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Parco Naturale Regionale dell'Aveto



L'Area Protetta


Il Parco

Paesaggio
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Il Parco dell'Aveto, situato nell'entroterra del Tigullio, tutela una delle zone più belle e significative dell'Appennino Ligure. Il territorio protetto, poco più di 3000 ettari, interessa tre valli, la Val d'Aveto, la Val Graveglia e la Valle Sturla, che presentano ciascuna caratteri peculiari: paesaggi di alta montagna, pascoli ed estese faggete in Val d'Aveto; prati pascolati, castagneti, noccioleti, orti e uliveti in Valle Sturla e un paesaggio rurale ben conservato a uliveti e vigneti e, soprattutto, una grande varietà di rocce e minerali, e quindi di cave e miniere, in Val Graveglia. Il Parco comprende le principali cime di questa porzione di Appennino: il Monte Penna (1735 m), dal profilo caratteristico, la vetta più elevata del Parco; il Monte Aiona (1701 m), caratterizzato da estesi pascoli sul versante tirrenico e foreste di faggio su quello padano; i monti Zatta (1404 m) e Ramaceto (1345 m), entrambi dalla caratteristica forma ad anfiteatro, a strati arenacei nudi nel versante meridionale e ricoperti da folte faggete in quello settentrionale.
Il Parco presenta una notevole ricchezza geologica, floristica e faunistica, tanto da costituire uno dei distretti maggiormente ricchi in biodiversità di tutta la Liguria.
Grazie alla sua particolare posizione, inoltre, offre in ogni stagione opportunità diverse per chi lo voglia visitare; è quindi meta particolarmente ricca di fascino per gli appassionati di ambiente e di montagna. Sono numerose infatti le attività del tempo libero e sportive che vi si possono praticare, grazie al ricchissimo patrimonio escursionistico, costituito da una fitta rete di sentieri percorribili a piedi, in mountain bike o a cavallo e, in inverno, con le racchette da neve o con gli sci da fondo. Nel comprensorio del Parco è inoltre possibile affrontare la discesa in canoa di alcuni tratti di fiume o di torrenti, praticare il torrentismo grazie ad alcuni itinerari attrezzati ed effettuare arrampicate su spettacolari palestre di roccia.
Ma il Parco non è solo natura e sport: numerosi sono gli antichi borghi rurali, gli edifici religiosi e civili, i manufatti che meritano una visita, mentre una gita nel Parco è sempre un'occasione per gustare e apprezzare i numerosi e saporiti prodotti tipici.

Le valli del Parco

Diga di Giacopiane
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Monte Groppo Rosso
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Miniera di Gambatesa
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La Val d'Aveto
è circondata da cime montuose che la proteggono da influenze esterne e la isolano dai territori circostanti. Caratterizzano la valle paesaggi d'alta montagna, tra pascoli sommitali e faggete, con le cime più alte del nostro Appennino (Maggiorasca, Groppo Rosso, Penna, Aiona), attività umane legate soprattutto all'allevamento bovino (bruna alpina e cabannina, razza autoctona da latte) e al taglio del bosco. La valle è la principale meta turistica dell'entroterra del Tigullio: in estate sono numerosi i villeggianti che la scelgono per il suo clima fresco, in autunno è destinazione prediletta per i cercatori di funghi e in inverno, grazie all'abbondanza di neve, è meta di amanti dello sci (di fondo, escursionistico e alpinistico).

La Valle Sturla
è una tipica valle ligure, che dai mille e più metri di quota del crinale scende precipitosamente verso il mare, dapprima tra pascoli e castagneti, poi tra noccioleti, orti e uliveti, fino a sfociare nel Torrente Lavagna, a breve distanza dalle spiagge del Tigullio, offrendo così, in pochi chilometri, uno spaccato degli ambienti più contrastanti della nostra regione. La ricchezza d'acqua e il forte dislivello della valle sono sfruttati da tempo per la produzione di energia elettrica: tra le interessanti testimonianze dell'ingegneria di settore le numerose condotte, le centrali ormai "storiche" e lo splendido invaso di Giacopiane, incastonato tra prati e boschi, meta di numerosi gitanti.

La Val Graveglia
ha una storia antichissima e recente tutta particolare, l'una figlia dell'altra. Lontane epoche geologiche infatti hanno dato origine, attraverso immani sommovimenti, alle rocce che la caratterizzano, con formazioni peculiari che ne hanno arricchito il sottosuolo di minerali utili e rari. Di qui la storia umana, più recente, che ha generato un paesaggio di cave e miniere, oggi in via di riqualificazione e, in parte, valorizzato anche turisticamente: meta d'eccellenza per geologi e appassionati di minerali, tanto da rappresentare un vero e proprio museo geo-minerario, in questi ultimi anni la valle sta riscoprendo anche la buona ospitalità, grazie a prodotti locali genuini (castagne, olio, vino e ortaggi), ingredienti fondamentali, insieme alla pace dei casolari ristrutturati, per una perfetta accoglienza agrituristica.


