaborò con qualità ed estro le proprie fonti (dai modelli romani a Fischer von Erlach, realizzando non un semplice santuario, bensì una sorta di "tempio regio", con carattere di emblema dinastico.

La chiesa, dedicata alla natività di Maria, è caratterizzata da una slanciata cupola ottagonale alta 65 metri (ma la croce sulla lanterna si trova a 75 metri di altezza dal suolo), ai cui lati sorgono due eleganti campanili gemelli alti 60 metri, e da un alto e profondo pronao in marmo di Gassino a otto colonne corinzie. L'interno, concepito come un vasto e luminosissimo invaso, è solenne ed a pianta circolare ed è sormontato dalla cupola a doppia volta, sorretta da otto colonne e illuminata da otto finestroni. All'interno si aprono due cappelle principali e quattro secondarie, che custodiscono importanti opere di Claudio Francesco Beaumont, Sebastiano Ricci, Bernardino Cametti, Agostino Cornacchini e Giovan Battista Bernero. La più importante delle cappelle è la Cappella del Voto, alla quale si accede dal breve corridoio a sinistra dell'altare maggiore, nella quale è collocata una statua seicentesca in legno dipinto che raffigura la Madonna e che ricorda il luogo esatto in cui Vittorio Amedeo II avrebbe fatto il voto alla Vergine in occasione dell'assedio di Torino del 1706 (quello in cui si consumò l'eroico sacrificio di Pietro Micca). Si pensa che tale statua della Madonna sia la stessa donata alla preesistente parrocchia di Superga dal Comune di Torino nel 1624.
Una scala di 137 gradini conduce alla balconata all'esterno della cupola, da cui si gode di una vista impareggiabile su tutta la città di Torino e, se il cielo è particolarmente limpido, su gran parte del Piemonte e su tutto l'arco delle Alpi Occidentali, dalla Liguria alla Lombardia.
Alle spalle della chiesa si estende un ampio monastero con chiostro, eretto sempre su disegno dello Juvarra, che in origine ospitava la Congregazione dei sacerdoti Regolari, istituita da Vittorio Amedeo II nel 1730, ai quali il re affidò la formazione dell'alto clero. Di quest'epoca rimangono scaffalature settecentesche e parte della biblioteca. La congregazione fu soppressa al tempo della Rivoluzione Francese, ma il monastero è ancora oggi utilizzato dal clero.
Nei sotterranei del complesso barocco fu costruito un grande mausoleo a più vani, che ospita i sepolcri di 58 membri di Casa Savoia, fra cui tutti i re da Vittorio Amedeo II a Carlo Alberto, le regine e tutti i principi dal Settecento in poi (con il trasferimento della capitale a Roma, i sovrani successivi a Carlo Alberto furono sepolti nel Pantheon). La cappella all'interno delle Tombe Reali, già prevista dallo Juvarra, fu sistemata definitvamente dal 1773 al 1778 per opera di Francesco Martinez e Carlo Amedeo Rana. Nella cappella centrale delle Tombe Reali (che si trova sotto la basilica), con pianta a croce e rivestita di marmi e stucchi dorati, si trova la tomba di Carlo Alberto. Agli angoli smussati di questa cappella si trovano le statue della Fede, della Carità, della Speranza e del Genio delle Arti, opere di Ignazio e Filippo Collino (1778). In cappelle laterali si trovano le tombe dei re Vittorio Amedeo II (opera di Francesco Martinez), di Carlo Emanuele III, di Vittorio Amedeo III (opera di Filippo Collino), di Vittorio Emanuele I. Nella cripta delle regine è notevole il monumento a Maria Adelaide d'Austria, di Pietro Della Vedova, cui si deve pure il monumento a Maria Vittoria duchessa d'Aosta. Fra le altre regine sono qui sepolte anche Maria Teresa di Lorena, Maria Clotilde di Savoia e Maria Pia regina del Portogallo.
La Basilica di Superga, una delle opere più importanti e imponenti dello Juvarra, costituisce uno dei simboli che caratterizzano la città di Torino ed è una delle mete turistiche più frequentate dai visitatori sia italiani sia stranieri.
Nel retro del complesso barocco di Superga si trova una lapide con croce marmorea che ricorda la tragedia della squadra di calcio del Grande Torino, per cinque anni consecutivi Campione d'Italia, qui annientata il 4 maggio 1949, quando l'aereo che la riportava a casa dopo una partita a Lisbona si schiantò per il maltempo contro il muraglione del complesso architettonico di Superga, causando la morte di tutti i 31 passeggeri (calciatori, allenatori, giornalisti ed equipaggio). Per ricordare l'evento è stato qui realizzato nel 2002 un piccolo museo sulla squadra del Grande Torino, aperto tutti i giorni dalle 16.30 alle 19.30.

