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Parco del Conero



Nel Parco c'è
  Notiziario Ufficiale del Parco del Conero
Anno X - Numero 3 - Luglio 2004

COSTE ITALIANE PROTETTE

Gestione integrata delle aree terrestri e marine

Che il parco del Conero abbia sempre guardato al mare come ad una realtà dalla quale dipendevano molte delle scelte che si dovevano compiere sul proprio territorio è abbastanza naturale. Non era invece altrettanto scontato che il parco se ne facesse carico in una visione più ampia, diciamo pure regionale, nazionale e in qualche misura anche internazionale. Quando perciò alcuni anni fa il Parco del Conero decise d’intesa con altre aree protette regionali costiere - in primis il parco regionale di Migliarino, S. Rossore, Massaciuccoli - di dar vita al progetto Coste Italiane Protette (CIP) in un Convegno a Parcoproduce, più d’uno probabilmente considerò l’iniziativa velleitaria. Certo, che al Conero fosse prevista una area marina poteva giustificare e spiegare in qualche misura questa attenzione per temi che nonostante una legge dell’82 (quella sul mare) ne facesse un obbligo per le istituzioni soprattutto nazionali, erano largamente e scandalosamente snobbati. Il piano delle coste, infatti,- come sarebbe poi accaduto anche alla Carta della Natura - nonostante ripetuti e regolarmente abortiti tentativi rimase allora (e ancora oggi) lettera morta. E con quel piano lo rimasero (o quasi) anche dopo l’entrata in vigore della legge quadro n. 394, le previste aree marine vecchie e nuove. Con CIP, dunque, alcuni parchi regionali unitamente alla federparchi, alla regione, alla provincia e al comune di Ancona e per iniziativa ed impulso del Conero decidevano di smuovere finalmente le acque stagne di una gestione fallimentare, ben consapevoli naturalmente della gravosità e difficoltà di un compito tanto arduo. Tanto più arduo perché non doveva solo fare i conti con una grave inerzia e inadempienza dovuta innanzitutto ad una pubblica amministrazione riluttante e impreparata a misurarsi con i nuovi temi ambientali del mare. A complicare ulteriormente le cose era infatti la mentalità burocratico-statalista che concepiva la gestione del mare e dei suoi enormi e delicatissimi problemi come cosa separata anche nel caso delle aree protette marine. Questa visione che rifiutava la integrazione terra-mare che in quegli anni peraltro cominciava ad essere elaborata, proposta e sostenuta in sede comunitaria, pesava come una cappa asfissiante sulla politica nazionale con effetti rovinosi sulla gestione delle politiche costiere di cui oggi possiamo misurare tutti i danni e le storture.
Si spiegano così i ripetuti e puntualmente falliti tentativi di costruire quella rete di aree marine protette previste negli elenchi delle due leggi nazionali; quella sul mare e quella sui parchi. Tante partenze false che anche quando - e non sempre ciò è avvenuto- riuscirono finalmente a imbroccare quella operativa, hanno quasi sempre avuto esiti deludenti e insoddisfacenti per quel vizio genetico di cui abbiamo parlato. Una sorta malformazione instituzionale che tuttora connota la nascita e quindi lo sviluppo di organismi tuttora separati persino nei casi in cui la loro gestione fa capo ad un parco nazionale terrestre.
Ma su questo tornerò. Prima va detto che proprio la vicenda del Conero evidenzia come meglio e più chiaramente non si potrebbe questo insostenibile e colpevole stato di cose. Il parco del Conero è da anni un parco attivo che dava e dà tutte le garanzie per poter gestire l’area marina prevista. Se riesce come tanti altri parchi regionali e nazionali a farlo a terra non si vede infatti perché non possa farlo altrettanto bene, validamente e seriamente a mare.
E invece ogni qualvolta si è pensato di metterci mano abbiamo assistito alle più sorprendenti manfrine. Intanto gli studi sebbene affidati a enti di ricerca locali sono sempre risultati top-secret. Il buon senso di taluni ricercatori talvolta faceva - per così dire - trapelare alcune notizie e informazioni, ma il Parco ufficialmente era tenuto all’oscuro malgrado le ripetute richieste di conoscere quel che stava bollendo in pentola. Non stupisce che questa segretezza piuttosto ridicola alimentasse, ogni volta che l’argomento tornava in qualche modo in discussione per qualche parziale notizia di stampa, sospetto e diffidenza. Che a loro volta risultavano un ottimo brodo di coltura per tutti quelli che avevano tutto l’interesse a spargere a piene mani sfiducia o ostilità verso un’area protetta tanto misteriosa.