Geologia

Pillow
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Il paesaggio del Parco così come lo vediamo oggi è il frutto di grandi movimenti tettonici e di eventi legati alle glaciazioni, che in un lontano passato interessarono queste zone. Le vette più alte del Parco (Aiona e Penna) sono costituiti da rocce appartenenti al gruppo delle ofioliti; conosciute comunemente come "rocce verdi", sono un insieme di rocce di varia natura e genesi (peridotiti, serpentiniti, gabbri, basalti), originatesi sul fondo di un antico bacino oceanico (Oceano ligure-piemontese.)
Tra le più peculiari testimonianze dell'esistenza di quest'ultimo, la diffusa presenze di affioramenti di diabasi "a cuscino" (pillow lavas), la cui tipica forma è attribuibile alla brusca solidificazione a cui andò incontro la lava fluida fuoriuscendo dalla dorsale sottomarina al contatto con le fredde acque oceaniche. Particolare per forma e caratteristiche è anche l'affioramento peridotitico che si può vedere ai piedi del Monte Aiona, poco prima di arrivare al vasto pianoro di Prato Mollo: la famosa Pietra Borghese. Questo ammasso roccioso, il cui nucleo originario apparteneva al mantello sottocontinentale, ha un'età stimabile in più di 2 miliardi di anni, e rappresenta una delle rocce più antiche d'Italia. Da Prato Mollo si può intraprendere uno dei percorsi didattici autoguidati realizzati dal Parco: il "Sentiero Ofiolitico", un itinerario intorno al Monte Cantomoro specificamente dedicato agli aspetti geologici. I Monti Ramaceto e Zatta, dalla caratteristica forma ad anfiteatro, sono invece formati da rocce più recenti, di origine sedimentaria, quali arenarie e argilliti.
Il vero tesoro geologico del Parco è comunque la Val Graveglia: qui si trovano concentrate rocce di origine diversa (calcari, diaspri, argille, arenarie, ofioliti) e un elevato numero di minerali (braunite, calcite, reppiaite, tinzenite, per citarne alcuni), alcuni dei quali unici al mondo. Sparse nella valle sono visibili numerose cave e miniere; l'unico sito minerario oggi ancora attivo è la miniera di Gambatesa, uno dei più ricchi giacimenti europei di manganese. Ad Arzeno il Parco ha realizzato un altro percorso didattico autoguidato, il "Sentiero Carsologico", che conduce gli escursionisti alla scoperta dei notevoli fenomeni carsici della zona. La principale peculiarità di questo itinerario è la dolina di Pian d'Oneto, un'ampia conca prativa, in parte acquitrinosa, dotata di un inghiottitoio attivo, profondo qualche metro, ben visibile lungo il suo margine occidentale.

Vegetazione e Flora

Farferugine
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Nel corso dei secoli l'uomo ha modellato il territorio, creando ambienti particolari soprattutto per impiantare colture e allevare il bestiame: sono quindi numerosi i prati, i pascoli, le fasce terrazzate, i castagneti, i noccioleti.
Gli stessi boschi naturali sono stati rimaneggiati, privilegiando le essenze più utili: troviamo così faggete, querceti, boschi misti a carpino e orniello, sottili bordure fluviali a salici e ontani.
Grazie alla straordinaria molteplicità di ambienti, substrati e microclimi che lo caratterizzano, il Parco dell'Aveto presenta un enorme ricchezza floristica. Per il suo territorio sono note ben 39 entità endemiche, piante cioè la cui diffusione è limitata ad areali piuttosto ristretti: un numero notevole considerata l'estensione modesta della superficie del Parco. Tra queste: la Primula impolverata, l'Aquilegia alpina, il Raponzolo a foglie di scorzo-nera, la Viola di Cavillier, la Costolina appenninica e la Ginestra di Salzmann. Peculiare è la permanenza di molti relitti glaciali, specie di origine artico-boreale (e quindi "amanti" del freddo), che si sono insediate alle nostre latitudini in epoca glaciale (si risale a circa 10.000 anni fa) e che oggi sono ancora presenti in aree puntiformi particolarmente fredde (la Felcetta alpina, diverse specie di sfagni, la Rosolida, una piccola pianta carnivora, la Viola gialla, il Doronico d'Austria, l'Anemone alpino, la Farferugine...).
Di notevole importanza sono le specie dei substrati ofiolitici, le cosiddette serpentinofite, che riescono a crescere su terreni ad alto contenuto in magnesio e perciò tossici. Questi terreni si presentano perlopiù nudi, potendo ospitare solo piante che hanno sviluppato specifici sistemi difensivi contro un substrato così "velenoso". È necessario fare una distinzione tra le serpentinofite obbligate e i relitti serpertinicoli: le prime sono piante con particolari adattamenti fisiologici, che necessitano di questi substrati per poter crescere (per esempio la Dafne odorosa e l'Asplenio del serpentino), mentre la seconda categoria racchiude piante un tempo ad ampia diffusione ed oggi in regresso a causa di mutamenti climatici e della conseguente avanzata di specie oggi più "prepotenti": i substrati serpentinitici, così selettivi, hanno rappresentato quindi un rifugio per queste specie meno competitive (es. il Bosso e la Felcetta lanosa).
Numerose sono infine le specie rare o vistose, rigorosamente protette, che abbelliscono con la loro fioritura i prati e i pascoli di montagna: i gigli selvatici, le orchidee, il Botton d'oro, le aquilegie, le genziane...