Informazioni: 0118980083; orari di apertura: apr-ott 9-12 e 15-18, nov-mar 9-12 e 15-17. Ingresso: gratuito alla basilica, a pagamento alla balconata panoramica della cupola ed alle tombe reali.

Dal 1997 tutto il complesso della Basilica di Superga, comprese le tombe dei reali sabaudi, è tutelato dall'Unesco, che lo ha iscritto fra i beni considerati "Patrimonio dell'Umanità".


Abbazia di Pulcherada a San Mauro Torinese

L'abside di S. Maria di Pulcherada
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L'abside di S. Maria di Pulcherada
Il campanile dell'Abbazia di Pulcherada
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Il campanile dell'Abbazia di Pulcherada
Lato nord di S. Maria di Pulcherada e lato interno dell'arco che conduceva al monastero
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Lato nord di S. Maria di Pulcherada e lato interno dell'arco che conduceva al monastero
Storia
L'Abbazia di San Mauro di Pulcherada (antico nome romano dell'attuale San Mauro Torinese) sorse probabilmente durante gli anni della dominazione franca (773 - 875). Il primo documento che menziona l'Abbazia di Pulcherada è il diploma di fondazione del monastero di Spigno, ad opera di Anselmo I, marchese di Saluzzo. Tale documento porta la data del 4 maggio 991 e da esso risulterebbe che l'Abbazia di Pulcherada era stata precedentemente distrutta da "uomini cattivi" (mali homines, cioè i Saraceni), i quali nel 937, nel 951 e nel 954, scendendo dalla Valsusa, fecero incursioni nel Torinese, saccheggiando Susa e Torino e distruggendo l'antico monastero di San Mauro, coi suoi castelli di Pulcherada, Matingo, Albareto e Sambuceto (Sambuy). L'abbazia fu ricostruita in più fasi, sia su impulso del marchese Anselmo, che nel 991 la cita appunto nel diploma ricordato, sia nei secoli undicesimo e dodicesimo. Il complesso subì rimaneggiamenti nei secoli tredicesimo e quattordicesimo.
L'antico monastero medievale si estendeva sull'area ora occupata dagli attuali palazzo del municipio, giardino parrocchiale e chiesa di S. Maria. Il monastero comprendeva nel suo recinto giardini, un mulino, un forno e attività artigianali varie, affinché i monaci fossero autosufficenti e non avessero alcuna occasione per uscire dal monastero.
Intorno alla metà del 1500 la chiesa dell'abbazia si presentava ancora a tre navate. Nelle absidi delle navate laterali vi erano due cappelle, una delle quali dedicata alla Madonna.
Successivamente la chiesa cadde in stato di forte degrado, tanto che nel 1665 l'Abate Commendatario Petrino Aghemio, canonico della chiesa metropolitana di Torino, modificò radicalmente la forma primitiva della chiesa, rimpicciolendola e cancellando l'impianto basilicale della chiesa abbaziale, sopprimendo le due navate laterali. La navata destra fu distrutta per metà, mentre quella sinistra fu ridotta a corridoio. Le due absidi terminali, con le loro finestrelle, furono conservate. Una di queste forma la cosiddetta sacrestia vecchia, mentre l'altra costituisce l'attuale sacrestia. Furono aperte grandi finestre rettangolari e fu costruito il voltone attuale, basso e pesante. Furono inoltre costruite le due attuali cappelle, una dedicata alla Madonna e l'altra a San Carlo. L'antica facciata medievale fu coperta dall'attuale facciata, che di pregevole ha soltanto il portale.
Il campanile del XIII secolo, già mancante della cuspide terminale, non subì modifiche.
Il 20 giugno 1800 il Piemonte fu annesso da Napoleone alla Francia. Ciò comportò la confisca dei beni dell'Abbazia di Pulcherada: le cascine di Pescarito e della Braida e il palazzo abbaziale (l'attuale municipio) furono venduti. Ormai dipendente dall'Abbazia di S. Quintino di Spigno, l'abbazia di Pulcherada fu soppressa nel 1803.
Nel 1813 il prevosto dell'epoca, Bertoldo, sostituì l'altare di legno con uno in mattoni e marmo. Per far posto al nuovo altare fu abbassato il pavimento del presbiterio di quasi un metro, distruggendo la vecchia cripta medievale, dove si seppellivano i monaci, che fu riempita di macerie. In quella occasione fu anche realizzata l'attuale sacrestia nuova.
Della chiesa abbaziale primitiva, in origine dedicata a S. Mauro ed ora a S. Maria, rimangono pochi ma significativi resti: oltre al campanile protogotico (della prima metà del sec. XIII) e ad una porzione della navata sinistra (sec. XI), la chiesa conserva l'interessante e antica abside centrale (sec. XI), assai sviluppata e costruita anche con mattoni romani.