Come non ricordare le notizie che ogni tanto rimbalzavano ora in questa ora in quella sede fino alle più recenti bizzarre visite di inviati da Roma per individuare nientepopodimeno uffici e quant’altro all’insaputa di tutti e senza una straccio di proposta concreta sulle caratteristiche e le finalità dell’area. Che di tutto questo non sia poi rimasta alcuna traccia nonostante le insistite e ripetute richieste del parco e di CIP e della federparchi perché finalmente si istituisse un tavolo istituzionale per fare il punto e decidere insieme il da farsi è solo l’ennesima dimostrazione di una gestione poca seria. Ricordo infatti che CIP si fece carico di predisporre dei documenti perché il Ministero facesse sue le nostre proposte dal punto di vista del metodo; un modello - diciamo così - per evitare questa gestione sghangherata e privata che non approdava mai - come mai approdò - ad alcun esito concreto. Ma tutto questo finora è servito a poco.
Si torna così al punto in cui avevamo sottolineato l’incongruenza di una gestione volta a tenere separate terra e mare al punto che persino dove la gestione è stata controvoglia e dopo tante storie affidata ad un parco nazionale, l’area marina è gestita da una commissione di riserva con un suo presidente, un suo direttore, un suo bilancio. Questa commissione era prevista dalla legge sul mare dell’82 per la gestione delle riserve marine allora in elenco. La presidenza di tale commissione (allora) era affidata alla Capitaneria di porto e composta da singolari (specie se lette oggi) rappresentanze e che altrettanto singolarmente ne escludeva clamorosamente altre che oggi invece sono chiamate ad un ruolo importante nella gestione delle aree protette; vedi le province. La legge quadro del 91 - come è noto - sganciò definitivamente la gestione dei parchi anche nazionali dall’esclusivo ruolo ministeriale e burocratico. La leale collaborazione inaugurò una stagione nuova perché tutte le aree protette potessero contare su una costruttiva cooperazione dello stato, delle regioni e degli enti locali oltre che di altri soggetti sociali.
La scelta del 91 si è rivelata profondamente giusta come confermano e tangibilmente testimoniano i positivi risultati conseguiti. Purtroppo non è stato così per le aree marine che pure non sono altra cosa da quelle terrestri, se non per le specificità ambientali che d’altronde connotano qualsiasi area protetta; montana o costiera che sia. Così - anche per qualche ambiguità della legge che tuttavia non sarebbe stato difficile chiarire specie alla luce della esperienza - le aree marine hanno viaggiato (poco e male) su un binario separato sotto l’occhiuto controllo statale che da un paio d’anni alle aree marine nega persino il pagamento del personale scaricato irresponsabilmente su comuni piccoli e fragili dai bilanci boccheggianti.
Tutti ricordano sicuramente la vicenda di Portofino quando al parco regionale fu negata la gestione dell’area marina (oggi retta da un consorzio) sanzionando così nella maniera più clamorosa una separazione assurda.
Ma quella vicenda al pari di altre non meno assurde anche se meno note, non sembra avere insegnato granché se oggi persino nei confronti di grandi parchi nazionali si sta covando negli ambienti ministeriali l’idea di sottrarre ad enti che gestiscono migliaia e migliaia di ettari la gestione di talune istituende aree marine interne al parco. Come è noto perseverare è diabolico ma non evidentemente per il ministero.
Ciò spiega perché ad oltre dieci anni dalla entrata in vigore della legge quadro e ad oltre 20 dalla legge sul mare si continui genericamente a parlare di aree marine protette senza alcuna distinzione tra parchi e riserve che è invece chiaramente e nettamente stabilita per quelle terresti.
Dinanzi a questo insostenibile stato di cose il parco del Conero e CIP non possono non confermare, coerentemente con un impegno che da alcuni anni ha il merito di avere promosso, stimolato, sostenuto e prodotto ricerche, studi, pubblicazioni su questi temi che anche in documenti ministeriali ufficiali sono peraltro riconosciuti e apprezzati, la volontà di continuare a rivendicare una gestione integrata della costa. E ciò a cominciare ovviamente dal Conero la cui area marina non può più essere considerata un qualche cosa da agitare cervelloticamente a seconda delle convenienze e degli umori di qualche burocrate o politico di passaggio. Federparchi su questi temi ha deciso di tornare con una iniziativa nazionale alla quale sta lavorando un gruppo di esperti. Anche per CIP e quindi per il Parco del Conero questa potrà essere una occasione per rimettere a fuoco questioni che in troppi cercano di intorbidare.

Renzo Moschini
della Federparchi