Fauna

Fatta di lupo
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Tritone
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La grande varietà di ambienti che si trova all'interno del Parco ha favorito anche la conservazione di una fauna ricca e pregiata.
La presenza di maggior richiamo è sicuramente quella del Lupo, che in tempi recenti è ritornato nelle valli del Parco con alcuni individui, nel corso di una lenta ma inarrestabile ricolonizzazione dell'Appennino da parte della specie. Oggi il Lupo, attraverso la Liguria, è tornato anche in diverse località alpine. Data la notevole suggestione che questo grande carnivoro ispira, osservazioni e gite sulle sue tracce costituiscono una delle attività più richieste alle guide del Parco.
Il Capriolo, ricomparso in questa parte di Appennino ligure solo recentemente, rappresenta il più interessante ungulato selvatico del Parco ed è attualmente oggetto di una campagna di ripopolamento, attuata anche al fine di ristabilire al meglio gli equilibri naturali. I cinghiali, come le volpi, le faine e gli scoiattoli, sono invece piuttosto diffusi. Altre specie animali di pregio presenti nel Parco sono, tra i mammiferi, il Tasso, la Puzzola e la Lepre, oltre ad alcune specie di micromammiferi tra cui ghiri, talpe, moscardini, Arvicola delle nevi e Arvicola campestre.
Per quanto riguarda gli uccelli, il Parco si può fregiare della presenza di uno dei più maestosi e affascinanti rapaci: l'Aquila reale, presente con alcune coppie nidificanti.
Notevole è la presenza stanziale di altri rapaci quali l'Astore, il Biancone, il Gheppio e la Poiana. Nel complesso le specie nidificanti sono più di sessanta.
Le numerose zone umide del Parco ospitano invece un buon numero di specie di anfibi, tra cui la Salamandrina dagli occhiali, un interessante endemismo appenninico, il Geotritone, che si rinviene soprattutto nelle grotte e cavità della Val Graveglia, ben tre specie di tritoni (alpestre, crestato, punteggiato) e la Rana temporaria. Nei ruscelli si trova un ottimo indicatore della buona qualità delle acque: il Gambero di fiume.
Molte sono le specie di Invertebrati di grande interesse, soprattutto per gli studiosi; alcuni insetti, come visto per le piante, rappresentano relitti glaciali o entità endemiche, presenti soprattutto negli ambienti di vetta o in quelli di laghetti, stagni, paludi e torbiere, particolarmente conservativi. Numerose e decisamente vistose sono anche alcune specie di Lepidotteri (farfalle), che frequentano soprattutto gli ambienti prativi del Parco, attratte dalle ricche fioriture (Vanessa io, Vanessa atalanta, Parnassius apollo, quest'ultima anche relitto glaciale).