La facciata della chiesa
L'attuale facciata è quella che risulta dopo i restauri del 1927, quando "la Regia Soprintendenza ai monumenti antichi ordinò di demolire la facciata innalzata sopra l'antica nel 1665, quando fu fatta la grande volta attuale della Chiesa e ridotta ad una navata sola invece di tre". Durante i lavori del 1927 tornò alla luce l'antica facciata romanica in pietre e mattoni, che presentava due finestre ogivali nelle parti laterali e una rotonda nel centro, con due lesene che si innalzavano per tutta la lunghezza della facciata. La vecchia facciata medievale fu tuttavia nuovamente coperta con una nuova e semplice facciata ad intonaco, che conserva tracce dell'antico nelle lesene e nelle finestre.

Le cappelle interne
La cappella del Sacro Cuore, a metà della parete destra e originariamente dedicata a S. Carlo, fu creata nel 1665 dall'abate Petrino Aghemio, a seguito della eliminazione delle due navate laterali.
Al posto della navata sinistra, anch'essa soppressa nel 1665, furono create la cappella dedicata alla Madonna e quella dedicata al Rosario. Quest'ultima presenta un altare in marmi policromi, inaugurato nel 1941 e, ai lati della nicchia centrale, altre due nicchie che ospitano le statue di S. Anna, a sinistra, e di San Giuseppe, a destra. Sulla parete frontale, tra due angeli e sopra la cornice che racchiude la nicchia della Madonna del Rosario, è individuabile un affresco con l'immagine di un santo.
La cappella dell'Addolorata fu costruita nel 1845, su progetto di Giovanni Gunzi, con lo scopo di aumentare la capienza della chiesa, trasferendo nella nuova cappella il fonte battesimale, precedentemente collocato in fondo alla chiesa sul lato sinistro.

L'abside romanica
Nell'abside si rinvengono due fasi costruttive: la prima, forse carolingia, nella struttura muraria e nelle ampie finestre arcuate, e la seconda, della fine del secolo X, nelle lesene applicate e nella cornice di fornici a nicchie. Il muro esterno curvilineo dell'abside è diviso in sei campi da lesene, che nella loro parte inferiore, mediante risega, presentano maggior spessore. Sotto la cornice, formata da mattoni tagliati di sbieco, si aprono cornici cieche o nicchie, tre per ogni campo limitato dalle lesene. Caratteristiche sono poi le grandi finestre arcate senza strombatura laterale, con armille di mattoni romani, che conferiscono alla parte inferiore dell'abside l'aspetto di una costruzione di epoca imperiale romana.

La balaustra e il pulpito
L'elegante balaustra in marmo pregiato e il pulpito in noce, preziosamente arricchito con finiture dorate di epoca e stile barocchi, provengono dalla chiesa della Confraternita del Santo Sudario di Torino e furono qui trasferiti nel 1813.