Storia

Mulattiera Ventarola
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Villacella
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Manufatti in selce e diaspro delle diverse età, oggi conservati nel Museo Archeologico di Chiavari, indagini archeologiche e polliniche e la presenza di tronchi sub fossili di abete, ben conservati, sul fondo del Lago degli Abeti hanno permesso di fare un po' di luce sull'epoca preromana.
I primi frequentatori del Parco furono tribù provenienti dal fondovalle che già ai tempi del Mesolitico (oltre 7000 anni fa) praticavano la caccia sulle montagne, ricche di selvaggina.. Successivamente, dalla fine del Neolitico fino quasi all'Età del Bronzo, altre tribù vi praticarono la caccia, ma anche il taglio e l'incendio delle folte abetine, per ricavarne pascoli. Tale attività, oltre a testimoniare l'antica origine (quattromila anni da oggi) dell'allevamento del bestiame, tuttora largamente praticato, dà conto dell'avvio del predominio del faggio sull'abete, cui concorrono anche fattori climatici.
Nell'Età del Ferro, come in molte altre aree della Liguria, le tribù, dedite ormai stabilmente alla caccia, al pascolo e all'agricoltura, provvidero a terrazzare i poggi e ad arroccarsi nei "castellari", piccoli villaggi fortificati, di cui oggi si ha testimonianza solo nei toponimi. Della successiva occupazione romana, avvenuta non senza difficoltà, come raccontano gli storici Livio, Strabone e Diodoro Siculo,data la belligeranza dei Liguri, esiste testimonianza nel ritrovamento di "tegoloni" in Val d'Aveto e a Statale, materiale edile utilizzato dalla fine della Repubblica fino al Medioevo avanzato.
Le prime fonti scritte risalgono a documenti medievali, per lo più legati alla donazione di terre. Nel 718 d.C. re Liutprando offre la Chiesa di Alpepiana ai Monaci di S. Pietro in Ciel d'Oro, una delle prime comunità benedettine insediate nella zona, un diploma di Ottone I del 972 d.C. attesta l'appartenenza di Sopralacroce, Temossi e Belpiano al Monastero di Bobbio,mentre un documento del 1103 cita la chiesa di Pietra Martina a Villa Cella, dove fu fondato un monastero sull'antico percorso che da Borzonasca portava in Val d'Aveto.
La tradizione attribuisce a questi monaci la diffusione del Vangelo nelle valli, l'assistenza ai viaggiatori, la diffusione di pratiche agricole fondamentali e la bonifica di nuovi territori. Tra questi la bonifica della palude nella piana di Cabanne, ottenuta, così dice la leggenda, liberando il corso dell'Aveto dalla paleofrana che lo fermava alla Gola del Malsappello.
La celebre Abbazia di Borzone fu essa stessa un fondamentale centro di irradiamento religioso, culturale ed economico.
Anche le direttrici viarie, per come le ricostruiscono gli storici, aiutano a comprendere come si trasforma il paesaggio nelle diverse epoche: le strade più sicure nel Medioevo erano quelle di crinale, e l'apertura di vie di fondovalle, a partire dal XVI secolo decreta il decadimento dei centri di mezza costa e delle stesse fondazioni monastiche (ad esempio quella di Villa Cella), tagliate fuori dai traffici, e il sorgere di nuovi centri viari lungo le nuove direttrici.
Per quanto riguarda le signorie locali, in Val d'Aveto si avvicendano i Malaspina (che ricevono nel 1164 il castello di S. Stefano da parte del Barbarossa), poi i De Mileto per la parte di Rezzoaglio, dalla fine del XIII secolo (che assunsero il cognome Cella dalla località Villa Cella). Nel 1495 i Fieschi di Lavagna acquistano dai Malaspina la castellania di S. Stefano, perdendola nel secolo successivo a favore dei D'Oria, dopo la confisca avvenuta a seguito della Congiura dei Fieschi (1547).
La soppressione dei feudi imperiali (1797) consegna i territori alla Repubblica di Genova, di cui seguirono le sorti.
Durante la lotta partigiana il territorio del Parco fu il fulcro della Resistenza nel levante ligure; nell'aprile 1945 le divisioni partigiane parteciparono alla lotta finale di liberazione scendendo verso la riviera di Levante.

Architetture

Al di là dei monumenti più celebri, il Castello Malaspina di S. Stefano d'Aveto (XII secolo) e l'Abbazia di Borzone dedicata a S. Andrea, che da soli meritano una visita, vanno citate altre notevoli opere d'architettura quali i numerosi campanili della Val d'Aveto (tra i più singolari quelli di Cabanne, di Rezzoaglio, di Magnasco), i resti del monastero di Villa Cella, una delle chiese più antiche del comprensorio (già citata per il sec. XII) e numerosi altri edifici religiosi, di epoca medievale o barocca (su tutti, la chiesa di Allegrezze, del XV sec.). Di rilievo, e in qualche caso ben conservati, i centri storici, quasi tutti di matrice rurale o viaria, e molti ponti di antica fattura, a scavalcare i principali torrenti, testimonianza di una viabilità sostanzialmente inalterata dal Medioevo a tutto l'Ottocento. Non mancano, ovviamente, in queste valli montane, testimonianze architettoniche "minori" della cultura e dell'attività contadina: casoni rurali e ricoveri dei pastori in pietra, mulini, seccherecci (piccole costruzioni utilizzate per essiccare le castagne), antichi fienili (tipici della Val d'Aveto i barchi a tetto mobile in paglia), cappelle campestri, mulattiere lastricate, canalizzazioni delle acque e passerelle in legno o in pietra, costituiscono un patrimonio architettonico notevole, sovente impreziosito da particolari costruttivi (portali in pietra) o decorativi (simboli, croci, teste apotropaiche), che lasciano affascinato chi si avventuri alla loro riscoperta. Testimonianze delle antiche attività montanare si trovano anche nei boschi, dove si incontrano neviere ed aie carbonili.
Maschera apotropaica Beudo Castello di S.Stefano d'Aveto Barco