La sacrestia nuova
L'attuale sacrestia occupa ciò che rimane della navatella laterale sinistra, distrutta nel 1665 a seguito della trasformazione della chiesa voluta dall'abate Aghemio. Nell'absidiola terminale si notano ancora alcune finestre a strombatura ed i muri perimetrali di grande spessore della chiesa. Nel corridoio della sacrestia vi è una conca semisferica, adibita a lavabo, in marmo di Gassino, che secondo alcuni è stata scavata in una base di colonna romana.

Il campanile
Il campanile dell'attuale chiesa parrocchiale di San Mauro Torinese (già campanile dell'abbazia di San Mauro di Pulcherada) è alto e possente, indubbiamente sproporzionato alla facciata della chiesa ed alle esigenze di culto. Si ipotizza pertanto che esso fu eretto soprattutto con finalità belliche (si pensi alle incursioni dei Saraceni). Osservando la tessitura muraria si nota una fascia in cui il campanile romanico fu innestato sugli antichi ruderi del campanile distrutto dai Saraceni. La vecchia muratura è facilmente individuabile poiché più irregolare e ricca di grosse pietre. Del campanile sono particolarmente interessanti le decorazioni in mattoni che ne delimitano i piani ed il cornicione sommitale. L'arco di accesso all'originario monastero sostiene ora, a ridosso del campanile, una parte dell'edificio dell'attuale casa parrocchiale. Ai lati dell'arco, quasi nascosti nell'intonaco, si intravvedono i cardini del portone che un tempo separava il perimetro abbaziale dal centro abitato.

Castello di Sambuy a San Mauro Torinese

Castello di Sambuy Il primo feudatario di Sambuy fu il nobile Nicolino da Rivalta, il quale lo ebbe dall'abbazia di San Mauro verso il 1300. Questo feudo rivestì per svariati secoli una notevole importanza strategica, pertanto fu al centro di numerose vicissitudini, passando nelle mani di diversi proprietari, fino al 1772, anno in cui la signoria di Sambuy venne eretta in contea da re Carlo Emanuele III. Quindi, a partire da tale data, i membri della Famiglia dei Balbi Bertone, tuttora proprietari della tenuta, presero il titolo di Conti di Sambuy.

Ecomuseo del Freidano a Settimo Torinese

L'Ecomuseo del Freidano a Settimo Torinese
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L'Ecomuseo del Freidano a Settimo Torinese
Ecomuseo del Freidano a Settimo Torinese
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Il lavatoio sul Rio Freidano
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Il lavatoio sul Rio Freidano
Acquario coi pesci di fiume dentro l'Ecomuseo del Freidano
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Acquario coi pesci di fiume dentro l'Ecomuseo del Freidano
Interno dell'Ecomuseo del Freidano
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Interno dell'Ecomuseo del Freidano
Negli spazi del fabbricato-ex silo del Mulino Nuovo sono state raccolte, sistemate ed esposte le testimonianze delle vicende storiche che hanno plasmato il territorio settimese e caratterizzato la cultura materiale del luogo legata all'utilizzo dell'acqua. L'allestimento espositivo ha cercato di ricreare le atmosfere e i luoghi del lavoro, esaltando le diverse caratteristiche degli oggetti e dei cicli di lavorazione. Non si tratta di un museo tradizionale, ma di un insieme "vivo", dove il visitatore viene coinvolto attivamente tramite l'utilizzo di sistemi interattivi.

L'Ecomuseo prende il nome dal rio Freidano, in origine un braccio del fiume Po, poi abbandonato e trasformato in canale. Fin dal 1400 il rio Freidano era utilizzato per fornire energia per il moto dei mulini e per le prime attività industriali settimesi, rivestendo un ruolo di primaria importanza nell'avvio dell'economia locale. Il Freidano trae origine dalla Bealera dell'Abbadia di Stura in località Pescarito di S. Mauro e, dopo aver attraversato il territorio di Settimo, sfocia nel Po dopo l'abitato di Brandizzo. Le modifiche cui fu nel tempo sottoposto il rio, attraverso la costruzione di canali scaricatori e di canali sussidiarii, nonché il suo utilizzo, nel XV secolo, come parte terminale del nuovo assetto idraulico portato dallo scavo della Bealera Nuova, resero il rio Freidano a tutti gli effetti un corso d'acqua artificiale. Le acque del Freidano sono state utilizzate come fonte di pesca, per la piccola navigazione, per la produzione della forza motrice, nonché per le attività di lavanderia. L'uso irriguo invece non è mai stato prevalente, poiché tali acque furono per secoli subordinate al funzionamento dei mulini.

Storia del Mulino Nuovo
L'ecomuseo del Freidano è stato allestito nel complesso del Mulino Nuovo, che sfruttava le acque del rio Freidano. Il mulino nacque nel 1806 ed era molto diverso dal monumentale complesso che oggi è possibile visitare. Il mulino aveva l'aspetto di una casetta a due piani, con 4 ruote ad acqua dal diametro di 4,62 m, ognuna collegata a una macina da grano e granoturco. Come tutti i mulini del tempo, esso comprendeva l'abitazione del mugnaio al piano superiore ed era dotato di cortile ed orto. In origine il nome del mulino era "Mulino dei Savj" o "di Savio", poiché la struttura fu costruita da Giacomo Giuseppe Savio, che ricevette l'autorizzazione napoleonica, a condizione di bonificare la vicina palude del Chiomo e Pramorto, impegno che non venne però mantenuto. Nel 1812 fu poi costruita una pesta da canapa, al di là del canale e di fronte al mulino, che comportò l'aggiunta di una quinta ruota. Nel 1850 i due soci Francesco Chiariglione e Pietro Ducco acquistarono il complesso e lo sottoposero a profonde modiche. A lavori ultimati del vecchio Mulino dei Savj non rimase che il magazzino. Il complesso fu trasformato in un moderno impianto industriale di tipo "anglo-americano", in cui ad ogni ruota ad acqua, dal migliore rendimento, erano collegate più macine in batteria, a vantaggio della produzione. Il mulino cambiò denominazione e assunse quella attuale di "Mulino Nuovo".
Anche l'alveo del Freidano fu radicalmente modificato, con la realizzazione di un nuovo canale di adduzione, opera considerevole di ingegneria idraulica, resasi necessaria per l'alimentazione di particolari turbine (del tipo Francis a camera libera) che sostituirono le ruote idrauliche.
L'impianto suscitò il vivo interesse degli utenti, ma contemporaneamente destò molte preoccupazioni da parte dei proprietari dei mulini preesistenti, destinati a soccombere di fronte al moderno e più efficiente Mulino Nuovo.
Il 1886 è l'anno che segna il passaggio del mulino dalla secolare energia idraulica a quella termica. L'impianto della centrale termica fu costruito a fianco del locale turbine e fu contraddistinto da un'alta ciminiera. In questo periodo venne anche edificato il primo silos accorpato al mulino, sul lato del Freidano e sovrastato da una torretta a loggia interamente in legno. Nel 1897 furono introdotti i nuovi macchinari di macinazione a cilindri. Il Mulino Nuovo fu quindi uno di quegli impianti che adottarono le innovazioni tecnologiche molitorie provenienti dall'Ungheria alla fine del secolo. In seguito all'introduzione delle nuove tecniche di macinazione fu edificato il nuovo grande silos di 5000 metri cubi che, con la sua caratteristica ed imponente architettura, dominò il paesaggio e divenne il simbolo della trasformazione del mulino in impianto industriale.
Negli anni '20 del Novecento il complesso, che impiegava motori elettrici, fu utilizzato anche come gallettificio, prima civile e poi militare.
Il declino del Mulino Nuovo si verificò a cavallo dei due conflitti mondiali, anche a causa dell'occupazione militare, durante la quale cambiò ancora denominazione in "Mulino della Vittoria". Rimasto a lungo inutilizzato, il complesso fu acquistato nel 1955 dal Consorzio Agrario Provinciale di Settimo, che chiese alla ditta venditrice il completo smantellamento dei macchinari, affinché fosse utilizzabile come deposito.

Il Museo ha sede in Via Ariosto, 36/bis ed è visitabile di domenica, con orario 15-19 (ultimo ingresso ore 18). E' possibile prenotare la visita in altri giorni, telefonando allo 011539179.
Informazioni: Tel. 0118028290-0118028374 - Fax 0118007042 - E-mail: info@ecomuseodelfreidano.it - Sito internet: www.ecomuseodelfreidano.it
Ingresso intero: 4 Euro